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POESIE
DI MILLE AUTORI
INTORNO A
DANTE ALIGHIERI
RACCOLTE
ED ORDINATI- CRONOLOGICAMENTE
CON NOTE STORICHE, BIBLIOGRAFICHE E BIOGRAFICHE
DA
CARLO DEL BALZO
Volume XIV:
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ROMA
FORZANI E C. TIPOGRAFI DEL SENATO, EDITORI
PALAZZO MADAMA
1908
POESIE DI MILLE AUTORI
IXTOEMO A
DANTE ALIGHIERI
Edizione di 500 esemplari numerati.
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POESIE
DI MILLE AUTORI
INTORNO A
DANTE ALIGHIERI
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ED ORDINATE CRONOLOGICAMENTE
CON NOTE STORICHE, BIBLIOGRAFICHE E BIOGRAFICHE
DA
CARLO DEL BALZO
Volume XIV.
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[ ROMA
FORZAMI E C. TIPOGRAFI DEL SENATO, EDITORI
1908
PROPRIETÀ LETTERARIA
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DCCIII.
F. Berardinelli.
Italia.
Canti pel sesto centenario di Dante.
(14 maggio 1865).
Il TiTcnte, in tut tìu, e' Ti confcMft,
Siccom'oggi ancor io, Tua ventate
Di padre in 6glio tema 6n traimeata.
Esechia.
L
Parinì, Alfieri, Leopardi, Giusti,
Contro il vizio implacati, a' quali alzava
Italia, in dò concorde, e laudi e busti;
Deh, se la musa in voi tanto sdegnava
Il secolo, e il già putrido seccume,
E le nuove stoltezze flagellava;
Italia dunque scossa, e al vostro lume
Vedendo innanzi a sé la via smarrita,
Bramò di rinnovar mente e costume?
La fiacca del patrizio oscena vita
Derise il primo, a un altro volgo, asceso
Col subito arricchir delizia ambita,
POESIE DI MILLE AUTORI
Se di viver col nome unqua fu reso
Nel sonno e l'ozio seppellir la mente.
Col turpe il senso a trionfare inteso.
E in questo il grandeggiar superbamente.
Il sommo ben, nell'Itale cittadi,
Sull'altra oppressa o non curata gente.
I vìncoli cosi fatti più radi
Di carità, di patria; e invece (oh, scherno 1)
Di Gallia i modi eretti a deìtadi.
Per che dell' Astegian sboccò Y interno
Sdegno, e fiottando, insiem d'onta copriva
Il Gallo insano e il nostro vizio etemo.
È repubblica il suolo, egli scolpiva.
Ove in divine leggi han base e scudo
Le umane, e impune mai l'offesa arriva.
E dove il volgo, eh' è di senno ignudo.
S'educa al giusto e alla fatica, e infrena
Che non diventi per licenza crudo.
Né di Ferney lasciò l' infausta vena.
Che col facile nulla e insiem col rìso.
Di folli e d'empii sconfinò la piena.
Ma pur, come animai che il verno assiso
In fonda cava, poi lo irrita il sole;
Tale il raggio del vero a Italia inviso.
Onde con alte e lugubri parole.
Il terzo vate seguitò: Disceso
É il saggio, in forza delle turbe sole
È il mondo. Italia! e or tu non senti il peso
Della vergogna? E la virtù degli avi
Inutil nome alle tue orecchie è reso?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Voi spose almaaco il vituperio aggravi.
Cessi del sangue vostro il germe impuro,
Non educate alla fortuna schiavi.
Ma, frolli a mezzo, frollerà il futuro
Quanta parte di noi rimase illesa;
Che già vicino a rovinare il muro
La crepa deir intonaco palesa!
Questa, col sale del beffardo stile,-
Risposta amara fu del Giusti intesa.
Dunque ebbe Italia infìn sé stessa a vile.
Riscossa a un tratto de' suoi eccessi al tuono.
All'acuto lezzar di suo covile?
Se questi applaude, e se vero anche è il suono
Che onor rinnova al suo divin Poeta,
Del retto accesi omai gli animi sono ?
Iddio dunque è fra noi principio e meta.
Suo culto eccelso, perchè sacra è Roma,
D'incensi e d'inni il nostro cielo allieta?
Come fulgida gemma in regia chioma.
Siede di Dio la legge all'altre in cima.
Perchè son leggi, e non d'arbitrii soma ?
Della gente civil dunque la prima
Queir è che il censo, avito o novo, al bene
Rivolge, esempio a la mezzana e all' ima ?
Rotte dell' ignoranza le catene.
Fugge il volgo le colpe, e onore e pane
Di novo sangue gli rifan le vene?
L' Italo senno e la fortezza, strane
Cose non più fra noi, ma dalla cuna
Ricominciano a far l'anime sane?
POESIE DI MILLE AUTORI
La gioventù non corre di fortuna
A* mortiferi doni, e invece ha cari
I danni, onde virtù sua strada imprima?
Verace scienza avvien che a noi rischiari
L'ordin della Sapienza creatrice,
Al qual chi è cieco o avverso ha giorni amari ?
Risorge Italia infin, nova fenice.
Dal cener suo, di sé rifatta donna.
Non più schiava de' Galli o imitatrice ?
Italia alla sua gloria si dissonna?
II.
Italia? E quando, ahi, divo Alighier, com'ora
Fu del tuo inferno immago ella più fida,
E dell' inferno tuo più orrenda ancora ?
Qual delle bolge che l'abisso annida.
De' leggidanti suoi pari alla cava?
Qual bolgia udlo d'un Petruccel le strida?
Del Papa il Dio perisca, egli gridava.
La Provvidenza via; fu Garibaldi
La provvidenza che Vittorio alzava!
E i sozi lieti; e a stormo altri ribaldi
Vociar dietro al Nizzardo: O Roma o morte!
In rosso incamiciati da spavaldi.
I tempii invasi, le sostanze assorte
Sacre al culto di Dio, vituperati
I sacerdoti, in fuga, in le ritorte.
Sotto nome di leggi ammantellati
Arbitrii iniqui ; una vorace sete
D' oro e vendetta accumular dettati.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Venite innanzi voi, che i primi siete
Fabbri d' Italia, e se alla magna impresa
Questo è il cammino o il fin mi rispondete?
Coir epa grassa e con la vista lesa,
Padre Cavour, quest' è la libertà
Che promettevi, e la libera Chiesa ?
Libero Stato, sola verità
Di tue menzogne: e d*onde Italia infine
Ne' parricidi suoi ebbe unità.
I parricidi, che aggiustando al crine
Deir infranta corona i pezzi, a galla
Van suir onde fecciose cittadine.
Prima razza davvero e prima stalla,
Air armento minor d* esempio, come
La bestia impingua sul comun che avvalla.
E qual linguaggio mai può darmi un nome,
A dir le moltitudini eflferate,
Disbramandosi sempre, e sempre indome?
Crapule e lupanari ogni cittade,
Dirotti ladrocinii ; e per istinto.
Di sangue uman le terre abbeverate.
Fu lasciato da te correre, o spinto,
Farini; il qual tuttor col corpo vai,
Mentre ha V anima già l' inferno attinto ;
Da te lo scempio, perchè torse i rai
Da Parma il sol, te governante? Orrore,
Che quello su Basvil vinse d* assai !
E come al tuono seguita il furore
Della bufèra, che distrugge, e spande
Ne' campi intorno tenebre e terrore;
IO POESIE Ql MILLE AUTORI
Per te milizie convertite in bande,
Calpestando ogni fé, negando Dio
Nelle Marche compir gesta nefande.
E con te a' fianchi ruzzolò il pendio
II Re Sabaudo, fin sul reo Sebeto,
Dove la man con Garibaldi unio.
E dettato da te scrisse il decreto.
Che chiamò gloria il tradimento, e al male
Disciolse il vulgo baldanzoso e lieto.
Ardon le stragi e i danni il Regno, a tale
Che da' tiranni suoi quanti ebbe in una
E danni e stragi non farien V eguale.
Sono a fronte due pani. Incendia V una
D' Italia in nome, e aramazza e si rincagna
Fin contro vecchi e donne e infanti, e affuna.
E perchè Y altra indietro non rimagna.
Brucia, rapina, uccide, il sangue spreme,
E smembra, e squarta e cava fuor l'entragna.
O veramente rinnovato seme
De' prischi padri ! O mia virtù Latina,
Che rifiorisci di feconda speme!
O popolo verace, in cui s'aflSna
L'amor del ben, e alle grandi opre il senno!
A tua sapienza più che cittadina
Imperiali facoltà si denno;
Ben quindi al voto tuo, di regni sette
Un solo regno, e un solo re si fenno.
È reo di maestà chi non sommette
La fronte al tuo volere; o sia che il chiami
Menzogna infame di accecate sètte.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. ti
Che popol non fu mai che cerchi ed ami
Quel che non sa; ma plebe sì che corre
Con chi a promesse è largo, o che la sfami.
E qual gente potria, qual rege imporre,
Non folleggiando, il proprio sterminare
E un comune fantastico comporre ?
E già qual fìa la messe da segare,
Ben a' campi si vede ; e quai saranno
I novi arnesi, alla fucina appare.
Di tanto sangue e lutto nasceranno
Ad altro i figli che a vendetta? Ahi sempre
D'inique età perverse età si fanno?
E se air ingegno giovanil le tempre
Cangiano i novi fabbri, acciò la scienza
Con la nova virtù calzi e contempre,
Che fia quinci il saper? Notte e demenza.
III.
In tutti i tempi già, tutti i paesi.
Se fu saper, sua origin fu la niente
Sommessa a Dio. Cosi gli animi attesi
Non al senso ma al ver, nel rimanente
Dovunque il Ver cercar© ; e la sua luce
Al dritto amore, al ben destò la gente.
Il Ver, che omai per grazia ne conduce
Al suo fonte, eh* è Amore, il Ben, Dio stesso.
Da poi che apparve a noi cammino e duce.
Uno il sapere in noi : specchio che impresso
Dell' esser, quanto cape in sé n' accoglie,
E al pensier lascia argomentar T eccesso.
12 POESIE DI MILLE AUTORI
Vasto àrbore, che il rio delle sue foglie
Dipinge, e a quella imagin non s* appaga
La mente, e il fusto a ricercar si toglie.
Uno il sapere : la riflessa e vaga
E rotta immagin, scienza; e il resto è fede
Che neir eterno 1' anima dilaga.
Uno il sapere : e chi pensa e non crede,
Uomo è deliro, che chiama ragione
Negar quant* oltre il ciel occhio non vede.
E chi mozza il saper, turba e scompone
La vita; e sovrappon Cesare a Cristo,
E riduce il Vangelio a opinione.
E ben fu questo il prezioso acquisto
Che feo V Italia ; e eh' or de* suoi licei
É il latte, inacetito anche più tristo.
Oggi che air istruir son corifei
Un Ridolfi, un Desantis, un Mamiani,
Vesciche piene di concetti rei,
E il Matteucci, che 1* unghiate mani
Nel Nobili e il Linari intrise; e il folle
Di regicidi lodator Imbriani.
E il Lambruschin, che a Figline le zolle
E i bachi tormentando, e con la penna
Venduta del Barone a le satolle,
Universale educator s* impenna;
Deriso fin da* suoi per Luterino,
Mereiaio di fronzoi, che rubò a la Senna.
Immagini chi può quindi il giardino
De' professor ! Pnssaglia, Gennarelli
In maschera di Vico burattino.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I3
Son fiori in lor nequizia, allato a' felli
Lor consorti Dall' Ongaro e Vannucci,
Ben degni di sedere altri sgabelli.
Questo i ladri Capozzi, uomin di crucci
E sangue, chiama martiri ed eroi;
Quello, perchè la gioventute succi
Più soave il licor, alza ne' suoi
Versi la prostituta. Apriti o terra,
Fa che Y inferno la sua bava ingoi I
E tu, divo Alighier, gli occhi disserra,
Tu che a formar l'angelica farfalla
Gridi eh' è posto V uom sopra la Terra ;
E che qualunque via mostri che falla
Che non sia Cristo; e che cittade vera,
Di volontati accordo, non s' astalla
Che in Cristo solo ; ed Ei Y eterna spera,
Onde la scienza; ed Ei virtù infinita.
Che alla nostra virtù dà forza intera;
Apri gli occhi, o divin, che vuoi la vita
In Cristo tutta, e vedi in quai dottrine
La gioventude Italica è nudrita!
Vedi la morte, vedi le ruine;
E come nelle scuole, ove di basti
S* incarcano gì' ingegni, e in cui le Erine
Spengono il santo amore, e' pensieri casti.
Tratta è la gioventù nell' orgie, eh' ebbre
Martellano 1' Uom Dio, che tu cantasti.
E cecità la tragge, e si la febbre
Che anzi tempo 1' abbrucia di potere,
E d' arricchir divoratrici lebbre.
14 POESIE DI MILLE AUTORI
E se stanco non sei di più vedere,
Guarda la vaga Toscana favella,
Mirabil veste a tuo sommo sapere.
Che come se in bel corpo alma più bella
Mancò, non perde e' pur grazia e virtute.
Ma la sua forma si guasta e ribella;
Tal le Toscane lettere perdute,
E si corrotto il limpido linguaggio,
Che meglio ne sarian le lìngue mute.
E perchè a colmo venisse V oltraggio.
Dell' AUobrogo Re distesi al piede
Gli Accademici, un di coro si saggio.
De' tuoi dettati rifacendo scede,
A6Ferman sia per divenir più degno
L'Italico sermone, avendo a sede
Non più Firenze, ma (stoltizia 1) un regno.
IV.
In cosi cieco tempestoso fiume
Gittossi Italia; e mentre corre a morte,
Vaneggia che al suo voi batte le piume.
E scende in mare con le mani attorte,
Dipoi che al Gallo, in novi danni acceso.
La forsennata spalancò le porte.
Oh, iniquamente al primo seggio asceso.
Delirante Cavour, anche nell' ora
In che sparisti da delirio offeso!
Come il crestato serpe avvolto esplora,
E i volanti men cauti affisa, e tira
In sue spire magnetiche, e divora;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I5
Siede in sua cupa reggia il Corso, e mira;
Inconscio che a flagel di regi e gente,
Possa alla frode diègli addio neli' ira.
In forza gli lasciò Francia demente,
Che sol che tocca da fantasmi, al pari
Licenza e tirannia seguita ardente.
E al primo Corso diella; e i focolari
Hi disertò d' Italia, e i colti seni,
E neir arche affondò gli artigli avari.
E pure in esso e libertade e beni
Vagheggiava la putta in brago assisa,
Tutta sferzata a sangue nelle reni.
Oh, vendetta di Dio, chi ben 1* avvisa !
Le marce membra allor punia col foco;
Ma oggi che nel suo fango ella è più intrìsa,
Infellonisce di superbia, e loco
Né a ragion lascia, né a virtù, né a Dio,
Del terzo Corso divenuta è gioco.
Dell' angue coronato a un sufolìo.
Di subito Cavour, 1* ali spiegate.
Come augello di tenebre ne gio.
Stringe neir una branca agglomerate
Le abbominande, e fra sé avverse fila
Delle Italiche sètte disperate;
Il manico d' un brando Y altra infila,
Di regi un tempo il cui spuntato acciaro
Uno stuol di giudei comprollo e aflBla.
Ciò che avvenne fra* due, lo dimostraro
I piani Cisalpin, l' armi Francesche,
Che il servaggio Latin vi conquistaro.
l6 POESIE DI MILLE AUTORI
Perpetuo campo, in che Y ire Tedesche
Avvicendali co' Galli imperio iniquo;
E sempre Italia in questa o in quella tresca;
Sempre sognando di rifar 1' antiquo.
Senza senno e virtù, che son dal Cielo,
Né coir ardir, ma per cammino obliquo.
Strappatevi dagli occhi il turpe velo,
E mirate lo scherno lacrimoso,
Mirate i frutti omai del Corso zelo.
Né dico a voi, pe' quali Italia ha roso
Già le viscere sue, schiavi rubelli.
Che di volgermi a voi sarei sdegnoso.
A voi, bruttura di bugiardi avelli,
E Boncompagni al titolo, e Minghetti,
E Ricasoli, Amari, Pisanelli;
E a voi, che scempi e rei, agita i petti
Chi in Aspromonte alfin cadde derìso,
Da poi eh* empio di guerra e pianto i tetti.
Ma a te, se pur vi sei, parlar diviso,
Eletta gioventù, che. Iddio nel core,
D' Italia al nome ti rinfiammi in viso.
Oh, bello in su la Terra il patrio amore.
Che ogni altro aftetto uman raccoglie e avviva,
E di tutti non fa eh' uno splendore !
Oh, bello il patrio amor, con cui la diva
Fé s'accompagna, e più l'affina, e stende
La sua virtù dovunque il sole arriva!
E ben misero quei che non intende.
Che a noi la patria è Caritate, Aurora,
A cui succede il Sol ch'eterno splende.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 17
E più infelice chi la cerca ancora
In Bruto e Decio, poscia che Maria
La fonte dell'Amor ne sparge e indora.
Vedete adunque la brutal follia
Che ha perso Italia, se chiamar si deggia
Amor di patria, o nemidzia ria;
Se libertate, o tirannia che aggreggia?
Vago giardino, in cui le verdi chiome
Spande 1' olivo, e il pampino rabbella
La colma spiga, e ridon prati e pome,
D' lulia immago, e perchè varia, bella ;
E diverse in grandezza e statue e tele.
Onde sala magnifica s'abbella,
E, ohimè, una furia con sua man crudele
Dirompe, e arreca tutto a una misura
Deir opre e piante, e le ritinge in fele!
E due parti d' Italia, alla struttura
Marini mostri, un di Scilla e Cariddi;
Ma per tutti rifar d' una natura.
In rete apparecchiata entrar le viddi;
Che scosse a un tratto e imperversando, invano
Vien eh' altri in ritenerle insudi e riddi.
Neil* ampia terra a mezzo 1' oceano.
Che da Amerigo un di suo nome prese,
Oltre che giunger suol rigoglio umano,
Popolo di più Stati in breve ascese;
Suti cosi fra lor giunti in un tutto.
Che raro esempio social si rese.
Dn Balio. VoL XIV. 2
l8 POESIE DI MaLE AUTORI
E 'quivi libertà, quivi distrutto
Il reo bisogno, e quindi veleggiava
Su' mari ovunque di sue messi il frutto.
Potente esempio! Italia delirava,
Neir unità cercando ogni suo bene;
E colà contro V un 1' altro s* armava,
In civil guerra a insanguinar 1* arene.
Volendo sciolta T unità, che alcuno
Se giova, i molti inceppa e non sovviene.
Chi r occhio della mente ha tanto bruno
A non veder, che fuor di quell'amore
Che in Dio congiunge, violenza è l'uno?
E dov' è dritto amor, ivi è splendore
Del ver, che mostra come il proprio è tale.
Che cangiato in comun, s'altera e muore.
Che propria compagnia queir è, che vale
A contenerla il giusto, e non lo stolto
Che imponga al saggio, e non sul bene il male.
Che neir iniqua via 1' uomo è rivolto
In giro sempre, e il precipizio è uscita;
Che cammin di nequizia Italia ha tolto.
Non virtute la sua di molte unita,
Onde ciascuna di abbracciarsi accresce,
E più torna benefica alla vita;
Ma forza invece, che a suo desco mesce
Quanto Inganno e Rapina in man le han posto,
E che tutto percote e tutto mesce.
Questo in eterno fu da Dio disposto,
Che ogni popol sé stesso abbia in governo.
Seguendo il lume alla ragion preposto;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I9
Ma se, lasciato il regolo superno,
Avvenga o che addormentasi o scatena,
Quivi il tiranno, o il crudo imperio estemo.
Oh, delle cose arcana alta catena.
Che non ti sveli all' anima, se pria
Sollevandola Amor, non 1* inserena!
Guerra la vita air uomo ; la follia
Sola r ignora. E se a pugnar ci volle
Quei che può tutto, cosi è ben che sia.
L'intelletto pugnando al ver s'estolle;
Né men la volontà pugnando il segue
Su di Giustizia al faticoso colle.
Pugna r affetto, perchè al ben s* adegue,
Contro la voglia e il duol, quando le cose
Dilette e belle ei perde, o non consegue.
Se Iddio dunque a lottar 1' alma dispose,
E premio è il vero, il giusto, il bene, Iddio
Sé stesso in premio della lizza pose?
Dunque, etemo Signor, come poss'io
Mai dubitar, che se vincendo ottengo
Di Te un lampo quaggiù, poi non m' indio ?
Nel senso, a tanto eccesso, abbaglio, svengo;
Ma Tua voce certissima m' affida,
M' affida T amor Tuo, eh' io non mi spengo.
E no, non é ragion, se non mi guida
All' alma fede, o se la nega, e insana
Abbandonando il campo, in sé confida.
Perisce quivi la natura umana,
Non popolo, ma gregge al ventre inteso.
Non più cittate, ma di belve tana.
20 POESJ£ DI MILLE AUTORI
Onde a prestarle han poi V animo acceso
Ciro, Alessandro, e un freno sol costrìnge
I tanti e tanti in un sol regno esteso.
Unitate o supplizio, che dipinge
Non la viu di un popolo, la morte.
Che morte della mente vel sospinge.
Ahi ! r unità d' Italia. Ed ebbe in sorte
Questa grandezza ancor suir altre genti.
Che feo con le sue man le sue ritorte;
E senz' attender nuove orde furenti.
Vaga di Roma del Cesareo impero.
Squarciò sé stessa co' suoi stessi denti.
E gii a tanto insanire, a unto fero
Distruggimento, il fin de* suoi proposti
Vede il Corso vicino in suo pensiero:
E come granchio che lento s' accosti
La preda in fìra due bocche a rinserrare,
Italia e' d' inforcar sembra che apposti
E lascia intanto in Pesaro acclamare
Dagl' Itali il Peruzzi, che a Rossini
Musico e Ciacco al par alza un aitare.
E che insieme un altare i Fiorentini
Elevino a Peruzzi; che saldato
II conto a' Torinesi, i lor festini
Farà che ottenga l'Arno e il principato.
VI.
Che già il timone italico, dal seggio
Di poppa, traslocar comanda al fianco.
Che impelagò la nave al reo pileggio.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 21
Se non che ornai di seguitarla stanco,
A correr egli, e porre Italia in trono.
Vuol che Torino sgombri sedie e banco.
Ahi, dove il senno, dove Tarmi sono
De* re Sabaudi? No, Vittorio, mai
Tu in Gel né in terra troverai perdono.
Con Savoia mercar non t'era assai,
Coll'onor tuo, provincie altrui rapite.
Se tutti ancora Gallici non fai?
Come saranno ornai più custodite
E la tua casa, e Italia? L'Alpi al Gallo
Vendesti, e or lasci le città turrite,
E della fiacca Etruria, audace al fallo,
E in cui di soldatesca infamia è Torma,
Al raccozzato esercito fai stallo?
E colà dal Vesèvo, acciò non dorma
Il tuo guerrier delle Sirene al canto.
Non apparecchia il Gallo e freno e norma ?
Ma come esser potea da un solo infranto
Il sacro patto, onde ne' lor confini
Sono i dominii inviolati? E tanto
Dunque i lontani principi e' vicini
Non curanti al periglio? E all'onta atroce
Contro la data fé docili e inchini?
E Albione che calcola? feroce
In difendere T utile e superba.
Che cova il Rus^o, si gigante in vo:e?
E AUamagna che medita ? Riserba
L'idea del dritto al sogno imperiale,
Onde fu spesso con Italia acerba?
22 POESIE DI MILLE AUTORI
Che fanno i regi tutti, che al segnale
Della vergogna almen levati insieme.
Allo Spino del mal non troncan Tale?
Or godi, Italia ; che alle tue supreme
Nozze, acciocché non fossero turbate,
Fé' di sua luce Iddio lor menti sceme.
Onde simili a te, di Lui private,
Son elli esempio di nature in gioco
Da serpente magnetico aggirate.
In lor consiglio nulla impresa ha loco,
Ciascun dal suo fantasima è riscosso,
Cupido ognun di sé, tutti son poco.
Ma sopra gli altri un sol; che tocco e scosso
Non che dal serpe, dall'inferno, Ei stando
Sulla pietra eternai, dice: Non posso!
Suso tragge le palme, in Dio mirando.
Fervida prece notte e giorno leva,
E securo di Dio, geme aspettando.
Geme, in veder Babelle che solleva
Le rotte corna alle stoltizie prime,
E di Cristo Tovil persegue e aggreva.
Geme, che infino al loco ov'Ei sublime
Vice ha di Cristo, arriva il maledetto
Satana, e il puzzo del suo fiato imprime.
E con quanto può mai toccar l'affetto.
Invita a tregue, a patti; e quei costante.
Dice: Non posso! con la Croce stretto.
Oh, vivo lume di due voci sante!
Oh, fortezza d'amor, se conosciuta
Fosse dal mondo, che tempesta errante!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2)
E invece alla parola che rifiuta
Rìnfoca Todio, le bestemmie accarca
L'insana moltitudine perduta.
Di quella voce al suon le ciglia inarca
Il saccente del secolo, che aspetta
L'ignudo pescator, la rozza barca.
Stolto! che col Giudeo d'un pan'b affetta;
Questi cerca un messia non sovrumano,
gimone alzato in Cristo egli rigetta.
Chi alla continua Cena fu sovrano
Dei loco? Cristo. E a quei che v'è in sua vece
Non dava il loco, e sparve il regno umano?
Ma no, sommo Pastor, tal mi rifece
Nel ver quell'invincibile tuo zelo,
Ch'io veggo più che ad uom veder non lece.
Veggo in mezzo la Terra un novo Cielo»
Un loco, dov'è Iddio che imperia augusto.
Ne' vivi pegni del mortai suo velo.
Veggo che non è patria senza giusto,
E una giustizia là per me si vede.
Che non conobbe il secolo vetusto.
Di Cristo la giustizia, che alla fede
È data solo che Tu serbi; e priva
Di vita è l'alma che con Te non crede.
Che il tuo potere all'infinito arriva,
Che il male è ciò che Tu non puoi, che inganno
È ogni altro ben, che del tuo Ben ci priva.
Che senza Te, qualunque amore è danno.
Che delia Sede tua presso la soglia
Queste parole del gran Vate stanno:
24 POESIE DI MILLE AUTORI
Ben è che senza termine si doglia
Chi per amor di cosa che non dura,
Etemalmente quell'Amor si spoglia.
Parole ingrate alla brutal naturai
VII.
Ma e prima e sempre, da chi mai difesa,
Italia, avesti a non servire unita.
O dell'unirti a si mortale oftesa?
Non forse da colei, che stabilita
Ebbe in eterno Iddio, perchè a' mortali
Il mistero s'aprisse della vita ?
E il Campidoglio, e gli archi trionfali
Giacciono ai piedi suoi, che par favelli:
Son Roma, i fati miei sono immortali.
Diroccate fra voi mura e castelli,
O venuti d'un giorno, e a me traete.
Ch'io vi raccolga a Dio come fratelli.
Per che l'inferno sempre avida sete
Avea di Roma, e la raccende e attizza
In quanti e' serra nell' immensa rete.
In quanti, ciechi di superbia, stizza
Han contro il bene e il vero, in cui la scienza
Dell'occhio fuor de' limiti non sguizza.
O dispetta del Ciel, empia semenza.
Or tu se' ignara, che di svegliar Roma
Precipitò mai sempre la demenza ?
Il fulmine non senti che già toma?
Non la guerra fra voi, da che s'alzaro
Le sacrileghe ciglia alle sue chioma?
INTORNO A DAKTE ALIGHIERI. 2$
Che se perfide lance la privare
Di sue vesti gran parte, quelle vesti
Onde i secoli e Dio la circondare ;
Non v'accorgete voi che furon questi
Della mone d'Itab'a i primi allpri?
De' quai tu» Gallia, ia corona avesti;
Tu che bugiarda inchini, e il fele indori
Al Cristo; e in tua follia, nova Giudea
A sua novella gloria lavori.
Nel fango sempre, o Barbari, cadea
La Latina progenie, quando, date
Le spalle al ver, con esso voi correa;
Quando lasciò le parti, che segnate
In Ciel le furo. E in prima già, dell'ergere
Alla giustizia le genti domate.
Indi, dappoi che TAgno venne a tergere
Col sangue le peccata, e che de' Santi
Il sangue fea novella Roma emergere;
Da poi che in questa Roma accorsi i tanti
Popoli, si piegar devoti a un trono,
Di cui Tegual mai non si vide innanti.
Sul qual de' Cieli le temute sono
Concesse schiavi, e d'onde il Verbo spande
La sua luce perenne e il suo perdono;
Ben altrimenti allora Italia grande
Era chiamata a si fiorite gesta.
Che in sull'antiche parvero ghirlande.
Delle razze precipue contesta
Che dall'unico Adam si derivaro.
Fu a lungo Italia, e avendo il Lazio a testa.
26 POESIE DI MILLE AUTORI
Al sermone del qual si conformaro
Al suo modo ciascuna; e variamente
Quindi sul Tosco suon lo rinnovaro.
Sempre un accordo di diversa gente.
Che a Roma intorno Iddio volea, per dare
Di vita esempio a lor genie redente.
In Cristo unite, e sciolte a gareggiare
Con opere fra sé belle d'amore,
Cogr intelletti accesi a ricreare.
E tal saresti, Italia, uno splendore^
Non d'empii rimpastata e di Giudei,
Ma collegata in fé, senno e valore.
Rinnovata barbarie adunque sei,
E non già Italia, se, ribelle a Dio,
Corri in altri disegni e stolti e rei.
Ma, deh, Tu che coU'anima, gran Pio,
Col sommo grado, più t'accosti al Cielo,
Se Te, angiolo di pace, a noi larglo
L'Eterno, che si chiuse in fosco velo;
Se questo è pegno, o gran Pastor, che all'ira
Da mercede fia un di sospeso il telo;
Deh, non fermarti, supplica, sospira!
Troppo amara è la prova, abbenchè lene
Al merto della colpa il turbo spira.
Non più, sfidando il Ciel, le sue catene
Scuota l'inferno; e gli ultimi ricetti
Non trovi e assalga, in cui si cela il bene.
E voi, tenere madri, che i diletti
Pargoli a voi stringendo, in cor tremate;
Voi tapine orfanelle, e giovinetti;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 27
E voi innocenti, che del pan mancate,
Che in duro esiglio, in carcere, in martiri
Soccorso invano agli uomini chiamate;
E voi gentili, che a si rei soSriri
Non potete tener lo viso asciutto,
E avvien che il cieco orror più vi martiri;
Albeggia una speranza a tanto lutto,
Uniti al gran Pastor pregate in pianto,
Che la Fede che prega, in Dio può tutto.
E tu, stirpe al Signor, Profeta santo.
Tu che facesti la Pietà infinita.
Ispirato da Dio, segno al tuo canto;
Or deh, il mio stile col tuo Verbo aita.
Onde la prece che d'ahsar son oso,
Le invisibili vie corra spedita.
Perchè lungi. Signor, ti sei nascoso,
E in questo de' miei di passo mortale.
L'orecchio a' gridi miei serri sdegnoso ?
Tutto sommerge orribilmente il male.
Tua legge spenta, il nome Tuo proscritto,
Derìso il rammentar cosa immortale.
Passeggia sopra gli uomini il delitto,
H il plauso che raccoglie opprime i lai
Degl' innocenti, che hanno il cor trafitto.
Perchè dunque^ Signor, perchè ristai?
L'anima mìa di sua virtute è smunta;
I rei non t'hanno provocato assai?
Rinasce in loro e più crudel s'appunta
L'ingorda vampa; e deh, sia noto alfine
Che a Te la voce del dolore è giunta!
28 POESIE DI MILLE AUTORI
Che tu serbavi alia tua spada il fine
Dovuto all'empio, e che non era invano
Se fidavano in Te Talme meschine.
A' miseri, Signor, porgi la mano,
Vendica il nome Tuo! si che vedere
Possa il monal, che poi l'orgoglio umano
È schiuma, che s'innalza e frange e pere.'
Il padre Francesco Berardinelli, napoletano, della Compagnia di
Gtsty fu ammiratore e studioso di Dante, a sua maniera. Ardente
come un autentico figlio del Vesuvio, sottile e sofista come un verp
gesuita, nemico dell'unità nazionale per preconcetto clericale, egli
si sobbarcò all'immane fatica di trovare in Dante un sostenitore
del potere temporale dei papi. Nel 1859, pubblicò, in Napoli,
presso il Rondinella, // concetto della Divina Commedia, In questo suo
lavoro, compilato ad uso dei suoi discepoli, si propose di dimostrare
che il concetto del Poema è principalmente e sostanzialmente reli-
gioso, cioè quello di far vedere in qual modo l'uomo assalito dalle
tre belve, dalla lonza o lussuria, dal leone o superbia, dalla lupa o
avari:^a, possa condursi a salute. Il modo di salvezza generale TAli-
ghieri, secondo il padre Berardinelli, lo vede nella monarchia di di-
ritto divino, che distrurgendo le fazioni e le ambizioni singole, con-
duce la pace e la virtù tra gli uomini. Nel 1865, oltre questi Canti di
un cristiano^ pubblicò due scritti; Tuno nel volume Omaggio dei cattolici
a Dante col titolo: Ragionamento intorno al vero senso allegorico della
Divina Commedia; e Faltro nei quaderni della Civiltà Cattolica col
titolo: // dominio temporale dei papi nel concetto politico di Dante,
Nel primo, una sintesi del suo volume del 1859, dà del visio-
nario a chi crede che nella lonza debba ravvisarsi Firenze, nel leone
la superba casa di Francia, e nella lupa la Curia romana. E nel se-
condo si sforza di dimostrare - povera ed inutile faticai - che nel
concetto della monarchia, Dante non escluse il dominio temporale
o principato civile dei papi. Poi, nel 1881, a Modena, pei tipi, arcive-
scovili e pontifici, dell' Immacolata Concezione, con approvazione
ecclesiastica, riunì in un sol volume i due scritti polemici del 1865,.
riveduti, modificati e corretti. Chi si contenta, gode!
i QiMSti canti cosi si leggono • p«* teguentt titolo : /ia/ia. Canti di un cristUao.
glae 6)-8é in un opuscolo iu-8 che porta il Italia, il centenario della nascita ài DanU,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 29
DCCIV.
Francesco de Beaumont.
Dopo sei secoli.
Ode.
(14 maggio 1865).
Che sovra gli «lui ccm' «qoiU Tok.
D«nte, /•/., e. IV.
Air ombra tua, gran Padre,
L* italica famiglia
Libera ed una tutta si raccoglie :
E il profetato istante
Delle tue sante voglie
E il sospiro dei secoli si compie.
Non più mai rabbia guelfa e ghibellina
Agiti i nostri petti,
Ma la virtù latina
Disperda il seme dei discordi affetti.
Ed il nazional patto e la fede
Qui si rinnovi, e la sabauda croce
Del tricolor vessillo oggi più bella
Sventolerà sulF Arno ;
Che dall'Alpi al Boèo tutti affratella
Una legge, una patria, una favella.
Aura piena di vita che feconda
Di scienza profonda
Che r universo abbraccia,
A cui posero man la terra e il cielo,
É il tuo codice sacro.
Che ti fé' smunto e macro
30 POESIE DI MILLE AUTORI
Per r ira e pel dolor di che s* informa ;
Antica pianta che sempre verdeggia.
In che la nostra civiltà s' innesta,
E di frutti e vitale nutrimento
Di civil senno, e norma
Di poetica forma.
Altissimo concetto
Far di regni divisi unico regno !
Sublime immenso vate
Spiccasti il volo in balbettante lingua,
Che dall'umile culla trasportata
Nel tuo gentil paese
Si rìpurgò, mantenne intemerata
Come il foco di Vesta.
Al grato olezzo uscita
Delle floride lande,
E all' aure molli della mia Triquetra
S* udì il prim' inno della tosca cetra.
Tu segnasti la meta
Cui, senza posa lieta,
Con vivo inestinguibile desio
Italia tuna corse
E si slanciò. Pugnò, cadde, risorse
Più volte, e rifinita
Soggiacque. Poi lena ripigliando
Tue orme seguitando
Raggiunger le fu dato
Lo stadio designato.
E per r arduo viaggio
In folta selva oscura
Le fosti amico raggio,
E tra nembi e procelle in mar infido
Faro raggiante che discuopre 11 lido.
Tu la gran mente che guidò la mano
Al sommo Capitano :
Che nel sangue dei martiri inaffiata
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 31
Ripullulò la pianta sospirata
Di libertà. Non più schiavo il pensiero.
Liberamente il vero
Manifesta la penna e il labbro ardito.
E la brutale forza incatenata
Cede r impero alla ragion che attempra
L'arbitra possa audace.
Ed ecco un nuovo dritto
Ài regnatori e ai sudditi è prescritto :
Non per grazia divina,
Ma pel voler dei popoli si stanno
I re sul trono o spotestati all' imo.
E pel continuo incalzar degli eventi
Con ala infaticata
Corre, vola il progresso ed assicura
La civiltà che V avvenir matura.
Come languente fiaccola riscossa
Subito si ravviva,
0 crisalide in vaga si trasforma
Agile farfalletta.
Tale dal suo letargo
E dal sonno di morte
La magnanima Donna
Ridestossi più forte,
E il prisco seggio ripigliò, vi ascese,
E si sedè regina, e il suo dominio
Nelle cento città libero stese.
Non più VÌI serva : in man dei suoi tiranni
La verga dei flagelli
Spezzò. Regni e corone
Spazza il tempo e dissolve:
Vinscr gli oppressi e gli oppressor son polve.
Tarpate Tali, e mozzi
1 fieri artigli all' aquila grifagna.
Da mille e mille petti
L'italico sentiero
POESIE DI MaLE AUTORI
Chiuso è per sempre al perfido straniero,
E, squarciate le tenebre fatali
Della barbarie intorno,
Sorse Talba foriera
Di avventuroso giorno.
Ambizion vorace
Intanto signoreggia
Corrotta etade; imprevidente razza
Merca, s'impingua, e cupida gavazza
In tresche oscene, e gl'inesperti pasce
Di lusinghe fallaci. A tuo disdoro
Degl'ipocriti Bruti
10 veggo, Italia, sollevato il lezzo,
E i Cincinnati e i tuoi Caton da sezzo.
Splendide larve di virtù mentita,
Vapor di cimiteri
Che il puro aere attosca,
Caini, patricidi in cui nell'alma
Ogni pietade è morta.
Madre dell'arti e delle belle imprese.
Assai più grande delle tue sventure,
11 dubbio e lo sconforto
Che i generosi prostra
E arresta sulla via
Deponi, o patria mia!
Te, dall'oscura obblivìon uscita
E dall'ozio infecondo, di viltade
Più non accusi la ventura etade.
In tanto abisso di miserie estreme.
All'assiduo cozzar di dubbia sorte.
Amor di patria insieme
I nostri animi accende
E a gloriosi fatti li sospinge.
Abbietta parte, o tralignati certo
Non siam dai prischi eroi.
Che vive ancora una virtude in noi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 33
Non i pravi costumi e il triste esempio,
Né il vile scempio
Di feroce servaggio
Vinser natura e cancellar dal petto
Ogni nobile aflfetto.
Perdasi eternamente
Un cor che non si scalda e che non sente.
Ma chi scalzar mai puote
Dalle solide basi
L'opra concetta da profonda mente?
Invan latri e rampogni : »
Si morda e si vergogni
L' invida rabbia e l'impotente orgoglio
Della turba procace.
Iddio Io volle e fu; nò sul cammino
S'arresterà l'italico destino.
Il suon del quarto Vespero rimbomba,
E il folgore dell'ira
Guizza sugli empi e piomba,
E già di plaga in plaga,
Il magnanimo grido si propaga.
Come vulcano ardente
È l'impeto che sbocca dagli affetti
Della sicana gente.
Vinto, non domo il siculo ardimento
Sulle vette dei monti si ricovra;
Che nei cupi silenzi tenebrosi
Son rischiarate di sanguigna luce:
E le borbonich' orde inferocite
A rimirarsi stanno
Da lunge impaurite
Di Procida i nepoti. Albeggia : s' ode
Tra lo stormir di foglie
Sommesso un calpestìo,
E la rossa divisa
Appare, ed è decisa
Del Balio. Voi. XIV. 3
}4 POESIE DI MILLE AUTORI
La dubbia lotta. Il trepido soldato
Codardamente fugge alle bastite:
Ed il nizzardo Eroe
Con i suoi mille è dentro
Le cittadine mura. Son gremite
Le piazze e l'ampie strade
D'un popolo che inonda
In festevoli grida, e lo circonda.
Tuona il castello; fulmina ogni nave;
E grandini di palle
. Piovono e bombe, e vola
La morte che desola,
E quai spiche falciate
Cadono mille vite fulminate;
E tra le fiamme avvolta
In mezzo alle ruine
La regale metropoli è sepolta.
Arse, distrutte, invase,
Saccheggiate le case,
Fuggon gì' inermi discampati al ferro
Dell' esecrato sgherro,
Lasciando sul terreno
Luridi corpi pesti e mutilati
D'infanti, donne e vegli trucidati.
Ma dove mi trasporta
Il vivo immaginar e il duol profondo
Che mi travaglia? Contristar non voglio
L'esultanza degl'inni e della festa.
D'italo cor anch'io.
Non ultimo tra' figli dell' Oreto,
Ad onorar il padre vostro e mio
Mesco ai vostri i miei versi e la mia cetra.
E, redimito di purpurea luce,
Sdegnoso spirto, a noi
Dalle celesti regìon dell'etra
Ti disvela e sorridi;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
3S
E, prccursor dell* italo riscatto,
Il nostro omaggio accetta,
E dcir Italia il compimento aflFretta.
Sacra paura arcana
Di stolto volgo ed empia tirannia.
Dei sette colli la cittade eterna
Contendono. Ma quando il tempo fia,
Che il sopito lion d'Adria si desti,
E il tenace Alemanno
Snidi e disperda dalle sue lagune?
E il pontefice re doppio tiranno,
Che le coscienze inforsa ed {sconvolge
Coi torbidi fantasmi
Degli anatemi, e i caldi entusiasmi
Spegne, dal capo il pavido triregno
Deponga, e solo il pastoral sostenga?
Più salda allor rinascerà la fede
Pel Vicario di Cristo. E, vinta T ardua
Ultima acerba guerra.
Risuggellata T unità col sangue
Di maniri novelli
Della patria sull' ara ;
E, deposto Tacciar, l'italo soglio
Poserà fermamente in Campidoglio. '
' QjMtt'ode cosi si legge stampata in
nn oputeolo in-8 di pagg. 1 1 col seguente
titolo : M uuUmaric di Dante. Ode di Fran-
cesco de B«aumont. Firenze, tipografia dei
successori Le Monnier, i8é$.
36 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCV.
Pier Vincenzo Pasquini.
Poesie Dantesche.
(14 maggio 1865).
I.
La visione della « Vita Nuova -».
Apparve • me un« rainibile Titione, ntlUi
qiule io vidi cose, che mi fecero proporre di
non dir più di quesu benedett* in fino « unto
che io non potefsi più degnamente tr«tt«re
di lei.
Dante, FiU Nmnm.
Eran le belle membra in terra sparte.
Di Lei, che avea d' amor Dante trafitto
Ancor fanciullo, e che dal ciel pietosa
Guardava al suo dolor. Nelle paterne
Case, presso al mattino, una stupenda
Nei mesti sonni vision gli scese.
Negra notte, e caligine lo cinse
Di vagabonde nuvole giganti,
Che a poco a poco si mutaro in salde
Cognite mura, ma tacenti, e meste.
Per la città dolente una sinistra
Andava in volta livida figura
Di biechi lampi le pupille ardente,
In varia veste, scarmigliata ed irta
Di ceraste, chelidri, e anfesibene
Le chiome in fronte: in una man portava
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 37
Un tizzon di lugubre orrida luce
Già nelle fiamme dell' inferno acceso:
Nell'altra un nappo fumante di sangue.
Di che assetata ognor, né sazia mai,
Come l'ebbro del vin, rabidamente
Beveva tra feroci urla danzando.
Tre di mcn crudo, e di diverso aspetto
Ancelle a stimolarla intomo avea.
L' una era bella, altera, in ricco ammanto,
D'oro e di gemme redimita: l'altra
Lercia vecchia era, smunta per digiuno;
E con sospetto di celar tentava
Un'aurea borsa: giallo spettro, a cui
Rodeva un serpe il seno, era la terza.
E la Furia maggior per ogni loco
Indefessa scorreva. In lieti balli
Sulle piazze costei vide festanti
Turbe di rose ornate: e cavalieri
Quinci, e quindi venir da naturale
Vaghezza mossi: ed ecco ella s'avventa
In mezzo a lor, col tizzo maledetto
Ne percuote le fronti e fa di crudi
Sùbiti sdegni ribollir i petti.
L'un contro l'altro spingono i destrieri,
Snudansi i ferri: arde la mischia: accorre
Di qua di là di cittadini armati
Nuovo stuolo al fragor: quale per uno,
Qual per altro parteggia: è vendicata
Mone con morte: la città divisa:
Regna lutto e terror.
Poi gli parca
Da curùl seggio quella Larva dira
Cacciar in fuga: ma tra sozza plebe
Ella mesceasi, e vi scagliava in mezzo
Le velenose irate idre del capo;
Di che tumultuando infuriava.
38 POESIE DI MILLE AUTORI
Poi seguitata dalle ancelle oblique
Molti adunava a torbida congiura:
E principe di quelli era un novello
Catilina feroce ; e la superba
Fantasima minor parea sua donna,
E consigliera: e mormorar udiva
Il nome suo, d*un Papa, e d'un Francese
Misteriosamente: e quella guercia
Con cupa bile a ognun diceva: Il vedi?
(E Lui segnava a dito). Egli si estima
Maggior di tutti: allontaniamlo: al resto
Provvederà questa diletta amica,
E mia ministra. E colla bocca immonda
Una donna leggiadra e eulta il crine,
Ma di maligno volto ella baciava,
Di Socrate ruina, e d'ogni Giusto
Perpetua nemica. E la ribalda
Alighieri inseguiva, e l'afferrava;
E i crudi spettri, e la congrèga iniqua
AfFoUarsegli intomo: e ognun di fango
Bruttargli il viso, e del suo dolce nido
Violenti cacciarlo. Ed ei piangeva
Amaramente.
Svaporar, siccome
Disciolte in nebbia, le apparenze arcane.
E repente al sopito il mobil sogno,
Ecco, in diverse immagini si muta.
In una buia selva era smarrito.
Che r empiva d* aflFanno, e di paura ;
Sperdea la notte alfin lunga e crudele
Il novo Sole: e un dilettoso Monte
Salia: quando una Lonza ed un Lione
Mira venirgli incontro, ed una Lupa
Invidiargli la bramata altezza.
Mentre fuggiva ruinando in basso.
Gli s'oiFre innanzi agli occhi un Venerando,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 39
Ombra od uom non sapea. Quei gli si svela
Pel Mantovano, che cantò del giusto
Figliuol d'Anchise. AUor qual riverente
Amoroso discepolo d'aita
Richiede il Saggio, che per loco eterno
Trarlo a salvezza gli promette; e il segue.
E, vìator insolito, gli parve
Scendere della terra entro le ignote
Profondità, fra le perdute genti
In diverse, infinite, orride guise
Martoriate. Al sommo d' una porta
Scritte vedea terribili parole:
E tumulto di pianti, e d*alti guai
Per aer senza stelle; e di bufera.
Che senza posa in vortice traeva
Spirti, udiva il mugghiar. Venne alle porte
D'una Cittade dalle torri ardenti
Da dèmoni guardate, e dalle Erinni :
Arche infocate, e laghi atri di sangue
Vide: per boschi errò, dove non frondi
Eran verdi, ma fosche, e attossicati
Stecchi e le immonde Arpie facean lor nido.
E su turbe d' ignude alme scorgea
Scender pioggia di fiamme : altre in bollenti
Peci tuffate: o sotto al faticoso
Peso di plumbei manti oppresse, e vinte:
Altre travolte il viso: altre le umane
Forme mutar in serpentine spire.
A chi mirava lacerar le membra
Da dèmon crudi, e con vicenda eterna
Novellamente ricomporsi: quelle
Giacersi in terra rabbiose per scabbia :
Queste giù nel profondo eran confitte
In ghiacciata palude. Un mostro immane
Trifronte al ventilar delle grandi ale
Gelava il Lago, e dirompea coi denti
40 POESIE DI MILLE AUTORI
Tre peccator. Per le vellute coste
Scender di quello col fidato Duca
Gli parve, e risalir fuor dell'oscuro
Baratro alfine a riveder le stelle.
Ivi in mezzo ad un'ampia isola cinta
Dall'Oceano altissima sorgeva
SI, che vincea la vista, una montagna;
Tinto in color d'orientai zaflSro
Splendeva il ciel: rideva l'Oriente
Del bel pianeta, che ad amar conforta.
Venne per faticosa erta sul prato
D'una valle amenissima, fiorita.
Già non più disperate urla, e blasfèmi,
Ma sommessi sospiri, inni devoti
Suonar per l'aure udia; né più terrori
Di dèmoni spietati, e di crudeli
Tormenti interminabili ; ma pene
Ai pazienti spiriti temprate
Dalla speranza del superno regno;
Vide con verdi penne, e vestimenta
Fulminar luminosi Angeli armati
Di rutilanti spade angui maligni,
H di mistiche chiavi il magistero
Segrete porte schiudere: per l'alte
Scalèe sovra le rupi istoriati
Divini esempli; e qua da gravi massi
Anime esercitate, e là vestite
Di ruvidi cilizi: a chi la luce
Ai chiusi occhi negata, a chi da densa
Nube ofl^uscata di pungente fumo.
Altre alla vista di vietati pomi,
E d'inconcesse limpide fontane
L'acceso inestinguibile desio
Facea sparute, e macre. E, poi che giunto
Fu sulla cima, in una viva e spessa
Foresta entrava: oh quanto era diversa
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 41
Da quella prima oscura, ed aspra, e forte !
Qianto questa era lieta! E come tutto
Oliva il suol soavemente, e il viso
Gli baciava una dolce aura tranquilla !
Quali d'augelli armoniose note,
Cui rispondea delle commosse fronde
Un lieve lieve tremolar! Che pure
Acque volgea tra' margini dipinti
Un fresco, e picciol rio! Tutto in quel loco
Era pace, letizia, e primavera.
Si che beato più, né più sereno
Ei pensar non poteva il Paradiso
Dai Parenti perduto.
A Lui dal fianco
Era sparita l'amorosa guida.
Che là tratto l'aveva. Ed ecco un lampo
Per la foresta sùbito trascorse,
Che più e più cresceva: e si diffuse
Un suon pel luminoso etere intorno
Di melodie dolcissime: ma vinte
Pur da una voce, che disse : Ravvisa,
Dante, la tua Beatrice. Egli a quei detti
Tremò, guardò, stupì: ma non sostenne
Di tanta luce la mortai pupilla
Il primo aspetto: ond'Ella: Agli occhi tuoi
Tale virtude infonderò, che in volto
Potrai mirarmi. E, poi che riconobbe
Le sembianze adorate, avidamente
Fiso pascea nei lucidi smeraldi
11 suo lungo desire.
Era di neve,
Che sia dal sol percossa, il vestimento,
E di tre stelle le splendea la fronte.
Ciascuna adorna di diverso raggio.
Verde, bianco, vermiglio. Ella ridea
D'un riso che dagli Angeli s'impara:
42 POESI£ DI MILLE AUTORI
Nel scintillar dei vìvi lumi accolto
Parca T Empirò, •
In quella vista assorto
Senti più acuta dell'antico, eterno
Amor la punta, e il tremito, e la fiamma.
Onde nel petto giovanil gli piovve
La sacra aura del canto: e come prima
Posò il tumulto degli affetti, e sciolto
Ebbe alla lingua il nodo, in queste voci
Egli proruppe: Beatrice sei,
E Ti vegg'io veracemente? E quale
Grazia anzi tempo al tuo fedel ti mostra?
Donde ne vieni mille volte assai
Più bella che non eri, e di cotanto
Fulgor vestita? Ah ben diss'io che in terra
CoU'alma mia, cogli Angeli nel Cielo
Vivevi. Deh, perchè partir si tosto,
Mia Beatrice vera? Ahi nella cieca
Valle raggio di Dio passa, e non durai
Eri aspettata in più serene piaggie,
E mi lasciasti solo e derelitto.
Come fanciullo della dolce madre
Orbato, al duolo, al pianto, alle tempeste.
Alle lusinghe di sirene infide.
Tu sai qual mi consunse acerbo lutto,
SI che prima ai dolenti occhi la vena
Mancò del pianto, che l'angoscia al core;
E sai che come mio dolce riposo
Invocava la Morte, invidiando
A ognun, che si moriva. In cor mortale
Per mortai creatura unqua non arse
Fiamma alla mia simil: pura in me nacque,
Crebbe sublime, e si farà divina
Come la nova età quando ti vidi
Angioletta, e mi punse ignota cura.
Sempre innocente l'ho serbata, e l'ombra
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 4$
D'un vii pensiero non macchiò giammai
La benedetta imagine. Perfetto
Gaudio il saluto della tua Bellezza,
Onor dell'altre, m*era; onde movea
Foco di caritade, e di perdóno
Nel beato mio core. A Te dinnanzi
Non invidia sorgea : fuggiva V ira,
E la superbia s'inchinava: ogni uomo
Quasi a tanto splendor vinto tremando
Dicea: Questa non è donna mortale.
Ma un Angiolo del Ciel: sia benedetto
Nell'opre sue meravigliose Iddio ! —
In cosi dir piangea.
Piangi, rispose.
Queste lagrime pie, ch'altre e più amare
Più fera spada ti trarrà dal ciglio.
Donna delle Virtudi io ti sembrai
Perchè a Te i giovinetti occhi mostrando
Ti volsi al Ben. Ma la beltà, che piangi.
Beatrice non fu : la carne è vana
Ombra, che fugge. Da profani amplessi
Rapita, sciolta dal corporeo velo.
Assunta a gloriar sotto le insegne
Della Vergine Madre, or son ben tua.
Ora eh' i' son di Dio.
Quando eri viva.
Alighieri dicea, vidi (o mi parve)
Negli occhi santi innamorati un riso
Dei nativi tuoi Cieli. Eri divina
Luce vestita di terrene forme,
A fin ch'io vagheggiandola m'ergessi
Alla prima Cagione, all'Increata
Idea del Sommo Vero.
Io sarò sempre
Teco, diss'ella, e scorgerò il possente
Tuo ingegno ad alta e gloriosa meta.
44 POESIE DI MILLE AUTORI
Chi non combatte, e soffre a me non sale:
Però che l'alme a sé dilette Iddio
Prova, e tempra nel duol, che le fecondi,
E faccia invitte. A quali Ei nelle ascose
Sue vie Ti serbi sovrumani fati
Ignori ancora.
Ed il Poeta a Lei:
Deh per Tamor, che ne congiunse, dimmi,
Che il sai: da Te starommi io lungamente
Cosi lontano?— Ahimè che vano è forse
Sogno quanto favello, e ascolto, e vedo! —
Ed Ella: Il giorno eterno a me non fura
Passo, che faccia il secolo. Gran tempo
Sarai scemo di me: ma ti conforta:
Ascolta i detti miei : li serba, e scrivi
Nella mente fedele. In vacue larve
Tu non vaneggi: l'alma tua, nel sonno
Men della carne ancella, il Ver discerne.
10 nel cospetto del Signore ottenni
Tanto favor ne* preghi miei, che questa
Ad util fine vision t' invia.
Perchè fuggir del sempiterno pianto
11 periglio tu possa, e per esempio
Tuo l'umana progenie. A me fedele
Né fosti sempre, né sarai: fallaci
Apparenze di Ben ti alletteranno,
Torcendo i passi tuoi dalla diritta
Parte, dove io ti scórsi. Abbandonato
Iddio, verace guida, alto t'occupa
Sonno, in cui dorme ottenebrato il lume.
Che si noma Ragione: e per la buia
Selva del Vizio, che ti mena a morte,
T'avvolgi inconsapevole; paventi
Il divino giudizio, e alle superne
Cose il sospir dell'anima sollevi:
Ma invano ivi t'affisi, e ali arduo Monte
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 45
Drizzi, ove raggia il Massimo Pianerà»
II servo e infermo pie; le dilettose
Cime il Vizio ti nega e ti respigne
Neirima notte. Nei beati regni
Giunger non speri mai chi non dispoglia
Della colpa l'infetto abito pria.
Se di franco volere aita il regga,
Se sapienza naturale, e il raggio,
Che Grazia piove, illumini la nuda
Del Peccato orridezza, e le infinite
Pene gli sveli all'atterrito sguardo; .
Purificato dall'immonda lue.
Nel cammin di Giustizia avvalorato
Da operose Virtù fia che a civile
Lieto stato pervenga, onde il Terrestre
Paradiso, che vedi, imagin rende:
SI che educato alla sublime scóla
Dei Maestri ispirati erger si possa
A conoscer quel Vero, ove del vostro
Intendere la corta ala non vale.
T'aveano arriso venticinque aprili,
Né ancor di carne a spirto era io salita.
Quando presago del futuro danno.
Dell'amorosa fantasia sull'ale
Rapito al coro degli Eletti, udivi
II pietoso decreto, onde serbata
Pur anco io t'era, si che dir potessi
Poi: La Speranxft dei Beati io vidi
Ai malnati in Inferno. Àllor la prima
Volta il pensier del mistico viaggio
Come balen t'illuminò la mente.
Deh non muoia in ignava ombrai Dischiudi,
Cóli il germe di frutti aurei fecondo:
Tanto da Te lassù si vuole: Musa
Io ti sarò, t'ispirerò dall'alto
Del verace Parnaso: e a poco a poco
46 POESIE DI MILLE AUTORI
Per me ti sentirai crescer le penne.
Fisa il tuo sguardo d'Aquila nel Sole,
Da cui piove ogni luce; a me t'avvinci
Con imenei, che non conosce il mondo:
Altri pegni d'amor, che di mendaci
Gaudi, mi dona in cantiche sublimi
Cui la terra stupisca, e ne innamori
Il Paradiso. Imaginando in versi,
La sospirata vision preliba,
Che un di sbramando la tua lunga sete
Veracemente ti farà beato:
E sovra tutte le create cose
Tanto in tuo culto adergimi, che solo
All'intelletto io splenda, e simboleggi
La Celeste Sofia. Cosi nei voli
Della tua mente altissimi locarmi
Potrai su luminoso unico trono
Glorificata.
Altro di più non bramo :
Tu Poeta mi festi. Egli rispose.
Le nuove Rime, che dettava Amore,
Fama mi diér cacciando altri di nido:
Tuo dono è questo. Già mia Donna, or Diva,
Quel che a Te piace, e che lassù si attende.
Farò: ma langue in tenebre roflfeso
Ingegno poi che Tu partisti. È vero:
Sommersi i buoni, e sollevati i pravi
Vidi pel secol tristo: ampia, possente
La mia Fiorenza: ma perduta ad una
Colla felice povertade antica
Pur la virtude; e i semplici costumi
Dei Cacciaguida e Bellincion corrotti
E obliati pel fasto: onde all'Assiro
Delle lascivie disputar il vanto
Quasi i novi parean Sardanapali
Tra le conscie pareti: invereconde
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 47
Spose e donzelle tutte adorne a prova
Far delia colma nudità del seno
Copia ad avidi sguardi, esca ed invito
A impure voglie: ed or l'ago, e la culla.
Già studio pio delle Cornelie losche,
Alle voluttuose arti dar loco
D'immonde Frini: l'inquieta brama
Delle delizie generar l'avara
Sete dell'oro: del poter la febbre
Ambiziosa, l'invido livore,
E l'orgoglio crudele, empie faville,
Aver acceso i cuori. E già ne piange
Fiorenza mia d'ogni nequizia infetta.
Poi che insieme da lei colla innocenza
Santa degli avi dall'ingenua schiatta
La gente nova, e i sùbiti guadagni
L'alma concordia ne mandaro in bando,
E d'odii tutta è piena. E dal profondo
Core gemetti, e vendicar proposi.
Te celebrando, la virtude oppressa.
Poeta e Sofo; perocché di vani
Suoni la insegnatrice Arte Febea
Blandimento non è. Ma chi mi dava
All'opera conforto? Or, se d'aita
Tu mi sovvieni, e a me laude immortale
Prometti, e bene alla famiglia umana,
D'obbedirti mi tarda.
Ella gli arrise,
E favellò cosi: Promettitrice
Di glorioso giorno alba serena
È la tua giovinezza; a me dei primi
Versi amorosi nel cantor soave
Del Trino Regno il gran cantor traluce.
Ma di cibo vital nutrir t'è d'uopo
Pria l'intelletto si, che cielo e terra
Ponga mano al Poema, ond'io ragiono.
4H POESIE DI MILLE AUTORI
Nel tuo dolor, per consolar l'afflitta
Mente, i volumi degli antichi Sofi
Rivolgerai; cercando ivi l'oblio
De' tuoi mali, per provvido consiglio
Da quelle dotte pagine berrai
Di sapienza non caduco amore.
I tuoi pensier, confusi atomi erranti.
Cosi si muteranno in ignorati
Mondi vestiti d'infinita luce,
Ove Tu solo spaziar securo,
E fisarti potrai: ma qual s'attenti
Seguirti appresso nel superbo volo
Fra quei raggianti Oceani le impari
Penne vi perda temerarie, e gli occhi.
Ed Ei: De' miei destini ora ti piaccia
Porgermi chiaro lume.
— Apprenderai
Di tua vita il durissimo viaggio,
Quasi d'un velo di dolor turbato
Quello Spirto rispose. Arder ti veggo
Di sant'ira, o latin sangue gentile.
Contro gl'insani struggiior selvaggi
Della Figlia di Roma. Oh maledette
Gare fraterne! O Buondelmonte, o tristo
Lamberti d'ogni mal prima radice!
Sclamava, tutta sfavillando in volto;
O Vieri, o Cerchi, laceranti il grembo
Della Madre comune! O Pistoiese
Germe di cittadine ire con cieco
Consiglio accolto!... Dal tuo fren corretta.
Breve farmaco troppo alle profonde
Piaghe, parrà posar l'egra infelice,
E tu dal seggio tuo, qual da secura
Cima, indegnato spettator mirando
Dei vizi umani il tempestoso flutto.
Fingere in carmi, e giudicar gì' iniqui
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 49
Mediterai; che- ancor dell'Ispirato
Laggiù sacra è la voce, e la rampogna
Anco dai più feroci evvi temuta.
Attendi, attendi, che Fiorenza il nappo
Degli abbominii suoi colmi, e tracanni
Intero, e a Te lo porga avvelenato
D'amarissimo fiele: e ingrati ed empia
Morda la destra salvatrice, e a morte
Danni suoi giusti, Solima novella:
E fremeranno le sdegnose corde
Della tua lira un formidabil suono,
Ch'emulerà degli Angeli le tube
Nel novissimo giorno, e a mille a mille
L'atra sentina d'ogni rea sozzura
Fia che ti piova luridi fantasmi
A popolarne i dolorosi abissi:
Né la sentenza, o interprete di Dio,
Tempi, né fati muteranno.
Infausta
Fieno radice d'ogni tua sciagura
I pretorii Comizi, e la possanza,
Che in Te porrà la pubblica salute.
Vili avversarli tuoi, cui fia rampogna
L'altrui virtude, e l'altrui merto offesa.
Perfide trame t'ordiranno e frodi,
Che il sincero dei Buoni occhio non vede.
Di giusta pena il tuo maggior nemico
Si morde il dito, e la vendetta anela
Giurata in core: alle superbe voglie
Te solo inciampo ei vede: e per occulto
Consiglio suo con alto ufficio andrai
Lunge dal natio loco, ove non devi
Tornar mai più. Ma di condegna morte
Veggo colui punito. Il Fariseo
Di Roma intanto ti darà promessa
Lunga con corto attendere. Fiorenza
Dkt Balzo Voi. MV 4
50 POESIE DI MILLE AUTORI
Già già ne coglie amaro frutto, in guerra
Civile involta, tra rapine, e sangue,
Consunta in fiamme, e il Franco Mida indegno
Fugge col mal rapito oro, esecrato
Dalle toscane genti, e disfiorando
II regal giglio. E proverai se acerbo
D'ogni cosa diletta è l'abbandono;
E se sia duro il vivere ramingo
Tra volti ignoti, indifferenti; e quanto
Arduo, fra la superba irriverenza
Dei Potenti, serbar la dignitosa
Povertà nel dolor d'alma, che sdegna
Piegar la sua grandezza vera al fasto
Delle Corti bugiarde: e sentirai,
Se sa di sale il pane altrui condito
Col vile scherno di giullari abbietti.
In Te farai crudele esperimento
Come tremare Provenzan dovesse
Quando l'amico riscattò. Lo stanco
Capo non ha dove posar Colui,
O Italia mia, che ti darà lo scettro
Del Pensier tra le Genti; onde sarai
Dall'altre invidiata: e non ha patria
Quei, eh* a* Tuoi Figli la darà, cui tutti
Suo cittadino i popoli vorranno
Dell'Universo alla sua gloria angusto.
Limosinando, ed esulando lascia,
O madre no, ma perfida noverca.
Indifferente andar questo mendico
Re delle Idee: di tal, ch'uomo non dona
Ed uom rapir non puote, ampio tesoro
Ei ti fa ricca. Oh quando mai simile
Sfolgorar créatrice alma gigante
Sotto i zaffiri del tuo ciel vedrai?
Che vai, perchè le sante orme raminghe
Un dì ne adori? Che ti vai pentita
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 51
Pianger diman suiraffrettato avello
Di quei, ch'oggi abbandoni? Iddio rigetta
Questa giustizia postuma, che rendi
Ai tuoi più grandi, che viventi affanni
D' immeritato duol. — Tutte cadranno.
Come foglie d'autunno, ad una ad una
Le tue speranze : non vedrai più il tetto
Ove prima le tosche aure bevesti;
Che al ritorno degli esuli seconda
Non fia fortuna, e il vieterà stoltezza,
E tradimento, e di Firenze a vili
Patti opporrai magnanimo rifiuto.
Infelice sarai ; che in terra i grandi
Sono etemi Prometei : ma degni
Fieno, più del gioir di tanto vulgo,
D' invidia i mali tuoi, cui la fortezza
Dell'animo, che vince ogni battaglia,
Dispregierà. Dagli uomini diserto,
Che aver non suole V infortunio amici.
In ogni loco ti verrà compagna
La coscienza di sentirti puro,
E la Musa immortai consolatrice,
Che deporrà sulla tua fronte oppressa
Baci d' amore, e colle ambrosie chiome
T* asciugherà le lagrime cadenti :
E d' ogni tuo dolore armonizzato
Dalle dita divine usciran nuove
Sublimitadi ai meditati carmi.
Si che t* ingemmi di più fulgid' astri
La corona il Signor: serti la Terra
Degni di Te non ha.
Ma dair errante
Vita riposo avrai nell' onorato
Albergo di Colui, che sulla Scala
Porta r Augello : all' ospite Cittade,
52 POESIE DI MILLE AUTORI
Dov* Egli impera, in ogni tempo altrice
D' incliti spirti, non drizzar rampogne.
Non giunge al loco, ove tornar desio.
Chi ben non vive in terra. Or se le umane
Leggi e divine infrangano primieri
I lor custodi, ruinar nel fondo
Vedi del mal precipiti le genti.
Dal di che al Franco Imperator sul capo.
Con mercimonio vii rimeritando
Del ridonato soglio, il crisma sacro
Un Romano pontefice spandea,
Cominciò tra la spada e la tiara
Diuturno conflitto : e V implacata
Dei due Numi terreni ira immolava
Miseranda di popoli innocenti
Ecatombe infinita. Ambo col braccio
Di volghi oppressi disputarsi in guerra
La suprema possanza; il Sacerdote
Abbandonò V altare, in maglia e usbergo
Mutò la stola, il pastorale in brando.
II Vicario del Dio, che a tutti è padre,
I suoi figli divise : alzò la mano
Per benedir creata a maledirli:
E, bestemmiando, del Celeste Agnello
Sovra i redenti il prezioso sangue
Imprecò pioggia di condanna, e d* ira.
Cinse i nemici suoi collo spavento
D' inesorate folgori, negando
Air alme il Ciel, la terra all' ossa ignude ;
E del mondo, e di Dio, ribelle al Cristo,
Confuse i Regni, e disse : Ogni grandezza
A me s'atterri; imagin viva io sono
Del Signore quaggiù : da lui discende
Ogni possanza, e in me s* aduna. O Prenci,
Voi regnate per me ; gì' imperi io dono,
Cr imperi io tolgo : obbedienti servi
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 53
Vi benedico; il raggio in voi diflfuso
Della mia luce olimpica vi rende
Inviolati: a me nemici, in polve
Vi converte lo scettro, e la corona
L' anatèma, eh' io vibro, e Iddio ripete :
Adoratemi, o Regi. E in lucid' ostri
Le membra avvolse, dell' umil capanna
Di Betelemme immemore, gemmato,
E non di spine, triplice si cinse
Diadema superbo : e fu temuto.
Satana rise: piansero i Celesti
L* onta, e il dolor d' un Golgota novello
Nel Vaticano : che il Re spento aveva
Il Sacerdote. — Uscir quindi le infeste
A insanguinar per lungo ordin di tempo
L' Italico terren Parti velate
Di barbarici nomi : e fùr la Croce,
E r innocente Imagine di Piero,
Già della Fede candido vessillo.
Fatti, odioso a Dio, segno di stragi
Fra* battezzati. Divorò la cieca
Sete delle ricchezze, empi stromenti
Ad illecito Marte, e a regio fasto,
I ministri del tempio : e patteggiaro
Per argento, e per oro il Paradiso.
Cosi lo spirto deir ingordo Pluto
Dalle infernali tenebre salia
La maculata cattedra del Vero,
E di là si spandea sulle sedotte
Dall'alto esempio cristiane genti.
Largo velen nell' alme insinuando
D'avare cure, e di delitti. Pria
Che Tu vegga di Guaschi e Càorsini
I traffici nefandi, avrai fidanza.
Che inviato da Dio Padre verace
L' amica Lupa uccida, e la respinga
54 POESIE DI MILLE AUTORI
Per sempre donde usci. Queir Aspettato
Sarà povero, e santo, angiol di pace
Tra i discordi fratelli. Egli dal seggio
Profanato di Pier fugherà il lezzo
Dell' Anagnese, e spanderavvi il casto
Profumo di virtude, onde nei prischi
Giorni piacque la Chiesa all' Immortale
Suo Sposo, e vinse il mondo. Ahi farà breve
Il benefico regno il tradimento 1
Mirò Colei, che siede sovra Y acque,
L* Evangelista fornicar coi Regi :
E Tu conoscerai l'opere bieche
D' un Figliuol dei Capeti, e d' un Guascone,
Che del Tempio di Dio faran bordello
In osceno connubio. A patti infami,
Che il Re gli detta, al Paracielo in ira
Ei compra il soglio: il violento assolve
Di sacrìleghe colpe, e la memoria
Del Caietano antecessore esecra.
Dal Pastor senza legge esce il servaggio
Di Babilonia, di che Italia, e Roma,
E il mondo piange, e di vergogna, e d' ira
Piero ne arrossa in Ciel. Costui spergiuro
L'alto proposto, e le speranze elude
Di generoso Prence, onde felice
Italia esser potria: vende per oro
A usurpatore ipocrita, che degno
Fora di cliierca più che di corona.
Il non suo trono. In ciurma coi Monarchi
Cosi trescando il maggior Prete inforsa
Nell'anime la fede: e non le adduce
Per le vie del Signore in Paradiso,
Ma per quelle di Satana con seco
In Inferno le mena. Ai tralignati
Cesari d'Alemagna il serto è troppo
Grave di Roma, che imperava al mondo. '
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 5$
Ma loro il diede Iddio: perchè non osi
Toccarlo alcun, la poderosa destra
Ei della spada vindice ne armava.
Ahi, se strappar se '1 lasciano dal crine
Da man sacerdotal, che nella polve
Lo trascini» il calpesti» e insozzi, e infranga»
Pena loro darà pari al delitto
Il non fallibil Giudice. Vendetta
Già chiede il sangue della terra e il pianto
Nel cospetto di Lui: smarrito Ei vede
Dietro a sue Guide il mondo, e minacciarlo
Di barbarie e peccato ampia tenèbra,
S' Ei non soccorre. Me custoditrice
Della dottrina del Vangelo elesse,
E Te alle genti Apostolo del vero.
Nuovo Enea dell' impero, e della Chiesa
Paolo novello. Chi disserra, e chiude
Le porte eterne interroghi la legge,
Che il Nazareno suggellò sul Monte,
E nel modesto Pescator si specchi
Di Galilea, si che la Fé nascosa
Con GiustÌTiia resurf;a. Al ministero
Sublime infidi Principi, e Leviti
Impavido minaccia, e come Iddio
Cinto di lampi, e folgori sdegnato
Contro Israello agl'idoli converso.
Con parole di fulmine sugli empi
Tuona tremendo: e fia pietà lo sdegno.
Non far di ghibelline ire ministra
La santa Musa: merti, e colpe libra,
E premi, e pene a tutti equo dispensa.
In guisa il disperato Èrebo pingi,
Che di spavento salutar percossi
Ne sien gl'iniqui: e il penitente regno
Si, che speranza ai traviati infonda
In Chi perdona la pentita colpa.
$6 POESIE DI MILLE AUTORI
In vel di sacre tenebre ravvolgi
La dottrina del Ver: più veneranda
Il mistero la faccia ; i sensi ascosi
Esploreranno le future ttadi
Della seconda Apocalissi.
A questo
Chiese Alighieri: O Tu, che tutto sai,
Dimmi^ deh, quando seguiranno all'opra
I grandi effetti ? E quando fia che in pace
Posi la stanca Patria, e si rammenti,
Che fu Reina?
Ed Ella a Lui: Non lice
A me svelarti appien quanto sta scritto
In volumi indelebili. Al Poeta
Di fatidico Spirto è dato il dono.
Si che vicini in suo pensiero ei finge
Lontani eventi. Tu sulle ruine
D'Italia piangi, canta, aspetta, e credi.
Solitario Profeta: e come integra
Nell'ardente desio, che s'infutura.
Tu la vagheggi irradiar la Terra,
Tal la rivela a Lei: le addita i poli,
Su cui, qual luminoso orbe, si giri
La sua grandezza. Quando Iddio pietade
Ha del dolor d'un popolo infelice,
Vi suscita un Poeta. E Tu, sovrano
Astro, sorgesti nel suo ciel già lieto
D' altri lumi minori, allor che in densa
Notte tacea V Europa : e al beneficio
Pia che 1' Europa immemore risponda
Colle catene! Il tuo Tosco idioma
Pria pel tuo carme emulator si estolla
Del Latino splendore. O Italia, il Coro
Delle Muse porrà ne' tuoi giardini
ImmutabiI dimora il di, che il novo
Canto daranno del triforme Regno
IS^TORNO A DANTE ALIGHIERI. $7
Ad Alighieri ! — D' alti e generosi
Affetti ereditade, e di speranze
Immortali le lascia il tuo poema:
Ivi a fortezza, e a libertà si tempri
Fin che resurga: e suo Palladio sia.
Padre 5arai degl' Itali più grandi .
Quasi in loro il tuo stesso alito spiri:
E di tele, di marmi, e di armonìe
Dircèe da Te discenderan portenti.
Ben luttuosi secoli verranno.
Che Te di cieco irreverente oblio
Copra la Patria, ed al viril tuo Canto
Anteponga le languide querele
Del minore Aretino ; o inebbriata
Da una demente pleiade di vati
Di Apollinee bestemmie, ovver pasciuta
Del gorgheggiar di rustiche zampogne,
E di gelide ciance; il tuo gagliardo
Stile per sonnolente anime prone
A servitù non è, dura rampogna
Alla loro viltà. Ma veggio un tempo,
Che prima onori il Cristiano Omero
La tua Cittade, e splendida, pietosa
Facciano ammenda del fallir degli avi
Tardi nepoti: e sovra il monumento
Vóto delle negate ossa deponga
Qual da Te tanto desiato invano
Allór, che Italia a' suoi Grandi non diede,
E ai molli ludi d' istrioni e mimi.
Stolta Baccante, liberal profuse.
Ma già t'erige altari, e Te suo Nume
Appella e cole, e medita gli eterni
Carmi con lungo amore: e, qual chi cerca
Nel mar profondo preziose perle.
Gl'inesausti tesori indaga, e scorre
Deir immensa Epopea. Quando Ella pensi
58 POESIE DI MILLE AUTORI
Coli' anima di Dante la creduta
Morta, ravvolta in fùnebre lenzuolo,
Scossa al tuo Verbo dai letarghi indegni,
Del suo Sepolcro frangerà la pietra.
Spezzerà scettri, vestirà lorica,
E sclamerà: Figlia di Dante, e Madre,
Nel suo Volume il mio destino è scritto,
Il mio destin si compia! — Altro non dico.
Perchè dei Buoni il cor levi al desio
Dei di beati, che non vedon sera,
Meco le sfere visitando or vieni
Fino all'ultimo Empirò, ove risplende
La Virtù, che li move.
E lo portava
Via per Y interminato etere a volo
Nei sette cieli, e a quello, ove del tempo
E dello spazio ogni confine è ignoto:
E poi che fu salito in Paradiso,
E di vivi splendori, e di bellezze,
E concerti ineffabili, e d'Osanna
Angelici gioì, di Beatrice
Vista la gloria, nella Diva Essenza
Assorto, a tanta vision fu vinto:
Si ruppe il sonno; e quel che vide Ei scrisse.
IL
A Gemma Donati.
Nella beltà femminea
L'uomo si finge, e crea
La più perfetta immagine
Dell'infinita Idea:
Né accende in lui tant' estasi
La polve impura, e fral.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 59
In quella forma ei l'idolo
Della sua mente adora:
Raggio d'ignoti Empirei
£ quel, che l' innamora :
Il breve riso è tramite
A giubilo immortal.
Ma troppo ardente i trepidi
Sguardi ne fere il lume:
Altari e incensi chiedergli
Suol, non amplessi il Nume,
Che gli si mostra e rapido
Fugge, e lo aspetta in ciel.
Dante cosi per l'Angelo
Dei Portinari il core
A quell'incorruttibile
Schiuse perenne amore,
Che segue l'alma libera
Dal suo corporeo vel.
O creatura altissima.
Oltre ogni dir felice
Ripeteranno i secoli
Il nome di Beatrice
Del suo Poeta all'unica
Gloria sposato ognor.
Fin che Alighier si veneri,
O Italia, inneggia a Lei:
Il t.ino eterno Cantico
Alla virtude il dèi
Di quella Santa, all'alito
Del suo sublime amor.
A quel soave eloquio,
A quel raggiante viso
Rapi fulgóri, e musiche
Pingendo il Paradiso,
6o POESIE DI MILLE AUTORI
Quando agli scanni eterei
Sale di volo in voi.
Chi mai dal soglio immobile
Chi strapperà la pia,
Che, come sua, per essere
Più bello, il Ciel rapia ?
V'ha chi presuma abbattere,
O intenebrare il Sol?
Ma se Signor dell'etere
Ei sfolgora, la stella
Più solitaria, e povera
Ha la sua luce anch' ella;
E piace al mesto il timido
Raggio al suo cor simll:
Se peregrino in incliti
Giardini un fior si cole,
Mandan gli ascosi balsami
Pur da modeste aiuole
Famili'ar garofano,
E gelsomino umìl.
Un' altra donna al massimo
Poeta ancor fu cara:
Ma lei cinse d' immemori
Ombre la terra avara:
Tacque, che giusta, e semplice
Visse, sofferse, amò.
Per lei non sorse un gemito
Di tenero compianto;
Muto per lei degl' Itali
Vati fu sempre il canto:
Immeritato oltraggio
Sul nome suo posò.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6l
Povera Gemma! ai fervidi
Estri non fosti Musa,
É ver, ma il mondo pingerti
Perchè con empia accusa
Nova all'Ausonio Socrate
Santippe infesta osò ? *
Disse, che trista, e querula
Tu gli tarpavi i vanni;
Che non sapesti intendere
I suoi divini affanni;
Che a te il poeta incognito.
Donna volgar, restò.
La muliebre ascendere
Dovea non agii mente
Agi' intentati vertici,
Dove a quel tuo possente
Seder fu dato impavido,
Insuperabil Re?...
L' onta plebea si vendichi !
Ei sol fa de' tuoi casti
Pensieri il primo, ed unico
Oggetto, e tu donasti
Ricchi al fecondo talamo
Pegni d' intatta fé.
Non d' ogni amor la fiaccola
In ardue sfere assurge,
Né dalla spoglia esanime.
Che r accendea, risurge
Più bella avvolta in mistico
Velame, nel Signor.
' « Le iaTettive contr*esM per tanti se-
coli originaroiio - dice il FokoIo - dà\
M «netti, indegiMmeate tcnnto scrittore sin-
cero, quando inrece non solo traduce il
Boccaccio, e non Io confesse, me ne per-
verte le opinioni e il rscconto, ecc. ■ (Di-
leorso sul Testo dtl Potma di DanU), odis. Le
Mounier, i8so, pag. 265. Vedi anche Balbo.
62 POESIE DI MILLE AUTORI
Vinto è tal'T lo spirito
Dalla congiunta creta,
E di terreni palpiti
A ineluttabil mèta
Occulti moti suscita
Natura all' uom in cor.
Il grande, allor che l'anima
Ebbe nel duol più vinta.
Bella, soave, pallida,
E di pietà dipinta
Vide una donna affiggergli,
Mesta del suo dolor,
In volto i vaghi, e languidi
Rai: la gentil parea
Dirgli tacendo un nobile
Desir: che si credea
Nata quel largo a tergere
Pianto d' un altro amor. '
Eri tu. Gemma: e premio
Il nuzì'al anello
Ne avesti: e dagli spasimi
Cocenti ti fu bello
Pace air austero, e requie
Dar nel tuo fido sen.
Deh quante volte, o povero
Core di donna, acuta
T' arse gelosa invidia
Di Iv-i che cener muta
Ancor bastava a togliere,
Ch' ei tuo non fosse appien!
* Alcuni Dantofili si piacquero di ravvi, i XXXVH. XXXVIII. È lecito «1 poeta tra
sarc Gemma Donati nella Donna pietosa, dì i fatti dubbi eleggere ciò che gli torna me-
coi è parlato nella rtta Nuova ai 55 XXX VI | glio.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6)
Ma poi, verace indizio
Di generoso aflPetto,
Frutto invocato ed ultimo
Davi al pudico letto
Quasi una pia memoria
Di Quella, che mori. '
Ahi, su te pur discesero
Veloci i di del lutto,
Quando nemica rabbia,
Ogni suo ben distrutto,
Anche la dolce patria
Ad Alighier rapi.
Onde, perpetua vedova
Di non sepolto sposo.
Sola restavi in orrido
Silenzio pauroso
Nella spregiata, e povera
Tua casa a sospirar,
E le deserte coltrici
Bagnar di lungo pianto.
Sognar le afflitte e gelide
Notti d' averlo accanto,
E lui, strìngendo un vacuo
Fantasima, baciar.
Come il perduto ascoltasi
Compagno al dolce nido
Abbandonata tortore
Chiamar con flebil grido;
E intanto pasce, ed educa
I nati al voi: cosi
' L'ultimo dei figlinoli di Dante fu Bca- | itesM, conseztente il inerito, per un« «li
trice. Non par Terisimtle, che il marito, poco quelle gentili ispirazioni, di cui te sole donne
ddicatameate, le aTetae imposto qoel nome ! sono capaci.
adorato: forse glielo impose sua moglie !
64 POESIE DI MILLE AUTORI
Costei fra le doniestiche
Mura, in suo duol romita.
Nel desiderio inutile
Di lui trasse la vita,
E ad almi studi i docili
Figli, e air onor nutrì.
Sol vagheggiar negli orfani
Il suo sembiante amato
Conforto della misera
Era al terribil fato,
Stretta a mercare in rigide
Veglie per essi il pan.
E le fu strazio assiduo
Pensar V iniquo bando,
Del ritornar gli aneliti
Frustrati, e il miserando
Errar del giusto, e il battere
Ad auree porte invan.
QuanJ' egli il vaticinio
Dettò dell' avol pio, '
Mandando un malinconico
A' suoi lontani addio,
Forse V eterna pagina
Di pianto inumidi.
D' apoteosi improvvide,
E stolte TAlighieri
D' uopo non ha: mal fingesi
Ch' ei di concetti alteri
Vago, a comuni, ignobili
Cure non mai servi.
Tu lucierai ogni cosa diletta
Più caramente
Parai, canto XVII.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 65
Poi che r obliquo encomio
Di lui la gloria oscura
Fulminator dei reprobi,
Che dispregiar natura: '
Dunque, se V uom cancellasi
Nel vate, un dio parrà?
Dunque, se a Gemma nocquero
Di Corso il sangue, e il nome, *
La non sua infamia, e 1* odio
Sulle innocenti chiome
Della incompresa martire
Sempre a cader verrà?
Perchè né sacre aurèole
A lei, né serti impose,
E non r assunse a simbolo
Delle superne cose
Quei, che alla terra attonita.
Cantando, il ciel narrò,
Ei di sua tanta egregia
Prole sprezzò la madre,
Lei che i latini numeri
A violente, e ladre
Mani sottrasse, e il tenue
Censo salvar tentò ? ^
Se ognor da lui si tacquero
La donna, e i figli, segno
Gli onesti suoi sìlenzii
Fien di superbo sdegno ?
' Puossi far forza nella Deitade, j e li affidò ad Andrea di Leone Poggi, nipote
Col cor negando, e beitemraiando quelle, ] di lui. Alcuni anni appresso fattiieli reati-
E spregiando Natura, e sua boutade. , ,^.^^^ ^j ^j ,i„^^„„„o -, ,,,^ ^„,„; Canti
Inf. canto XI. ' dell'Inferno (che per alcuni si crede essere
' È ignoto il grado di parentela fra ; stati i latini), e furono mandati a Moroello
Corso e Gemma Donati.
3 Gemma, quando fu eorso a casa di
Deste e furore di popolo, ripose in alcuni
forzieri oggetti preziosi, e scritture di Dante,
Del Balzo. Voi. XIV.
Malaspina, del quale l'Alighieri era ospite,
e ehe glieli mostrò.
Ella salvò pure parte del reti^giò pa-
terno a* figliuoli.
66 POESIE DI MILLE AUTORI
Non li chiamava il profugo
Tutti d' intorno a sé ?
Grida, Alighier, terribile
Ombra, alle genti il vero:
«Non seminò di triboli
« La sposa il mio sentiero ;
a D'amabile progenie
«Ella gioir mi die*.
« Che m* infiorò la squallida
«Vecchiezza, e nel supremo
« Mio di pietosa accogliere
a Volle il sospiro estremo,
« E le pupille chiudermi
« Stanche al fuggente sol.
« Di Gemma più non mormori
«Chi mi rispetta: inulto
« Non sia questo al mio cenere
« Nella sua fama insulto,
a Che del fnortale esigilo
« Mi rinnovella il duol.
a Inni non sempre ed aurei
«Serti hanno i buoni in terra:
« Sovente un cieco ed invido
0 Destino a lor fa guerra
« Fin nella tomba ; e il postero
« Impreca alla virtù.
« Ma la immortai degli uomini
a II maledir non cura.
« E sa che un Dio le lagrime
« Conta alla sua fattura,
« Ch' ei la final vittoria
« Coronerà lassù. » '
' Vedi a P>gg* 81-106 e 107-iis in: ^ersi di Pier Vincenzo PAsquini. Verona,
Mflnster, 1865.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 67
Pier Vincenzo Pasquinì, scrittore e poeta veneto, per molti anni
insegnò a Pinerolo, poi passò a Verona. Nel 1863 si fé' conoscere
con un Trattato sulV unificaiioru della lingua in Italia^ pubblicato a
Milano, presso la tipografìa Agnelli Quel saggio si diffuse, piacque
ed ebbe lodi dai più, trovandovisi raccolto in 140 pagine, in modo
semplice e breve, quel che è stato disputato in materia di lingua
tra noi, coq giudizi chiari sulle varie opinioni, se non sempre giu-
stissimi ed accettabili.
Nel 1865 stampava, in Pinerolo, le sue Poesie dantesche. Poi, in
Verona, nel 1867, dal Rossi, Le allegorie del primo Canto delV Inferno
di Dante. Questo opuscolo era seguito due anni appresso da quest'altro:
La lettera e V allegoria nel poema di Dante^ con alcune osservazioni
critiche sull'opera di Domenico Mauro, intitolata: Concetto e forma della
Divina Commedia f Firenze, Cellini, 1869) che ebbe una seconda edizione
in Milano nel 1875 col seguente titolo: La principale allegoria della
Divina Commedia, secondo la ragion poetica e i canoni posti da Dante.
Ma il libro che Io raccomanda all' attenzione degli studiosi, è
la seconda edizione del suo Trattato stilV unifica%ion€ della lingua in
Italia^ notevolmente ampliata, venuta fuori in Firenze, nel 1869, per
i tipi dei successori Le Mounier. Un anno innanzi, era comparsa la
Relazione al ministro della pubblica istruzione, proposta da Alessandro
Manzoni agli amici colleghi Bonghi e Carcano ed accettata da loro,
la quale trattava appunto dell' unificazione della lingua, facendo capo
alla parlata toscana. Il Pasquini, nella seconda edizione del suo trat-
tato, non segue passo per passo i concetti della Relazione manzo-
niana, perchè già lo avevano fatto ed ampiamente il Fanfani, il
Giuliani, il Tomm asèo, V Isola ; ma trova modo, nella prefazione,
di lamentarsi che il Manzoni, che pure avea inserito nel suo scritto
tutte o quasi tutte le proposte della prima edizione del trattato, non
lo citi mai, sebbene egli ed i suoi amici e colleghi ne avessero avuto
una copia per ciascheduno, inviata loro direttamente.
Il povero Pasquini non ebbe fortuna con molti critici, i quali
si risero delle sue proposte, mentre poi le applaudirono quando le
lessero incastonate nella prosa del Manzoni. Sempre cosi: molti,
pur affettando di pensare con la testa propria, non guardano se non
alla marca di fabbrica. Il povero Pasquini non fu fortunato nem-
meno quando si trattò della compilazione e pubblicazione del gior-
nale V Unità della lingua. Egli» per mezzo del professor Pietro Bernabò-
Sìlorata, aveva proposta quella pubblicazione al ministro Broglio,
che gli aveva fatto rispondere che accettava la sua idea e che egli
avrebbe fatto parte della redazione del nuovo giornale. Ma il gior-
nale usci compilato soltanto da Fanfani, Galli e Vescovi. Ben dicono
i Francesi: « Qu'ici bas tout se fait par compères et par commères. »
68 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCVI.
Francesco Dall' Ongaro.
Stornello su Dante.
(14 maggio 1865).
Il signor senatore Massimo d'Azeglio ride di quelli che salu-
tano in Dante il padre dell'unità italiana, e si meraviglia lepida-
mente come non l'abbiano fatto garibaldino. Il senatore non aspira,
credo, al titolo di profeta, ma questa volta ha profetato senza sa-
perlo. Ecco uno stornello che ebbe il coraggio di dire anche di
queste :
Il Papa rha dannato al foco eterno:
Ma Dante sa le porte dell' inferno.
E quando si trovar per quelle vie
Vi messe dentro il Papa, ed egli uscie.
Ed or in onta del papale ammanto
Bonifazio è dannato e Dante è santo.
È ver che Roma non lo tien tra i suoi,
Ma ce Tabbiam canonizzato noi.
E gli faremo festa ogni cent'anni
Con timpani, bandiere e rossi panni;
Perchè vestia di rosso il Ghibellino
E fu con Garibaldi a Campaldino. '
' Questo stornello cosi leggesi a pag. 29, 1 pastorale del candidato cattolico Cesare
come nota ad un opuscolo che porta il se* , Cantù. Firenze, libreria scolastica CamIc «
guejitt titolo : F. Dall'Ongaro, // profeta | Comp. MDCCCLXV.
hiUamo e l'asina sua. Risposta alla lettera .
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 69
Francesco DalFOngaro nacque nel 1808 a Mansuè presso Oderzo
nel Trevisano. Suo padre, sebbene fosse un modesto costruttore di
barche fluviali, gli die* buona istruzione. Compiuti i suoi studi, col-
tivò ardentemente la poesia, che mise a servizio della patria serva.
Visse gran pezza a Trieste, dove fu collaboratore della Favilla^ gior-
nale patriottico e civile. Indi si recò a Venezia. Nel 184B prese il
fucile e si battè valorosamente tra i volontari garibaldini. Fu all'as-
sedio di Roma Tanno seguente, e fu caro a Garibaldi. Le sue poesie
garibaldine, calde di entusiasmo e di slancio, come squilli di tromba,
eccitavano gli animi. Si ripetevano da tutti i suoi stornelli incomin-
ciati ad apparire nel 1847, come il Brigidino, che egli improvvisò
sul banco d*un libraio a Siena:
E lo mio amore se n'è ito a Siena:
Mi ha porto il Brigidin di due colori:
Il bianco gli è la fé che e* incatena.
Il rosso Tallegria de' nostri cori.
Anche gli stornelli La Bandiera, La Livornese furono popolaris-
simi. Nel 1860 l'ode sua a Garibaldi fu un vero inno di guerra,
degno dei più grandi poeti; non meno bello è il suo canto: La Ga-
ribaldina,
Scrisse squisitamente in dialetto veneziano. Sono notevoli il suo
Fornareito, dramma, e Fasma, commedia greca. Ebbe molta voga
la sua satira anti-monastica : Il diavolo e il vento. Fu autore di no-
velle schiettamente paesane, in cui descrive il suo popolo, che egli
sempre intensamente amò. Moriva a Napoli, nel 1873, tormentato,
amareggiato da alcuni di quei critici maligni, vanitosi e velenosi,
che sempre affaccendati in un o^io rumoroso, si gloriano di una pes-
sima paginetta di critica più che non faccia un grande scrittore di
una vera opera d*arte.
70 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCVII.
Luigi Mengozzi.
Dante.
Canto.
(14 maggio 1865).
Oh fieramente avversi a te si furo,
O sommo Vate, i cittadini, e '1 tuo
Non conobber desio! Ma li nepoti
Con alti onori e con devoto culto
Ne fero ammenda in ogni etate; e noi,
Benché di tanto secolo lontani.
Oggi l'ammenda ripetiam. Non vedi
Come di tua città, come di tutta
Toscana, ed anzi de l'Ausonia intera
Sono allegre le genti, e del più lieto
Grido il giorno salutano, che vide
Te di Firenze, te d'Italia ed anzi
Te de Torbe universo eccelsa gloria
A la luce apparir? Non odi i nomi
Onde t'appellan di Maestro e Padre ?
Oh prendi dunque in grado i voti nostri,
E l'esultanza nostra, e noi sogguarda
Con benigno sorriso 1... Ahimè perdura
Ne l'altero, magnanimo disdegno
Il venerando aspetto? Ah tu se' Quegli
Che del più ardente amor la tua Fiorenza
Quantunque amassi, e, più che fuoco, il seno
Ti cocesse desir di rivederla,
E in lei posar le travagliate membra,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 7I
Pur redirvi sdegnoso rifiutasti,
Perchè a patti legato umilianti
Era il ritorno; a mendicar piuttosto
T'eleggesti la vita a frusto a frusto
Che d'un sol neo macchiar tu' intatta fama.
Noi Padre te appelliam, ma di figliuoli
Ossequiosi con l'opre? Tuo desiro
Era che il bel paese una s'avesse
Figliuolanza di cuor, di mente e braccio
Itala veramente, e che a la sua
Religion s'ispirasse, al suo bel cielo,
Alle sue rimembranze, a* monumenti
Suoi magnifici e tanti, a' Grandi suoi.
E tu primo coU'opre, col robusto
Tuo favellar, coli' altissimo Canto
Non perituro esemplo ne lasciasti.
E noi ? Ah noi nipoti ad infiniti
Creatori d' immense meraviglie,
E per secolo lungo a tutte genti
Maestri, noi cangiammo cento e cento
Fiate in le altrui le costumanze nostre.
Pronti a variarle ancora cento e mille
Volte in le baie, in le follie di gente,
Che tutto avere in passeggiera usanza
Vampo menar fa mostra, non escluse
Del decente e del bello le ragioni.
E li nostri Platoni dagli estrani
Loro viaggi seco adducon quanto
E morbida e svariata e dilettosa
Ne può render la vita, e dislegata
Alfin di quelle, che teneanla in freno.
Onde non irrompesse a mo' di bruto,
Rugginose credenze, e de le viete
Del pudor leggi ! E già dischiusi in molte
Cittadi sonsi lochi, a somiglianza
Dei visti oltr'Alpi, a voluttade additti.
72 POESIE DI MILLE AUTORI
Maestro te diciam, ma come e quanto
Cerchiam lo tuo volume l'argomenta,
« Se da la spica si conosce l'erba, »
Dal parlar nostro, dagli scritti nostri.
Se cercassimo in. lui nostra pastura
Non sarebbe il sermone, al quale han posto
Mano la terra e '1 ciel, bruttato e guasto
Di barbarici modi; e quello studio,
Che bene ad appararlo si dovria.
Volto non fora al celtico linguaggio
Per le cittadi tutto e per le terre,
Come se Italia intera peregrina
Ire dovesse oltr'Alpi, o che la Francia
A collocarse... oh Dio più che la morte
Stoma cotanto mal ! E ve' che loco
Sonsi da' libri nostri i libri franchi
Fatto dar ne le scuole, e forman essi
Di nostre giovinette, e fu per poco
De' giovani non dissi, la delizia.
Soleano in altr'età T itale scuole
Uomini crescer di verace e sodo
Saver ripieni, perchè al senno antico
Aggiungendo si gian di mano in mano
Quanto la mente umana iva scoprendo;
Ma prudenti lor indole, lor gusto
Custodivan gelose. Ed oggi al prisco
Non che senno ridurle, foggiate
A quante sono oltr'Alpi ed oltre mare
Scuole l'abbiamo. Frenesia simile,
Non ha un secol ci prese, e la beata
Patria de l'alte fantasie lasciammo,
E fra le nebbie gimmo de la Scozia,
Fra l'elvetiche rupi, e d'Alemagna
Fra li ghiacci a ispirarci. Ma di quanto
In quei foschi viaggi s'avanzasse
L' itala mente, del suo puro cielo
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 73
A li raggi assuefa, il mostran Topre;
Che quanti furo cercatori o sono
Nulla di buono ban partorito, ed anzi
Sviati n' han da te, che solo devi
Essere il nostro duca e il nostro autore.
Maestro te appelliam, ma come e quanto
Rispondan l'opre al detto in altra il mira
Cosa più grave. —^ Ti bolliva il seno
Non che per Flora, per T Italia tutta
D'amor, ma schietto, ma virile, al vero
Ma non timido amico, di cotale
Tempra infin che a' di nostri più non s'usa,
« Perchè la nostra traccia è fuor di strada. »
Far grande Italia era tu' intesa, grande
Di verace grandezza, a' suoi figliuoli
Rettitudin mostrando, ed anzi 'n tutte
Guise cercando imprimerla ne' cuori.
E a cotanto lavor, non come è d*uso
A' di nostri, togliesti a tua compagna
Una filosofia schiva del cielo;
Ma la Fé» che fondò su salda pietra
« Quegli che venne a rischiarar le carte, »
Essa t'addusse ne li regni bui
A visitare la perduta gente,
E giù di bolgia in bolgia vari e strani
Martori a quelle, apparizioni orrende,
Trasformazion mirabili vedere
Ti fece, e ti dettò versi, che fanno
Quegli sdegni, que' pianti, que' stridori.
Quelle bestemmie udir, e salutare
Infondono timor di quella destra.
Che inalza il giusto ed inabissa il tristo.
Indi per strania, paurosa scala
A riveder le desiate stelle
Ti ricondusse, e ti menò 've sono
Coloro che sé purgano, e di speme
74 POESIE DI MILLE AUTORI
Vivono di salir quando che sia
Alle beate genti. Infin dal primo
Entrarvi ti dettò d'amore un canto,
Che crescendo si già di mano in mano
Che tu di balzo in balzo su poggiavi.
Per la santissim'onda finalmente
Puro rifatto, con Beatrice al cielo
Ascendesti, e con lei di lume in lume
Gisti, e cose vedesti che ridire
a Né sa, né può chi di lassù discende. »
Or a vedere se a cotant'esempio
Nostr'operar consuona, ve' la stima
In che tiensi la Fé, ve' le persone.
Più de la terra sacre, come avute
Sono in onor. Ahimè non che fregiarse
Oggi la gente d'esser serva a Cristo,
Chi sen vergogna, chi l'oltraggia e spregia.
S'arrotan mille lingue, e mille penne
S'aguzzano a beflFare in modi mille
Non che di Cristo agli Unti, Quei che vece
Ne face in su la terra, e non li tiene
« La riverenza delle somme Chiavi »
Che pur era bastante un freno a porre
A tua lingua anche allor che più che mai
BoUiati d' ira ghibellina il petto.
E non vedemmo noi a senza decreto
Portar nel tempio le cupide vele »
E trarne quanti a Dio s'eran dicati
D'Italia in molte parti? E che dovunque
Il medesmo si fesse non s' udirò
Chieder voci frenetiche insipienti ?
Al lagno che sen fea, che cosi fatto
Aveasi oltr'Alpi davasi a risposta.
E di tal guisa, il male a la vergogna
S'unia di folli, eterni imitatori.
Ogg' inondato ha l' itale contrade
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 75
Moltitudin di carte d'ogni errore
Dei novator ripiene, e penetrate
Sono ne l'officine, e de le donne
Nel gabinetto, e il rustico abituro
Disdegnato non han. E già tu senti
Il fabro, il contadin, la donna stessa
Teologizzare, e dir che aperti gli occhi
Hanno le genti alfin. Ma se t' adopri
La nuova a discoprir alta sapienza,
Oltre uno sprezzo per li sommi Veri,
Invenir non t' è dato. E non udirò
Nostre città per le pubbliche piazze
Predicar empie lingue rea dottrina?
E se le serpi ti si fero amiche
Quel di che una s'avvolse a l'empia gola
Di un che blasfema profferì, cotanto
Scellerato ti parve! oh quale sdegno
Non sarebb'oggi '1 tuo, che, se dovesse
A cui bestemmie strignere la strozza
Un serpe, foran scarsi a si beli' opra
Quanti il libico suol ne serra e pasce!
E quali orrendi ahimè contro Colei
« Ch' è di speranza Fontana vivace,
a Contro la Donna ne la qual s'aduna
a Quantunque in creatura è di bontate, »
Contro l'alma Maria, che ne l'amaro
Esilio il core t'alleggiava, oh quali
Non si sciolgono orribili blasfemi !
E contro il Divo Figlio, ahi come crudi
Sono costoro ! Co' demon più feri
Vincerebber la prova ! E pur contr' essi
Leggi non sono, o sono inerti e mute!
Vuoisi o lasciasi 'nsomma che la nostra
Invadano contrada ree dottrine
A conturbar nostr' alme, a tor di loco,
Comechè ciò s' infinga, l'alma Fede ;
76
POESIE Di MILLE AUTORI
E Strappare cosi dal venerato
Capo d'Italia il più bel seno, il serto
Che sovra tutte genti in ogni etate
Serbosse intatto con gelosa cura.
Ecco i nipoti che solenne omaggio
Fannoti, sacro Dante, ed enipion l'aura
De' bei nomi di Padre e di Maestro.
E quantunque consuonin l'opre ai detti
Quanto col falso si conforma il vero,
Che tu gli accolga sperano e n'arrida.
Oh si lieve è '1 pensarlo che da noi
Te misuriam ! Da noi pe' quali è un nulla
Qualsiasi bene che non è del senso;
Da noi, che gloria di nazion confine
Diciam coli' oro avere e colla possa.
Ma se pensiamo che a viltà fu chiuso
Ognor tuo petto; che niun vizio al tuo
Si sottrasse flagel; che ti fé' macro
Per tanti anni '1 sermon che in poco tiensi
O nullo conto; che niun si bene
Canio di nostra Fé, che tutto quanto
Ti divampava; de la Fé, che noi
Commentare tentiam con empie fole;
Se svolgiamo, a dir breve, i fogli tui.
Oh allor non a sorriso, si a disdegno
Atteggiarsi vedrem tuo sacro aspetto!
Ed anzi, ahimé! tale lo veggio e in atto
Di rinnovar l'antic' alta rampogna.
Onde m' arrosso, mi conturbo e tremo. '
' Questo cauto cosi leggesi a psgg* 25-
32 in un opuscolo in- 16 che porta il se-
guente titolo : Saggi di uh lavoro poetico
su Fireuie di Luigi Mengozzi. Firenze, stam-
peria della Gaii*tta di Firenze, Piazza delle
Travi, palazzo della Borsa, i8é$.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 77.
DCCVIII.
S. Serragli.
A Dante Alighieri
PEL suo SESTO CENTENARIO.
Canti genetliaci.
U4 maggio 1865).
Canto I.
A Dante sovrano poeta.
O tra quanti fregiar di lauro e mirto
Degnamente le tempie
Massimo eletto spirto,
Deir italico suol decoro e lume,
Anzi splendor del mondo: una scintilla
D'amor per angeletta
Fiamma si fece al poderoso ingegno;
Neir onesto costume.
Nella beltade schietta
Del ver qual forma e segno
Colei t'apparve e ti fu scala al vero,
Ti fu scórta a virtude:
Ambi alto proclamasti e il culto loro
Dimenticato ebbe per te ristoro.
Di ragion nell' occaso
S'ogni buon studio vaca,
Se non è suon che di chi merca o indraca»
Tu sol basti a te stesso e ti fai vaso.
78 POESIE DI MILLE AUTORI
Ove rantico senno
Irradiato dalla diva luce
Del mostro di Betlem, tutto s'accoglie.
E pur insana e truce
Fremeati intorno la sanguigna rabbia
Di cupidi tiranni e di fratelli.
Che per divise voglie
Ahi! si rodean Tun l'altro; e pur d'esiglio
Ne' giorni tuoi più belli
Partigiana vendetta
Ti saettò con l'arco; e tu lasciavi
Ogni cosa diletta,
E ramingo sostando il pane altrui
Erati a' labbri sale,
Duro calle il gradar per l'altrui scale.
Oh! qual battaglia ti ruggla nel petto!
Il più gran merto, di sé conscio, all' ire
Fatto bersaglio d'una patria ingrata!
Di lei con van desire
A dimandar costretto
Mercè nelle superbe aule del fasto
Il più libero spirto!
Ed era nel contrasto
Vinta da povertà l'alma sdegnosa.
Perchè l' iniqua pena ?
Dell'altier Caietan che mal sedea
Di Pier nella cattedra
Contra le voglie bieche egli volea
Fiorenza sua dalle armi Franche franca!
Benché tetragon di fortuna ai colpi
Molto soffristi ! alfine
Natura soverchiò l'alma gagliarda;
E dolorata e stanca
Della terra bugiarda
Neil' ospitai Ravenna
A rivedere il ciel precorse anela.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 79
E qual non si rivela
Grandezza in te? tutto appo te fu grande.
Sin le sventure! e allor che in rea fortuna
Chiudesti i santi lumi
Più grandeggiasti e ugual ti festi ai numi.
Se i fiacchi prostra e scora
Pertinace destin che strali avventi,
Ritempra ed avvalora
I magnanimi petti.
L'aculeo de* tormenti
Stancò si, non domò l'animo invitto:
Nello splendido manto
Di tua virtù t' avvolvi ; e a te che infiamma
Ardor di sapienza e bella fama
Di vita spiritual tergono il pianto
Le vergini dolcezze.
L'avida sete tua forse si sbrama
Se di qual d'uomo è scienza o studio od arte
Tu beva a' fonti e avanzi ?
Sazio non sei s'anco alle sacre carte
Non attigni quel ver che in Dio s'appunta.
Poi, desti i fervidi estri
Dell'alta fantasia
Ti schiudi il mondo degli spirti, dove
O a placito s'espia,
O eternamente plorasi o si gode :
Varchi l'inferno e l'etra
E con divina cetra.
Cólto tu Dio nel padiglion de' cieli.
Gli alti mister d'un mondo arcan riveli.
In chi fu mai quaggiuso
Tanto valor che poetando osasse
Con nuova una favella
E fuor d'ogni uman uso
Tanto in alto levarsi?
Disprigionar l'averno.
8o POESIE DI MILLE AUTORI
Disserrar degli spirti il pio lavacro,
Squarciare i cieli, prelibar l'eterno
InefFabil tripudio ed indiarsi?
Disabissar l'abisso,
E con accento sacro
Evocar della fede il trino regno
E a lui docile imporre:
T' appalesa alla terra ? al sommo Giove
Quasi l'imperio tórre,
Di man rapirgli i folgori e gli eterni
Fremii sonire a' buon, le pene a* rei ?
Sol tu il potesti col divin tuo carme,
0 miracol d'ingegno! e se i materni
Suoni mal certi e rudi
Fallano al gran subjetto e tu ne crei;
Tu magno sofo, tu sovran poeta
In secol cieco e scabro.
Tu in un della favella itala fabro.
E oh! come altèra e vaga
De* stupendi portati
Della robusta imaginosa mente,
E del comune onor quasi presaga
1 vergini tesori.
Le ingenue grazie ti spargea dal seno !
Oh! come obediente
Dell' artefice al freno,
Ei Tuom discorra o la natura o Dio,
In elette strignea parche parole
E perspicua pur fea ad altrui,
D' un pensier, d' un* imago, o d' un afifetto,
D' un vero o d' un precetto
La soverchiante mole!
Tu dai spirto alle voci; e par ch'amiche
Or tutte brillin di soave riso,
Spirin d'ambrosia orezzo
E piovan raggi tolti al paradiso;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 8l
Or di latte o di lacrime o di sangue
Quasi versino stille;
Or di nobile sdegno
Fiammeggino in faville;
Or di rampogna in tuono
Rimormorìno cupe; or di perverse
Opre vindici austere
• Sibilin truci in fulmini converse.
Numeri peregrini,
Maravigliose rime.
Se con gemino un suon che arguto eleggi
Del bello, del sublime,
Del terribil negli ultimi confini
Quasi ignaro passeggi!
Cosi con magister ch'ogni altro avanza
Sai dar figura e moto ed atto ai carmi,
Come Apelle ai colori e Fidia ai marmi.
Ogni cultor gentile,
Che delle muse il ministero intenda.
Vuol che virtù meglio per lor si pregi.
Trovi una man degli usi rei rammenda,
E il buon viver civile
Di lor si giovi, inspiratrici sacre
Di generosi afietti e d'atti egregi.
Tardi, e ne avemmo briga,
Dettò tra noi si la moderna scuola:
Ma tu che ben discerni
Dove ad altrui caliga,
Sin da' di tuoi con luminosa prova
Lo insegnasti assai me' che con parola.
Di vita insieme a documento e d' arte
Evochi estinti o vivi.
Secondo che a te giova,
Dal gran volume degli umani eventi :
Innanzi a te li traggi, interroghi, odi.
Gli animi e i casi ne disveli; ed ora
OlL BALtO. Voi. XIV. 6
82 POESIE DI MILLE AUTORI
Col pennel degli accenti
Pietosamente ne dipìngi i guai;
Or acre dispensier dì biasmi o lodi
Con occhio scrutator tutti ne libri
Quai siano gli atti e cribri:
E mentre si Tauro ingemmando vai
T' ergi ne* cuor tal regno
Ch' altri a tuo grado intenerisce e geme,
Trema, esulta, s'adira, impreca e freme.
Spesso di strali armato e di flagelli
Terribilmente fero
Sembri Giove tonante,
Qualor di tempi sciagurati e felli,
Bollente il sen dì generosa bile,
Levi la magna voce altisonante
A rampognar le colpe e le vergogne.
Quali, quai fian menzogne,
O nequizie o viltadi.
Sotto pileo s'annidino o corona.
Cocolla o benda o infula o tiara,
Sian d'uomini o cittadì.
Cui tu non strappi larva e le alzi... e le alzi
Al cospetto del mondo?
E un sol motto ti vai, vaiti uu' amara
Subitana ironia, che dissi? l'onta
Del silenzio ti vai per fulminarle.
Solverle in polve che raccoglie averno,
E condannarle a vituperio eterno
Uom fosti o Dio, che mentre inerte giacque
Della mente il consiglio, e innanzi al brando
Timido il dritto tacque.
Né di nobili affetti
Favilla fu che riscaldasse i petti.
Pur in tuo sen chiudesti
Di saver, di virtù tesor cotanto?
Ed a' mortai ne festi
INTORNO A DANTE ALIGHJERI. 83
Si larga e opima parte
Con rcteme tue carte?
Men che nume e più ch'uom, tu fosti speglio
Ove al divino sole
I raggi suoi piacque rifletter meglio;
Perchè fiammante di benigna luce
Candelabro splendessi
Nella notte de' tempi e fossi duce
A raddrizzar l'umanità smarrita
Nel camin della vita;
SI che l'ali il pensier di nuovo impiumi»
E la santa onestà tempri i costumi.
E ben compiesti, o magno,
L'alto mandato, benché tardi ahil troppo
Fossi compreso: né alla ferrea voglia
Tutta di quel tesor volta al guadagno
Si fur nimico intoppo
I rari allora, del saver ministri.
Codici eh' esarò la lenta mano;
Né la manca favella.
Né lo vegghiar maestrato,
O della patria nuncio il gir lontano;
Né il furor de' tumulti;
Né i lunghi dell' esigilo errori e affanni.
Ahi! sol troncati da precoce fato.
Cììè il genio uman sui vanni,
Ch'indi per te impennò, pur non féa cenno
Che l'arti dedalee
Seco levar volesse ai gran portenti
Ond'oggi han schiuso, quasi altrici dèe,
Agli agi ed al saver vie prima ignote.
Né lo Norimberghese avea sul Meno
Dotti a jmmillar papiri,
Né sull'Arno il Cennin disciolto il bronzo
Nelle tenaci note;
Prigionier non fremeva abile al freno
84 POESIE DI MILLE AUTORI
D'artificiose macchine ne' giri
Per Watt il fummo, si che poi degli atri
Vortici altier forzasse obedienti
A curvarsi a' suoi pie' lo spazio e il tempo;
E scusando i corsier, le vele e i venti
Uomini e cose a grado altrui lanciasse;
Non avea Morse audace
Dato le ali del fulmine al pensiero,
Perchè nuncio volasse
Tra il gemino emisfero;
Né dell'ingegno di Daguerre all'ago
Fatta pittrice per industre vetro,
D'ogni obbietto l'imago
In carta ritraèa fida e secura
Col pennel della luce essa natura.
Pur di te stesso mastro
Tutto sapesti, e instrutti
Pesti di tutto tutti;
Come lucente di suo proprio lume
Gli altri pianeti irraggia il massimo astro,
E ben s'adempie ornai la sesta etate
Dacché provvido il nume,
Quasi a dar di sua possa un nuovo saggio,
Dell'Arno in sulla riva,
Sacro vetusto vate.
Ti spirò la grand'alma: i tempi intanto
Feansi maturi e crebbero il retaggio
Del nuovo senno; alla tua fiamma accesi
Schiera di begl' ingegni in fama giunse,
Fama chiara, immortale;
Niun però la tua vinse.
Che ognun tolse da te, nessun t'aggiunse»
Si precorresti i nuovi di, che quale
D'intelletto o di man pur anco miri
A onorata fatica
S'inspira al tuo volume e si nutrica;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 85
Perocché non t'attempi,
Ma qualunque del mondo ospite plaga
.Ogni di più del nome tuo riempi;
E del tempo e dell' uom vinte le leggi,
Qual già da pria, gigante ancor torreggi.
k Fiorenza, all'Italia un tal portento
Largia benigno il cielo!
E la terra natal fatta madrigna
Dall'Amo il pinse? e lui niegò l'accento
Di là dal Mincio oligarchia superba?
Tacciasi... e denso un velo
I falli covra d'un' età maligna:
Secolari sventure
Assai ne fér lunga vendetta e acerba!
Sol nell'età future
I sovrani intelletti ebber mercede
De' nobili sudor: spiega, o gran padre.
Deh! spiega il sopracciglio irto e severo,
E a giocondo sorriso
Solvi il turgido labro! Oh! non invano
Di questa Italia il corpo egro e diviso
Congiunto festi e intiero
Col laccio della lingua; ed il retaggio
A lei lasciasti di virili affetti!
No, l'antico valor non più si langue
De' figli suoi ne' petti:
Nella polve e nel sangue
Degl'Insubri cimenti
L'abbominosa gonna
Or or spogliò d'ancella, e infra le genti
Siede reina e di provincie donna;
Siede reina e purché saggia il voglia
Mai più fia che il diadema altri le toglia.
Ma che? dal cor passaggio
S'apre alla fronte invida nube e vela
Della tua gioia il raggio?
86 POESIE DI MILLE AUTORI
E inquieto volgi il ciglio
Or al Tebro e or al Mincio e- poi sospiri ?
Dehl t'asserena! e mentre nell'abisso
Del suo consiglio a' nostri, a' tuoi desirì
Matura i suoi decreti il Re Superno,
Mira Fiorenza tua!
Oh! come di te altera
Le palpita per gioia il sen materno!
Come alla voce sua
Tutte rìspondon l'itale contrade
A celebrar festive
Del natale tuo di la sesta etade!
Più ch'onor d'inni e simulacri un'ara
La madre a te prepara;
E sovra ella vi scrive:
Cancellato è d'Agubbio il disonore;
Venerate l'altissimo Cantore.
Canto IL
A Dante gran cittadino.
Se le sue maraviglie il ciel ti schiuse.
Il ciel che pose mano
Pur con la terra al tuo poema sacro,
Onde vate tu sei primo e sovrano,
Padre delle moderne Ausonie Muse,
Norma a nostra favella,
Di virtù propugnacolo e radice
Di quel saver che il mondo rinnovella.
Assai già fora perchè a nullo eguale
Quant'esso duri e splenda
Glorioso il tuo nome ed immonale;
Assai già fora perchè Italia tutta
In un cor solo e in una voce unita
Sull'Arno a te devota
INTORNO A DAKTE ALIGHIERI. 87
S'inchini e al gionio plauda e renda onore
Che le prime bevesti aure di vita
Nella città del Fiore:
Tu la face le dasti ond'ella sparse
Nella restant* Europa aspra ed incolu
Luce di civiltà la terza volta.
Ma non fosti tu pure
Inclito cittadin? non ti circonda
La venerata chioma
Con la Penèa pur l'Àonia fronda?
E ti fruttò sventure l
AUor te veder parmi
Che balda gioventù t'ombreggia il mento
Se la patria t'appelli
A marzial cimento
Lassar li grati studi e cigner le armi;
E misto a' suoi drappelli,
Ahil la vita rischiando
Animoso guerriero,
Stretto nel pugno il brando,
Correr contra il nimico in Campaldino,
Finché domo si giaccia
L'orgoglio ghibellino;
O si d'ossidi'on premer Caprona
Che pallidi e tremanti
Tu veggia uscirne i patteggiati fanti.
Certo infausti si fùr que' di ch'esterne
Si diceano dagli avi
Le battaglie fraterne:
Empie si ben le feo l'emula possa
Del German scettro e delle somme chiavi,
Onde prima Lamagna
E Italia poi si fu partita e scossa:
In scellerata guerra
Ahi! rodersi l'un l'altro allor fu visto
Di quei che un muro ed una fossa serra.
88 POESIE DI MILLE AUTORI
Altre pugne sovente
Recar di forze acquisto;
E senza le civili armi fremente
La feudal tirannia
Entro alle brune rócche,
Qual pronta a furiar belva s'imbosca,
Minacciar oserìa
Da Monteorlandi ancor, da Montebuoni;
Né siederla sul chiaro Arno suprema
Fiorenza e capo della gente Tosca,
Ma fóran pur li suoi confin la Sieve,
Il Bisanzio, TOmbron, la Pesa e 1* Ema.
Italo sangue, è vero,
Versava itala mano;
Pur d*una madre istessa i figli sparsi
Insieme si mescèan, si che Tun l'altro
Raffigurasse; e con lavoro arcano
Giugnendosi in famiglie,
A poco a poco la romulea stirpe
Dal nordico furor già franta e oppressa
Riprendèa la coscienza di sé stessa.
Della patria orator tua voce udièno
E TArbia e il Trasimeno
E la Magra ed il Panaro e la Brenta,
E il Tebro a te fatale,
E due volte il Sebeto e sin là dove
Sotto Arturo aquilon più fiero assale:
Cosi gli stati amici
Ella per te servava ovver crescea;
Fea più miti i nimici;
Guerre, paci, confin, leghe curava,
E autorità prendea
Negl'itali consigli: entro sue mura
Chi poi non fora stato altier, chi tolto
Non avriasi ad onore, a gran ventura
A porre il fren nelle tue ferme mani
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 89
Della pubblica cosa?
Non eri tu d'Europa il primo lume?
Scuola non eri, esempio
Di severo costume?
Regnasti con quel regno
Che inconsapevolmente in sé rinviene
Qual di regnar per sovran spirto è degno:
E quando su cui nuncio al Tebro ir deggia
Dubio il concilio ondeggia
E a te fa cenno, oh! ben dir puoi se il dici:
S'io vo chi sta, s'io sto chi va? — Fu voce
Che spontaneo fuor trasse a te dal petto
Il conscio incomparabile intelletto.
E ben volvèasi allora
La patria in gran tempesta:
Del natio Stige iuora
Lorda le bende di fraterno sangue
Scuotèa del crine ogni angue
Pazza discordia suU'Ombron, sull'Arno;
Parti a parti opponeva ed ire ad ire
E tumulti a tumulti.
La perigliante nave
Tór vuoi con fermo vdire
E de* venti e dell'onde a' fieri insulti,
Prode nocchier ti slanci al suo governo.
La santa carità del natio loco,
Che t'arde il sen, frapponi
Tra quel furore alterno;
E con ogni argomento
Sudi a tentar se ad unità componi
Li scissi cor: mostri com' abbia il poco
Da concordia incremento;
E come cosa che pur grande sia
Per mala di vision ruini e péra:
Ed ohi qual rosso generoso sdegno
Il volto ti covrla.
90 POESIE DI MILLE AUTORI
Quando alta invocar da man straniera
D'emulo cittadin la voce udisti!
Il ribaldo disegno
Favoria Bonifazio;
Ed occultava insidiosa rete
Ch' una tendèa dell' altra parte a strazio :
La morte pria, gridasti, e fia men danno
Che dar la patria ad un stranier tiranno!
Allor gisti al Tarpèo:
Ma innanzi a te già v' era il Franco Carlo;
V oro già v' era del mercato rèo
Che insiem col tuo comprava il patrio scempio.
Di Camil tu recavi e l'alma e il senno,
iMa non il ferro; invano
Forse del gran romano
Ti ricorse al pensier l'ardito esempio:
Non venia questa volta il nuovo Brenno
Oste feroce contra il Campidoglio,
Ma di città trafficator consorte
Con cui chiamoUo e asceso
Dalla nave di Pier sedèavi in soglio.
Lunga promessa con l'attender corto
Là ti blandisce e occulta
Insidie a te prepara;
Né tardi a farti accorto
Che vano è opporsi di tua patria al fato.
Pien di cruccio e dolor lasci fuggendo
La Babilonia avara:
AU'Arbia sosti; e quivi odi l'orrendo
Atto che fuor del beU'ovil ti serra;
Odi Carlo pacier non già, ma lupo
Là disfiorare il giglio
Dando nel sangue e nell'aver di piglio;
Odi della tua terra
La partigiana rabbia e la rapina,
Il servaggio, l'infamia e la ruina.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 91
Forse angoscioso pianto
Le gote allora ti solcò; ma il puro
Ànimo t'era usbergo.
Il qual ti rinfrancava e fèa securo:
Contra quello veder pur speri infranto
Il furor de' nimici,
E a te schiuso il natio tno dolce albergo
In di più riposati e più felici:
Oh! Sorga un prode, il cor ti grida, un prode
Eròe che le discordi
Di quest'umile Italia afflitte terre
In bella pace accordi
E con man forte insìem le giunga e annodel
Ma chi sarà? sei cerca
La Guelfa parte invano
Là dove Cristo tutto di si merca:
Forse uscirà dai cento
Esigui suoi signor? ma a cui consiglio
Manca o valore, a cui
Fortuna od ardimento;
A tutti possa. Oh! non v'è suso Iddio?
Del bel paese oblio
Fia mai cotanto in lui
Che Tabbominio non ne toglia o scemi ?
Profugo ed infelice
Erri con tai pensier di loco in loco
Entro Italia non pur ma là sui lidi
Della bellica Gallia e degli estremi
Britanni industri; e in quello
Ch' usa essendo Fortuna a mutar gioco
Attendi miglior fato e nel ciel fidi.
Usi co' saggi estrani,
Dottrine, leggi, e lor costumi apprendi,
Ma ricevi assai men di quel che rendi.
Sei sulla Senna, quando
Quel gran braccio di Dio, dal qual t'aspetti
92 POESIE DI MILLE AUTORI
L'italica salute.
Veder parti nel prode e miserando
Settimo Arrigo: ei le Alpi avea già sceso:
L'animo temperato e la virtude
Speme di men rea sorte oiFriano e pegno:
E si ne sei tu preso,
Sì di soave voluttà t'inonda,
Che già dell'ali all'ombra
Del sacro imperiai segno
Le latine città vedi in gioconda
Pace e francate e in un sol patto strette;
Vedi il sommo pastor dal Vaticano
Dar loro amica mano;
E gittato lo scettro, onde traligna.
Fido tornar cultore
Della mistica vigna;
De' padri tuoi vedi te reso al caro
Suol disiato e alla magion tranquilla:
D'este imagini al riso il cor ti brilla.
Ciò eh' alma ardente agogni
Parie che in man già tegna:
Indi è con tai si lusinghieri sogni
Che sul Pò voli: e in vèr per V ampia e grave
Di tua parola autorità, l' impresa
Con tutta lena aiti
Del sir di Lucemburgo
E n' hai del cor la chiave.
Ma, ohimè! valor che vai contra fortuna?
Amica ella rispose a' primi inviti;
Poscia il tergo gli porge, e pur congiura
Insiem con lei natura;
Nembo di guai sul capo suo s'aduna:
Strale di morte in suU'Ombrone il coglie,
Di che ministra è forse
Arcana man ch'atro venen gli porse;
E appo la Tosca Alfea
INTORXO A DANTE ALIGHIERI. 93
Pietosa un' urna accoglie
Del giovine signor la polve e insieme
Quella pur della tua defunta speme.
Cosi fato implacabile e maligno
De' tristi disinganni
Il nappo amaro a ber ti sforza e ride,
Ride e t'addita lacero e sanguigno,
Qual pria d'Italia il sen, qual pria furenti
I cento suoi tiranni,
Le risse fratricide;
La terra tua t'addita
Che pur di nuove codardie si brutta;
E in quel che niega a te, suo chiaro seme,
II grembo o a prezzo l'onor tuo ne pone,
AU'Angioin che il bel Sebèto preme
S'offre e coi stràn s'ausa a trescar putta.
Sospiri ed il ciel guati,
E dal ciel ti sorride il sommo Vero;
In lui fisi il pensiero.
Ed ei ti detta l' immortai volume,
Che t'assecura eterna
La gloria della h'ngua e delle muse:
Pieno cosi del nume
Che ti sostien la penna.
Tergi del pianto il ciglio,
Tempri il duol de* di rèi, del tristo esiglio.
Benedetta colei che in te s'incinse!
Fortunata Ravenna
Che di te serba le sant' ossa I l' ossa
Ch' all' itale vergogne
Sollevarsi parean, fremere e un fioco
Mandar suon di rampogne
Sino dall'ima fossa!
Le serba si; che vindice paura
Con sacrìlega mano invan le fura.
Ma, ohimè! perchè pur freme
94 POESIE DI MILLE AUTORI
Tua polve e par ne sgridi? ah! intendo incendoi
Mal genio v' ha che la novella speme
Turba tra noi di bell'età futura,
E del patrio riscatto
Contro l'opra santissima congiura.
Il Novarese lutto
Che la speme d'allor mutava in sogno
E la palma in cipresso;
E d'obbrobrio novel, di nuovo pianto
Per due lustri recò Tamaro frutto.
Opra fu di lui stesso.
Egli è il demone antico
Dell'itale discordie a far inteso
L'ultime prove: e il gelo
Ora infonde ne* cor d'odio nimico;
Or li sommuove ed arde
Con fiamme inquiete di mal dritto zelo.
Indi vario d' intento e di bandiera
Vedi gemino stuol che ne' perigli
Della patria si mesce;
Concitator di civici scompigli
L'uno all'altro attergato insiem si schiera;
Ed ahi ! gì' inciampi accresce
Che r Europa gelosa
Pone all'arduo cammino,
Onde Italia al suo volge alto destino.
Su popolo diviso e fatto armento
Per tór sua parte del lanoso vello
L'uno i re senza libertà disia;
Di plebi assentator, benché non spregi
Regal paludamento.
Libertà senza i re T altro vorria:
S'odian tra lor; ma in quei turpe vaghezza
Di vassallaggio, in questi
Insaturato ardor di sovrastanza
Verso regio potere il qual s' innesti
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 95
A liberi instituti
Fan comun pur tra lor la nimistanza,
Però nel demolir si dan la mano:
E il tribunizio coro udrai far eco
Sovente all'imprecar garrulo e insano
Del tralignato ed a' tiranni accetto
Consorzio di Loiòla.
Appo Tetà bollente e il vulgo cieco
Dell'ingegno non pur, della parola.
Ma della libertà per lor s' abusa ;
Contro qual regga la sbattuta nave
Di fortunoso mar nel duro corso
Scoccan dall'arco teso
Di quotidiana accusa
Strai feritor con venenoso morso;
Dalla cortina che vilti gli ha steso
Fa plauso l'un, se di precoci pugne
L' impaà'ente ardor 1' altro importuno
Lusingando fomenti,
E al migliore de' re rapir s' attenti
L'arbitrio della guerra e della pace;
Ciascuno artatamente
Del ben si passa e il tace,
L'errore aggrava se talor noi mente;
E l'uso rèo qua e là seguaci trova.
Immemori che al par di lubriche onde
Passan uomini, editti: e altri corregge
Più cauto qual di lor fé' mala prova;
Che d' ogni cosa in cima
Star dee la patria e che suprema è legge
La sua salvezza; e tutto di premendo
L'affannato nocchier spinto è a periglio
Di naufragio esizial pur il naviglio.
E nelle stragi Polonesi e al crollo
Della Danese monarchia s'abbraccia
Torva e cruenta in nodo trin la possa
96 POESIE DI MILLE AUTORI
Nordica, e qual sia collo
Di popol fier di libertà minaccia!
E l'Europa su noi le luci ha fisse!
E il sir d' Ausburgo eh' anelante aspetta
Che dell'itale risse
11 perpetuo mal vezzo
La via gli spiani amico
Deirinsubria perduta a tór vendetta
E ride e spera! e con lui spera e ride
Qual v'ha codardo a franco spir nimico!
È supremo il momento! e se per armi
Vittrici in paventose erculee sfide
Drizzò le vele V itala franchezza.
Scorgerla a riva dènno
L' unità de' voler che fa fortezza,
Nuove armi ancor se fia mestier; ma quelle
Non già che a lutto impeto cieco muove,
Ma spiator d'occasione il civil senno
A gloriose prove.
È supremo il momento! e od ora o mai
Già forse scrive in adamante il fato!
Italia non lattò qual d'odii seme
Sparga in sua via perch'ella mieta guai;
Oh! si l'opre a' nata! fanno il processo;
Ei mente il sangue! e d'Aleman soldato
Lui generò la madre
In adultero amplesso!
No ? deh ! per Dio ne porga il più bel segno
Volgendo a pace con la man l'ingegno.
Italia, o mio sospiro
Sin dall'età ch'io fea cavai di canna,
Ben a ragion m'adiro:
Se molti t' hanno in sommo della bocca
Ahi! che v'ha pure chi t'insidia e inganna,
E di fiel partigian tra l' ire cupe
Voti empii cova!... lui perdona! è folle.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 97
Popolo è chi ama e pensa; il resto è volgo;
A quel ti strigni e nel supremo fida
Moderatore degli umani eventi
Che pietoso t'estolle,
E ornai più non sostien discissa e curva
Lei che die* freno e luce ali* altre genti.
Quand* auspice all'impresa è il giusto etemo
Che temi alma virago?
Oh! pria tu torni al mondo
Nuova favola e scherno
Andrà in fiamme 1* Europa; e Catta fia
Di sangue orrido lago:
Pugnerem finché un braccio avremo e un petto;
E l'italo poeta
Pien del nume, se a lui falliran Tarmi,
Di fulmini tremendi armerà i carmi.
Nuovi raggi dal ciel piove tua stella:
Che s*or t'affanna il gemino lavoro.
Onde sudando allacci
Di tue belle provincie ogni sorella
E solvi te dai lacci,
Soffri per poco ancora!
Meglio è penar per surgere a grandezza.
Che penar per servir; né <i nella aggiugne
Chi forte non s'avvezza
A sfidare gli ostacoli e i perigli.
Ansie, oro e sangue sempre
Di libertà fÙr prezzo; e da sue pugne
Popolo esci trionfante
Provvido ne' consigli
E nei proposti unanime e costante.
L'oro! se o patria il chiedi, oh! non sospiri
Qual sia ritroso e scarso
Per natura taccagna:
Pensi a quel che coi ceppi e coi martiri
Entro lor tetto istesso
Obl Balio. Voi. .KIV. 7
98 POESIE DI MILLE AUTORI
Carpiva agli avi il fier ladron di Spagna:
Miseri! se le insolite ritorte
Frangèan 'violenti, di balcon pel vano
O di cisterna tra le fauci spesso
Fuggian lo scempio con ultronea morte!
Soffri per poco ancora!
Né fia di tempo guari
Ch'assista tra' duo mari,
Tra tue provincie e tra le cento illustri
Cittadi tue farai di te signora
E quetata e felice.
Che se pur or dell'altre genti ai desco
Non ignobile seggio aver ti lice,
Te allor quelle vedranno alta reina
Spirar l'antica maestà Latina.
Ed oh ! pur fia che dagli error de' padri.
Fecondi a noi di lunghi
Secoli ontosi ed adri,
Togliam consiglio a non turbar la pace
Del tuo sepolcro, altissimo poeta.
Or che benigni pare
Che ne arridano i cieli!
È ver che di duo rare
Gemme pur non rifulge il regal serto.
Che premio pari al merto
Ausonia dianzi ai marzii allori appose
Di quel suo sir ch'ai piede
Dell'alpina muraglia
Tien sull'elsa la man; nuovo di fede
Miracolo nel soglio, e di valore
Ne' campi di battaglia:
Ma in brevi soli grandi cose oprammo
Che securo son pegno, ove il dolore
Qualcosa insegni, e muta
Non sia per noi la storia.
Che intiera sui nimici avrem vittoria.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 99
Vittoria avrem se della patria all'ara
L'ardore vaglia a che niun'alma sia
Di sacrifici avara;
Ma lo infreni prudenza
Che il voler col poter cauta misura,
Edotta da esperienza
Che qual più faccia che non può, mai dura:
Vittoria avrem se da' fatali eventi
Fia ch'attender sappiam l'ora prescritta
Agli estremi cimenti:
E suonerà sol quando
Il magnanimo Re premendo il dorso
Del suo destrier spumante
Balenar faccia il formidabil brando
E gridi all'armi, all'armi!
Deh! il desiato istante
Tutti concordi in un voler ne trovi.
Se cari della patria a noi pur sièno
La salute e l'onor! se allori nuovi
Mieter ne caglia ed al fraterno seno
Strigner francate dell'indegna soma
L'Adriaca donna e Roma!
Allora i lunghi voti
Verranno intieri o magno ; e a' chiari fatti
Di rintemprati e liberi nepoti
In guerra prodi e in cìvil senno adulti
Fia che di gioia la tua polve esulti.
Canto III.
A Dante sommo politico.
Divo cantore, all' inspirato accento
Questa innanzi al creato umile aiuòla
Ti falHa d'argomento;
lOO POESIE DI MILLE AUTORI
Vista tu lei d'ogni giustizia vuota
Ti drizzasti all'eterna:
Ti dileguasti... e per l'eteree vie,
Aquila del pensiero
Alto librata sulle intrepide ale,
Il voi t'apristi alla magion superna
Per pascere il disio nel primo Vero
Trasumanando; e il bello stil ne avesti
A ritrarre del giubilo immortale
Le sante danze e l' armonie celesti ;
Ma se t'è dato della Fé pel trino
Mistico regno entro al caduco velo
Disserrarti il camino,
E farti remeabili il doglioso
Cupo abisso e il festante ultimo cielo,
Forse la patria scordi? ohi che né il pianto
De' rei spini eternai, né degli eletti
Che si quetano in Dio
L'ebbra letizia ch'ogni dire avanza;
Né de* manco perfetti.
Che tergonsi, la medica speranza
Si rapiscon te a te, che in vel d'oblio
Non pur tu cinga tanto o quanto il vago
Diletto loco dell'età tua prima;
Ma ch'ei non stia de' tuoi pensieri in cima»
Se non che seco lui vi sta la vera
Tua patria, Italia: e pure
Solo nel nome e nei confini eli' era;
Nelle grandi memorie
Di sue vetuste glorie;
E in quel, che si di Dio bella fattura
Quasi vagheggiar sembra.
Sorriso di natura.
Iperboreo furor ladro e cruento
Già v'avea tutto spento.
Sin l'idioma: l'arbore gentile.
INTORNO A DANTE ALIGHILRI. lOI
Di che il gran Franco deponeavi il seme,
Nuovo sangue rigava; e tristo e umile
Quasi s'inaridia nella radice.
Ben non veniale manco
Di ferì drudi amplesso
Ch*alla lor volta trafiggeanle il fianco,
Non che la fésser una e di sé donna:
Or v'ostò lor perfidia o codardia.
Or trama scellerata
Di torbidi vassalli, or gelosia
Sacerdotale: e voi
O del Friuli e d'Ivrea mal fausti siri,
Perch'ella s'abbia poi
Di strania signoria più facil carco
E me' si dolga e piagna,
Di Teodolinda la corona e il varco
Di lei cedevi temerarii e vili
Ai scettrati che in fren tenean Lamagna!
Ma vi spegnea, l'un di Bamberga l'onta,
L' altro il pugnai del traditor Flamberto ;
Supplicio a voi del vilipeso serto.
Disciolta in cento e cento emuli Stati
E ognun per chiesa o per imper partito,
Sbattuta infra tirannide e licenza.
In tanti e varii fati
Ahil ch'ella avea smarrito
Di sé la coscienza!
Quasi parea Fortuna
Cui patria il suol si fosse ov'ebbe cuna.
Figlia si ben di naturai difesa
Trai superbi ottimati e i mesti schiavi
S'era levata e fronte omai tenéa
La comunal franchezza
Desta e vital che il vero popol féa.
Tanto per lei s'accese
II culto alla città, che in tale artezza
102 POESIE DI MILLE AUTORI
Portenti a oprar bastò; bastò pur anco
Varie a strignerne in patto e a fare schermo
Contra il Teutòn che le ribelli assalta;
E di Pontida il giuro
Pria Legnan partorì, di poi Fossalta.
Emulatrici del valore Elleno,
Oh! perchè d'allacciar l'itale membra
A voi pur venne meno
Voglia e vigor? solo vi féa consorti
Il comune periglio ;
Volgevi poi contro voi stessi le armi
Ahi! per fraterne morti
Sovente il patrio suolo a far vermiglio;
Pronto un regolo allor stendeavi 1' ugne :
La man ch'ai sacro labaro raccolte
Vi spigneva alle pugne,
Si ritraea, quando da voi percossa
L'oste alemanna ella crescea sua possa.
E la crebbe; e uno scettro assidua strinse
E dei scettri dispose
Ed a* regi imperò; se invan s'accinse
A unir quel di Ruggiero, a sé il suppose :
Poi che di lei maggiori
Davanlo i fari ai sir di Svevia, esperta
Si protese al di fuori,
E al Ligeri fé' cenno
Invocator d'un Brenno;
Avido le rispose e a preda corse
Lo scaltrito Angioino; al fero cozzo
Delle Franco-guelfe armi.
Cui perfidia sovvien, spegneasi doma
La possa Sveva là nel sanguinoso
Pian di Grandella e in quel di Tagliacozzo,
Ed era sazia Roma :
Se non che un giorno il fier Salernitano
Di bronzi a Monreale
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I03
Squillo a pia prece muta in suon di guerra;
Fatto è di sangue un laco il suol Sicano
Ove annegando il Franco ardir s'atterra;
Ed il sir d'Aragona,
De* Svevi dritti erede, al capo adatta
La sicula corona:
Allora a nuovo appello, e pur a nuove
Giostre di sangue non d' altr' armi instrutto,
Fuor la lancia di Giuda, ecco il Valesio
Che dalla Senna muove
Cosi non mai più bella
Sul Vatican splendea la guelfa stella!
Che ne incontrò ? non colse Italia i fruiti
Del patto di Costanza;
A lei non fé' difesa
Né r ombra dell' imper né della chiesa;
Anzi crebberne i lutti;
E rodeala abbastanza
L' idra delle discordie!
Cosi fugace e rara
Libertà senza patria; ebbra licenza
Scusar sovente libertade; un solo
Signor schivar per obbedire a cento;
Or sete di tiranno, or civil gara
Imporporar di sangue nostro il suolo;
Fiamme, rapine, dura
In ciascuno incertezza
Della sua sepoltura;
Ed a crescere i danni, i pianti e Tonte
Aperto il seno alle nefande tresche
De' predon d* oltramonte :
Ecco per parteggiar sotto qual pondo
Di guai gemea chi s' ebbe servo il mondo.
Tu il vedesti ; e ten dolse.
Della capace mente
Nel profondo consiglio,
104 POESIE DI MILLE AUTORI
Non pur V ostcl che i tuoi vagiti accolse
E questa bella ancor benché gemente,
Ma tutta a te 1' umanitade abbracci:
Di Dio lo spirto t* agita ; e t' accorgi
Ch* a gran fin ti plasmava e a quello miri.
L* animo al bene naturato estimi ;
Pur r occhio ovunque giri
Natura vinta dal costume scorgi;
Errante opinion torcere ognora
I giudici! dell' uom; spegner virtude:
Indi scommettitrici opere bieche
Di gallanti superbie,
Di cupidigie cieche
E di codarde invidie;
II trino mostro macular non rado
Sino il triregno e chi ricinto n* era
Aver già rotto il guado
Di Cristo a camminar fuor del vestigio,
Usando la sua sposa
D'oro ad acquisto ed a mondan fastigio:
Indi venir segnacolo in vessillo
Battezzati a ferir di Pier le chiavi,
Fatti per division mal franchi o schiavi.
Però volgi ogni cura
Alla essiccata pianta.
Di che depose il seme il magno Carlo.
Se combattè ventura
D' alta possa di re laudabil voglia.
Vuoi eh* or lei quella vinca
Del tuo grande intelletto;
Vuoi che per te ralligni
Queir arbore negletto,
Rinverda e in copia germini di frondi
Per dar frutti durevoli e benigni;
Che lo tuo bel paese
Se ne nutrichi, e dall' umil suo fondo
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. IO5
Surga in fra i regni a ripigliar bel seggio,
E pur per lui torni gentile il mondo.
Se il libero comune
Il pensiero svegliò, tu lo accendesti
Con le fiamme celesti
Del tuo divino ingegno
E per te trionfò nel gran disegno.
Ancor tenéalo avvolto
Ombroso vel d* errori :
Luce del vero il franga, a te dicesti,
E disnebbiato e cólto
Per sapienza e virtù quegli ristori
Di ragion V impero :
E poi che tutto accogli
Il savér de* tuoi di con quanto il crebbe
Tuo genio creator, largo ten fai
Ad altrui dispensiero.
Oltracotati orgogli,
Soggiugnesti, avarizie insaturabili.
Livori, ipocrisie spargono a prova
Cotale un seme ond* è ricolta messe
D'obbrobrii e di pressure ahil lacrimabili:
Là poi sul Tebro avara lupa cova
Che lo dispensa; e ciò convien che accada
Dacché bibulo ardor di terra e peltro
Insiem col pastoral giunto ha la spada:
Io ben sarò lo veltro
A cacciarla di nido; e agli adultèri
Torrò di Cristo la sacrata sposa
Si che la fé, qual pria, candida impeti
Sui disfrenati affettL
SI teco parli; e a revocare inteso
A disciplina Y uman cor, la voce
Alto tu levi austero
Banditor di virtù che in cielo ha premio ;
Se fia da te sorpreso
I06 POESIE DI MILLE AUTORI
Capo a mal fare auso, allor feroce
Su lui piombi e terribile
Con strali eterni il folgoreggi, e lanci
Sua polve a infamia nelle inferne bolgie:
Né della sacra bil trattien lo sfogo
O diadema o tiara; e non paventi
Né di Crescenzio la recisa testa,
Né del Bresciano cenobita il rogo;
Anzi viepiù tremendo
Là giugne il suono delle tue rampogne
Dove a' falli splendor cresce vergogne.
Cosi tu in notte fiammeggiante face
Allumi gl'intelletti,
Ardi i vizii rubelli,
Nobili accendi affetti;
Tra assordanti furori invochi pace
Sui divisi fratelli;
Vuoi che la pia parola ad essi scenda
Ancor dal Quirinale,
Di grido in vece che città scommette
Per vanità regale;
Che iniziator d' ammenda
Di pubblico costume, il pastor sommo
Volga i pensieri solo a Nazarette,
E delle chiavi pago
Porga del divo archetipo V imago ;
Per te s'instauri il regno
Di ragion, di giustizia; e auspici sièno
A viver mansueto e d' uom più degno,
E al ristoro d' Italia;
Tal che le sue provincie un patto leghi
E in sola si componga una famiglia.
Che se nel nuovo e manco
Parlar materno é screzio e vii mondiglia.
Lo appuri, accresci e freni e fai che spieghi
Ciascuno i suoi pensier dall'Alpi al mare
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. IO7
Con solo un idioma; e alle silenti
Muse dei Lazio il vergine linguaggio
Sposi con carme che non ha paraggio.
Ma se i difformi suon ridur potesti
A beir accordo, e del sermon col nodo
Lo primo autor ti fèsti
Dell' itala unità, quale speranza
Di recarla negli animi e in qual modo?
Vinceva il rèo costume
Ogni nobile intento:
Di sapienza il seme
Frutta a' tardi nepoti; e si talora
Inclemenza di fato un popol preme.
Che a rilevarlo è vano ogni argomento
Senz' aita di fuora.
La maestà pensavi
Del prisco imper Latino e il magno Franco
Che il ristor ne tentò; già per retaggio
Trasmesso n* era il simulacro e il nome
Ne* regi di Lamagna; a' quai pur anco
Fatto avean di lor scettro
I Berengarii omaggio :
II pian pensavi e d* altra etade i rari
Convegni di Roncaglia,
Dove il Germano sire
Solo a giustizia e a pace
Scender paréa dall'Alpi, e non tra Y ire,
Qual dopo, ed a battaglia:
Forse colà pur non porgèan figura
Di solo un corpo V itale contrade ?
Se de' duo Federici il fero sdegno
Indi a crudel pressura
Fece le Insubri segno,
Forse noi provocàro
Quando a ribelli col tener per chiesa
Contra lor s'atteggiàro ?
I08 POESIE DI MILLE AUTORI
Non è questo giardin vie più diserto
Dacché il fren gli fallia
Di Ridolfo e d'Alberto ?
È libertade forse
Partigian reggimento
Ch' a licenza trapassa o tirannia ?
Fora assai me' di questa
Libertà senza patria ohi si una patria
Senza la libertà ! eh' a un popol viene
Il di che infrangerà le sue catene.
In mezzo a tai pensier quasi vorresti
Recar quaggiù la stabile armonia
Delle sfere celesti.
Neil' impèr, nella chiesa
Scorgi duo soli che la doppia via
E del mondo e di Dio rischiarar dénno.
Purché pago ciascun del suo splendore
Non faccia 1' uno a quel dell' altro offesa.
Poter moderatore
Al monarcato imperiai concedi
Ove a scienza si sposi ed a virtute;
E del suo segno all'ombra Italia, Europa
In tua sentenza credi
Volgere a libertà, pace e salute;
Forse quasi il vedesti, ed ahi! fu sogno,
AUor che apparve appena e dispario
Arrigo sventurato al par che saggio.
Ma amor di libertà, forte bisogno
Dell' alme grandi, féo che tutte e in tutti
Le tirannidi odiassi e le discordie.
Che son ponte a servaggio:
Ohi ben tu fésti da te stesso parte!
Guelfo non fosti o ghibellin; si bene
Col tuo gran core e col tuo spir sovrano,
Qual consentianlo i di, fosti Italiano.
Solo veggente in secol duro e losco
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. IO9
Additar la via dritta ahi! che ti giova
A insana turba che smarrirsi vuole
Tra gli errori e gli orror d' ispido bosco ?
Miuno allor ti comprese :
Al tuo disegno diniegàr la prova
I ciechi fati; che a lui dar colore
Atta in altrui fallio
La voglia od il valore;
Se pur zel di cittade o la superba
Febbre del Tebro o i rèi di morte assalti
Sovra lo buon voler non féan soverchio;
Talché mai sempre all' almo popol manchi
Valida man che il franchi,
II raccoglia ed esalti.
O Faggiolàn che T oste guelfa al Serchio
E alla Nievole domi,
Forse alla patria miri?
Pel gemino trionfo ebbro ti posi,
A tirannide aspiri;
Ed ira popolar ti fuga e serba
Solo a giorni dogliosi.
E a te venusto, auricrinito e forte
Lucense eròe, terror d' Etruria, invano
Le armate schiere dall' avaro scórte
Soldato Catalano
Ansia oppose Fiorenza:
Ma ti vinse con le arti; e l'immaturo
Fato t' apparecchiò che in te spegnéa
La mente e il braccio, onde quantunque vile
Quasi del Caorsin vincer parea
Il Bavaro le insidie e tórsi il freno
Di tutta Italia : all' arti
Stesse venia pur meno
La fortuna da pria si amica al vago
Mobile avvcnturier Boèmo sire,
Che muta in ór ciò che non tien l'ardire.
POESIE DI MILLE AUTORI
Già il Bavaro monarca
Fatto avea dotti di Danoia i lupi
A valicar le rupi
Dell'Alpi istrutti d'armi men che d'arca
Per colmarne lo vano.
L'altro Boèmo il sa che re da chierca
Di colà scende, quale
•Tutto a denajo inteso a fiera merca;
Né il vii figlino], se troppo all' epa indulge,
Ingorgo è però manco
Di quel che suona e fulge:
Poi Sigismondo e Federico al paro
Dei vani fi-egi il folle altrui talento
Traffichin per dar esca al petto avaro.
E il guardian della fede? ahimè! s* adima
Infranciosato sulla Sorga; e quivi
Se appari in sette deche
Qual di desio ne ha lima
L' arti di regno bieche
Il porporato Ispàn saggia, ma è nulla
Verso lo Ginevrino; e men piagnesti
AUor per te o Lamon, che il Savio in rosso
Colorato vedesti.
Si reduce al Tarpèo
Lo pescator si scorge!
E sanguinante a stranio giogo alterno
Partenope infelice ahi ! se n' accorge.
Gli ultimi tuoi roman potrai vederli
Tu, o padre Tiberino,
De' muri d'Adrian pesoli a' merli;
E al mare affretterai gli ondosi giri:
Con le onorate gesta
Ordine lungo di chiercuti siri
Poi ti fia chiar, che non indarno surse
Mastro all' augusta usar sposa di Cristo
Al ben de' prossiman lo quarto Sisto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. Ili
Con altra scuola di sul Pò la biscia,
Perch' ogni italo borgo abbia un tiranno,
Fa qual superbo instrutto
Come a dorato scanno
Per pugnale o venen ratto si striscia:
Se tremante vi siede, al popol toglia
Le armi e ne sprema 1' ór che strani! pasca
Bracchi a far schermo alla mal fida soglia.
Ecco r alma figliuola
Dì Quirin fatta imbelle un' altra volta ;
Se acciar, che vomer fu, mutato in scettro
Pur non le mostri il prò* da Cotignòla!
Entro a* remoti stagni
Libera senza libertà sei vòlta
Verso r Indico mare a far guadagni»
D'Adria o reina; e che non soffri eguale
Sallo a signore alterno in braccio spinta
La Ligure rivale.
Laude a te sia che della tua lacuna
Esci air Isonzo armata onde noi varchi
L' empio vessil della falcata luna.
Ma del Sebèto è poco a fare scempio
L'infamia di Granata, ahil se pur quella
Di Cambray sul tuo capo atra non scarchi
Esizial procella:
Qual già nel muro al rege Assir, si trina
Lagrimabile nota
Somma la storia della tua ruina;
Tingi in sangue la penna
E Cambray scrivi, Campoformio e Vienna.
S' onde in sua man Y italo fren raccoglia
D' Arno la donna ha troppo corta lancia,
Perch* altri non soverchi e non sei toglia
S' armerà di bilancia :
Ma all'urto orrendo di straniere spade.
Che a stragi spigne con assidua vice
112 POESIE DI MILLE AUTORI
D' Óre e di regno fame,
Infranta a* pie le cade;
E di sua libertà l'ultimo giorno
Segna di Barcellona il patto infame.
Se TAusburghese Carlo
Di belve stuol pel fellon Franco snida
Contro r alma città ; se V aere echeggia
Di disperate strida;
Se la pallide gote
La mal polluta vergine d' amare
Stille solcando il crine e il sen danneggia;
O la sacra testudine risponde
Del pio levita alle ululanti note
A pie* riverso del nudato altare,
Che ti cale o Clemente?
Con sacrileghe labbia
Dello stranier possente
Sulla superba fronte un bacio imprimi;
E contra il suol natale
Volgi r Ispana e la Tedesca rabbia;
Già il preme un tuo ribaldo e che mal nacque :
Pier non pescò per fermo in cotest' acque!
Ahimè! che valse di provincia zelo
D'armi ad ogni balen con occhio sveglio
Librar in lance a pelo
L* itale posse ed osteggiar qual guati
Oltre il confin ? non era forse meglio
Abbracciarsi sorelle,
O Brenta ed Arno e Tebro,
Dar tributo al Volturno o all' Eridàno,
Che il latin suol tener diviso e schiuso
Air avaro e inumano
Predón tratto di Senna e d* Istro e d*Ebro?
A lunghe tresche sanguinose e oscene,
A nefandi mercati
Ei vien pur troppo, ei viene;
INTORNO A DANTE ALIGHIERL II3
E come s* ei non basti, i patrìi gioghi
Lascia a seguirlo e il gregge, e a cui maggiore
Gli offire mercè la vita infido vende
L'Elvetico pastore.
Del tergemino serto redimito
L* impeto di Savona, è buon, se brama
De* barbari la fuga ;
Ma il dosso ond' agli un miri altri ne chiama:
Poi verrà 1* uno e l'altro Fiorentino
Ai turpi amplessi; e fia maturo allora
Degl' italici popoli il destino.
La donna de* duo mar se dubbia geme
A qual stranio signor si curvi ancella,
Il suono, il morso, il pondo
Delle ferree d*Ausburgo indegne anella
Col trarlo un mesto lagno ahimè I dal seno
Certa ne fan la sciagurata appieno.
E tu, o fatale vate,
A* secolari suoi crudi martiri
Oh! quante oh! quante fiate
Sovra il tuo sacro avello
Ombra pensosa t' assidesti e acerbo
Dolor ti mosse il mantice a* sospiri !
Ed al grifagno augello
Maledicesti che a difesa le ale.
Non che spiegasse, a ber del sangue nostro
Gli artigli aperse e il rostro!
Ma omai t' allieta ! alla rapina tolto.
Palladio di salute.
Restava il tuo volume; e i lunghi aflFanni
Lo decifrar: surscro a poco poco
Dagli animati numeri
Lingue di sacro fuoco
Che i fiacchi petti ritemprò: di vanni
S'armò quindi il pensiere
Atti a voi si, da non temer V altezza
I>t^ Bauo. Voi. x:v. 8
114 POESIE DI MILLE AUTORI
Delle superne sfere:
Italia il diritto apprese a sua franchezza.
La bramò, la sperò; crebbe la speme
E fé divenne che di mille e mille
Ostie ricrebbe al sangue.
Tutt* arse in core delle sue faville
Lo strenuo sir dell'Alpi;
E se il suo brando invitto
or itali error corresse.
Della scettrata Francia ogni delitto
Nelle Lombarde gigantèe battaglie.
Onde in cumuli d' ossa ancor biancheggia
La redenta col sangue alma contrada,
D'Austerlitz espiò Y inclita spada.
Ve* sul Tarpèo la lupa,
Come in fremito cuba e si sgomenta
Vorando Y ira senza fine cupa!
Ve* 1* aquila bifronte
Come in suo cruccio agghiada
Pur tremebonda sulla non sua Brenta,
E verso i gioghi alpin volte ha le penne !
Oh! teco, Ausonia, è Dio! di nuovi eroi
Torni feconda altrice;
Di forti armi ti covri e tue si sono;
Gode ogni mare a tue velate antenne
Porger 1* azzurro pian; t' appresta il fato.
Dopo misere etadi, età felice,
E già t* assidi in trono.
SI, teco è Dio I fa* cuor nell' ardue prove !
Pel crin turrito ei nuove
T' intreccia di sua man lauree ghirlande;
Fa' cor! tu escirne dèi vittrice e grande.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 11$
Canto IV.
A Dante precursore dell' Italico rinnovamento.
Massimo raggio del saver di Dio
Terribile Alighiero,
E sacrarti altro canto è in me disio?
Deh ! perdona se inteso al gran subietto
Tento audace ampio mar che mal si varca
In piccioletta barca
Di remi e vele disarmata e ignuda.
Ogni encomio soverchi ! e appunto come
La diva sapienza creatrice
Te glorifican 1* opre e il chiaro nome :
Men poi per fermo lice
Con fiacche penne a umil palustre augello
All'altezza mirar dove fiammeggi
Della moderna gentilezza sole:
Che se di te favello
Or che all' anno centesmo che s' insesta
Il di primo a illumarci Ausonia cole,
Avvien perch' al tuo libro accesi T estro
E venero il maestro;
Né offerta sdegnan di sabèi profumi
Dal poverel di spirto ancora i numi.
Nel queto penetrale
Delle tue case, e nell' errante esiglio.
Tra gli estri sacri onde non più mortale
Altrui t* involi al mistico viaggio.
Mentre qual madre a figlio
Fama t* occorre e il crin d' allor ti cigne.
L'italo genio susciti e rallumi
Si che ovunque dipoi diffonda il raggio;
Di magnanimi affetti
Dar tempra studi a' pigri e rei costumi ;
nò POESIE DI MILLE AUTORI
De* fratel negl* irosi emuli petti
Fabbricar tenti un* ara
Al santo culto della patria; vuoi
Che non bordel ma di provincie donna
Risalutata sia madre d'eroi
Per concondia e valor fatta una e forte:
Che se ti falla il braccio.
Ne scorgi ad unitade
Le cento sue contrade
Dell'idioma gentil con Taureo laccio;
E del mondo a stupor la voce intanto
Levi a immortale incomparabil canto.
Qual di chi metta grido
Lontan lontan dal lido
Mentre irato il mar freme e romba il tuono»
Tal fu la voce appo gì' immemori avi
Di lor veggente; e con perpetua vice
O sott* aspro signor curvarsi ignavi,
O per discordi voglie
In ree pugne tra lor strinsero i brandi.
Della patria infelice
La sorte a por sulle contese spoglie
Cosi schiudeano il grembo
Alla libidin d' oltramonte: insana
Su lei versò di guerra
Orrido, lungo, ruinoso nembo;
Ne féo di sangue ogni sua gleba tinta;
L' oro ne trasse; e appena
Restòssi allor che in rigida catena
L' ebbe al soglio Austro-Ibèro umile avvinta.
Ma no; suo prò non fénne
La dura età, ma fioco
Della tua voce il suon sempre non venne:
Di Ubertà, di patria il sacro fuoco
Trovò talor degno di sé ricetto.
Ed infiammò più d'un egregio petto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. II 7
Fu volta è ver che stanco
Il popol parve appo tuo suol natale
Dell' agitato reggimento franco,
E commise a un signor li dritti e le armi.
O Fiorenza, o Fiorenza!
Come fu a te fatale
La stolta prova e nel Brèonio infinto
Di virtù la parvenza!
Ma s* ei fede non tien, se compra ed ebra
Plebe far vuol suppediano a scanno
Di feroce tiranno,
Assai gli fia per dieci lune Y arca
Dell* oro suggellato del Battista
Con ladre man far carca
E guazzarsi nel sangue.
Ecco il di vien, si vien sacro alla diva
Madre di lei che pura in Dio s'incinse!
Mentre sospetto a celebrarlo ei para
Ridda cruenta, all'armi, all'armi! viva,
Viva la libertà! ripete un grido;
E cresce in groppi e cresce
Turba che trino sacramento vome;
Volan sassi, urtan brandi, armi, bah'ste.
Valli il furor ministra: indi si mesce
Concorsa al fóro; e co' suoi cento e cento
Flutti di teste il tiene e regna; come
Riviera in rabbia le cui tumide onde
Con alto mormorio triplice varco
Aperto al rotto margo.
Nella fiumana a' campi ostil confonde.
Entro al palagio l'aborrita ièna
Freme e paventa ? oh ! lo mal tolto scettro
Infranga tosto se vuol salva appena
La vita abbominosa;
Altrui si celi occulta ; indi s' involi
Notturna pur, ma corra, fugga, voli.
Il8 POESIE DI MILLE AUTORI
Porger vedrai di nuovo Gracco imago
Sul mesto Campidoglio,
Verga gentil di picciola gramigna,
Cola di Rienzo del buon stato vago
Che il popol tór vorria
Dall'unghie fiere del patrizio orgoglio:
Che se gli son mercede
Faci alle case e crudi ferri al seno,
Pur novello tribuno avrà Pavia
Nella tunica avvolto
Che il decor di Tagaste a' suoi già diede;
Né fia di lui molto miglior la sorte;
Che lenta il corrà morte
Prigionier sulla Sesia: e allor che il fato
Al Viscontèo serpente
L' ultima indisse irreparabil' ora,
Se mal di nuova tirannia soffrente
Suo vessil non rialzò sull' Eridàno
La milanese libertà, per voi
Certo non addivenne, e assai v* onora,
O di Trivulzio e Bossio illustri spirti.
Di Cotta e Lampugnano.
Né fu per te, che tanto in cor ne fervi,
Stefan Porcari ardito ed infelice.
Se dal servo de' servi
U ultima sua scintilla
Venia sul Tebro in rio di sangue spenta:
Ma più fiate sul Pò non che sull'Arno,
Furibonda e cruenta
Contro la forza rea che la calpesta.
Di Bruto col pugnale alto protesta.
Vedrai Gentile che dal fren Sforzesco
A solver s' affatica
Di Liguria la donna;
Andrea Doria dipoi che la districa
Con fortuna miglior da quel Francesco:
INTORNO A DANTE ALIGHIERL II9
D* ardir civile riprodur gli esempii,
Onde conte suonar già Roma e Sparta,
Vedrai suirArno Pier Capponi, e in faccia
Della Galla protervia in manto avvolta
Carpir 1* ontosa carta
Perchè in brani dal suol vegna ricolta,
Del suon de* bronzi suoi con la minaccia;
E domo ei sol col nobile coraggio
Lo straniero insolente,
Della patria il decor salvar da oltraggio:
Il Ferrarese cenobita ardente
L' inspirata parola armar di strali
Contro la nuova Babilonia e contro
Qual per febbre di regno
Muti in servi gli eguali;
E far sua voce alla perìditante
Libertà fiorentina util sostegno:
Ma il coglie dell* Ispano
Disnor della tiara empia vendetta;
Orrida pira accesa e crepitante
Gli è morte e tomba; e lingue acri e voraci
AhiI miser lasso! ha per funeree faci.
Se i spirti in lei languenti
Con tra il Mediceo fren che la minaccia
Il caldo zel di lui ne raccendèa
Con le faville dei vibrati accenti.
Tuo forte braccio col fulmineo brando.
Che assiduo ruoti a sanguinosa caccia,
Ultimo le porgéa
Schermo ver TAustro-Ispane armate schiere
Di servitù foriere,
O invitto eròe di Gavinana: quivi
Neir inimico campo
Semini stragi e morti,
E spargi ove ferisci il sangue a rivi;
Filiberto si muor; le sue coòrti
120 POESIE DI MILLE AUTORI
Vòlte impennano Tali a' pie fugaci,
E quasi in pugno hai la vittoria: in questo
Novelle schiere sol per copia audaci
Premon le tue già dalla pugna stanche;
Mentre ardito le sproni
Con la voce e 1* esempio e le rinfranche,
E di spade a una selva il petto esponi,
Te cadavere ancide
L' infamia di Calabria ! e teco sparve»
Mercè del fraudolento perugino,
Libenà dal bel nido fiorentino.
Ricovrossi sull'Arbia; e qui pur anco
L' avida sete nel superbo Cosmo
D' ampliamento di regno
Trarràrla in brieve agli ultimi singhiozzi:
Se non che tu, prode guerrier che il Franco
Impeto in armi reggi ed hai sostegno,
O illustre Piero Strozzi,
Farai eh' appo la Chiana egli suU' egra
E morìente Vergine non abbia
Oh! nò, vittoria allegra.
Ma che? recisa da crudel bipenne
Sanguinante sul Pò balza una testai
Perchè cotanta rabbia
Su sé chiamò? come nomar si fèa?
Di qual error fu rea ?
Godi, di Cosmo e Carlo o coppia infesta!
Il difcnsor supremo
Delle temute libertadi Etrusche
Misero! s'irretla nel vostro giacchio!
Cadéa del capo scemo
Francesco Burlamacchio !
E orrida di servaggio tenebria
L* itala terra tutta, ohimè ! covria.
Ma s' ornai più non era
L' Italia franca e di sé stessa donna.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 121
Rimanèa, tua mercede,
L' Italia del pensiero e della mano.
De* chiari ingegni V onorata schiera
Del tuo gran senno erede,
Ond' ella duolsi men del giogo strano,
Chi noverar potria? ritrar di tutti
I pregi e V opre? ricantar di quali
Bèi peregrini frutti
L' alma pianta gentil per lor s' accrebbe ?
Dammi una penna delle tue grand' ali,
E molti al canto mio farò subietto:
Sebben ove di cento
Pur togliessi di lor novero eletto.
Ne frauderia forse ben altri mille
Che tu scaldasti con le tue faville.
L' italo genio antico
Al crollo immane del Latino impero
Sotto i ruderi suoi giacea sepulto.
Di hbenà tepido fiato amico
II ridestò; ma tu gli fosti sole,
A' cui raggi reddiva in possa adulto;
E tal toglièa rigoglio,
Che dal diletto ovil di San Giovanni
Suir altre Ausonie terre
Non pur, ma si dall' uno all' altro polo
Stese i robusti vanni
A benefico volo.
Auspice di novella gentilezza.
Né con le fosche sue mortifere ombre
A ridannarlo d* ogni vita a orbezza
Valse di servitù la mala pianta:
Quantunque assai gli nocque; e col suo tosco
Men pura e più sottil ne féo la vena.
Egli obliò suo fonte:
Allor falUo la lena
All' italiche muse; e ispanamente
122 POESIE DI MILLE AUTORI
Contigiate e bugiarde,
Né omai vergini più né d'alti affetti
Sacre madri ed attrici,
O si bear del canto fescennino,
0 di canore nughe, o più codarde
Si fér de* vizii illustri assentatrici ;
Quasi non fosse assai la patria ancella,
Di strani suon bruttar la sua favella.
Ma già chiamato avevi a te d' appresso
Di Sorga il cigno; e loco
Pari a que' duo concesso
Splendori di Ferrara e di Sorrento:
Retto avevi il terribile compasso
Ch* al ciel spinto incurvò, miracol d' arte.
Il sacro del tuo Fior titanio sasso;
Dato il trino portento
Onde va Vinci altier. Caprese, Urbino;
E di Ghiberto li spiranti bronzi;
E il rame effigiator per Finiguerra;
E il cesèl di Cellino:
D'Arno prodotto avevi il doppio onore,
Cui dotta penna e telescopio industre
Con magistero alterno
Féan si partisse, nuovo a dar stupore.
Della terra e del ciel quasi il governo:
1 duo de' mari sfidator che dièro
Un nuovo mondo al mondo;
L* assiduo Vignolese a niun secondo
Le memorie a indagar del tempio antico;
Il Platon dell' istoria illustre Vico.
Però fa' quetin l' ire
Che per gare di trono arma oltramonte,
E ragion raccesa dal tuo lume
Il ver propugnerà con nuovo ardire:
E il ver del buon, del bel sotto il sembiante
Ben fia suggello a quanto ingegno onora:
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I23
Al tuo divin volume
Ad inspirarsi torneranno allora
Gli Ausoni! vati, a ristorar tuo culto.
O tu ch'itala veste
Solerte dasti al Caledonio bardo;
O voi che chiari fèste
Alfonsina e Bosisio; o sofoclèa
Coppia illustre del Tanaro e dell'Arno;
O di Verona e Zante
Mutua luce e decoro;
Salve, o inteso a virile arte febèa
Venerabile coro!
Seco e per lei, duce Alighiero, quali
Studii Palla ebber mastra e Dedalo arti
D'Ausonia il genio si recò suU' ali
A stupefar l'età de' lor portenti
E si tempràro i petti a' nuovi eventi.
Già tra gemiti e gridi
Orrido il crine e dalle tórve luci
Ignee fiamme spirante.
Furibondo e terribile s' ergèa
Sui Sequanici lidi
Mostro eh' alto levato ostil coltello
D' atro sangue regal tinto e fumante
Rabbiosissimamente in man strignéa.
Era il feroce messaggier che ultrice
Delle colpe dei re Nemesi irata
Chiesto avea dal destin: con vari! affetti
Attonita e commossa Europa il guata.
De' monarchi la faccia
Bianca paura tigne;
E si tentano il crin con dubbie mani
A sicurar se la corona il cigne:
Levasi a nuova speme
L' umanità che geme.
Carco di merti ad una e di delitti
124 POESIE DI MILLE AUTORI
Al suon deir armi minacciose a' regi
Ei ne proclama i dritti:
Le guida italo eròe; di par col sole
Il mondo giran sue vittorie, e scala
Gli sono al soglio; a lui la Francia il trono.
Egli alla Francia offre la terra in dono.
E di sangue la tinse...
E sotto a* suoi passi guerrier paréa
Quasi crollar... ma il fato
Farsi servo ei tentava, e il fato il vinse.
Sparve... nuovo argomento
Ch'ogni mondan rumor non è che un fiato;
Sparve dinanzi alla regal Europa
Contra lui congiurata insin fu spento:
Lui che temuto in soglio
Visto avéa gli altri re chini e tremanti
Morte cogliéa prigion sovr* ermo scoglio.
O folgore di guerra
Avido di dominio eròe Cimèo,
Alla cupida etade,
Dell' ossa avite alla custode terra
Perchè l'armi posando ahi! tu non dasti,
E ne avevi il poter, la libertade?
Oh! quanti guai cessato avresti 1 forse
L* ira in scettro europèa eh' a tór vendetta
Fiera incontro t'insorse,
A te non avria dato e a noi catene;
Fora la tua memoria
Appo noi benedetta
E maggior la tua fama e la tua gloria.
Ti sia lieve la terra! in sé raccolto
Lo spir gagliardo li suoi falli scérsc;
Che r alme affina la sventura ; e molto
Sua scuola insegna : tra' tuoi falli ancora
La romana grandezza,
Che in te rifulse tanto. Ausonia onora:
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 12$
Se non ne ofirìsti che in balen franchezza
L' amor tu cen lasciavi ed il disio ;
Ed acciò la si merti e si procacci
A ruotar brandi ne addestravi i bracci.
Par fato eh' uman sangue il suol pria righi
U' di piantar si brighi
Il sacro suo vessillo!
Di quel del puro onor di Moncaliero
Il manto comital di S. Andrea
Pur gromma, e de' Boveàno e de' Boièro,
D'altri martiri ancor: Pagan, Cirillo,
Eleonora Fonsèca, eletti spirti,
E con lor mille e mille in mar mutàro
Orribilmente rosso,
Vezzeggiato dal ciel, dall' uom percosso
Il suol di San Gennaro:
Si che meglio che in murice ne tinse
Le talari sue lane, e fin le labbia
Neil' inferna riviera ancor sen lambe
La porporata calabrese rabbia.
L' ani mescersi al sangue !
Quando di lui la stella
Già rai mandava pallidi e languenti
Con la Gallica ancella
Puttaneggiàro i re: gran mastra n' era
L' avara lupa dell* Ercinia selva.
Che pavida non posa
Se a sbramarla di prede e di vendette
Non cinga il fioco lume ombra di morte.
All'egra che si sta dubbia e pensosa
Splendidamente menzognera astuta
Pur lusingando libenà promette;
Ma in armi ladre e in barbare ritorte
Ecco la fede muta
Putta spergiura; e all'infelice reca
Di nuova servitù quadrupla deca!
120 POESIE DI MILLE AUTORI
Sull*Istro SUO nel monarcal convegno
Cieca ed ebbra segnò la carta iniqua.
Onde un bran rìcarpla del bel paese
Che in settemplice stato era distinto:
Né r assoluto regno
Ivi bastòlle, se con ane obliqua
Soggettandone i re tutto non l'ebbe
Al proprio soglio avvinto.
Di fibertà paurosa
Ogni spir ne preméa;
Ma quant' oppresso più, tanto più crebbe.
Già n'eran commosse
L* altre genti d* Enropa: e che ? potéa
Non sentirne lo prò, Tuopo, il diritto
Colei che lor già fu madre e reina?
Che i natali a te die', cantor di Bice?
Scuola non era di ci vii dottrina
Air età nuova 1* immortai tuo scritto
E l'italo saver cui fu radice?
Ed a patir per lei non dasti esempio?
E lo apprendemmo! ahi! quanti
O la parola franca,
O lo sospetto giuro
In segreti convegni, o le armi occulte
O in lor man poste da pazienza stanca
Trassero a lungo affanno,
O i patri! lidi a far di lor vermigli 1
Sallo Spielberga e del Sebéto il sanno,
Della Dora, del Panaro e del Tebro
Le bipenni e le carceri che a* capi
E a' vincoli mancar, come agli esigli
Quasi falllo la terra:
Si lunga ed aspra fu l'iniqua guerra!
Se non che spesso avvenne
Che più d' un nobil spirto all' egra patria
Meglio di fuor eh* entro al suo sen sovvenne
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I27
Con più libera voce: oh! come quella
Suonò potente che levava austero
Dalla Schelda ospitale
L' alto Sabàudo sofol
Oh! come adombrar parve il suo pensiero
Accento di perdon eh' uscia pietoso
Di vetu al Quirinale!
Fu sogno... e questa è si l'ultima volta
Ch'a por fé nelle chiavi Ausom'a impara.
Ma onorarle pur può; che non volente
Féasi lor pio custode
Suscitator d'unanime riscossa.
La qual se di Custoza e di Novara
Ahi ! ne' campi fallia, V itala gente
Strìnse in tacito patto intomo al prode
Guerrìer dell' Alpi, e baciar fece all' aure
Il sospirato trìcolor stendardo.
Carlo Albcno infelice!...
Tra* manirì pur tu !... colà gittavi
Brando e corona; ed un pietoso sguardo
Al patrio suol volgendo esule andavi
Tutto di duol cruccioso il sen trafino.
Che ti spense al Duèro ^
Non manco di valor, ma ti vincea
Dell' oste mole in disugual conflitto
Con fraudi partigiane!
Ti placa, ombra onorau! il nome tuo
Negli Ausonii nefasti eterno mane:
L* evento nò, ma onore offre o vergogna
La cagion della guerra; e spesso gloria
Dà la sconntta, e infamia ha la vittoria.
Ti placa, ombra onorau!
Del nato al petto intrepido legavi
La tua vendetu e l'itilo riscatto;
Ed ei t' ha vendicata,
Rciiu è Italia, e fotte è cf armi e navi.
128 POESIE DI MILLE AUTORI
Pur di polve consperso
Sacramento ei ne féa
Ne' Novaresi campi, allor che il tuo
Brando baciò che pio vi raccogliéa.
Tra regoli spergiuri ei sol fé tenne
Al popol suo; dell'Alpi alle radici
Piantò securo il tricolor vessillo;
In aspetto decenne,
Prò facendosi all' alta ardita impresa
Del roman senno e cor d' altro Camillo,
Maturònne il disegno : ansio ed altero
Non d' altro onor se non eh' ei dir si possa
Di nostra libertà primo guerriero.
Ecco già la devota
Paterna spada forbe
E a' santi assalti onde ruotarla arruota:
De' clamidati il fulgido splendore
Ecco dell'altra sovvien lei magnanimo.
Che terribil redo dal vincitore
Di Vagria e d' Osterlizza.
Lor gemino valor se è scorta e sprone
All' armi italo-franche, e il generoso
Petto ognun de' duo prodi a gara espone;
Se dell' inesorabile di Nizza
L' impeto battagliero a lor s' aggiugne.
Che temi Italia ? ed Austria tu che speri ?
Ecco li tre guerrieri
D'uomini no, ma di giganti in pugne
I bellici portenti
Ben d' Arcolo iterare e di Marengo ;
E a Varese, a Marsala
Alle attonite genti
Mostrar pur vivo il gran valor Latino,
A Palestro, a Magenta, a Solferino.
Austria sei doma!... né ti galli speme
Che la triegua dell' armi in Villafranca
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I29
Ti sia ver noi di nuove fraudi seme:
Che se all' aquila Franca
L' inclito eroe di Senna
Colà prescrisse il voi, pensa che il grande
Vincer sa con la spada e con la penna.
A noi ci rese: e noi
Dal sacro suol sgombrammo ardimentosi
I satelliti tuoi.
E a che al settentrionale ultimo lembo
Ch* indi si volve al sol, pure il pie' posi.
Anzi eh' a noi lo renda,
Di miseri fratelli a fare scempio ?
Vinegia ornai gemma non è che splenda
Sul tuo diadema, ma ben irto sasso
Che sulla tua crucciosa fronte il grava:
Nostra sarà perchè Dio nostra fèlla
Ed impronta di Dio non si cancella.
E tu, o Tarpèo sacerdotal, che pense ?
Or or nel mar de' secoli V edace
Veglio il nono travolse:
Dacché lo Suanense
Cenobita indomabile per entro
Le teocratiche branche il mondo avvolse:
Pur schiera in febbre di terrena possa,
Che mentre ognor V umanità passeggia
Immobilmente sta,
Anch' oggidì vagheggia
La rócca di Canossa
E la quatriduana onta d'Arrigo:
In quel che di tai di restauro implora
II sacro capo suo la vacillante
Tergemina corona, ond' arta Italia
In acefalo corpo mal cavalca
E la fé le sue nevi incarna e plora.
Sul camauro si calca.
Sia re se il vuole o il dèe, ma non governi;
Dii Bauo. Voi. XIV. g
130 POESIE DI MILLE AUTORI
E si meglio assecuri a* suoi seguaci
Giuso i caduchi ben, lassù gli eterni.
O di balsami larga a' cori afflitti
Alma figlia di Dio!
Esser può mai che in guerra
Siano i tuoi santi dritti
Con quei pur sacri dell* Ausonia terra ?
Che se a te basta un'ara,
Al tuo custode fia mestier d' un soglio ?
Si che il sir ne respinga e gli dinieghi
D'assidersi al suo lato in Campidoglio?
Deh! solvi, solvi il divo
Tuo labro e fa' eh' al ciel donde scendesti
Accesa in fiamma una preghiera saglia,
Onde di pace olivo
Cessi l'aspra battaglia;
Di te, di libertà, che t* è sorella
S'intreccino le braccia; e l'una e l'altra
In vostra congiunzion splenda più bella:
Raggiante allor nel tuo natio candore
Avrai novello ahar de' tuoi nel core.
Fia tosto!... Intanto con serena e lieta
Fronte mira, oh! si mira.
Ombra del gran poeta,
Ne' di maturi ond'età nuova sorge
Lo stupendo spettacolo ch'ai mondo
Europa, ed all' Europa Italia porge.
Qual consenso di popoli! non sembra
Si tendano le braccia onde un sol nodo
Quasi li giunga in vivere fecondo
Di studii, arti e commerci?
Onde col giusto il vero
La forza rèa debelli,
E a lei strappando l'usurpato impero
Le sue di pianto e sangue orme cancelli?
Quale di genti e stirpi
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I3I
Coscienza, e della cara
Libenà cupidissimo disio!
Quanta d'ogni savér nobile gara!
Del genio invitto creator dell'arti
Quali a produr miracoli ardimenti!
Ei per doppiare d'apparato industre
Che vinto l' interval tra sé risponde,
In note accolti li pensier, gli accenti
Ad elettrico fil median commette;
E superate l'onde
Pur del vast'oceàno
Dall'un poi sino all'altro li trasmette;
E tu, dotto Casel, del traghettante
Fluido se pugna a indur volgi tue cure
Tra una ed altra corrente ov'egli scrive.
Col tuo gemino pendolo oscillante
Riprodurrai le note e le figure:
Muta il fumo in corsiere
Ed animoso auriga
Col pondo veicolar su cento ruote
Di ferrea stretto al fren gemina riga,
Che freme sibiloso e l'aer fende
Segnato in bruna vorticosa lista.
Fugge e fuggendo fuggitivo appare
Quanto a retro si lassa,
Vora lo spazio ed il camin conquista.
Varca onde, abissi, le Alpi bugia e passa;
Né guari andrà che a quanto
Da Suèsto s'oppone ampio terreno
Del refluo Nilo alla Pelusia foce
Squarciato e reso atto alle vele il seno,
E il Mediterreo mar con l'Eritrèo
Chiamato ad imenèo
Dal voler fermo di Lessèpio ardito,
T'avvicina, dirà, di Gange al lito.
E Italia!... oh! in brevi si giri di sole
132 POESIE DI MILLE AUTORI
Quanta d'eventi mole!...
Italia è donna di provincie e regna;
In ogni sua città più d'una pianta
Fiorisce in cui rivive
De' Roman prischi la semenza santa;
Ed a grandezza tornerà se i figli
Da esperienza instrutti
Malediranno a le fraterne gare,
Fonte perenne di servaggi e lutti.
In te stesso t'esalta, o nostra luce!
Del secolo gentile,
Di questo popol tuo che si rinnuova
Tu sei l'autore e duce.
Infra la prisca e nuova
Civil età terribilmente s'erge
Maestosa e severa in volto e in atto
Col capo tra le nubi
Tua immensurabil mistica figura:
T'ammira stupefatto
Della terra ogni popolo, e compreso
Di religiosa e tacita paura
S'inchina a te davante;
A te che la passata etade invadi,
La presente produci, la futura
Prepari; e nuovo Atlante
Sui grand'omeri tuoi sostieni il pondo
Della moderna civiltà del mondo.
Di studii a culto, a nesso ed a franchezza
Appellasti tu primo
Questa terra latina ita in bassezza
Col magister della comun parola.
Coi forti affetti e con li chiari esempi.
Con la sapiente scuola
Che instituisti e che die' si larga mèsse
Di discepoli e martiri: da sezzo
Quel gran ci ve indi uscia, ch'ahi! troppo presto
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I33
Duol dando a noi sacra più féa Superga,
Col guerriero alpigiano:
Poser ambi ogni lena al santo gesto,
Cogliendo alterni gloriose palme
Col valor del consiglio e della mano.
Ma, o magnanimo eroe, messo del cielo
Che sulla Senna pel diritto impèri
E pel senno sul mondo,
Fora Italia ciò eh* è se tu non eri ?
Che? se ne féa difetto
Del valor Franco e di tua spada il pondo
Potean nostr'armi dell'Austriaca possa
Sostener l'urto e vincer l'ardua prova?
E a noi francar non esponevi il petto ?
Oh! di quel grato cor non fia che muova
Suon di querela! i suoi confin dell'Alpi
Se alla Francia rendemmo
Lo imponea tuo dover; col nobil sangue
Dessa li riscattò; patto ne fémmo.
Ma giudici de' grandi
I posteri e la storia; ed ei ben sàllo,
O gran padre Alighiero,
Che nutrito a tue pagine immortali
V'attignèa freno al cor, nervo al pensiero;
Né a noi farà sua mano indi pur fallo:
E s'è di Dio voler che Italia sia.
Età più calma e pia
Di libertà sull'ara
Con auree note inciderà in avorio
Dante, Napoleon, Camil, Vittorio.'
Serraglio Serragli, avvocato fiorentino, scrisse molti versi d*oc-
casioae. Suo figlio vive in Firenze, ma da lui non ho potuto avere
notizie intomo a suo padre.
* Cbicti
▼erti cosi ti leggono in opuscolo stampato dal Cellini, in Firenze, nel i8($
134 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCIX.
Antonio Angeloni-Barbiani.
Poesie dantesche.
(14 maggio 1865).
I.
Dante.
A te I Magnifica e gentile | Firenze | Il veneziano Antonio An
geloni-Barbiani | Nel secentennio di genetliaco | Del tuo divin figlio |
Questi versi | Umilmente consacra e dona.
O del mio bel San Marco armoniose
Antiche squille, banditrici un tempo
Delle venete glorie, al vostro suono
Che il secentenne genetliaco giorno
De l'Alighier saluta, all'onde azzurre
Della laguna mia, che tanto adoro,
Ecco mi prostro umilemente in riva,
E la tenue sciogliendo aura vocale,
Che mi sospira in sen, commosso io grido
Ai figli di Venezia: «O miei fratelli,
« Onorate l'altissimo Poeta.
« Vagliami il lungo studio e il grande amore,
« Che m' ha fatto cercar lo tuo volume. »
O massimo d' Italia cittadino,
O d'ogni vate genitor, o vate
De' tempi tutti, o della nostra lingua
Autor sovrano : e quell'ardir mi valga.
Che a cantar la novella m'inspirava
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 13$
D' Italia poesia, le prime angosce
Del Redentor, del popolo i diritti.
E tu, Musa civil di nostra etade.
Col fulgor di tua fronte gli ampi! regni
Del passato m'illustra, e d'un tuo riso
Il carme infiora che intuonar m'attento.
Allor che Italia da quel ferreo sonno
Alla cui turpe vegghiavan quiete
Di barbari stranieri i torvi rai
E la propria ignoranza, si riscosse
E invan cercò sulla scomposta chioma
Sua regal corona, arse di sdegno,
Die' un alto grido e sui stupendi avanzi
Del suo gran trono in maestà si pose.
Al forte suon della materna voce,
I sacri a vendicar da la feudale
Prepotenza diritti e privilegi,
Sorgere in armi, generosi e belli
Di rude giovinezza i suoi Comuni
Tostamente fùr visti, e, insiem congiunti.
Di nazione a dignità poggiare.
Di nostra fede ai cenni, in Oriente
Volar festosi a insanguinare i brandi;
E giù dall'Alpi intanto quel feroce
Scendea Fedrigo, che d'Italia i danni
Tra sé volvendo, in lei di libertade
Mirò in vece spuntar l'età primiera.
Ma in Benevento ed in Augusta un giorno
L'itala Storia, immerso in tetro lago
D'italo sangue il calamo, ai beffardi
Angioini imprecava, e di Legnano
In sui cruenti ancor memori campi
Raccolto il volo, ad affrettar s'accinse
De le sicule squille il suon fatale.
O Secol tu, che d'onorar col nome
Di secolo poeta ognor m'è bello.
156 POESIE DI MILLE AUTORI
Oh quai vedesti e moltiformi lutte
Fra lo straniero, che dall'Alpi giuso
Scender volea di forza, e '1 cittadino,
Che all'irruente fea muro col petto
Di patrio zelo armato; fra'l vetusto
Latin sermone e la recente e maschia
Volgar favella; tra le argute fole
Del paganesmo ed i cristiani veri!
Tu, la donna com' angiolo adorata
Mirasti, e imperiar con cetra e voce
In varii modi i trovator sui cuori;
Tu, innumeri i pugnali avvelenati
Di compri sgherri, e innumeri le funi
Di pellegrini e peccator contriti;
Tu, spade a mille ad una voce sola
Uscir de la guaina, e mille bocche
Baciarsi, perdonando al suon d'un inno;
Tu, assiduo un urto ed un proceder lento
Da servitude a libertà, da lunga
Barbarie a culto e social costume.
Solinga in Ciel, da tutte cure sciolti.
Tua virile posava e creatrice
Anima, o Dante, nell'etereo lume
Di radiosa stella. E nove lune
Pria che le mal vietate Alpi varcasse
Il fatale Angioino, a lieve un cenno
Del Signor quel romito astro si pinse
Nei tre colori delle tre virtuti,
Che son di tutte l'altre inizio e guida,
E sovr'essi brillò, coi fiori scritto
Che il cielo edùca, di Fiorenza il nome.
Vide e sorrise l'angelo custode
Di quest'unica Italia: in quel bell'astro
Ratto s' immerse, e dall'amante core
Vibrando un raggio, che sul giovin grembo
Di Tosca si posò nobile sposa,
INTORNO A DAMTE ALIGHIERI. I}7
È questo, disse, o pellegrin novello
Dell'itale contrade, il tuo cammino.
Disse, e luogo quel raggio la sovrana
Tua vita, o Dante, nel suo fral discese.
Sorgi, o Divino 1 Argutamente indaga
Del dolor la ragione, il moto, il fine.
E il maggior tema disposando a metro
Che ad elegia consuona, perchè assai
Italia è mesta e di dolore ostello.
Unifica e rigenera la terra,
Al suo Fattor la creatura annoda.
Già il maschio de' Romani antico seme
In Te rivive, e quel celeste segno
Che segue il Tauro, la tua culla irraggia.
De* tuoi guelfi congiunti amore e speme,
Leggiadro in vista e con quell'aura in fronte
Di soave tristezza, che del vero
E del bello i ministri ognor circonda.
Crescer ti veggio; dal facondo labbro
Di guelfo precettor pendere immoto;
Il poderoso ingegno e il cor di fiamma
In tutti esercitar d'ogni bell'arte
I campi, e, armato di robusta fede,
I mal noti a' di tuoi fulgidi spazi
Della scienza visitar con ala
Infaticata, dominarli, e questa
In fida convertire e pronta ancella
De la tua fantasia, di che più vasta.
Ardimentosa ed util, dai recessi
D'umano capo non rifulse unquanco.
Ma il genio è l'astro che sol manda luce
Quando amore lo scuota e il duol l'affini:
E Te punsero entrambi, e fùr primiera
E sublime cagion del tuo Poema
« Al quale ha posto mano e cielo e terra. »
« Chi è costei che nella faccia come
138 POESIE DI MILLE AUTORI
« Par tremolando mattutina stella,
« Vestita di color di fiamma viva, »
Verde nel manto e bianca in vel, ti guarda
Pudicamente, e in dono a Te porgendo
Temprata dai cherùbi un' arpa d' oro.
Il suo ti parla armonioso nome?
É Beatrice, che tra i fiori un giorno,
Cinta di fior la bionda chioma, il tuo
Novenne core fea tremar si forte.
Che in tai parole uscivi : « Occhi beati,
« Ecco già parve la letizia vostra. »
È Beatrice, la guelfa donzella
Che il saluto mirabile sorrise,
Onde tanta dolcezza in sen ti piovve,
« Che di beatitudine » stimasti
«Ogni termin vedere». È Beatrice,
Che forni sua giornata innanzi sera.
Ed or, fatta celeste, in Dio riflesso,
Il vale affinator del casto foco
Ti rinnovella, ed a vergar t'incuora
(E sol degna di Te fu la promessa),
« Quel che d'alcuna non fu detto mai. »
O della terra mia donne gentili,
Pietà di lei vi tocchi. Oh non indarno
Di Beatrice il venerando nome
A voi dall'Alpi al Faro oggi risuoni!
Ma la sua fama, che quaggiuso dura
« E durerà quanto il moto lontana, »
V'innamori cosi, che il dolce raggio
Della vostra beltà, che del Signore
È vivente parola, unqua non torni
De lo spirto ad ingiuria, ma le sozze
Del paganesmo ultime nubi strugga,
Ai domestici lari ornai ridoni
Il sacro culto, e sia cagion perenne
Di leggiadri costumi e d* opre eccelse.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 159
Ma del secolo mio la grave Musa,
Che il parteggiar disdegna, le funeste
Di Guelfi e Ghibellini ire feroci
Armonizzarmi col civil ricusa
Magistero del verso, e in Te saluta,
« O degli altri poeti onore e lume, »
Più che '1 maggior de' Bianchi Guelfi, il sommo
Dell'itala unitade inspiratore
E d' universa civiltà, che a' piedi
De la Croce si atterra incoronato
Delle spine del Cristo, e a non più inteso
Suon de' Profeti risvegliando l'arpa,
A le discordie cittadine impreca;
Che all'unica di Dio promessa aita
La libenà del successor di Piero
Cristianamente affida; che ogni etate
Previene ed ogni secolo trasvola;
Che d'un popolo i fasti e le sventure
Co' propri duoli e sdegni intreccia, eterna;
Che per se stesso si fa parte, e sotto
L'egida santa dell'avita Fede
A pace appella ed a virtude il mondo.
Ahi! degl'itali esigli la dolente
Storia dinanzi agli occhi miei si schiude.
Oh! d'ogni di martirio e d' ogn' istante.
Lento veneno, che dell'uomo il frale
Consumi ad oncia ad oncia, sconfinato
Dell'anima deserto e sol di larve
Popolato mestissime, incessanti,
O esilio, che freddare invan presumi
Di patria l'ineffabil caritade,
Oh quante e quante di precoci solchi
Stampasti fronti venerate, e stampi!
Che se dell'arte il freno al verso mio
Narrar divieta delle più famose
Tue vittime gli affanni, i sacrifici.
140 POESIE DI MILLE AUTORI
L'ardue virtudi; oh! mi sia dato almeno,
Al più flebile suoq che in lei s'asconda,
Svegliar quest'arpa, e con pietoso affetto
L'indegno esilio d'AUighier plorando,
In un esilio sol piangerli tutti.
Oh, che ti valser mai, Padre infelice.
Di poeta il gran nome, i forti studi,
La prode mano e quell'arguto senno.
Che illustre di Fiorenza ambasciatore
Ben sette volte e sette ti rendea,
E per due lune in fra i Prior t'ascrisse?
Già tace, oimè, del tuo Comun la squilla...
E dell'intento popolo al cospetto,
Uom, cui deturpa atroce gaudio il viso.
Te alle fiamme condanna, ove ghermito
Alcun t'avesse de' i\emici tuoi.
Oh! maledica in sempiterno il genio
Del civile poeta ogni odioso
Gante de' Gabrielli antico e novo.
Addio per sempre, o di pensier celesti
Feconda ognor, di Beatrice tomba!
Addio, figli, consorte, amici! Addio,
Bel tempio di Giovanni, ove commisti
Ai flebili de l'organo, levavi
Tuoi profondi sospiri! Addio, cospicua
Città dei flori, ove ogni sasso un nome,
E dolce nome, ti destava in core.
Ahi, die tormento per dieci anni e nove.
Ritessendo del vivere le trame.
Vagar di loco in loco! Ahi, che tormento
«Lo scendere e il salir per l'altrui scale,»
La compagnia di cortigiani abbietti,
E quel superbo compatir, che attosca
Il benefizio. Indarno affetto ed ira
T'aggiunsero in Arezzo ai Ghibellini,
Invan fidasti nell' ornato eloquio
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 141
E nella erculea d' Uguccione possa.
Vinto a Mugello il tuo gigante amico,
Al deluso tuo cor fu primo e breve
Rifugio il tetto di quel prò' Lombardo,
Che in sulla Scala, da cui prese il nome,
L'imperiai ponò romano augello.
E Te ospitava fra' suoi dotti alunni
Bononia, u' forse al popol suo si ingiusto,
Lagrimando, scrivevi : « O popol mio,
«Che t'ho mai fatto?» Te l'antiqua accolse
Antenorèa cittade, Tu fra i bianchi
Suoi marmi Lunigiana, ove si schietta
T'addolcia l'amistà del Malaspina,
Che sovra tutti della tua fùr degni
Immortale mercè nel trino Carme.
E quando in basso ogni affannosa speme
Di riveder Fiorenza a Te fu tolta,
E di fuggir le rimembranze amare
Necessità premeati imperiosa,
L'Alpe varcavi, e tua versarli mente
In Lutezia nel vico degli strami
« Sillogizzò invidiosi veri. »
E nota pur fu tua grave sembianza
Agli austeri britanni, e n'ammirasti
I sodi affetti ed i pensier profondi.
Ultimo arrise di letizia un raggio
Al tuo spirito affranto, allor che il bello
Italo sole rischiarò la fulva
Chioma d'Arrigo: ma svanla ben tosto.
Poiché lo spense di Maremma il suolo,
E Te riebbe, patria tua seconda.
Verona, che cantar t'udia le note
Di quel secondo Regno, che la parte
Più gentil del tuo cor appien rivela.
Oh amabile quel canto! Oh come dolce
Lo governa armonia che al vivo esprime
142 POESIE DI MILLE AUTORI
Dell'esule scorato i disinganni
E le care memorie! Oh! qui la voce
Melodiosa dell'estinto amico,
« Che ti solea quetar tutte le voglie, »
La tua canta d'amor prima canzone:
Qui, nella Pia, con flebil metro sveli
Acerbissimo fato, ed in Bordello
Tal patrio amor, che non ha core in petto
Chi a tanto foco non s'accenda ed opri.
Oh il patetico stile onde per bocca
D'Oderisi proclami d'ogni umana
Gloria la vanitade! Oh qual sicuro
Della verace poesia precetto
A Buonaggiunta porgi! Oh di Matelda
E Lia pitture graziose! Oh quante
Ineffabili d'angeli parvenze,
In aspetti e in accenti e varie e nove,
E quali e quante vision divine
Pria che tua vista d'aquila s'inalzi
« A disbramare la decenne sete ! »
Oh potenza d'amore, oh Beatrice!
Ma non sempre colui, die t'ospitava.
Fé' tesor de' tuoi pregi, e forse d'aspri
Accenti punse tuo sdegnoso spirto,
Che, dalle feste e dai tripudi offeso,
Onde ognor più fervea di quel si prode
Giovine prence l'adulata reggia.
Drizzò tuoi passi d'esule a montana
Solitudin selvosa, e alcuna pace
Porgeati V umbro suolo, ove non breve
Ora del Catria in sulla vetta assiso,
Dell'Arno a la città cupidamente
Appuntavi lo sguardo: e su quel giogo
(Degno sgabello a Te, che, in fiamma acceso
Di nobil' ira, per vigliacca ammenda
Del tuo rimpatriar vergavi '1 niego).
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I43
Fra terra e ciel sospeso divinasti
« La gloria di Colui che tutto move. »
Deh, sorga un di su quella vetta, o Padre,
Gigante sorga il simulacro tuo!
E a Italia accenni per sua legge il verso :
« Ogni viltà convien che qui sia morta. »
Ma sciolto alfìn dell'amor tuo fu il voto.
Il gran Poema, che gli sparsi rai
Dell'italica vita come in terso
Speglio immortai riflettere dovea,
L'eterno Dramma in una fiera ambascia
D'amor concetto e dell'amor nutrito
Per ben sei lustri, negli amici ostelli
De' Torrìani e del gentil Signore
Di Ravenna chiudesti, e insiem con esso
(Reduce appena da Vinegia mia),
Nel di che i fasti della Croce esalca.
La procellosa vita; e l'alma tua,
A voi portata dalle sue virtudi.
Trionfalmente a contemplar levossi
« L'amor che move il sole e l'altre stelle. »
O giovani d'Italia cittadini.
Cui d'anni tanti gli olocausti e l'opre
Fùr seme genitor d'attesi frutti.
Gran giorno è questo, che in un sol pensiero,
In un affetto sol dall'Alpi al mare
Tutti ci annoda. Già placato, e pago
Del nostro culto, ecco fra noi discende
Il virile Cantor, non veglio iroso.
Ma quale in pegno d'amistà perenne
Reverente pingcalo il cor di Giotto.
Tre gli fulgono in petto e quattro al nero
Crine d'intorno radianti stelle:
A simbol strigne sua gagliarda mano
La trionfale dei redenti insegna
Di corrusche del Ciel gemme contesta:
144 POESIE DI MILLE AUTORI
E mentre a noi, che dell'etade l'arco
Scendiam pensosi, de le nostre in premio
Faticanti virtù celeste Ei volge
Incuorator saluto, a voi, sereni
Di vita e forti in volontade, o cari
Giovani, che le nostre da precoci
Colpi di morte diradate file
Ad integrar venite, il suo Poema
In lieta fronte Ei porge e al ciel rivola.
All'opra, all'opra! e di novelli fregi
Pia che s'onori della Madre il nome.
Non la sola del Vate maestria
E il puro fonte de la patria lingua
Notar vi basti nel divino Carme;
Ma quel civil pensier, che il dritto assoda,
E il vero e il giusto per età non muta.
Ma dell'alta dottrina che s'asconde
« Sotto il velame delli versi strani »
Chi non audace interprete sicuro?
L'Allighieri, il suo tempo e l'opre sue
Viviamo or dunque, o giovani, viviamo
Nella Nuova sua Fifa: a quel salubre
Sediam Convivio che imbandir gli piacque:
Come a strignere insieme le sparte membra
D'Italia, ei miri nel Volgare Eloquio^
Avidamente udiamo: odasi alfine
Sillogizzar di Monarchia sui dritti,
E il caduto evocar di Roma Impero.
Oh di nobile studio ampia mercede!
Ecco il trino Poema in sua verace
Intima essenza a noi sfavilla, ed apre
Dell'itala feconda poesia
L'ultima etade e '1 glorioso regno.
Che non indarno, più che agli occhi, al senso
Dell'anima profondo de' futuri
D'Italia vari la sua pompa tutta
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 145
Oggi disvela. Ecco la sacra Musa,
Che a Dio si lancia estatica sull'ali
D'incrollabile fede, e la solenne
Illuminare oscuriti s'attenta
De' rivelati nel Vangel misteri.
Ecco l'arte al suo Dio quasi nipote,
Che in solo un quadro, ove son centro e fine
Del Paradiso le viventi gioie.
L'universo ritragge e, ognor congiunte.
Le tre fortune dell'umano seme,
La caduta, la pena, il premio eterno.
Ecco la ingenua italica favella.
Che, a guisa di balen rapida e viva.
Ad ogni forma dell'idea s'atteggia.
Ecco un sol dramma alfin, che tre dispiega
Perfetti drammi e tre perfetti eroi»
Dante, il popol d'Italia e Y alma Chiesa.
E tu, Genio inspirato e ispiratore.
Che i precipui tesor della vetusta
E moderna pingesti civiltade,
La terra e il cielo, la natura e Dio,
Del tuo secolo i vanti e le sciagure.
Le fiu'isaiche infamie e le sublimi
De* martiri vittorie, a me perdona.
Se quella eccelsa e sfolgorante imago.
Che di te mi favella entro dell'alma,
Ad aggiunger non valsi; e le pietose
Stille mirando, che sull'arpa io verso,
V Eterno invoca per Venezia mia. '
i^ ^^eni Ttrsi cosi Icggonti |rabblic«ci ' Venezia, 1865. Premiato stabilimento ti.
f^^ J^^ascolo di p«g. «3 col titolo: Dtnt*, 1 pografico di P. Naratovieh, a spese dell' au-
^d MT. Antonio Angtloai-Barbiani. | tore.
Dii B*Lxo. VoL XIV. IO
146 POESIE DI MILLI AOTOU
IL
Dante Alighieri.
Se da lungi ti seguo e anch'io t'adoro,
O de' Poeti estremo e Citudino
D'Italia primo, e in Te dell* Uno e Trino
Il più sublime laudatore onoro;
S'io pure all'ombra del tuo sacro alloro
Ben legger tento il pensicr tuo divino,
E, a civiltà seguace nel cammino.
Far del vero col canto altrui tesoro;
Scendi invocato su Vinegia bella,
Che d'eventi sinistri tirannia
In tapina mutò vedova ancella;
E membrando qual fu la Madre mia
In tanta eclissi di sua vaga stella,
Per lei prega in tal di, prega Maria. '
Antonio Angeloni-Barbiani, nato in Venezia, il 21 agosto
come ogni buon veneto, si laureò in leggi neir Università di Fa
a ventidue anni. Nel 1848-49 fu milite per la difesa della sua
nezia, e, come ufficiale, si battè valorosamente contro gli Aust
E dal 1856 venne pubblicando, in Venezia sempre, versi e prò
cui si sente Taaima sempre giovine del cittadino che aveva esj
il suo petto per la redenzione morale e materiale del suo paese,
notevoli i suoi canti: Menanotte, Getsemaniy il Popolo; e i sue
scorsi : Dei sentimenti di fami^ìia nella commedia nuova dei Grui —
Sandro Manzoni e il secondo Coro dell* Adelchi — Tommaso Campa
Sarebbe opera utile raccogliere gli scritti di lui. Si leggerei
con vero profìtto. Perchè non ci pensa qualcuno de* suoi co
tadìni?
' Qjiiesto sonetto cosi si legge * p«gg. 3-7 | Questo sonetto dell' Angtlonì-Barl
in un opuscolo dal seguente titolo ; A • preceduto nell' opuscolo d* un* ca
Dantt Alighitri, a Gemma Donati^ a Beatrici DamU, di Emuiuele CelesU, che è
Portin,iri. Versi. In Firenze, pubblicati pel dal Celeti* composta nel 1843, e >
sesto centenario di Dante dai direttori del : riprodotta, a pag. {06 e segg del vi
giornale La Gknentù, 1865. | di questa Raccolta.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I47
DCCX.
Pietro Raffaellt.
Dantb Alighieri.
(14 maggio 1865).
Dall' Alpi al mar ciascuna itala terra
Un'ara innalzi a Dante!
Come Mosè che lampi ancor disserra
Dal suo divin sembiante
Che un angelo scolpiva, egli diffonda
Di mortai luce inesauribii onda.
Questo è» padre Alighier, l'almo paese
Ove schiudevi i rai,
£ l'aer tosco dove amor t'accese
Che non ti lasciò mai
Per la fanciulla che col suo sorriso
Ti addusse per le vie del paradiso.
Qui ti vibrò la truce ira di parte
Il dardo dell'esigilo.
E vagolando in compagnia dell'arte
Pel suol fatto vermiglio
Di civii sangue, mendicavi il pane,
O mente immensa fra le menti umane.
Sentivi, ahi quanto I dell' Italia i danni,
E tua voce sublime
Imprecava terribile ai tiranni.
Qual le più ardue cime
Il vento scuote, essa feria la cupa
Ingorda fame dell'oscena lupa.
I jS POESIE DI MILLE AUTORI
E tu dal tempio dell'Eterno vero.
Di tua parola armato,
Ricreasti V Italia in tuo pensiero
In unità di stato.
É tua mercè, se, infranta la nemica
Catena, sorse alla grandezza antica.
Salve, Alighieri: la mirabil mole
Di tutto r universo
Corresti come la virtù del sole;
E il tuo libero verso
Ritrasse i mali, i beni e l'infinita
Tristezza e i gaudi di più bella vita.
Tu traggi Italia dall'inerte limo
E lei nel giusto accendi.
Tu la radduci all'alto inizio primo,
E poesia le rendi.
Una divenga, e alfin le terga il pianto
La carità che ti dettava il canto. '
Qjiesta poesia cosi li legge a pagg. i !• '■ è preceduta da tei ottave t di una Vcneu •
12 nell'opuscolo citato a pag. 146 di questo
volume.
Questa poesia del Rafiaelli nell'oposcolo
(Erminia Fui-Fusinmto) le quali tono state
già pubblicate a pagg. 93-94 del voi. XII
di quesu Raccolta.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I49
DCCXI.
Emilio Ferrari.
Dante nel monastero del Corvo.
(14 maggio 1865).
Sulla terra di Luni si desta,
Della sera neir ombra soave.
Un sospiro divin come l'Ave,
Che in tal* ora la Vergine udì.
Ora dolce al terrier, ma funesta
Allo stranio che va, né risolve
In qual angolo scuoter la polve
Che il suo sandalo ha còlta nel di.
Quel sospiro, con Iene susurro.
Tremolar delle querce le chiome
Fa suirerta del monte, che il nome
Ha dal Corvo, che v' agita il voi.
Bagna il monte il suo pie nell'azzurro
Mare a destra, a sinistra nell'onda
Della Magra, e vicino alla sponda
Sorge un chiostro nel rustico suol.
La marina si tace distesa,
E del vespero l'ultimo squillo
Va morendo nel cielo tranquillo.
In cui pallido il giorno si muor.
Fra i cipressi, dinanzi alla chiesa,
Frate Ilario di Luni, al bel piano
E dei monti al bell'arco lontano.
Volge gli occhi ove splende l'amor.
150 POESIE DI MILLE AUTORI
Bianca barba sul petto gli scende,
E il suo macero volto ha la calma.
Non di chi l'ebbe ognora nell'alma,
Ma di chi le tempeste provò.
E sospira pensando che orrende
Fra i signori del piano e del monte
Fremon Tire, e che Telmo ogni fronte
E l'usbergo ogni petto cerchiò.
— Oh beato il mortale, cui gli archi
Solitari dan ombra di pace,
E raccende nell'are la face
E l'estinta speranza nel seni
Né, del tempio tra i funebri varchi.
Della terra l'antica memoria
Più l'abbaglia, ma un raggio di gloria
Alla mente dall'alto gli vien. —
Sceso il veglio, con mesto sorriso,
Leva il guardo seren come il cielo,
'Ve il tramonto di porpora un velo
A ponente dispiega leggier.
Ma lo china, si scuote improvviso;
Un estranio dinanzi rimira.
Fosco, immobil, che tace e sospira:
— Che vuoi ? — Pace! — Il tuo nome ? — Alighiei
Notte e silenzio nelle mura sante:
Un cereo brilla in arcuata stanza;
Ambo seduti stanno, Ilario e Dante.
La pupilla in cui l'anima s'avanza
Sdegnosa, il labbro inferìor che ascende
A premer l'altro in atto di costanza.
Ed il naso aquilin che altero scende
Fra le guancie consunte, il color bruno.
La nera barba che più cupo il rende.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I5I
Si maestoso fan colui, che ognuno
Che Taspetto fuggevole ne vide,
Lo rivede fantasma inopportuno.
— O frate, il pellegrìn che qui si asside,
Cominciò, dell'asilo e della mensa
Ti ringrazia, e del volto che sorrìde.
Se ignaro pur di mia sciagura immensa
Tu fosti, io tacerei, che l'alma il duolo
Rinnova più se il dice, e men se il pensa. —
Tragge il veglio un sospiro. Ed egli: — Or solo.
Un mio pensiero ti dirò: la speme
Che alata m'alza sull'umano stuolo,
E rattempra il dolor che il cor mi preme,
È in questo sen, che non è più solingo;
Batte con essa, né morrà che insieme.
Io maledetto, dannato, ramingo.
Io nell'inferno dannerò gli avversi.
Nell'inferno che creo, dove li stringo.
Un di cantai gli spiriti perversi
Nell'estinto sermon che visse in Roma...
Forse il potean risuscitar quei versi.
Cadde l'antica gente, e l'idioma
Tacque latin con lei: sta sulla spenta
La nova stirpe, e barbara si noma.
V'è il fanciullesco suo volgar chi tenta
Far linguaggio viril: ciò ad altri spetta,
Ad altri sol cui di crear talenta.
Imparerà la patria mia la schietta
Lingua, il mio sacro poema, a cui mano
Pongono il ciel, la terra, e la vendetta.
152 POESIE DI MILLE AUTORI
Né mutazion di secoli, né umano
Rovescio fia che l'uno e T altra estingua
Giammai. Frate perdona! — E il veglio umano:
— Dio t'insegnò cosi possente lingua,
E Dio rischiari la tua gente alfine
Perché il bene dal male essa distingua.
— Frate, se il vento dell' esiglio il crine
Debbe agitarmi, e il focolar paterno
Spegnersi dell' ostel fra le mine,
Forse cosi decreta il senno etemo.
Che va più lunge che 1' uman desio.
Perch'io dipinga nel mio novo inferno.
Non solo il peccator loco natio,
Ma regni pur, genti e costumi estrani.
Ciò che fuori somiglia al popol mio.
E il poema divin pieno d'arcani,
Più che 1* esilio mi farà ben macro,
Cantando sotto cieli aspri e lontani;
Ed egli apparirà qual simulacro;
E i vili che mi fecero vii guerra,
Spavento avranno dall' aspetto sacro. —
Pensa, e riprende: — E pur nella mia terra
Dolce mi fora trar vita serena.
Sol cantando d'amor, che il ciel disserra. —
Ma un amaro sorriso gli balena
Sul volto, sorge disdegnoso, e tace.
Il veglio s'alza, e con amor, con pena.
Per man lo prende, e sclama: — Abbi qui pace! —
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 153
Tra lievi nugoli
Spunta l'aurora,
E li colora
E il cielo pingesi
Nell'altro lato
D'un bel seren.
Stan fuor deiratrio
Ilario e Dante;
Ambo il sembiante
D'affanno han pieno.
Il vecchio r esule
Si stringe al seno,
Né il pianto tien.
Dintorno i monaci
Ristanno muti,
Capi canuti,
E grigi e neri,
Ma tutti pallidi
Scarni, severi,
Funebre stuol.
— O Padre, l'umile
Vale ricevi!
— Figlio, deh! brevi
I giorni amari
Ti faccia, e al tenero
Sen de' tuo' cari
Ti renda, il ciel!
Verga le nobili
Carte leggiadre...
Spera. — Mio padre,
Fratelli, addio! —
Flebil sollevasi
Un mormorio:
— Addio fratel! —
154 POESIE DI MILLE AUTORI
Parte, e nel scendere
L'esule tetro
Si volge indietro;
Sofferma il piede,
E fargli un ultimo
Cenno rivede
Il dio drappel. *
* Q^iotA poesia cosi ti legge epagg. 13-17 neiropiucolo citato a pag. 146.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I55
DCCXII.
Eugenia Pavia-Gentiluomo nei Fortis.
Dante Alighieri.
(14 maggio i86s).
(A Gaetano Ghivii^ani),
Un fior mi chiedi, un odoroso fiore,
Ed intrecciarlo vuoi, nell'arte esperto,
Del divino Alighieri sacro all'onore
In vago serto ?
O prestante garzon, se l'alto invito
Tener non posso, degna son di scusa:
Pallido oftirti, o fiore inaridito
La man ricusa.
Potrei fissarmi nell'ardente raggio
Che dall'italo centro il mondo alluma?
Sterminato compir potrei viaggio
Con breve piuma?
Posar mi lascia in duro sonno avvinta
Fin che torni vigore al frale stanco;
Dolci sogni, da' sensi alma discinta
Avrà fors'anco.
E mentre giaceran le membra, i vanni
Spiegando ratta al tuo bell'Arno in riva,
Oblìerà per poco onte ed affanni
La fuggitiva.
156 POESIE DI MILLE AUTORI
Oh qual torrente di letizia abbonda
Entro le vene a* cittadini tuoi !
Colui che l'orbe di sua gloria inonda
Nacque tra voi.
La sesta aurora secolar già perde
I raggi da quel di ch'ei venne in terra;
Ma la sua fama splendida rin verde
Col tempo in guerra.
Nulla il tempo sovr'esso fa rapina;
Mille e mille non sono anni potenti
A offuscar della sua fronte divina
I rai lucenti.
Colui che all'orbe e all'universo diede
Fondo nei carmi, e divinò l'ignoto,
E finché duri, al tardo oblio non cede,
Lontano il moto.
Gran madre Italia, esser dovea tuo figlio,
Farti estremo sospir del petto anelo!
Che te maestra di civil consiglio
Creava il Cielo.
Il suo sdegnoso, immenso, alto intelletto
T' imprecava rubella a tue gran sorti
Quando folgoreggiò d'ira e d'aflFeito
Ne' regni morti !
Sublime lampo trasparia dai torvi
Battaglianti pensier, quando l'estrano
Correttor chiese, saldo morso a porvi
Con forte mano.
Pria che Tulrimo fato su lei caggia
Tra gare inique, e fieri odii fraterni,
Costei eh* è fatta indomita e selvaggia
II fren governi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 157
Oh se tanto potean reliquie sparte
Tra sé pugnanti, che farà V intero
Popolo eletto, per natura ed arte
Nato air impero?
A tutte genti in lieta pace unito,
Tra lor, del sol che tra i pianeti splende.
Di sue prische virtudi redimito
Sembianza rende.
Mite gioco d'amor la terra doma
D' un soglio air ombra che non ha secondo:
Col gran Cesare suo felice Roma
Governa il mondo.
Una legge comune, un sol linguaggio
Armonioso, nobile, soave
Di tutti cori neir uman linguaggio
Volge la chiave!
Serena immago di futuri eventi,
Per allentargli in cor 1* infìtto dardo,
Quegli a cui tutti i tempi son presemi
Schiuse al suo guardo?
O, sognando, l'eccelsa fantasia
Oltre Tuso mortai trasvola audace,
E pellegrina in altre etadi oblia
La cura edace ?
Faro che al navigante in procelloso
Pelago, sotto ciel di luce muto,
L'orror molce del corso avventuroso.
Io ti saluto.
Ah! qual vivido raggio sulla densa
Dell'evo tenebria spargi, o divino!
S'oltre il segno varcò l'anima accensa
Dritto è il cammino»
IS8 POESIE DI MILLE AUTORI
Scendi al suono di cetre e di viole.
De' canti all'echeggiar, del plauso al grido.
Al belligero tuon d* Itala prole.
Nel tuo bel nido.
Augusto ei sembra al popolo irruente
Che di fede s'innebrìa e di speranza
Della tua patria carità fervente
Che tutte avanzai
Per deprecar 1* antico suo delitto
Die' voce ai sassi, airaure, al fiume, al monte;
Cancellarne vorrla, se in ciel fu scritto.
Dal ciel le impronte.
Poggia la cara tua città natia
Suir emule, e a te sacro indice culto
Perchè Torrido, appien, tuo bando sia
Lavato ed ulto.
é
Reverente t'adora Italia, e voto
Unanime, solenne alzar si gode;
Non ha, quanta si stende, borgo ignoto
Chiuso a tua lode.
Le rida terso il ciel, o buio nembo
Ne contenda il fulgor, in te s'affisa,
Della tua luce si raccoglie in grembo
Gente divisa.
Ordiscono per te l'arti ghirlande,
Ma sovra tutte come aquila vola,
Quella che immortalmente informa e spande
La tua parola.
Onorate l'altissimo Poeta
Voi che attigneste al suo carme sovrano;
Che ogni desio del bello in voi disseta
Quell'Oceano!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I59
Dehl perchè non poss'io sposar la cetra
Al festivo fragor che suona intomo?
Chi^ chi la morta fantasia mi spetra
In si gran giorno!
Tace la musa alla diserta in riva
Laguna, o sorda a dive note io sono?
No! precursor degl* inni Taura avviva
Un dolce suono.
Più e più sempre s'effonde... esala pieno
Concento che riempie cielo e mare;
E la voce che il tempra uscir del seno
D'angelo pare!
Sull'arpa che di sacri inni e civili
Per le patrie contrade eco si feo.
Poeta degno impose le virrili
Corde d'Alceo.
Odilo o prò' garzon, cui non caduca
Fiamma riscalda il generoso petto:
Anco per lo tuo seno un fiore educa
Con puro affetto.
Perdona se al gran tema i pensier mesti
Levar non seppi, e l'elegiaco stile,
E il mio spargi sui fior che raccogliesti
Pianto non vile.'
QpcsU po«sìa coil si legge • pagg. 18-22 nell'opuscolo già cit. a pag. 146.
l6o POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXIII.
Mari o R a p i s a r d r ,
Dante Alighieri.
(14 maggio i86s).
Poi che dal nido antico
In bando ti cacciò la parte avversa,
E quattro lustri indarno,
Ramingando magnanimo e mendico
Per le tinte di sangue itale prode,
Invocasti l'amico
Sorridere degli astri a la diversa
Di profumi e di fior sponda de l'Amo,
Teco venia secreta
L' Itala Musa, o primo
Del futuro d' Italia astro e profeta ;
E allor che più da V imo
Cor la vigil sentivi ira rompente,
E scolorarsi i sogni e l'ardimento
De lo spirto sdegnoso, Ella venia
A incorarti co 'I canto i giorni mesti.
Ed il desio longanime e bollente
Con la speranza e l'avvenir lenia.
Disingannato e stanco
Di si lunghi fraterni odi e dolori.
Onde questa deserta Itala donna
Lacerato e gemente
Dimostrò lungamente '1 petto e *1 fianco.
Ed infusi di fango i primi allori.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. l6l
Pellegrin novo e solo
Da questa aSr corrotta a* primi veri
Del presago pensier levasti il volo,
Ardimento immortal. Siccome larve
Dileguar ti fu visto al novo lume
Del ciel le fiere e tante
Sanguinose e cozzanti Itale insegne,
Precipitar da l'usurpate sedi
Turba di Regi e di Leviti avari
Che irta discordia avean ne* petti accesa,
E troni infranti, e rovesciati altari,
Da cui Giustizia e Dio moveano in bando,
E al lontano orizzonte
Sorger su '1 Campidoglio
Una sola bandiera, un tempio, un soglio.
Or che la presagita.
Dopo lunga d'affanni aspra fortuna.
Ora a noi sorge, se di noi pur serbi
Da la luce ove sei memoria alcuna.
Se di nostr'armi gloriose il suono
Fino a Te si levò, benché terrena
Gloria in faccia a la tua sia polve ed ombra.
Vieni a mirar Costei,
Che battezzata ne la tua parola,
Scote il mesto sudario, il brando cinge;
E riaccesa l'itala saetta
A la mortai tenzone
Rugge de l'Alpe minacciata in vetta
L'Allobrogo Leone.
Sovra cocchio fulmineo, e in viso ardente
De' ridestati lampi
Dal pian lombardo a la sicana sponda
Scorre stridendo l'Itala vendetta;
Su' combattuti campi
Passa la Morte sibilando, e ingombra
D'ammucchiati cadaveri nemici
DtLBàuo. Voi. XIV. II
102 POESIE DI MILLE AUTORI
A' vincitori il varco;
Siede Vittorio a l'ombra
De* nuovi lauri del Sabaudo trono,
E ne r immense braccia
Le partite città Concordia abbraccia.
Padre, sul fronte ardito
De la rinata prole
Rinnovato or non è d'Ausonia il serto?
Splender non vedi il sole
Entro a' lor occhi e di Quirino il foco?
Dal più remoto loco
Mover vedi ciascun devotamente
A baciar la tua sponda,
E a deporre al tuo pie la sua corona,
Onde, o Padre, Tu sei la prima fronda.
Cosi soleva il giovinetto Argivo
Vittorioso da Telèo cimento
Al genitor canuto
Superbo rassegnar V inclito ulivo,
Ed era intorno a lui lungo saluto
Di gareggianti carmi.
Sorgon da* sacri marmi
Ove dormir lunghi anni in Santa Croce
I magnanimi spirti.
Ripetendo il tuo nome ad una voce;
Da r iperboreo nido
Leva pauroso la squallida faccia
II domato stranier, che il novo e santo
Di speranze e d'amori Italo grido
Gli par voce d'oltraggio e di minaccia.
Ma a r Italo banchetto
Propiziami non vedrai due sole.
Su la cui fronte pensierosa e mesta
Nullo raggio ancor manda il nostro sole.
E mentre ornate a festa
Convengono a libar V Itale suore,
IJTHmXO A DANTE ALIGHIERI. 163
Su' tuo' memori coIli>
O sposa di Quirin, siede il dolore,
E di cipresso cinta e in veste bruna
La violata sposalizie antica
Piange Venezia da la sua laguna.
Pur del tuo sdegno il fulmine su noi,
Padre, non piombi ancora.
Che in noi, benché repressa, ira non dorme.
Né vi sdegnate, o voi
Del Tirreno e de l'Adria esuli mesti,
Cui non é dato incoronar la prora
Del novo italo mino,
E pellegrin con voi recate il santo
Penate a queste etnische ospiti mura.
Ove agli accolti eroi
Sarà stille di foco il vostro pianto.
E già del gran mattino
Feconda aura commove Adige e Tebro;
Su le fuggenti nubi io veggio, o parmi.
L'aquila di Quirino;
Per ogni loco io sento
Scalpitar di cavalli e fragor d'armi;
Ecco Furio, ecco Bruto, ecco le cento
Legioni di Roma, ecco son carchi
D'ostili spoglie i trionfanti carri.
Ecco avvinti i monarchi
A la ruota de l'Itala fortuna;
Sorgi, mio Genio, e a' prodi
Leva, che teco é un Dio,
Su le corde Tebane ItaU modi.
Gaggia r inauspicato
Giorno dal tempo, che sui nostri petti
De le meste Reine obblio s'assida,
Hd il mavorzio alloro
Non verdeggi di nuovo i colli eterni,
E fra' plausi fraterni
104 POESIE DI MILLE AUTORI
Di votive corone inghirlandato •
A le nozze non torni il Bucintoro;
Gaggia quel di che V italo soldato,
Come timor d'estrana ira lo sprona.
Fulmini i nostri voli,
E brutti inesorato
Del miglior sangue Y Itala corona.
Tu se vedrai su TArno
Addormentarsi 1* Itala vendetta,
E fremer V ira in pochi petti indarno,
Pria che su' clivi profumati e molli
L'aquila scordi la tarpea saetta,
Sveglia, o Padre, il temuto estro possente,
E come turbo investa
I codardi d'Ausonia e i traditori,
Fra gli obliati allori
Caccia a T Italia la destra, e il Regio seno
Sfrondale in su le chiome,
Onde, se alfin si desta.
Di sé stessa vergogni e del tuo Nume 1 *
Mario Rapisardi, poeta civile, forte carattere di cittadino e dì
combattente, nacque in Catania il 25 febbraio 1844. Fece nella sua
città natia buoni studi, e, tutto chiamato alla poesia, compose di
buon'ora buoni versi che, per concetto e per forma, annunziarono
un nuovo e vigoroso poeta. Le previsioni non furono smentite, quando
egli, a ventiquattro anni, nel 1868 pubblicava, in Firenze, presso il
Lemonnier, il suo poema in dieci canti: La Palim^enesi^ tutto caldo
delia speranza e della convinzione che una nuova religione debba
comparire sulla terra, apportatrice di pace e di prosperità.
Le sue Ricordante (raccolta di versi) e Catullo e Lesbia (volume
di traduzione e di critica) non aggiunsero molto al suo merito; pur
gli procurarono il posto di professore di letteratura italiana nelP Uni-
versità di Catania.
Aveva fatto il suo nido e un altro si sarebbe accomodato alla
carriera ufficiale, per beccarsi quattrini ed onori; ma Tanima sua ri-
belle, assetata del vero, sdegnata delle odierne ingiustizie, gli ispirò
' Q.uesu poesia cosi si legge a pagg. 13-27 nell'opuscolo già cit. a pag. 146.
INTORNO A DANTE ALIGHIEUI. 16)
il poema Lucifero (Milano, Brigola, 1877) al quale è legato il suo
nome. Crìtici grandi e piccoli, invidiosi e impotenti, volteggianti ed
aposuti gli corsero alle calcagna e cercarono di buttarlo per terra.
Le crìtiche passarono, il poema rimane I
il Rapisardi non si riposava su i contrastati allorì, e, neiranno
stesso, il Brìgola metteva fuorì la sua traduzione del poema di Lu-
crezio. Indine! suoi versi intitolati Giustina (Catania, Giannotta, 1884)
leva una virile protesta, sgorgante dal cuore, rinvigorita dal cervello,
contro la miseria dei lavoratori; protesta che si sviluppa, si completa
nel suo poema Giobbe^ in cui è personificata tutta V umanità che la-
vora e soffre e attende.
Altre opere ci ha dato il Rapisardi, ma più d*ogni altra cosa ha
dato esempio di dignità e di carattere ai giovani. Ei rimane povero!
Ai flessibili di schiena Toro, ai forti la postuma lode degli ipocriti.
Ma la soddisfazione ineffabile del sentimento del dovere compiuto
vale più di tutti i tesori della terra.
l66 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXIV.
Erminia Fuà nei Fusinato.
Gemma Donati.
(14 maggio 1865).
Città dei fiori oh! sei pur bella e lieta
Or che fra il plauso dell'accolta gente
Festeggi il tuo Poeta
Come la nuova libertà t' assente!
Mentre ogni cetra le virtù ridice
Di Dante e Beatrice,
Tu dell* istesse frondi
Di que' figli diletti il crin circondi.
Oh si! da presso al suo cantore un*ara
Innalza a quell'eletta alma cortese;
Ma non perciò discara
Ti sia la donna ch'Ei per sua si prese.
Colei che il lutto dell'amor primiero
Tornavagli men fiero
E gli addolcia gli esigli.
Crescendogli d' intorno incliti figli.
Né t' incresca se a lui seconda musa
Ella non fu di cantici immortali.
Ma pensa che rinchiusa
Nei domestici sacri penetrali
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I67
Quanto poteva dar tutto Ella ha dato
A quell'unico amato,
E umilmente sommessa
Visse per lui della sua vita istessa.
Di quante angosce che nessuno avvisa
Fu segno allor quell'esistenza oscura!
Con lo sposo indivisa
Gloria no, ma soltanto ebbe sventura.
Dello splendor delle paterne case
Nulla più a lei rimase,
Languì povera e mesta,
Pur nessuna pietà di Lei si desta!
Oh! quante volte mentre intenta solo
Alle miti apparia cure materne.
Forse seguiva il volo
Del suo Poeta per le vie superne,
E se d'un' altra mormorare il nome
L'udiva, oh! chi sa come
Invidiò la sorte
Della rivai temuta oltre la morte !
E forse allora un gemito profondo
Reprimendo a fatica, i lacrimosi
Occhi sul capo biondo
Dell'ultimo suo nato avrà nascosi.
Perchè quelle gelose ansie tremende,
Che sol chi ama intende.
Non turbino un momento
Lui eh' è in un la sua gioia e il suo tormento.
No, non piangere o Gemma ! e a Te sia noto
Che mentre ai carmi il nome dell'amata
Affida il vate, ignoto
Brama il nome di Lei cui fé ha giurata.
l68 POESIE DI MILLE AUTORI
Questo Ei scrive del cor nell'ima parte,
Non sovra dotte carte,
E quel cor per te vale
Più del poema suo benché immortale!
Ma intanto il mondo che intender ricusa
Questa d'amor pudica ritrosia,
D'una bugiarda accusa
Pria vilmente ti offese, ed or t'oblia,
Talché nel giorno consacrato al rito
Di chi ti fu marito.
Ahi ! per te il mondo intero
Un accento non ha, non ha un pensiero!
Pur se da te, cui la dolente vita
Sol confortaro i domestici affetti,
D' un' anima romita
Trovino grazia i poveri concetti,
Nel nome d'ogni madre e d'ogni sposa
Pia, qual fosti e amorosa.
T'offro un canto e un saluto.
Di simpatia fraterna umil tributo.
Poiché a noi donne, che onoriam del pari
La virtù ascosa o ricinta di gloria.
Di Gemma il nome è caro
Come di Beatrice la memoria.
Ambo errar le vediam col lor Poeta
Di pianeta in pianeta,
E questa d'arte, e quella
Di iamiglia soltanto a lui favella.
Ed all'Arte Ei sorride e alla Famiglia
Con pari affetto e con egual sorriso;
Poi quasi padre a figlia
A me parla cosi dal paradiso:
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
169
«Fra i mille fior dell' immortai corona
Ch'Italia oggi mi dona,
Porrò Tumil tuo fiore
Sol perchè alla mia donna hai fatto onore. » '
' Questa poeaU coti si legge « psgg. aS-
30 nell'opuscolo ciuto « pag. I46. Per le
notizie biografiche e bibliografiche della Fa-
■ioato, vedi a pag. 93 del XII volume di
questa Raccolta.
lyO POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXV.
Giuseppe Regaldi.
Beatrice.
(14 maggio 1865).
Del vago Arno sul margine
Ricco di fior, di storiati marmi,
Onesta donna ai lirici
Voli solca levarmi
Con r aura sacra de' sublimi accenti
Fra il grave orror de* tumuli,
Perenne scuola delle nostre genti.
Prona colà sui lugubri
Ceppi parea la donna al guardo mio
Il cherubin benefico,
Cui di sua luce Iddio
La veste splendidissima compose,
E nella grama Ausonia
Fidò la guardia delle patrie cose.
Oh ! come assorta in estasi
Mi ragionava, con mirabil senno.
De* sepolti magnanimi,
E mentre ella fea cenno
Di tragici coturni e di scarpelli.
D'astri rotanti e principi,
Agitarsi io vedea gl'illustri avelli!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I7I
Salve iterava all' esule
Che, punto il cor di ghibellini sdegni,
Dal genio suo fatidico
Per patria ebbe tre regni,
E s'accendea di nobil ira in volto
Perchè non fosse il cenere
Del gran Poeta entro que' marmi accolto.
Fremea la bella e il mistico
Libro impalmando del poema sacro
Colà ne trasse attonito
Appiè del simulacro
Che ad emendar le avite ire nefande
Votò Firenze al massimo
De' figli suoi che la facea si grande.
Questo, mi disse, è l'inclito
Padre del trino insuperabil canto
Che io dono a quel qual unico
Pegno d'amore; intanto
Di lagrime bagnò le caste gote,
E al caro don, che trepido
Io strinsi, accompagnò si dolci note:
Tutta cosa di ciel, Beatrice
Ispirava il poèta infelice:
E col lampo sereno del ciglio,
Coir ardore de* casti sospir
Gli aspri dumi del misero esigilo
Gli Ésicea come rose fiorir;
Generosa! d'un estro sublime
Gli scaldava le vindici rime.
Queir amor che rimorsi non teme,
Che di fé si nutrica e di speme.
Queir amor che gli spiriti bea
D'una gioia che move dal ciel.
ly^ POESIE DI MILLE AUTORI
Queir amor mi governa e ricrea
Fra le insidie del mondo crudel;
Quell'amor di te m'arde, o Poeta,
Di tue glorie vivaci m'asseta.
Tu ramingo per Y itale vie
Spargerai del pensier T armonie;
Io fra r are al gran Labaro alzate
Su quest'urne famose verrò;
Inchinando l'altissimo vate
Per l'amico fedel pregherò;
E ben fia che dai supplici marmi
M'oda il Sir degli italici carmi.
Pregherò che t'apprenda il Vangelo
Le più care melodi del cielo,
Che la fiamma degli estri sinceri
Nella mente ti ferva e nel cor.
Che siccome il divino Alighieri
Sciolse un gemino carme d'amor,
La tua cetra abbia un inno per Dio,
Un ricordo pel suolo natio. '
Giuseppe Regaldi, novarese, nato nel 1809, uno dei più illustri
e meritamente celebrati poeti improvvisatori, incominciò col farsi
riprovare in un esame di diritto; ma la sera appresso, 2 agosto 1833,
fu salutato grande ed affascinante poeta in una solenne accademia
nel teatro d*Angeunes in Torino.
Biondo, dai capelli spioventi, dagli occhi vivi, dall* ampia fronte,
inspirato, dalla voce sonora e melodiosa, tutta la sua giovinezza fu
una ghirlanda di fiori, di onori e di amori. Percorse da trionfatore
r Italia. Gli austriaci lo cacciarono da Milano, ben comprendendo il
senso delle sue rime, sebbene non fossero improvvisate in lingua
tedesca. Critici, poeti, e dame gli facevano la corte, e la moda lo
faceva ricercare anche dalle piccole Corti del nostro paese. Fu a Mo-
dena, dove quel duca Io invitò a cantare di s. Ignazio di Loiola, e
quell'anima ardente e ribelle se la cavò col ricordare la leggenda
' Q]ae«t« poesU cosi si legge s psgg. 31-3) nell'opuscolo ciuto « p«g. 146.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 175
dell* apparizione di Maria al ferito di Guiposcoa. A Lucca il suo ta-
lento dovè addentrarsi nelle sottigliezze delle antiche corti d* amore,
avendogli Carlo Ludovico chiesto che cantasse sul tema seguente:
se sia meglio veder la donna amata e non udirla, o udirla senza
vederla.
Sazio degli allori paesani, corse a Parigi, dove Victor Hugo,
Lamartìne, il Quinet lo proclamarono gran poeta. Lo storico delle
rivoluzioni d'Italia esclamava: « On dit que l'Italie est morte:
d'autres disent qu'elle est seulement endormie. C*est au poete de
la réveillcr, si elle dort; de la resusciter, si elle est morte. »
Tra il 1840 e il 1849 passò la sua vita tra Napoli e Palermo,
fra una vera idolatrìa di grandi e piccoli, di accademici e di dilet-
tanti, di grandi dame e di gran signori. Fu il profeta della reden-
zione d'Italia. La reazione lo ghermì nel '49; gli sgherri borbonici
lo tennero in prigione per parecchi giorni, rovistarono e frugarono
tutte le sue carte, non seppero leggere nei suoi Canti biblici e lo
fecero imbarcare p<r Malta per sbarazzarsene. Allora il poeta visitò
r Oriente: l'Egitto, la Sina, poi la Grecia e Costantinopoli. E in
un libro mirabile raccontò, poi, il suo viaggio di sognatore, di eru-
dito, di poeta e di italiano.
Nel 1853 rìtomò in Piemonte, dove si sprofondò negli studi di
erudizione e di stona, per cui, dopo il 1860, sfrondati i vecchi allori^
incominciata la fulva chioma ad apparir bianca, bisognoso di riposo
e di un quieto nido, si fece nominare professore di storia. Lo man-
darono prima a Parma, poi a Cagliari, poi a Bologna, dove visse
luogamente fra l'amore riverente di tutti. Cosi morì professore, la-
vorando come un novellino. In un altro paese, in Francia, per
esempio, Giuseppe Regaldi sarebbe morto milionario.
174 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXVI.
Un Veneto.
Dante.
(14 maggio 1865).
Al marchese Gino Capponi.
Quanta stagion dal giorno in cui, divino
Alighieri, nascesti e sulla fonte
Del tuo bel San Giovanni
Fosti cristiano! O vate, o cittadino
Doppio serto intrecciaro alla tua fronte
Italia e poesia, cui né degli anni
Valse contro T oblio, né invidia o sdegno
Di prepotenze. E Tu cacciato lunge
Dall'ovile natio, Tu festi prova
Per qual mai strada che affatica e punge,
In mezzo a gente fastidiosa e nova,
Camminino quaggiù core ed ingegno
A incerta meta, ad infelice segno:
E pure nell'esiglio a frusto a frusto
Cercando un pan che ti sapea di sale
Ora a Pietro chiamavi, ora ad Augusto,
Non per te, ma per lei che a sé non vale,
E d'uopo ha d'uom che ben le inforchi il dorso
E ne la batta ai fianchi e regga il morso.
Poi quando chiuso il tuo poema sacro
Per lo sperare e per lo attender lasso
Venisti a miglior porto,
Al corpo tuo, da tante veglie macro,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Ravenna fu ospitai d*un umil sasso,
E là presso un allor surse di cono,
Cui il sol benigno od il terren fecondo
Cosi che spazioso dìlargava
Subitamente e stando dritto e saldo
Non perdea foglia o si discolorava
Dalla sua prima tinta di smeraldo,
Per che altro albero mai non vide il mondo
Giganteggiare a lui pari o secondo;
Anzi d'allora ad ogni cor che il foco
Vivo serbasse della patria Vesta
Perdurò santo e venerato il loco,
E, come in Delfo alla vocal foresta,
Popol veniva interrogando i veri
Responsi alla tua tomba, e Tu, Alighieri,
Levato dalla coltre il capo antico
Dalla coltre dell* ultimo riposo,
E dritto in su 1* avello,
Qual chi sorride a desiato amico,
Già salutavi il giorno avventuroso
Che la tua Italia di dolore ostello
A libere fortune apra e rinnovi;
Vana speranza! Ognora i falli istessi,
Ognor di servitù Tistessa scola,
E tradimenti ed oppressori e oppressi,
E il grido spento ai generosi in gola
Dalla mannaia, e ribaditi i chiovi
Dalle catene e nuovi aflFronti e nuovi
Tiranni, si che fremente e disfatto
Tu supin ricadevi alzando le ossa
D'ambe le man contro gli orecchi in atto
Di chi serrar U voglia, onde non possa
Una crudele illusì'on ancora
Tentarli del sepolcro a parer fuora.
Pace pace al lunghissimo desio
E tu sicuramente ergi la faccia
176 POESIE DI MILLE AUTORI
E guarda e ti conforta,
O disdegnoso spirito, che Dio
A fugare la bestia e darle caccia
Insin che ne l'ha morta,
II magnanimo Duce a cui profeta
Vaticinasti 0 ucciderai la fuia »
Combatte il primo fra la gente nostra;
Come sereno a dissipar la buia
Tenèbra secolar il di si mostra,
E questa terra al ridestarsi lieta
Intende la virtù del suo pianeta!
Or vedi quale sì consumi e roda
Chi attizzò il fuoco all'ira maledetta,
E torca lo scorpione in sé la coda
Ministro ei stesso dell'altrui vendetta:
Un voto sol ne univa, un sol pensiero
Dall'Etna ardente al gelido Brennero.
Ciò che fu fatto (e un lusinghier pareva
Sogno d'infermo allora, un voto a stento
Possibile al futuro)
Ciò che fu fatto in embrion giaceva
Entro gl'itali petti e in quel fermento
A lungo ribollito e già maturo;
Come favilla che un incendio desta
Corse il tuo nome e fu con pompa indetto
Il sesto celebrar secol dappoi
Che t'ebbe il mondo. Usciva il primo detto
Dalla tua patria e volea ognun di noi
Sua parte aver nella fraterna festa;
Quando un grido di guerra e all'armi presta
Star in campo l' Italia; indi la gloria
Di Palestro, gli eroi di San Martino,
E alla vigilia di certa vittoria
Un arrestarsi al mezzo del cammino;
E poi nuove speranze e co' suoi baldi
Guerrieri auspice e stella Garibaldi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 177
Per Tattonita Europa ancor s'udla
Fremir ia voce che gridò d'attorno
Libera Italia ed una,
E Italia nel trionfo onde gioia
Si rìsovvenne del natal tuo giorno.
Ed oggi nel favor della fortuna
Al patrio giubileo chiama la gente.
Eccola l'alba annunziatrice alfine
Di questo di sacro all'ingegno. Oh quale
Inneggiare di voci cittadine
Al cantore sovrano ed immortale!
A lui statue e corone 1* irrompente
Plauso che dentro l'anima si sente;
A lui splendide feste e d'ogni parte
Pressa di pellegrini a cui tien guida
Reverenza del vero e amor dell'arte,
E ovunque il sol di civiltà sorrida
Comune eredità suona il suo verso,
Perchè patria del genio è l'universo.
M'odi, padre Alighier — già ben ti stette
Dormir là basso a fianco la pineta,
E che Firenze invano.
Invidiando le ossa benedette,
Domandasse a Ravenna il suo Poeta;
Quando assali discordia in modo strano
La partita cittade, e un mercatante
Della madre in suo prò volte le offese
Inaugurava a tirannia le Palle,
Quando sedeva a Pitti il lorenese
Era degno di te voltar le spalle
Dal popol tuo che nel sonno di tante
Vergogne mal si ricordò di Dante ;
Ma adesso a che lo sdegno od il rifiuto?
Libera è fatta la tua dolce terra
Che degnamente nobile tributo
Pagò di sangue cittadino in guerra,
DtL Bako. Voi. XIV. la
178 POESIE DI MILLE AUTORI
E le gare natie vinse la prima
Onde oggi a tutte le altre è messa in cima.
Prova si egregia è la continua voce
Che oblioso ti vuol de' vecchi insulti.
Vincati alfine e renda
Pacificato si che in Santacroce
Delle ceneri tue la patria esulti.
A compiere però questo s'attenda
Un breve tempo ancor, s'attenda un anno:
Né ti sia lungo; il cor dina più tosto
Se ognun di noi potesse oggi felice
Prendere a festeggiarti il proprio posto.
L'antica, ohimè! di Romolo nutrice
E il veneto Leone ora si stanno
Incatenati e in disparte e in affanno!
Tengono Roma in frusti lacci avvolta
Del pescator di Galilea le reti,
E al re de' boschi la gran giubba ha tolta
Nordico tosator; ma a' suoi secreti
Dio del servo Sanson crebbe la chioma,
E Dio non scorderà Venezia e Roma !
Ma combattuta la suprema pugna
(Cosi spirasse il ciel giusti consigli
A chi sfidar ne vuole)
Allor che salvo allo stranier dall'ugna
Non mancherà al banchetto alcun dei figli.
Allora raggi in Oriente il sole
All'atteso ritorno, e mova in pria
A Ravenna la turba e all'onorato
Loco, di cui ti fu la terra lieve,
Come a chi della patria ha meritato
Renda grazie; le sante ossa indi leve
Movendo all'Arno e lungo della via
Ognuno applauda tripudiante e dia
Sul tuo passaggio a piene man ghirlande;
Mentre seguiterà del carro accanto
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. ìj^
La ben cresciuta prole di quel Grande
Cui lo scettro ed il trono è il minor vanto,
E via prosegua il trionfai corteggio
Al paese che tien tra i fiori il seggio;
Ivi da un nodo stretta, ivi concorde
Ogn' itala città su la nuova ara
Dal cener tuo famosa
Gli assassini di parte odii si scorde,
Pianga i lutti civili e in miglior gara
Di mutiìe virtù, volonterosa
Pel ben d'altrui sacrifichi se stessa.
E tu dal patrio avel ti piaci in questa
Ecatombe solenne ove a novelli
Segni d'amore il nome tuo ridesta
Color che terra e del voglion fratelli!
Cosi si compia la tarda promessa,
E quale al tempo che l'inverno cessa
Rinverdisce la terra e fiori e frutta
Mette dal grembo la feconda madre.
Tale, o divino, ti mostra per tutta
Italia animator d'opre leggiadre
E a chi di noi pur dubitasse insegna
Che la tua patria ora di Dante è degna. '
' Q]Msu poesia cosi si legge « p«gg. 34-40 nell'opuscolo gii ciuto s psg. 146.
l80 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXVII.
Amedeo Digerini Nuti.
L'amor di Patria.
(14 maggio 1865).
Amor di Patria! O dolce, o santo affetto,
Che la mente c'esalti e infiammi il core!
Per tj s'avviva ogni mortale oggetto,
Tu sei d'ogni virtude ispiratore.
DeirAlighier nel generoso petto
All'opre eccelse tu crescevi ardore,
E il possente di lui divo intelletto
Tornar volea la Patria al prisco onore.
E fia che torni, se concorde il brando
Sorga dei figli all'ukimo cimento,
Coli dove Vittorio andrà pugnando.
Allor trionferà d'Italia il dritto,
E del massimo Vate al monumento
Le palme appenderem del gran conflitto.'
' Questo sonetto cosi si legge a pag. 40 nell'opuscolo citato a pag. 146.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 1%Z
DCCXVIII.
Giuseppe Gaxdo.
Ob Dantis Alligherii solemnia.
Carmen Seculare.
(omaggio 1865).
Mazimi ci vis patrìaeque vatis
Festa bis terno celebranda sedo
VerWfer cunaas Italùm per urbes
Nunciet ignis:
Nunciet totum rapici us per orbem;
Nam decet cunctis resonare terris
Inclytum nomen simul et Latinae
Stirpis Honores.
Sole ceu primo tenebrae fugantur,
Et micat rerum facies, Etrusci
Sic Patris caeco rutilavit aevo
Musa creatrix.
Mente conceptam valida poesim
Iste romanis sodare chordis
Splendide exorsus; medio sed anceps
Constiti: ausu.
Quippe natalis melos atque robur
Sendens linguae decus et futurum,
a Ceteris, inquit, potiora fingam
a Carmina Tuscis.
« Me suts flammis amor intus urget,
« Cuncta qui dio moderatur aestu,
« Quo bene afflanti bene cuncta vernant,
« Cuncta resurgunt.
l82 POESIE DI MILLE AUTORI
« Me Deus Vatera rapir ; omne caelum,
a Et quod est inter superos et imos
«Omne complectar: duce cum Marone
« Tartara visam.
«Qui premunt aegram patriam tyrannos»
i< Qui Deum laedunt propriosque fratres,
« Quolibet foedi graviore turpem
« Crimine vìtam ;
ft Horridis ponam barathris Averni,
« Et pios nondum macula carentes
« Sedibus tutis ubi poena culpam
a Purgat amica.
« Sed mihi ut scandam peregrinus astra,
« Una dux esto, comes una semper,
« Qua magis virgo mihi nulla falsit,
« Diva Beatrix.
« Integros cives, animaeque magnac
a Prodigos, almae fidei sequaces
« Ipse, te fretus, mea lux, Olympi
« Coetibus addam. »
Quidquid audendum fuerat locutus,
Quidquid ardenti sacer ille vates
Pectore aggressus valuit perenni
Sculpere versus...
Mysticum, nulli simile aut secundum,
Triplicis regni stupuit poema
Nostra gens, doctae stupuere gcntes
Totius orbis.
Salve, io salve, Pater Alligheri,
Certa spes nostrae columenque terrae,
Rite credentum decus atque lumen,
Rite canentum!
Coelica blandis oculis ab urbe
Cerne terrenam generosus exul,
Quae tuos moesta cineres Ravennam
Voce poposcit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 183
Quae tibi, ut patrum scelus expiaret,
Extulit magna Crucis aede bustum,
Umbraque anriquae redeas precatur
Immemor irae.
Inspice, o mirum! tua dives Arni
Urbs, tibi solvens revertente festos
Seculo, en gaudens Itali coruscat
Principis aula.
Militum proles animosa regum
Atque divorum, bonus hic Sabaudus,
Qui, triumphatis patriae tyrannis,
Regnar amanter,
Nonne praecellens tuus ille Cacsar,
Quem peroptabas Italis adesse.
Ut forent uno domus una rege?
Scilicet ipse est.
Hic Dei servans populique jura,
Ac tuo complens properata cantu,
Omnium votis aderit redemptor
Ausonidarum. '
Giuseppe Gando nacque, il 4 agosto 1816, in Albaro, sobborgo
di Genova. Studiò prima sotto la direzione paterna, poi passò nel
seminario arcivescovile, infine all' Università genovese, dove inco-
minciò il suo corso di diritto civile. Interruppe i suoi studi chiamato
a Parigi da Antonio Brìgnole-Sale, che era colà ambasciatore per
il re di Sardegna. In qualità di suo segretario particolare, vi rimase
dal febbraio 1842 fino all'agosto di quell!anno stesso. Ritornato
in patria» volle abbracciare lo stato ecclesiastico e fu ordinato prete
nell'ottobre del 1843. Si era già fatto bellamente conoscere per le
sae poesìe italiane e latine, e, dedicatosi del tutto agli studi, crebbe
in gran fama, specialmente qual latinista. Nel 184) gli Arcadi di Roma
lo vollero tra loro. Nel 1848 segui in Roma il Gioberti, al quale,
bene esperto del dedalo romano, rese notevoli servigi. Nel 1873
si ridusse nel paesello natio, dove attese a riordinare i suoi scritti,
disseminati in molte riviste e giornali. Fu uomo pio e cittadino
«elante.
' QjMSto cftrme cosi fu stampato a pag. 299 e seg. nell' htitutore di Torino, 1865.
l84 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXIX.
Francesco Bagatta.
Bice Alighieri.
Tragedia lirica in q.uattro atti.
(Musica dtl maestro Ahssandro Saie).
(14 maggio 1865).
Personaggi : Guido Novello, signore di Ravenna - Gabriella, moglie
di Guido - Ostasio, di lui fratello - Bice Allighieri - Moldo,
giovane guerriero - Mercuriale, famigliare di Guido - Nonna
Menica, tavernaia - Abitanti di Ravenna - Dame della Corte
di Guido - Vassalli e famigliari di Guido - Scherani di Ostasio
- Claustrali - Pescatori - Popolani - Marinai.
La scena ha luogo in Ravenna, epoca 1320.
ATTO I.
Scena I.
Piazza di Ravenna. Si vedono in lontano le cime della Pineta. A
sinistra V ingresso del torneo. A destra palazzo di Guido. Abi-
tanti di Ravenna, vassalli di Guido.
(Ufio squillo di tromba annuu:^a il tormo),
I. Odi le trombe squillano
Apprestasi il torneo.
IL Vedi sfilar de' Principi
Lo splendido coneo.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 185
Scena IL
J)ifila il cortéggio^ precedono gli Alabardieri, seguono i Paggi, ìe Dame
e Grandi della Corte di Guido, poi Guido con Gabriella.
Inno.
Coro.
Salve, o Prence, a* tuoi piedi sMnchina
Dell* luiia r intera contrada.
Già dall'Alpe alla doppia marina
Sorge un plauso di gloria, d'onor;
E deposta per sempre la spada
Toma lieta agli amplessi d'amor.
Guido.
Dio preservi da strage e ruina
Deir Italia l'intera contrada (ecc, ecc. fino alla fine
del coro).
(JS^ avviano al torneo).
Scena III.
MoLDO in armatura.
MOLDO.
Alla tenzoQ d'onore
Corrono i prodi; anch'io
Bramo dell'armi cimentar la sorte;
Anch'io guerrier di questa patria cara...
Ove discordia ha regno. — a Oh miseranda
«Ira di parte! Una sol terra i figli
«Non ha concordi e da Fiorenza in bando
«Erra AlUghier. » — Oh Bice! ove t'aggiri?
L'eco non giunge a te de' miei sospiri.
l86 POESIE DI MILLE AUTORI
Prostrata e supplice
Ti vidi all^ara
Bagnar di lagrime
Un'urna, o cara...
Il ciel richiedere
Di sua mercè.
Sentii prorompere
Nel petto mio
Ardente palpito
Dolce desio...
Io vissi, o vergine,
D*amor per te.
(Odesi squillo di tromba dal torneo).
Vadasi omai che del cimento è Torà
Di nuovo allór mi fregierò le chiome
E la vergine mia
Più glorioso ridirà il mio nome.
(5*at'via al torneo).
Scena IV.
OsTASio entra accigliato, e ratfvolto in ampio mantello.
OSTASIO.
Ella verrà. — Qui nei paterni lari
Del mio spregiato amore avrò vendetta.
In mezzo al sen cresciuta
Cinta d'affanni, e di perigli, io sento
Divampar la mia fiamma... Oh! Beatrice
Tu mia sarai...
(5i ode una marcia daW interno).
Ma il popolo ritorna
E il vincitor saluta. —
No, la mia speme non sarà perduta.
{Si allontana).
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 187
Scena V,
La scena si riempie di popolo. Ritorna il corteggio dal torneo. Guido,
MoLDo colla visiera calata, Gabriella, poi Mercuriale e Bice,
ultimo OsTASio.
Coro.
Viva il Guerriero intrepido
Nel vallo deironore,
A lui si cinga il lauro
Emblema del valore
E fulminando in campo
Della sua spada il lampo
Di gloria sia forier.
(Gabriella, Guido conducendo Moldo).
Guido.
Vieni t'appresta a cogliere
Il guiderdone al merto:
Ecco tue chiome a cingere
Del conquistato serto
La sposa mia giuliva...
{Accennando a Gabriella).
Mercuriale
{inoltrandosi).
Sire, a tuoi lari arriva
La Figlia d'AUighier.
{Entra Bice accompagnata da due Damigelle).
Bice.
Guido...
Guido
(movendo incontro. Gabriella lo segue ed abbraccia Bice).
Al mio seno...
Coro.
Ohi giubilo.
l88 POESIE DI MILLE AUTORI
Guido.
Ognuno in te festeggia
Oe* suoi poeti il principe,
Onor della mia reggia.
MOLDO
(da sé).
Oh Bice! Oh lieto giorno!
Guido.
Rifulga d'ogni intorno
La gioia e lo splendor.
Bice.
Ma di qual pompa allegrasi
Questa beata terra ?
Tutte le sue dovizie
Il Ciel su voi disserra.
Quanto m'alletta, o Principe,
La gioia che diffondi
Ne' tuoi fedeli sudditi
Che a libertà secondi.
Questa mi fa dimentica
Della sventura mia,
Questa del cielo italico
Luce novella or sia.
Santo e divino è il vincolo
Che di concordia e amor
Rannoda Prence e popolo
Nel voto sol d'un cor.
Guido.
Oh! del poeta italico
La prole in te ravviso
È un' eco de' suoi palpiti
Della tua voce il suon.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 189
Per te ritorni a splendere
Sovra quel volto il riso»
Per te il suo labbro sciolgasi
Al canto del per don.
Bice.
Troppo è l'affanno, o Principe,
Che affligge il genitor.
Lenir noi può una misera
Oppressa dal dolor.
Fiorenza soltanto
Concorde ed unita
Può render la vita
All'egro cantor.
Le rabbie fraterne.
Le truci vendette,
Oh! sien maledette
Dagl' Itali cor.
Sorgi mia patria splendida
Come il pensier di Dio,
Sulle tue colpe stendasi
Un denso vel d'obblio:
Torna ridente e impavida
Come a^ vetusti di.
Fiera nel sen del perfido
Che la tua strage ordì.
(Sopra^^iun^e Ostasio).
Guido.
O Bice a te sollecito
Il mio german s'appressa.
Volgi il soave ciglio...
Bice
(da sé agitata, scorgendo Ostasio).
Cieli! che miro?
190 POESIE DI MILLE AUTORI
OSTASIO
(a parte, atfvicinandosi a Bice).
£ dessa.
Bice
(a Guido, ricomponendosi).
E il genitor?
Guido.
Legato
Al Veneto Senato
Merca novelli onor.
Il rito ornai si compia.
Per la tua man, donzella,
La chioma a lui del lauro
Risplenderà più beila.
Coro,
Viva r eroe che in campo
Della sua spada al lampo
Gloria conquista e amor.
(Due paggi si avanzano recando Vuno V alloro, V altro la spada; Bice
è nel me^io, Moldo si china ai suoi piediy Ostasio si pone al loro
fianco^ Guido daW altro lato^ Gabriella si accosta alle sue Dame,
tutte le persone si vengono accostando),
Bice
(prendendo in mano V alloro).
Il tuo nome ?
Moldo
{aliando la visiera),
Moldo io sono!
Bice
(a parte).
Moldo! Oh cielo! oh me felice!
(Ripigliamìo).
Cavaliere io t' incorono.
{Lo incorona).
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 19I
MOLDO.
Tanta gioia non si dice.
OSTASIO
(fra i<\ guardando Moldo).
Questo istante è a te fatale.
Bice
(dando a Moldo la spada).
Cingi o prode il forte acciar.
OSTASIO
(guardando Bice e. s.).
È palese il mio rivale...
Moldo
(da sé).
Quale arcano palpitar!
OSTASIO
(ad un tratto, traendo Bice in disparte).
O donna! Ti leggo nel pallido aspetto...
Palesa lo sguardo la piena del cor...
Se a Moldo d'amore pronunci un sol detto.
Dal ferro d* Ostasio fia vittima allori
Bice
(scostandosi da lui).
O cielo, che ascolto? quai sensi? quel detto
M'agghiaccia le vene, m'assidera il cor.
Proteggimi, o Madre, dal Ciel benedetto,
Dell'orfana afflitta proteggi l'amor.
Moldo
(a parte, guardando Ostasio con ira).
Io leggo d' Ostasio nel torbido aspetto
Un ghigno feroce che lacera il cor. —
(a Bice).
Perchè sul tuo labbro non suona un sol detto
Che i dolci mi sveli trasporti d'amor?
192 POESIE DI MILLE AUTORI
Guido
(girando intorno lo sguardo).
Dei volti ridenti mutato è l'aspetto
E regna d' intorno segreto terror.
Disperda la gioia d'allegro banchetto
Il triste presagio che piomba sul cor.
Gabriella e Coro
(a parte).
Perchè della festa mutato è l'aspetto
E regna d'intorno segreto terror?
Ricusa ogni labbro lo sfogo d'un detto,
E un triste presagio ripiomba sul cor.
(Ad un cenno di Guido, il corteo s'ai'Z'ia al pala^:;^).
Fine dell'atto primo.
ATTO ir.
Scena I.
Cortile d*una taverna ; a sinistra il fabbricato, panche e sedili.
Popolani, Pescatori, Scherani d'Osusio.
Nonna Menica va distribuendo loro del vino e dicefido la buona ventura.
Coro.
La zingarella
Vivace e snella,
Versa da bere
Nel mio bicchiere. —
Viva l'amor!
Viva il liquor!
Col suo sorriso,
Col suo bel viso,
Legge l'arcano
Sulla mia mano. —
Viva r amor!
Viva il liquori
mrOKNO A DANTE ALIGHIERI. 193
Scena IL
OsTASio e detti.
OSTASIO.
Ah, d» gioite... Il tempo a voi non conti
L'ore col duolo, da diversi aflPettì
Agitato è il mio cor, libero un giorno
Ora uno schiavo... Oh! rabbia, io son lo schiavo
D'una fanciulla, ma nel petto altero
Toma r ardir primiero;
Trionferò, fia vano
Il rifiuto, o crudel, della tua mano.
Sciagurata! all'amor mio
Più resistere non puoi,
Al fulgor degli occhi tuoi
Si risveglia in me l'ardir.
Coprirò d'eterno oblio
Il mio duolo, il mio martir.
{Volgendosi agli Scherani).
O miei bravi, a me venite,
Neil' impresa mi seguite. —
Coro di Scherani,
Parla, imponi, al tuo comando
Presteremo l'opra, il brando.
(Popolani e Pescatori internandosi nelVosteria).
Dileguiamo : nel mister
Muor l'ebbrezza del bicchier. —
OSTASIO
Ccircondato dagli Scherani che lo accompagnano nel canto).
Quando il ciel sarà più nero.
Nel silenzio, nel mistero,
R»pCo 1» 1* bella
^ remo tua
La tra/«^„ al ™'° castel.
remo tuo
|>BL B4U0. Voi. XIV. 13
194 POESIE DI MILLE AUTORI
Se ^' arride la ^^^^ stella
Fien contenti i ^ - fedel.
tuoi
(Foci interne dalV osteria).
Viva Tamor!
Viva il liquor!
OSTASIO
{con fuoco).
Più fiero e più gagliardo
È nei cimenti amor,
Non ci farà codardo
D'una fanciulla il cor.
Preci, sospiri, e lagrime,
Non otterran pietà,
Degna di sprezzo è l'anima
Che trionfar non sa.
{Partono).
Scena III.
Deliziosa villa con approdo sul mare; a sinistra si scorge
il palazzo di Guido.
Bice, poi Moldo con abito da hallo.
Bice.
Volge il sole al tramonto. Anima mia
Che pensi? ove t'aggiri? Una speranza
Per me non hai ne* tuoi colori o sera...
Ma tempestosa e nera
La procella sovrasta al capo mio.
Lungo d'amor desio
Muto è sul labbro, eternamente muto.
Dalla natal mia terra
Ne discacciaro i crudi, e dalla madre
Mi separa la tomba...
Chi mi sostien?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I95
MOLDO
(comparendo improvviso).
Di Moldo
L'ardire, il braccio.
Bice.
Ah! va, fuggi, t'invola...
Moldo.
Potrei lasciarti abbandonata e sola?
Dunque non sai qual fremito
Mi scorre per le vene.
Che per me sei tu Y unica
Speranza d'ogni bene.
Solo un desire ho in cor.
Bice.
Cerca altri lidi... il candido
Sorrìso d'una sposa.
Estinguerà l'incendio
La man della pietosa;
Lasciami il mio dolor.
iPiangendó).
MoLDO.
Donna, tu piangi...
Bice.
Io... gemo...
La patria a tanto estremo.
Lontano il genitor.
Moldo.
Stretto in mia mano il brando
Pian da Piorenza in bando
Cacciati i traditor.
Bice.
Lasciami il mio dolor.
196 POESIE DI MILLE AUTORI
MOLDO.
Solo un desire ho in cor.
Dal di che ti vidi ncU'esul sentiero
Il foco d'amore nell'alma brillò.
Ma il core tu coprì di tanto mistero
Che i verì suoi moti comprender non so.
Ah! parlami alfine di tenero amor.
Può solo un accento temprarmi il dolor. —
Bice
(da sé con angoscia).
M'affanna il suo duolo, mi desta nel petto
Il fiero contrasto la gioia, il dolor. —
Perchè non poss' io parlargli d' afifetto,
I dolci sospiri confonder d'amor? —
Mi strazia il crudele, non sente pietà...
Più misera donna la terra non ha.
{È sera. La campana dei morti suona a rintocchi).
MoLDO.
Odi quel suono? È il mistico
Saluto a chi si muore...
Doman sul mio cadavere
Quel suon ti condurrà.
Bice
(con disperazione).
Barbaro taci!...
MoLDO.
Al misero
Respinto dal tuo core
Più non ri man che un feretro...
Bice.
Ti calma per pietà...
Un orrido arcano mi tronca gli accenti,
Tremenda minaccia sul capo mi sta. —
Verranno altri giorni di gioia ridenti,
E d' altri il mio core giammai non sarà.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I
MOLDO.
Se un orrido arcano ci tronca gli accenti.
Se d'altri il tuo core giammai non sarà,
Il cielo ti ascolta, se adesso tu menti.
Il cielo spergiura colpirti potrà.
Scena IV.
I precedenti. Scherani in costume di pirati, poi Ostasio
pure in costume di pirata.
MoLDO
(scorgendo i pirati che a poco a poco io circondarono,
mentre alcuni sorvegliano la riva).
(con terrore).
Siam traditi. In tal periglio
Solo inerme...
(Fa per trascinare Bice dalla partii opposta, dalla quale s' inoltra).
Ostasio
(con fiereiia).
Olà! t'arresta
Era stolto il tuo consiglio.
Bice
(corre al capo opposto della scena e con angoscia).
Dunque ogni ora è a me funesta?
MOLDO
(con furore verso Ostasio).
T'infondono ardire
Dei vili le braccia. —
Ostasio.
Risparmia dell' ire
La vana minaccia.
Bice.
È troppo il martire
Che Y anima agghiaccia. —
198 POESIE DI MILLE AUTORI
Pirati.
Noi vili! sul mar
Ten vieni a pugnar. —
{Sopraggiungono Guido, Gabriella, Dame e Cortigiani in àbito da festa
e sen:( armi. Famigliari con fiaccole).
Guido e Gabriella.
Quai grida! quai grida!
Dame e Cortigiani.
Spettacol d'orror.
MOLDO
(ai Cortigiani).
L'indegno si uccida,
Si salvi il mio cor.
Bice.
Chi adesso m' affida
Dal mio disonori
Ostasio
(a Moldo).
Da lei si divida...
Trionfa, o mio cor!
(l Pirati collocatisi fino dalV apparin dei Cortigiani a ministra fra Bice
e Moldo, impedendo la loro unione, ad un atto di Ostasio si ser-
rano ancor più %'icini: Moldo fa cenno ai Cortigiani, i^m^rd alia
destra, di scagliarsi sopra i Pirati; mentre i Cortigiani fanno per
moversi, i Pirati levano i pugnali in atto di ferire).
Guido e Cortigiani.
Ardire infernali
Brandito è il pugnai!
Moldo.
Quai tema v' assai }
V'arresta un pugnai?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. I99
Gabriella e Dame.
Preghiera non vai!
Brandito il pugnai!
Bice.
Istante fatai!
Mi sveni un pugnai!
OsTASio e Pirati.
Inganno non vai.
Brandito è il pugnai!
{Una barca approda alla riva).
Marinari
{dalla barca).
Al vento le vele
Spiegate son già. —
OSTASIO
(afferrando Bice e passando attraverso i Pirati).
Di vane querele
Non sento pietà.
Bice.
Mi lascia, crudele,
Ti stringa pietà.
Guido e Gabriella.
T' arresta, crudele.
Dame c Cortigiani.
Ti stringa pietà.
MOLDO.
Vendetta! il crudele,
Rimorso non ha.
200 POESIE DI MILLE AUTORI
Pirati
{ad un cenno di Ostasio trascinano Moldo alla barca).
Coi vili! sul mar
Ten vieni a pugnar.
(Ostasio, Bice, Moldo, Pirati sono sulla barca : questa prende il largo.
Guido, Gabriella, Dame, Cortigiani accorrono alla riva).
La barca scompar
Da lunge sul mar!...
(Quadro di desolaTiionc).
Fine dell' atto secondo.
ATTO III.
Scena I.
Sotterraneo nel Castello di Ostasio.
Bice è addormentata sopra un masso. Uno scherano reca un* idria che
depone, quindi si allontana con atto di commiserazione.
Bice
(destandosi).
Quale orribile sogno! Aperto il petto
Da cento colpi e cento
Moldo m' apparve, e dal suo labbro uscia
Lungo singulto. — Ahi vista! Oh mio terrore!
Tu che mi vedi in core
L*immagin sua, per lui pietade imploro.
Dammi forza, gran Dio, nel mio martoro.
Scena IL
Ostasio riccamente vestito, da una porta secreta, e detta,
(Bice vedendo comparire Ostasio corre spaventata in fondo della scena).
Ostasio.
Non turbarti!
Bice.
È desso!... Ostasio!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 201
OSTASIO.
Ti spaventa il mio sembiante ?
Bice.
Ei mi appar siccome un demone...
OSTASIO
(con dolcej^f^).
Calma, o donna, il cor tremante,
Del tuo duol vo' tronco il corso.
Bice.
Ma non senti alcun rimorso?
OSTASIO.
Cedi, vedrai rinascere
L'aprii della tua vita,
Avrai di fiori un talamo
Alla mia sorte unita ;
Mercè del lungo amore
Che mi tormenta il core,
E un eden di contento
Il viver tuo sarà.
Bice.
Cessa, deh, cessa... Ah! lasciami...
Vedi, ho bagnato il ciglio...
Non mi coprir di triboli
Il calle dell' esigilo ;
Col favellar d' amore
Insulti al mio dolore.
Pietà del mio tormento,
Del mio soffrir pietà !
OSTASIO
{con for:ra).
Troppo varcasti il limite
Dal mio voler segnato.
Mi rifiutasti docile,
Ora m' avrai sdegnato.
202 POESIE DI MILLE AUTORI
Bice.
Sola, infelice, oppressa,
Mi dà fidanza il ciel
Che a* tuoi desir sommessa
Tu non m' avrai, crudeli
OSTASIO
{con ira).
Vana speme t'avalora,
Niun da me sottrar ti può;
Se al mio cor resisti ancora
Il tuo sangue verserò.
La mia man da te reietta
Questa lama impugnerà.
Più feroce la vendetta
Sul tuo capo scenderà.
Bice
(con fertneiia).
Sciagurato! invano tenti
Trascinarmi a* tuoi desir.
Dio pietoso a* miei tormenti
Darà forza al mio soffrir. —
Pieno il cor d* un altro affetto
L' ira tua sfidar saprà,
Sempre viva nel mio petto
Quella fiamma brillerà.
(Ostasio parte trascinando Bice nd fondo del sotterrante).
Sceka IH.
Magnifico parco con atrio nel Palazzo di Guido.
Guido, poi Armigeri.
Guido.
Né riede alcun... irrequieto il core
Si dibatte nell' ansia, e nel dolore.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 203
Un sospetto — un fier sospetto
Mi ricolma di terror,
Del fratel l'indegno affetto,
La ferocia del suo cor.
Bice, ah ! Bice, il tuo periglio
Fia crudele al genitor,
Non s' aggiunga al triste esigilo
Di tua sorte il rio dolor.
Quai nuove?
{Entrano gii Arm gerì, Guido va loro incontro).
Armigeri.
Ognuno a lagrimar si appresti.
Al tuo cenno sciogliemmo la prora
Inseguendo l'audace corsar;
Neil* inceno crepuscolo ancora
Ogni sguardo s' affissa sul mar.
a Una vela, una vela; » a tal voce,
Grìdiam tutti : vittoria o morir;
Già la barca trascorre veloce
Già nei petti raddoppia T ardir...
Ahi! sventura, sventura, sventura!
Come un* ombra la vela scompar...
Vuota intorno è l'immensa pianura
Non un' orma dei miseri appar.
Visitammo ogni tacito speco
Delle faci all' ardente chiaror.
Rispondeva alle grida sol l'eco.
Poi regnava silenzio, e terror.
Trafelati dal lungo cammino
A* tuoi piedi torniamo, o signor.
Ah! di Bice, e di Moldo il destino
Desta in tutti spavento e dolor.
204 POESIE DI MaLE AUTORI
Scena IV.
MoLDO dal fondo colU vesti in disordine e detti. Gabriella e
sopr aggiungono dal Palalo.
Coro
(con sorpresa scorgendo Moldo).
Moldo vive! Il nostro duce
Sopra i campi dell* onor,
Lieta sorte il riconduce
Redivivo al nostro amor.
Moldo.
Non v'allegrate or voi, più gioia alcuna
A me non è serbata, —
Solo vendetta anelo.
Guido.
Oh valoroso!
Salvo tu se' fra noi,
Narra gli affanni tuoi, come fuggito
A rio periglio estremo
Ritorni al nostro amor. —
Moldo.
M' udite, io fremo !
Fugge suir onda rapida
La scellerata prora,
Bice in balia del perfido
Invan pietate implora;
Stretto fra ceppi io sono —
Ma de' suoi pianti al suono
Freme imprecando il cor.
Del rio covil mi gettano
Entro prigione oscura. —
Del suo misfatto il barbaro
Compiuta ha la misura.
In mar lanciato io sono...
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 205
Ma de' suoi pianti il suono
Sempre mi torna in cor.
Lottai coi flutti impavido...
Presso a morir son io...
Un pescator, sollecito,
Vola al soccorso mio,
A voi tornato io sono...
Ma de' suoi pianti il suono
Sempre mi strazia il cor.
Scena V.
Mercuriale frettoloso, e detti.
Mercuriale.
Prigioniera d'Ostasio al Castello,
Sta su Bice periglio novello.
Guido, Gabriella e Dame.
Che mai sento? qual turpe mistero,
Un delitto ha commesso il fratell
(Si allontanano mestamente).
Moldo e Armigeri.
Che mai sento? del turpe mistero
È squarciato agli sguardi ogni veli...
Su compagni, l'ardire primiero
Pia pur or benedetto dal ciel.
Proromperà terribile
De nostri ferri il suono;
Senza accordar perdono
All' empio, al traditor.
Sopra i dispersi ruderi
Noi canterem vittoria,
Coronerà la gloria
I voti dell' amor.
206 POESIE DI MILLE AUTORI
Armigeri.
Coronerà la gloria
I voti dell' amor.
(Partono coUe spade brandite).
Fine dell*atto terzo.
ATTO IV.
Scena I.
Gran vestibolo gotico della Chiesa di S. Chiara, presso Raven
Bice.
Moldo peri — d' invereconda gioia
S'inebriava Ostasio, —
Ed io fra ceppi. — La pietosa destra
D'uno scherano, cui commosse il core
Il mio grave dolore,
Alle abbonite mura,
Con gran periglio, mi sottrasse, — in questo
Cenobio augusto cingerommi il velo: —
Unica speme di mia vita — il cielo.
Oh, dolce patria — Fiorenza addio I
Addìo memorie — del viver mio!
L'ore non riedono — de' miei prim'anni,
M'assalse un cumulo — di lunghi aflFanni;
Sul labbro solo
Favella il duolo; —
Non brilla più
La gioventù.
« La cara imagine — d' un vero aflFetto,
«Mai non cancellasi — di donna in petto;
«A Moldo un vincolo — di puro amore
« Indissolubile — mi strinse il core, —
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 207
Per l'aure io sento
Suon di lamento
Che viene a me...
— Eì più non è!
Esecrato uno spirto d' A verno
A noi tolse ogni gioia d'amor...
Maledetto d'innanzi all'Eterno...
Che mai dissi?... mi perde il dolor.
Gran Dio, perdonami — Tu mi consola
Nel mio delirio — deserta, e sola...
Terreni palpiti — per sempre addio!
Tutta quest'anima — tutta è di Dio!
Da mane a sera
La mia preghiera
Implorerà
La tua pietà.
(Entra nel Tempio),
Scena li.
-/^«^ la Processione; precedono ^//Alabardieri, i Cantori, i Paggi che
recano V abito, la cintura, lo scapolare, Panello; seguono i Corti-
giani, Guido e Gabriella. Durante la Processione si canta Tinno
ddla vesti:^ne monacale. Le Claustrali si fanno incontro sulla porta
del Tempio,
Cantori.
Vieni, le menti visita
O Spirto creator,
La tua suprema grazia
Spargi a' tuoi figli in cor.
Claustrali.
Lode al Signori
Cantori.
Qual detto sei Paraclito,
Messaggio del Signor,
Dolcezza d'ogni spirito,
Fonte, favella, amor.
208 POESIE DI MILLE AUTORI
Claustrali.
Lode al Signori
Cantori.
« Co' doni tuoi settemplici
« Sei dito del Signor,
« Te multilingue ai popoli
« Promise il Genitor.
Claustrali.
Lode al Signor!
Cantori.
I nostri sensi illumina,
Spira nell'alme amor,
Ai corpi infermi, ai deboli,
Dona al patir vigor.
Claustrali
Lode al Signor'
Cantori.
a Scaccia le ostili insidie,
ft Pace ne versa in cor,
« Tu condottier dell'anime
« Ne salvi d'ogni error.
Claustrali.
Lode al Signor!
(La Processione al suono dell' organo è entrata mi Tempio, La se
resta muta alcuni istanti).
Scena III.
MoLDO solo, poi Bice, indi Ostasi©.
MOLDO.
Tanto valor perchè.'* vinto il Castello,
Bice ancor mi fu tolta;
In questi chiostri accolta
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2O9
Ella mi sfugge ognor. — L'armi di Ostasio
Inseguono i miei prodi, — O mie speranze
Come svanite!
{Si odo ddVinterno il suono dell'organo).
Oh ciel! quai suono è questo?
Claustrali
(Dal Tempio).
Lode al Signor!
MOLDO.
Colà si compie un rito.
Ah! qual pensieri — Già tutto
Odora intorno di profumi il loco.
Che mai sarà?
Bice
(comparisce sul limitare del Tempio in abito monacale).
(Con dispera:iione).
Di questo core il foco
No, non è spento. Il labbro proferia,
Ma in quei voti non è Tanima mia.
MOLDO
(raffigurando Bice e accostandosele).
Che! non m'inganna il giubilo?
Io ti rivedo ancora?
Vieni, il mio petto ognora
Batte per te d'amor.
Bice.
Ah! non parlarmi incauto
D'un palpito terreno.
Più non mi vive in seno
Altro che il mio dolor.
MoLDO
(con trasporto).
Dunque gli affanni miei.^..
Cu Balso. VoL XIV. 14
2 IO POESIE DI MILLE AUTORI
Bice
(ititer rompendo).
Rapirmi a Dio non dei.
Rispetta queste mura,
Rispetta questo vel.
MOLDO.
Contro di me congiura
Fin ne' suoi riti il ciel!
OSTASIO
{inoltrandosi non visto fra h colonne).
O coppia rea, sicura
Mi dà vendetta il ciel.
MoLDO.
M'ami tu? rispondi ingrata...
Bice
(da si).
Chi m'assiste in tal momento?
Moloc.
Dimmi, ah! dimmi un solo accento
Né mai più ti rivedrò...
Non m'amasti tu giammai?
Bice
(fuori di sé).
Più frenarsi il cor non può.
(con trasporto)
T'amo, t'amo...
OSTASIO.
Sciagurata!
La sua morte hai pronunciata.
Muori... muori.
(^Ferisce Moldo al cuore).
INTORNO A DANTE ALIGHIBRI. 211
MOLDO.
Son ferito!
(cade).
Bice.
Il mio labbro m* ha tradito!
OsTAsro.
Di vendetta ho pago il cor.
Scema Ultima.
I precedenti. Le Claustrali escono dal Tempio. Gli Armigeri
Irrompono condotti da Mercuriale.
Claustrali.
Vieni, o suora... Ahi, vista orribile!
Mercuriale
(a^li Armigeri),
Si circondi Tuccisor.
(Bice ha suUe ginocchia il capo di Moldo, h Claustrali le fanno
'ow-ona, Ostasio h circondato dagli Armigeri).
MOLDO
(sollei'andosi).
Al seno stringimi...
Mia Bice addio...
Bagna di lagrime
11 cener mio.
In ciel quest'anima
T'attenderà.
Bice.
Insiem fra gli Angeli
T'accolga Iddio,
Avran tue ceneri
Il pianto mio.
In ciel quest'anima
Con te sarà.
212 POESIE DI MILLE AUTORI
Claustrali.
Pace ai due manin
Conceda Iddio,
In del dimenticb
Del fato rio,
Il loro spirito
Esulterà.
OSTASIO.
Nella sua collera
Avventa Iddio,
Onta ed infamia
Sul capo mio,
Per me, fra gli uomini.
Non v' è pietà.
Mercur. ed Arm.
Nella sua collera
Ti colga Iddio,
Onta ed infamia
Del suol natio,
Per te, fra gli uomini,
Non v' è pietà.
Moldo.
Per.. .do.. .no al mio ri.. .vale...
In ciel... ti... ri. ..vedrò.
(Muore).
Bice.
Oh! vita a me fatale!
In ciel ti rivedrò.
Tutti.
Perdona al suo rivale.
Il misero spirò.
(Le! Claustrali strappano Bice dal cadavere di Moldo. Gli Armi-
geri traggono seco O stasi o).
Fine dell'atto quarto. '
' Questa tragedia lirica cosi fu stampata in Verona, con i tipi Daldò, ntl iSé^.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 213
Il conte Francesco Bagatta nacque il 6 novembre i8:o in
Verona e vi morì il 29 agosto 1894. Ebbe vita operosa, occupnniiosi
specinlmente di problemi concementi lo sviluppo della sua ciua
Dopo aver pubblicato in Venezia, nel 185 1, uno studio sull* ordina-
mento della pubblica beneficenza, nel 1860 nella sua città stampava
i suoi Cenni statistici sulla mortalità della popolazione veronese dal 1S46
d iSj4. Seguirono : Storia degli spedali e degli istituti di beneficenza in
VerotuL àaìTepoca cristiana ai giorni nostri (Verona, 1862); La Provincia
ài Verona, quadro geografico, naturalistico, statistico, amministrativo
(Verona, 1865); Considerazioni sullo svolgimento storico-amministrativo
ieUa beneficenza in Fenezi^, Verona, Padova (Padova, 1870).
Si hanno poi dì lui le seguenti produzioni letterarie e teatrali:
Fkmberto e V Indipendenza italiana al X secolo (Verona, 1870); // Co-
mune antico e moderno (Padova, 1872); Ercole Strozzi, dramma in
5 atti (Verona, 1876); Iacopo da Carrara, primo signore di Padova,
dramma storico in 5 atti (Padova, 1877); ^l*^i**io da Lentini, episodio
della guerra del Vespro siciliano, dramma in 5 atti (Verona, 1884);
Macalda, melodramma in 5 atti (Milano, i8^'6^ Scrìsse non poche
poesie patriottiche.
2^14 POB8IE DI MILLE AUTORI
DCCXX.
Ano nimo.
Poesie intorno a Dantb.
(1865).
Due nomi.
I.
Fatevi alla finestra, o bambinella
Che siete vaga e gentilina tanto;
10 vi contemplerò come una stella
Che può mirarsi e non andarle accanto.
Dell'alma vi dirò, dolce sorella,
V'invocherò pietoso angelo santo.
E sempre nella nona ora del giorno
Sotto il vostro balcon farò ritorno.
Vi chiamerò... vi chiamerò... che amore
11 nome vostro insegnerà al mio core;
Al mio povero cor, che già vi dice,
Se vi guardo negli occhi: Beatrice.
IL
Se negli occhi mi guardi tu vedrai
Ch' io pur gli ho fissi al lume d'una stella.
Tu forse un giorno, dopo me, verrai
Spirto felice ad abitare in quella,
E se al tuo giunger là mi cercherai,
« Non mi ti celerà l'esser più bella. »
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 215
Dove un canto udirai drizza il pensiero,
«Seguendo noi per tutto T inno intiero;»
E fra l'altre confusa in armonia
Tu riconoscerai la voce mia;
La voce mia che sola in mezzo a tante.
Nota ti si farà chiamando: Dante.
Firenze e Roma.
Firenze.
O Rondinella che scorri leggera
Dell* infinito la serena via,
Ti prego, in carità, la tua carriera
Per ascoltarmi un brev' istante oblia.
Vorrei che tu n'andassi messaggera
Sul Tebro dove sta la madre mia,
E le dicessi, con gentil maniera:
La tua figlia diletta a te m'invia.
A te m'invia la tua figlia più cara,
Firenze che al gran giorno si prepara,
Si prepara al gran giorno in cui festante
Nel sacro nome esulterà di Dante;
Ma che d'uopo non ha d'altro decoro,
E corona non vuol di gemme o d'oro;
E non vuol che le pesi in sulla chioma
La corona che è tua, splendida Roma.
Roma.
Torna, o gentile Rondinella, al nido
Donde partisti, e il pensier mio riporta;
Torna amorosa al tuo compagno fido,
Eia figliuola mia, deh! riconforta;
Dille che amante al suo cortese lido
Un secreto disio teco mi scorta,
E che l'anima mia risponde al grido
Che de' trionfi suoi l' eco mi porta.
2l6 POESIE Dì MILLE AUTORI
Dille che per amor del suo Poeta
Cinga la mia corona, e ne sia lieta.
Ben so che delle sue gemme più belle
Si dispogliò con le città sorelle
Per darmi quella nobile corona
Che deir Italia mi facea padrona;
Ma finché Italia ha uno straniero in seno,
a Senz' essa fora la vergogna meno. »
I.
Donde vieni } chi sei ? povera mesta.
Che rechi in dono un fior molle di pianto ì
E mentre tutta la cittade è in festa,
Che suona ovunque di letizia il canto,
Muovi tra noi con la tua bruna vesta
Come se tu n'andassi al Camposanto?
Orna le tombe il fiore del pensiero,
O gentile d'amor chiude un mistero;
Ma qual fregio non sta sui monumenti
Che son gloria dei popoli redenti;
Non sta intrecciato alla ghirlanda lieta
Di che onora Firenze il suo Poeta.
II.
E il suo Poeta ad onorare anch' io
Benché misera vengo e in veste bruna;
Dal caro loco ove tornar disio
Vengo il suolo a baciar che gli die cuna.
Vengo ad offrirgli il fiorellino mio
Che furtivo spuntò sulla laguna.
E grato gli sarà, che glielo manda
Una gente che a lui si raccomanda;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 21 7
Si raccomanda a lui che vi rammenti
Che di nome non basta esser redenti,
E che redenti ci potrem chiamare
Quando Italia sarà dall'alpi al mare.
Ravenna.
Salve, o bella Firenze! alle tue mura,
D*onde l'aveva discordia bandita,
Del divin Cantor, calma e secura
«L'ombra ritorna eh* era dipartita.»
Salve, o Firenze, a cui si gran ventura
Mercè del pentimento è alfin largita.
Ma poi che 1' ombra sua ti torna in seno.
Lascia a Ravenna una memoria almeno;
Una memoria che si deve al dritto
Di chi l'accolse povero e proscritto;
Una memoria che rammenti ai suoi
Che Tonor della tomba ebbe da noi.
Torino.
Quando gemevi in servitù straniera
Sotto il peso dell'odio e degl' inganni,
De* figli tuoi la più nobile schiera
Esulava dal tuo bel San Giovanni^
E all'ombra amica della mia bandiera
A piangere venia sopra i tuoi danni.
Or chiedi a questi tuoi diletti come
Fin d'allora mi fu caro il tuo nome;
Chiedi e saprai qual per la tua sventura
Mi premesse nel cor pietosa cura;
Chiedi e saprai... che in questo di sincero
S* unisce alla tua festa il mio pensiero.
2lS POESIE DI MILLE AUTORI
Milano.
A lui che di Francesca innamorata
Pianse all' affanno, e ricordò la Pia]
A lui che vide Piccarda beata
Che con la gran Costan:^a in del s' india.
Deh 1 vanne tu, che in tua parola ornata
Pesti cari ad ognun Ren:;io e Lucia.
Vergin di servo encomio, onesto e saggio
Degno tu sei del nobile messaggio,
Vanne, deh vanne - ed al Cantor sovrano
Reca il saluto che gì* invia Milano;
Reca alla sua città d'amor fraterno,
Di concordia e di fede il patto eterno.
Napoli.
Agita Tali, e via corri sull'onda
« Con un vasello snelletto e leggiero ; »
Agita l'ali e raggiungi la sponda
Rapidamente, o celestial nocchiero.
Firenze aspetta gli spiriti magni
Che traggi dal Sebeto ed accompagni ;
Agita Tali, e va', corri, t'affretta,
Angiol di libertà, Firenze aspetta.
Angiol di libertà, secura mena
L'eletta schiera alla città felice;
Son gli eroi di Pi cerno e di Vigliena,
La povera Fonseca e Sanfelice.
Son tanti e tanti martiri d' amore,
Che a rammentarli non mi basta il core;
Sono i miei figli, che in sembianza lieta
Vanno a onorar Valtissimo Poeta.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 219
Palermo.
Candido spirto che migrando vai
AI vivo lume delle luci sante,
Dimmi, saresti tu, saresti mai
D'una donna gentil l'anima errante,
Che di nostra favella i primi rai
Più chiarì fé' colla canzone amante ;
Ed or la sfera ove sereno stai
Lasci al caro per te nome di Dante ?
Al nome di colui ch'ebbe il tuo core.
Benché quegli non sia cui fanno onore,
Ti sei commossa, o sicula donzella,
E a lui ti volgi dalla terza stella?
Se a lui ti volgi, oh digli tu per noi
Quante dolci d'amor cose tu puoi;
Digli che contro a ogni straniero ancora
Pronto è Palermo a gridar: mora mora.
POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXI.
P. P. Marangoni.
Ad un lodatore di Dante.
(i86$).
E fino a quando, dico, fino a quando
Viver dovremo in questo basso mondo
Per avere ogni di i tamburi rotti ?
E fino a quando il pondo
Di vane ciarle, d'oziosi motti
Soffrir dovremo?... E dove.
Dove vivono mai quei babbioni
Che, del progresso in barba all'ampie prove.
Fan con discordi suoni
Di poetiche ciancie
Degli orecchi e del cor aspro governo?
Povera poesia, quanto ti piango!
O cacciata nel fango
Se' tu dai mangiapane, o, vedi caso.
Coi favolosi numi,
Spenti i veraci lumi,
Ti vorrien far tornar lassù in Parnaso.
O poveri poeti
Che sudaste quaggiù per aver gloria.
Dai vostri vaghi e lucidi pianeti
Deh! torcete lo sguardo a tanta scoria,
E primo sdegni il Ghibellin fuggiasco
Quei tanti che in lodarlo preser fiasco.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
O Dante, Dante mio.
Se hanno pregio nel Ciel i canti tuoi,
Deh! ti difenda Iddio
Da quei di Pindo sedicenti eroi,
Che la rabbia feroce
Dei giorni lor miseramente persi
Sfogan scrivendo orribilmente in versi,
E con sorriso audace,
Lodandoti, disturban la tua pace.
« Ma se le mie parole esser dén seme
Che frutti infamia » agli schifosi nani
Che soltanto per sé, non pel tuo merto.
Posanti al crine un appassito serto.
Pria che dagli altri, o Dante, Dante mio,
Deh! ti difenda Iddio
Dai freddi elogi di Messer Tafani.
E chi è costui che nato all'Alpe in seno
Ebbe patria comun con grand' ingegni,
E pur tanto da loro appar diverso?...
Messere! è tempo perso
Quello che impieghi discorrendo i regni.
Con impossenti vanni,
Ove il genio sereno
Securo balenò per anni ed anni.
Oh, smetti, smetti, smetti
L'aria da Machiavello e da Baretti,
Se mostrarla nell'opre tu non sai.
A che de* versi sciorinando vai
Che offendono, lodando.
L'altissimo poeta
Cui dovresti pensar solo tremando,
E all'Italia li doni.
Usa, dai figli suoi.
Da tant'anni ad udir ben altri suoni?...
Oh, scendi, scendi, scendi
Da quello scanno ove ti veggio assiso:
222 POESIE DI MILLE AUTORI
Abbassa pure il viso
Sulle volture e sui catasti onci* hai
Pane securo, ma su Dante... mai.
' Q}ic«u poesia cosi leggesl « p*g. i) e Mgg. in: Ftrsi di P. P. M«nuigoai, Ve-
neiÌAno. G«sp«ri, Veneiit. 1865.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 223
DCCXXII.
Faustino Bonaventura.
I\NO A Dante.
(14 maggio 1865).
A te voli quest' Inno, o dell' Italia
Primo decoro e vanto,
E primo cittadino,
A cui l'eguale non fu* mai né tìa,
0 Poeta divino,
Che del sapere uman T ultima cima
Toccasti col valor della tua rima.
Oh! quanto esulterebbe
0 la terra teutonica, o l'ispana,
0 il formidato S.irmata,
0 il Belga o il Franco in suo pensiero audace
Che d'ogni vanto vuol rapir la palma,
0 TAnglia ampio-regnante
Se dir potesse al mondo:
Mio cittadino è Dante.
Ma sol r Itala terra alle presenti
Etadi e alle future
Può mostrar questa gloria, consolarsi
Sol per questa di sue tante sventure.
Molti celebri ingegni e molti eroi
Visser dopo di te, famoso Vate,
E si cinser di gloria, e in mezzo a noi
Chiaro sonò di loro imprese il vanto.
Eppur quel gtido a poco a poco scema
224 POESIE DI MILLE AUTORI
Come la face che sempre più languc.
Se la provvida man non le rinnova
II solito alimento;
Ma del tuo lume è l'alimento etemo,
E la tua gloria, o Grande,
Quanto divien più vecchia,
Sempre più bella e fulgida si spande.
Come l'astro maggior della natura
Quanto più l'erta ascende
Tanto più intorno splende:
E in suo stupor profondo,
O dell' uman sapere archimandrita,
Più ognor ti riverisce e plaude il mondo.
Tu spingesti, com' aquila, il tuo volo,
Quasi dicendo: O secoli, venite
A queste region che «on per voi ;
O figli della terra, al mio salite
Aere non anco per alcun tentato:
E i secoli e i monali
Quel magnanimo grido hanno ascoltato,
Ma da volar con te non avean l'ali;
E d'etade in età quel glorioso
Poema quasi ignoto al mondo giacque;
E di vuote parole e di trastulli
L'Itala Musa a lungo si compiacque;
E di strane ed esangui poesie
Le umane menti fur piene e le carte;
E dietro a tanto esempio unico e solo
Il pensiero non surse e rase il suolo.
Ma la tromba sonò che dal letargo
Profondo risvegliò la neghittosa:
S'udì lo squillo in pria
Dal subalpin paese ;
E rimbombar s'intese
Dalla bocca del gran Sofocle d'Asti
L' aspro verso e tremendo entro le sale
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
225
Dei capaci teatri;
E a quello squillo con rimbombo eguale
Rispose un altro nell'ampia Milano
Entro i carmi famosi, onde del giorno
Pur cantate le parti,
E si scosse il Lombardo
Che giaceva nel molle ozio infingardo:
E dell' Italia poi per ogni dove
S'udì la dolce rima
Del Cantor di Basville,
Che poscia di giocondi itali versi
Rivesti r implacata ira d'Achille.
Ed altri cento fecer chiaro al mondo
In più sereni tempi
Con magnanimi esempi
La Commedia Divina;
E gl'itali intelletti
Corser avidi a quel cibo robusto,
E si formar le menti,
E l'italo pensiere ebbe sua veste,
Suo colore, sua impronta;
E si gridò da cento parti e cento
Per r ausonie riviere:
Al gran Padre dell'italo sapere.
Esci fuor dalla tomba, o Generoso,
E vedi il frutto della tua semenza.
Loco non v*è tanto romito e strano
Dove giunto non sia
Il chiaro suon della tua Commedia:
Ogni favella della eulta Europa
Gli alti tuoi sensi fa chiari ed aperti :
Gli strani ' Coronati han per costume
Con raro esempio e degno
i. n GioTuoi di Stcsonìa ht voi*
» pugno la DÌTÌo« Commedia in
eschi e di copioti eruditissimi
commenti illustrato spezialmente U cantica
del Paradiso ; lodatissima versione e avida-
mente letta in tutta Germania.
Bàlio. Voi. XIV.
15
226 POESIE DI MILLE AUTORI
Suir immortai volume
Vegliai; le notti ed aguzzar T ingegno.
Tu maestro di Europa e tu del mondo.
Tu seme d'ogni bella
Arte, e tu della nostra alma favella
Artefice sovrano,
E tu autore primiero
Della dolce e robusta poesia,
Onde s'onora Italia nel cospetto
Delle genti sorelle;
Per cui può dire con secura fronte
Agli avversari sui:
Nel bello stile e nell'amor dell'arti
Da veruno giammai vinu non fuL
Giacea V Europa e il mondo
Dell'ignoranza nell'error profondo,
E sol dai cheti chiostri,
Dove della pietate e del sapere
Il santo foco s'accoglieva ancora,
A rischiarar la tenebrosa notte
Qualche fiamma talora
Di fuor si diffondea;
Ma tu sorgesti, v«iloroso ingegno,
Quando più fitte e crebre
Suir intelletto umano
Si stendean le tenèbre;
E fosti come il Sol, che la natura.
Che parea morta, in sul mattino avviva.
E la luce divina
Di questo italo Sole alle lontane
Nazìon si diffuse,
E a novello saper le menti schiuse.
Né sol quanto tesor di sapienza
Fu nei passati secoli raccolto
Tutto ti stava nella mente accolto,
Mfi, come un inspirato,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 227
Nel presente pontando» il guardo acuto
Deir intelletto a' tempi ancor non nati
Forte spìngesti, e il prezioso seme
Del futuro saper lasciasti al mondo.
Tu l'avvenir vedesti; e le fraterne
Ire affogate nel fraterno sangue,
E le galliche spade
Invocate sull'itale contrade.
Che costar tanto sangue e tanto pianto;
E colla tua robusta alta parola
All'italiche menti
Aprir volesti di virtù la scuola.
Di virtù cittadina, onde la patria
S'aiuta più a' fatti onesti e grandi
Che di stranieri supplicati brandi.
Sempre nella memoria, o padre Dante,
L'affanno tuo m'è fitto e il molto pianto
Che della patria sulle rie sventure
Senza posa versasti.
E per le cerchie dell* inferno oscure,
E per lo monte santo
Di color, che, patendo, toman belli,
E per fin nel sorriso
Di Beatrice indiata
Donde pioveati tanto Paradiso,
Questo santo dolor entro dal fondo
Dell'anima sentivi;
Né t'accorava tanto
L'affanno dell'esilio.
Né Tamaro disprezzo dei Potenti,
Né Tira delle genti.
Né l'odio della patria, che da' tuoi
Lari t'espulse, e le minacce dure,
Che nelT orrida valle
T'avventò dietro alle incolpate spalle,
Né il pane che sapea di tanto sale
i
228 POESIE DI MILLE AUTORI
Dei Grandi alteri mendicato a frusto
Per r odiose scale,
Quanto di questa Italia entro dal core
Ti traffiggea '1 dolore ;
E colla voce di sant'ira piena
L'età discorde flagellar t'intese
Degrimi i vizi e dei grandi le colpe,
E l'oscure malizie.
Invitando ciascuno
A spogliar gli odi maledetti e crudi,
A gareggiare di pietà, di studi.
Di generose imprese;
E lo stranier che viene
Le dolci a visitare itale arene
Possa dir: ben ne* figli
Passò degli avi antichi
La virtude e il valore, e in sua favella
Ridica altrui: l'Italia è ognor più bella.
O sventura ineffabile e feroce!
Quel Grande, quel Signor dell' intelletto,
A cui scarso era il mondo.
In suo dolor profondo
Fu a ramingar costretto
Dalla patria proscritto,
Come l'uom del delitto.
Ma taci, o Musa; né le rie memorie
Ricordar dei vetusti: oggi la patria
Emendò largamente quel peccato.
Forse non è peccato: è la severa
Dei tempi onnipotenza: è la divina
Volontà che decreta in suo consiglio
Ai grandi la sventura,
Seme di gloria e di virtù futura.
Ma benedetta in tutti i tempi e in tutti
Gl'itali cor sia la pietà di Guido,
Che al tosco vate e onore e plauso e nido
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 229
E conforto e compianto porse - e pane,
E a lui dappresso volti amici ei vide,
E ospitai posa al suo morir provvide.
E non Musa profana
I cantici tremendi t' ha inspirato,
Onde Signor del mondo
II passato e il futuro hai raunato.
Onde sul dorso ai secoli passeggi
Vincitore del tempo e dell'oblio;
Ala dal seno di Dio
Venne tua Musa; e del Vangel la pura
Morale eterna nell'arduo cammino
Ti fu lume divino.
Te, quando aperse il sommo Sacerdote
Le porte del perdono.
Te la gran Roma accolse
Colla pia turba dei Cristian devoti
A scioglier preci e voti;
E a veder tanta gente ire lo scoglio
A dispogliarsi delle sue peccata,
Entro le celle delle mente accese
Ferver sentisti il glorioso tema
Dell* immortai poema,
A visitar col volo dell'ingegno
E della Fé robusta
Il trino e vario regno,
Ove il pensier non falla,
E dove giunge ogn'uom fatto farfalla.
Tu riverente delle somme chiavi
Del successor di Piero,
Tu delle leggi della santa Chiesa
Osscrvator sincero,
Tu dal sen della mistica Beatrice
Suggesti il latte dell'eterno Vero.
Più che l'ingegno ed i profondi studi,
La Fede fu che sull'ali potenti
150 POESIE DI MILLE AUTOftl
Ti portò dentro alle scerete cose,
E in chiari versi e nitide parole
Dell'auguste dottrine il senso apristi;
E su di cielo in cielo per le stanze
Dell'eterno palagio
La secura pupilla in Dio fissasti;
E alla madre di Dio che mane e sera
Invocavi propizia a' vori tuoi,
E al gran Mistero delle tre persone
Che una sostanza unisce
Di sotto al denso impenetrabil velo;
E agli altri molti cittadin del Cielo
Che tu con Talta fantasia vedesti.
Sublimi inni sciogliesti.
Quella è la fonte dalla qual deriva
In copia l'acqua viva
Onde la sete naturai si sazia,
La Fede io dico nelle cose eteme:
Quella Tuomo solleva oltre natura,
E robuste ali aggiunge al suo disio
E lo avvicina a Dio;
E tu pien d'està Fé la mente e il petto
Unisti nel tuo nuovo alto poema
Gioie e sventure della vita umana,
Vizio e virtude, tenebre e splendore,
I veri fatti e i simulati fatti,
Saper sacro e profano.
Gli anni che furo e quei ch*ancor non sono.
L'uomo creato, e l'uomo quando fia
Rinnovato e da sé tanto diverso.
La terra e il Ciel, l'Italia e l'universo.
E tu insegnasti amor vero e perfetto,
A sprezzar la beltade ove congiunta
A virtude non sia e ad intelletto;
Che Tuom non fu creato
A viver come bruto.
IKTORHO A DANTE ALIGHIERI. 23 1
Ma per seguir virtute e conoscenza.
E la scura procella in sua rovina
Eternamente porta
L'infelice Francesca, e paga caro
Nel suo tormento amaro
Il piacer breve del non dritto aflFetto.
Tipo e santo modello
D'amabile vinude è la tua Bice,
La cui bellezza e leggiadria di forme
Coir innocente e bella alma gareggia,
E degli affetti tuoi siede reina,
E forma una beltà nova e divina.
Io quando vidi nella tua Fiorenza
L'illustre monumento,
Che la tarda pietà de' tuoi nepoti
T'innalzò fra cotanti itali egregi,
E vidi il tetto umll dove nascesti,
Te beata gridai, Donna dell'Arno,
Occhio d'Italia, non già per le liete
Aure piene di vita e pel sereno
Cielo e i colli ridenti e il suolo ameno,
E per gli antichi gloriosi fasti,
Ma perchè al mondo un Alighier donasti.
Ecco voglioso anch'io
Ad onorar la tua chiara memoria,
Porto quel che mi dice,
I voti io porto e il riverente amore
Della gentil Trevigi,
Dove nel duro esiglio
Segnar ti piacque i tuoi santi vestigi,
Ch'alle sorelle italiche cittadi
S'accompagna esultante ;
E all'Italia s'unisce il mondo intero,
Riconoscendo in te la prima gloria
Onde l'uomo è capace;
E in quante or sono e in quante ai di futuri
2J2
POESIE DI MILLE AUTORI
Alme saranno, un monumento avrai
D'animo grato e di lode verace,
Che starà finché il mondo si dissolva,
E tutte cose una rovina inveiva.*
Faustino Bonaventura, trevigiano, abate, fu ardente cattolico.
Coltivò le lettere latine e italiane e fu uno dei soci ordinari del-
l'Ateneo patrio.
' QyiMto inno cosi si legge a. p«gg. 69-
78 in un opuscolo in-8 col titolo: AUtuo
éi Trtviso, SoUmtu tornata pel sesto centt-
natio di Dante, 14 maggio i86f, Treriso»
stab. tip. AndreoU Medesin.
IKTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2^3
DCCXXIII.
Enrico Poerio Capitano.
Dante nell'età nostra.
Terza rima.
(14 maggio 1865).
0 precursore dell'età future,
Che a' tempi tuoi spingendo il vivo sguardo
A trovar luce in fra tenebre oscure
Con alta voce e con pensier gagliardo
Tuonasti, Ghibellin, contro un potere
Che a far Cristo tiranno non è tardo,
E il volo sostenesti dell'altere
Aquile che nel sen d' Italia antica
Esser mai non potranno che straniere;
Or pel seme novel che la nutrica,
E ch'onda è in pane del tuo largo fiume,
Avresti nuova idea, voce più amica.
Tu del pensiero tuo nell'alto acume
Bando al Guelfo daresti e al Ghibellino,
Che italo invan pur questi si presume.
n Guelfo non è vero cittadino.
Che due poter difende in uno stretti,
E ond'è che tristo è il popolar destino.
Ma dimmi, o Ghibellino, e non affretti
Tu del paese tuo la schiavitude.
Se le ritorte dell'estraneo accetti?
234 1>0ESIE DI MILLE AUTORI
La morte dell' ItaUa in sé racchiude
L' Impero, o vate Ghibellino, e suono
Ha diverso dal tuo quello ch'ei schiude.
Perchè libera alfin s'assida in trono
La patria mia, divin poeta e nuovo.
Vuoisi che più su lei non strida il tuono
D*uno stranier, che vi facea suo covo.
Né d'un Apostol, che di Cristo in nome
Avversario di Cristo al vero io trovo.
Queste due forze, che già fecer dome.
Di guerre e paci con lunga vicenda.
Quelle che a Italia cinsero le chiome
D'un seno che conviene le si renda.
Queste due forze dén sparir dal mondo
Perché alfine aspetto unico ella prenda.
Cosi avverrà che in lei taccia il profondo
Stimolo che i comuni ne divise,
E che di quelle due forze era pondo.
E libera sarà: non più conquise
Ne potrà le potenze far dell'alma
L'uom, che sedendo in Roma al cielo arrise.
E indipendente riavrà sua calma.
Poiché alfine non più d'armi straniere
Temerà l'urto alla compatta calma.
Ah! se potessi tu vivo vedere.
Come dal ciel certo veder t'è dato.
Il corso che novel s'apre ad altr'ere;
Ti sentiresti tu forte ispirato
Ad un nuovo poema, che più degno
Saria del nome ond' è l'altro chiamato.
IHtORNO A DAMTB ALtGBIERI. 335
Tu canteresti sol d'un doppio regno,
Più fedele al Signor che all'uom di Roma,
Più giusto tra Tuom giusto e l'uomo indegno.
Daresti al fuoco del £illir la soma.
Della virtù coroneresii i frutti,
Poiché ha la morte la creatura doma.
Tutti di Dite correresti i flutti,
Conteresti del ciel tutte le stelle.
Purgatorio non v' ha che fiamma erutti.
Sacerdote saresti tu di quelle
Pagine del Vangelo, ove sta scritto:
Le buone alla mia destra, e le rubelle
Anime, che si perser nel delitto.
Alla sinistra mia; che il mondo umano
È purgatorio del cammin diritto.
All'uomo Dio non concedette invano
Dell'intelletto il libero volere,
Che sceglie l'empio oprare o l'oprar sano.
Non vorresti tu perdere il pensiere
Delle pecore, fide al divin sangue,
In un mare d'ubbie tremanti e nere.
Non vorresti che in lor sitibond'angue
L'amor di Dio tornasse, e gran paura,
Ond'è che non si vive, ma si langue.
La fé di Cristo tu vorresti pura
Da ogni arte, che al monarca il papa annoda,
E che dell'uom fa schiava la natura.
Sol grideresti : ve* come s' inchioda,
O popolo, per te Cristo alla croce.
Come su quella a riscattarsi ei goda!
236 POESIE DI MILLB AUTORI
Sua fede a nostra libertà non nuoce;
Quella d nuoce di chi re si dice,
E che di lui non parla mai la vocel
L'idolatrìa, che fa Tuomo infelice
Del proprio inganno, tu bandir vorresti,
E il mercato dall'aula redentrice.
Posciacchè corse di Oocito avresti
L'acque, tu correresti il mar del cielo
Col battei dell'idee, ch'alte ti avesti.
Tu nell'inferno puniresti anelo
Tutti quei, che punirvi già ti piacque.
Della rosa del ciel, ch'eterno ha stelo,
Al bacio, in che tuo cuor pria si compiacque
Per quella Bice, a te stella infantile,
L' Italia innalzeresti, che se giacque
Dopo lunghe vittorie e parve vile,
Non cessò di risorgere, e vincea
Ogni ostacol maggior che le fu ostile.
Si, la faresti tu immortale idea
Splendere in Paradiso a Dio sul volto.
Che Tuom creando una patria gli crea.
E il nuovo Sol del vero quivi accolto
Per quella penna tua precorritrice,
Cui sempre l'occhio Italia ebbe rivolto.
Di novello avvenir sarebbe altrice
Fiamma, d'un avvenir che ognor s'immeglia
Nell'onda dell'età ricorritrice,
E in che ognor più l'uman pensier si sveglia.'
' Questo componimento cosi si legge in un nell* età nostra, terza rima, per l'occasione
opuscolo in-8 di pag. 6 col titolo : Dants 1 delle feste del maggio 1865, pel barone En-
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2)7
Enrico Poerìo Capitano, appartenente a distinta famiglia di origine
calabrese (dei baroni Poerìo), coltivò le lettere e la poesia con
qoalche genialità ed originalità. Scrisse molti versi d'occasione.
rieo Pomo Gipiuno. Firenze, tip. G. Ma* ' le seguenti parole t « QjMntunqoe ecritto
fini, 1865. Fu ecrìito nel novembre del j anteriormente, non estendo ancore stelo
1 8(9. L'autore vi pone in nou, nel pub- . dato alla luce, pure questo canto è ao-
blkarìi nel i86s in occasione del centenario, > concio al momento che corre. ■
2^8 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXIV.
Domenico Carletti.
Sonetti danteschi.
(14 maggio 1865).
I.
Risposta di Dante alia sua Patria.
Or che disciolto dal mortai mio velo
Lungi da Lei che mi fé' tanta guerra
E ripurgato nell'ardor del cielo
Nullo livor in me più si rinserra;
Pace abbia pur l'eccelsa etrusca terra
Per quel ch*ora ha per me materno zelo.
Or che Dio l'avvenir ben mi disserra,
Suoi futuri destin io non le celo.
No, non sarà più timida e meschina,
Né di forza straniera umil ancella,
Ma dell'Italia sederà regina.
Risplenderà su lei l'antico raggio
Che fra le belle la facea più bella
E i suoi nemici ancor faranle omaggio.
IL
Opinione deW autore intorno alle tre belve incontrate
dallo Alighieri nel suo viaggio.
Ben volge, o Ghibellina ombra sdegnosa.
Nella sua mente inferma idee sconvolte
Chi alludere a* tuoi vizi affermar osa
Le torve belve incontro a te rivolte.
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 2)9
Non vizi s' ebbe ma virtudi accolte
L' anima tua sublime e generosa.
Si squarci il velo, e 1' opinioni stolte
Stenebri Verità, dì Dio la sposa.
Al patrio suol che si fu teco ingrato
Coli' empia Lonza, alluder vuoi, ravviso;
Col Lion a Carlo già pe* Guelfi armato: '
E della Lupa la tremenda fame.
Che si temesti, del tuo esigilo è avviso
Ch* ond' essa è stemma, usci il decreto infame. ^
in.
Da^^^tt che sorge dal monumento, e che vedendo i rappresentanti
delle varie città S Italia, uniti a fargli onore, s* allegra,
e predice che V Italia presto s' avvierà alla felicità, il-
luminata dai due Soli mistici di cui parla nella Divina
Commedia, il Papa cioi nello spirituale ed il Re nel
temporale.
Dalle cento città, drappel cortese,
Con tanto amore ad onorarmi eletto.
Dal monumento con paterno aflPetto
L* ombra dell'Alighiero a dir imprese:
Alfine Italia il voto mio comprese.
La discordia bandi dal patrio tetto,
I diversi ridusse a un sol concetto,
E dei cento formò un sol paese.
Ella si goda a libertà risorta;
Ma pensi a rassodar vieppiù sua sorte;
Sopita è tirannia, ma non è morta:
2 Otflo di ValoU. I donde utd il decreto di esigilo contro
«^oou, che ha p«r emblema la Inpa, | Dante.
240 POESIE DI MILLE AUTORI
Si oprando, allieterassi al chiaro lume
Dei due gran soli, che le diede a scorta
La provvidenza dell* eterno Nume. '
' Vedi a jMg. )$, )6 e 70 in : Pm$U del 1 Per le notizie Uogrufichee bibliograScbe
caT. Domenico Ctfletti.donore legale, mem- I del Carletti vedi ■ peg. $31 del toL VII
bro di diverse accademie letterarie d' Italia. 1 di questa Raccolta.
Pesaro, tip. fratelli Rossi. z8b6. I
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 24 1
DCCXXV.
Nereo Mertghi.
Pell* erezione del monumento a Dante.
(14 maggio 1865).
Sonetto.
Quando col suon degl' ispirati accenti,
D* un' invocata civiltà foriero,
I fraterni d' alterna ira frementi
Rampognasti, fatidico Alighiero,
Ahi tcco ramingò fra cieche genti
Incompreso 1* altissimo pensiero :
Ma nel giro de* secoli fuggenti
Trionfa il Giusto, e folgoreggia il Vero.
Ecco, auspicato aitar di nostro culto,
S* erge un marmo, fra plausi a te devoti,
Del prisco tempo a riparar l' insulto :
E valga, o Grande, ad appagar tuoi voti.
Più che plauso sonante, o marmo sculto,
II concorde voler de' tuoi nepoti. '
Kereo Mcrighi nacque in Verona ti 1823; studiò nella sua città
'J*^^* e prese la laurea di dottore in medicina. Ha parecchie pub-
*^c^^oni dì versi per nozze, e un melodramma Isabella Orsini, in tre
*^^ e prologo (Verona, 1S66). Occupò parecchie cariche civiche,
^^^ando specialmente l'istruzione pubblica. Morì in Verona il 15
**^enibre 1879.
^ ' Qpctco looctto coti si leg^e a pag. 2$ in un libro col titolo : .4lhp damttsco vtromne.
"'^^•«o. tip. Lombardi A., iftés.
Oli BufO. VoL XIV. 16
142 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXVl.
F. S.
A Dante Alighieri.
(f4 maggio 1865).
Sonetti.
I.
Fu certamente Iddio, che non sofferse
L* atroce oltraggio, e Y ossa tue difese
Da chi nemico del gentil paese
Le volea dissepolte, e al vento sperse.
Fu Iddio, che a prò comune i sensi aperse
Del tuo poema, e ognor più sacro il rese;
Iddio, che le fallite ire ed offese
Del falso zelo a gloria tua converse.
É Iddio, che di crear sola una mente
Ne' cittadini dell' Italia mia,
Oggi ^* tuoi detti la virtù consente,
Perchè si strugga delle turpi some
Pur la memoria... Or chi negar potrìa
A te e al tuo canto di divino il nome?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 243
IL
A Volìaxrt
pel suo giudixio sulla Divina Commedia.
Vieni ed apprendi quanto fu possente
Del sacro canto la severa rima.
Tu che dicesti un di con losca mente,
Soverchio il culto onde fra noi s'estima.
Gran vanto è certo, eh* or 1* estrania gente
Scorga tesori non veduti in prima,
E conosca ella pur, che il sapiente
Cantor toccò d' ogni saver la cima.
Ma vai ben più, che la dottrina ascosa
« Sotto il velame delli versi strani »
Oprasse alfin tanto mirabii cosa:
La concordia comun che i figli rese
Maggior degli avi, gì* intelletti sani,
Forti i voler, magnanime le imprese. '
t
F.S. (cioè Filippo Salomoni) nato in Verona il 2^ novembre 1801,
^^<iiò il diritto. Dal 1825 professò procedura civile e ordinamento
Kjudixiario ncir Università di Padova. Ebbe gioventù agitata e dure
^*^^ndc nella vita: schietto liberale, nel 1866, lece parte della Giunta
^^V'xrisoria, che resse Padova fino all' arrivo del commissario regio.
^^^^issimo giureconsulto, egli f^ consulente ricercato e stimato assai.
^^ Hanno di lui: DeW influenza degli studi nel benessere dei giovani
j^^^rona, 1822); Sulla tucessità di promuovere nella provincia veronese
^Sgrassamento digli aniimdi bovini (Verona, 1824); La spada ruggi-
*P^«» versione di un carme latino di Tommaso Ceva (Padova, 1826);
r^ Pau di ViUafranca e U genti venete^ epistole (Torino, 1859); Una
*^iOft^ di procedura civile (Padova, 1872); A Francesco Petrarca nel
CiniUnario della sua morte. Sonetti (Padova, 1874), e altre pubbli-
^a«ioni minori. Mori il 4 agosto 1888.
' QmmI toactd coti il leg^poo a pagg. 36-27 àtàVAÌbo danUtco xtrowst, già ctuto.
244 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXVII.
Ramazzini P. Vincenzo.
La Trilogia di Dante.
(14 maggio 1865).
Sonetti.
I.
Inferno.
E chi è costui che fremebondo dira,
Coir intrepida fé che lo governa,
Sol, contro un mondo che in furor delira.
Arbitro sta con la virtù superna?
Questi che al buio de la selva d'ira
Spalanca ai tristi V infernal caverna,
Che il vindice flagello intorno gira
E li travolge nell'infamia eterna?
Questi è, Italia, il tuo Vate; ei del feroce
Giusto dispetto a popoli e a potenti
Va fulminando la terribil voce:
E di quei carmi liberi ^e frementi,
Sprone ai codardi, ai rei supplizio atroce.
Tutte le età ripeteran gli accenti.
IL
Purgatorio.
Volge lontan da le terrene sponde
L' esul cantore a un* Isola solinga,
E dopo un lungo mareggiar suU* onde
V^i cala il volo de la prua raminga.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 245
Qui ai miti abitator che in seno asconde
Un'aura sacra il sospirar lusinga,
Sol di flebili canti un suon si effonde
E par che tutto a la pietà costringa.
Ma quei mesti a blandir qualche immortale
Talor discende, e coli' afflitta schiera
Scambia il sospiro degli affetti e il vale.
E il Poeta li canta. Oh la sincera
Voce del cor che sola esprimer vale
L'Amor che soffre, e la Virtù che spera!
IH.
Paradiso.
Tratto al desir che V alta via gli sterne,
Al fantastico voi Tali distende
L* inclito cigno, e via per gli astri ascende
Oltre i confin de le region superne.
A interrogar le meraviglie eterne,
Gli è guida Amor che più capace il rende,
E in ogni del eh' esplora e ogiior più splende
Gli spirti eletti in vivi rai discerne.
Sfavillanti di luce e d'esultanza
Mille divi osannando al lor Desio
Vede rotarsi con perpetua danza.
E anch' ei raccolto in quel tripudio pio
Il gran Trionfo a contemplar s' avanza,
Fissa lo sguardo, e lo consuma in Dio. '
Vincenzo Ramazzini nacque a Padenghe in provincia di Brescia
il 27 settembre 1825. Si diede agli studi ecclesiastici; fu ordinato
prete. Fu per qualche tempo professore di lettere italiane nel ginnasio
di Verona. È autore di lodate poesie, che tgli raccolse nel volume:
Armonie liriche (Verona, 1889). Mori il 13 maggio 1897.
' Qacsd sonetti coti ti leggono a p«fg. 28-30 dcir.^i^o dantesco veren*u, gU citato.
246 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXVIII.
Fra Giovanni da Verona.
Sonetti.
(14 maggio 1865).
I.
Ritratto di Dante.
Di tre mondi pittor, d' ogni scienza
Inclito lume, artefice sovrano
Del sublime e del bello, in cui V umano
Genio par quasi angelica potenza;
Di virtù vera, e d' ogni pia credenza
Sostenitor, che punì sempre il vano
Fasto, e crebbe vergogna al vizio insano
Con tai verghe, che ognun n' ebbe temenza;
Mentr' ei nulla temea spirto severo,
Ma generoso insieme, e dolce amico
Di quanti aveano il cor netto e sincero;
Questo è il divo Alighieri... la cui parola
Lega il mondo moderno al mondo antico,
E di due grandi età forma una sola.
II.
La scuola di Dante.
Avido sempre, e insaziato ai carmi
D* Alighiero m' accosto, e dal convito
Di quel Vate divin non so cessarmi,
Ch'ivi tutto ha sapor quasi infinito.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 247
Solo fra gli altri vati ei valse a trarmi
In signoria di sé; solo ha ferito
D* ogni parte il cor mio, che di quell' armi,
Belle, quant' altre mai, sento invaghito.
Oh nerbo, o vita, o signoria del canto!
Quando, in luce d' amor vera e sublime.
Pura gioia è la gioia, e il pianto è pianto.
Questa, oh questa è la scola, itali vati,
Onde in vera beltà vassi a le cime,
A cor di poesia serti onorati!
III.
// cuore di Dante.
Oh il bel cor d' Alighiero I... impietosito.
Per vivo aflFetto, alle miserie altrui,
Tal ne svolge, cantando, il colorito,
Che ognun s'accorda a lagrimar con lui.
Perchè Francesca il cor gli ha tramortito.
Tutta l'ambascia ne trasfonde in nui;
E per ciò stesso in tal fama è salito
L' infelice Ugolin co' figli sui.
Oh ! il bel cor d* Alighier, che in Paradiso
Tutto vede, e contempla, e intende, e gode.
Ma negli occhi soltanto, e nel sorriso
Dell'amata sua donna!... a' cui sembianti.
Poi che scarsa gli parve ogn' altra lode.
Die' per corona in cielo angioli e santi.
IV.
Dante e V Italia,
Sorge tra '1 suon di barbare favelle
Nella città de* fior, qual per incanto,
Dante, il divo Poeta, e di novelle
Forme e suoni rivive e lingua e canto.
248 POESIE DI MILLE AUTORI
E già ricca è la lingua, e da le stelle
Par sceso il Vate, che di nuovo ammanto
Veste la patria Musa, e tra le belle
Fa che niun' altra sia bella altrettanto.
Italia, Italia mia!... non volger mai
Da quel tuo sol di sapienza il ciglio
E sempre cari a te splendan que* rai!...
Che quante volte abbandonasti i lumi
Di quel grande, languir nerbo, e consiglio,
Begli studi e scienze, arti, e costumi!
V.
Amor di Religione e di Patria in Dante.
Religione e Patria eran gli amori.
Che profondi ed acuti arsero il petto
Di Lui, ch'esule andò dal patrio tetto.
Vittima eccelsa di que' santi ardori.
Indi piobbe la luce, indi i colori
Su l'immenso Poema, ove il concetto,
Preso vigor dal concitato affetto,
S'alza gigante, e signoreggia i cori.
Con tai penne montò l'itala scola
E r apogeo dell* arte in Alighiero,
Né con diverse penne oggi si vola;
Che qual per altra via si spinga al segno.
Mai te raggiunge, o divin Bello, intero,
E si dibatte invano ala d'ingegno. '
Fra Giovanni da Verona, cappuccino Jella provincia di Trei
al secolo Andrea Bonuzzi, nacque il 1804, morì V 1 1 luglio 1885.
socio dell'Accademia degli Ai:,iati di Kovereio. Moltissimi sonetti di
si trovano negli Atti di quell'Accademia (vedi anni 1883, 1885, I9<
* Questi sonetti così si leggono a pogg- 31-3S àcWAlbo danttuo '^trontUp già cttat
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 249
DCCXXIX.
G. L. P.vruzzi.
L'Arte e Dante.
(14 maggio 1865).
V arie
(prima di Danto).
Quando nascesti ? Del pensier coi voli
Cominciaro i tuoi voli interminati!
Posasti a Menfi in suli'aeric moli.
Opra di cento popoli ignorati.
Ti vide il Sina e ti scaldaro i soli
Del ritnoto Imalaja, onde spiegati
I poderosi vanni ad ambi i poli
Recasti il Verbo degli umani fati.
Che lungo amor de l'Eliade ti vinse!
Ed essa, cui cingesti ali cotante,
In amplesso fecondo a te si strinse.
Roma corse nell' alto il tuo sembiante
E quando, o casta, il suo fango ti attinse,
Volasti al bacio redentor di Dante.
250 POESIE DI MILLE AUTORI
I.
Nicola Pisano
(scult ura).
Anno milleoo centum bis bitque trideno
Hoc opus insigne sculpsit NleoU Pisanns.
Ben della bizantina arte l'insidia
Tentò la fiamma nel tuo petto accesa.
Al prode ingegno fé' tremenda oflFesa
La ferità del secolo e l'invidia.
Ma tu sfidando ogni mortai perfidia
Mirasti in alto e di lassù t'è scesa
Tanta virtude, che nell' ardua impresa
Di rinnovar fra noi Tetà di Fidia,
Fosti tu primo; ed or convien che abbassi
Il capo, a tue stupende opre dinnante,
Lo strano che pei lidi itali passi.
E un di vider quell'opre un meditante
Genio arrestarsi e, contemplando, i lassi
Propositi allenar l'alma di Dante.
IL
Giotto
(pittura).
... ha Giotto il grido.
Ei se ne stava sovra un colle assiso
Guardando un branco di paterne agnelle,
L'azzurro cielo d'infinito riso
Parea vestir tutte le cose belle.
Di tratto a un'agna il grande occhio tien fiso.
Che disgiunta giacca da le sorelle,
Da un'armonia di linee conquiso,
Ond'ei divina la virtù d'Apelle.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2SI
E sulla pietra le segnò, T indotto.
Tal che seco lo volle un viandante,
Che all'arte il crebbe e gli restò di sotto.
Di natura discepolo costante,
Eterna e bella nominanza ha Giotto;
Né gloria ultima a lui Tamor di Dante.
III.
Casella
(musica).
Che mi solca queiar tutte mie voglie.
Involare io vorrei per farti festa
Le note all'usignol, gli olezzi al fiore,
O fra tutti dolcissimo cantore,
Che gU quetavi in petto la tempesta
Melodiando con la voce mesta:
a Donne che avete intelletto d' amore, »
SI ch*ei sentia riviversi nel core
Le grazie e il riso de la donna onesta.
Il fascino dei canti e del liuto.
Colle aurette balsamiche vagante.
Per le piagge fiorite andò perduto;
Oh! ma perdute non andar le tante
Angeliche dolcezze, onde hai saputo
Ammaliar la fantasia di Dante.
2 52 POESIE DI MILLE AUTORI
IV.
Gaia scieitT^a
(riforma).
Si l'oa me demAnde à qui mei eh
t'adressent, j'en fais un tnystère.
Ug9 di Brani
Trema il léuto, d'amorosi omei
Risonano i palagi ed i manieri,
Maraviglian le dame e i brandi rei
Depongono stupiti i cavalieri.
Nelle corti vagando e pe' tornei,
Che mai cercate voi mesti trovieri?
Qual amore vi spira e do^'e è Lei,
La donna arcana de' vostri pensieri ?
La donna arcana dentro il petto ha regno.
Non osa il labbro nominarla e frante
Sarien le corde che ne desser segno;
Che di fisarsi ne le luci sante
Il secolo feroce non è degno,
Se noi gastighi il verso igneo di Dante!
V.
Monaci
(codici).
Dottor Mariano
È il veder, di qui, profondo.
All'eterno, in mezio, e «1 mot
Nuota lo spirito.
(Goethe, Fautt. II P:
Di catafratti popoli son irti
Gl'itali campi dove scorre il sangue,
Intorno gira, insidiando, un angue
Che avvelena le spade e attosca i mirti.
INTORKO A DANTE ALIGHIERI 253
Voi paurosi de le orrende sirti
Ove una gente impera e l'altra langue.
Ne Tasil riparate in che l'esangue
Virtù s'aflForza e a Dio salgon gli spirti.
In che, con voi, racchiudesi un tesoro
D'antico senno e di leggende sante.
Che vegliate in assiduo lavoro.
Oh benedetto! il cielo alto e fiammante
A ragione t'aperse e il lieto coro,
Più che il cenno papal, quello di Dante!
VI.
Beatrice
(amore).
Amor, che a cor gentil ratto s'apprende.
Forse in celeste vision rapita
Creotti la novenne alma, o fanciulla;
Ma non certo sperò che mai largita,
Beatrice, tu fossi a umana culla.
Quando apparisti splendida di vita
Terror lo colse, indi senti la brulla
Fecondarsi esistenza e un' infinita
Plenitudine d'astri uscir dal nulla.
Guardò la terra che te sostenea,
Di beltà sovrumana radiante.
Ed angusta la vita e troppo rea.
AUor nel capo del divino amante
Surse, smagliando, una superba idea.
Ed un cielo fu fatto, il ciel di Dante.
254 POESIE DI MILLE AUTORI
L'arte
(dopo Dante).
Poi che il suo bacio ti redense e forti
Di nove tempre ti sentisti 1* ale,
Ferocemente perseguisti il Male,
Spegnendo i vivi o suscitando i morti.
Ricca di novi amor, novi conforti,
Per te, diva pietosa, ebbe il morule;
Ed or, veloce, su lucenti scale.
Verso il Ben ch'egli anela e tu lo porti.
Deh, giammai non s' arresti ! Il riso tristo
D'Amleto e Fausto il punga, e il trionfante
Inno lo spinga della fé di Cristo!
E allor che tu vedessi, al trepidante,
Cessar la brama del divino acquisto,
A lui l'Inferno, allor, mostra di Dante. '
Luigi Gaetano Patuzzi, letterato e rimatore, nacque a Bardolino,
sul lago di Garda, nel 1 842. A diciotto anni fu costretto ad emigrare
a Torino, dove, non ostante mille strettezze, continuò i suoi studi.
Nel 1871 venne nominato professore di storia e geografia nell'isti-
tuto tecnico di Verona, e poi di belle lettere. I suoi romanzi, come
Volo d'Icaro e Diana Lionard^ sono dimenticati, ugualmente che i
suoi versi Erbacce e Bolle di sapone. Sì possono leggere con utile e
diletto le sue biografìe del Dupré, del Gazzoletti, del Betteloni e di
Caterina Bon-Brentoni.
* Questi otto sonetti così si leggono a. pagg. 36-4) dciV Albo damltsco veroius*, già
dtato.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 255
DCCXXX.
N. Vecchietti.
Dante.
(14 maggio 1865).
Al retto, al bello dell'eterna Idea,
I mirabili informa alti disegni,
E di saper quell'universo crea
In cui stancano il voi tutti gl'ingegni.
Censore austero sulla turba rea
Folgori piove di sublimi sdegni
Ed inebbrìa lo spirto, i sensi bea
Dove a santa milizia infiora i regni.
Mente sovrana ogni cagion penetra,
E la possanza della sua parola
Tutto scuote, ravviva, abbatte, e spezza.
Ei levò al cielo dall' abbietta culla
La favella e il pensier, sua gloria è sola
Com' ei fu solo a edificar dal nulla. '
Nicolò Vecchietti di Coloffna Veneta, nato il 26 aprile 1801,
morto il 17 ottobre 1871, fu accademico della Crusca. Stampò un
poema in tre canti II Baco da seta (Milano, 1846); le Versioni bibliche
(Vicenza, 1853). Tradusse pure alcune Odid\ Orazio (Padova, 1880).
Scrìsse una tragedia intitolata: // Pascià di Giannina e altre poesìe.'
* QlMHO sonetto cosi leggesi a pag. 44 ' vtiuta, Venezia, 1B76, apagg. 391-391 e lo
èii'Jlèo iénttuo vtrontM, già cit. ' stesao Cardo. Vita t optn diVUolò VécchUtH,
* Vedi in: G. Gudo, Storia di Ctlogns j Saggio biografico- critico. Kovara, 1893.
2S6 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXXl.
C. PUPPA.
A Dante Alighieri.
(14 maggio 1865).
O gran Padre Alighier, se vera è fama
Che deiresiglio negli amari passi
Quest'amena Città ch^ Adige pane
Te di tetto ospitale e di possente
Signoria proteggeva, e colle vive
Aure del cielo suo gli estri raccese
Nel tuo petto magnanimi, e più allegre
L'ire ti fece nel Poema Sacro;
Vuoi Tu, gran Padre, rammentar quegli anni,
E dalla sede degli eterni allori
Mandar sopra l'antica ospite un guardo
In questo di ? — Per tutta Italia, vedi,
Fumano incensi, e un cantico si leva
Al tuo nome superbo, e Re t'adora
Degli altissimi canti; — e fra le cento
Inneggianti Citti la Patria mia
Effigiate in simulacro attolle
Le tue sembianze sotto aperto cielo,
Che l'arco sol del firmamento è degno
Di ricoprire V immortai tuo capo.
Questi siti rimira e le fatiche
Dei secoli novelli. — In seno ai colli,
Diadema gentil della sua fronte,
E sino ai lembi de' suoi verdi piani
Guarda quante eruttar bastite immani
E rócche e torri di minaccia piene.
Lugubre cinto alla serena altrice
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 257
Di giulivi figliuoli 1 — Anco daccanto
Al nostro ultimo asilo orrida veglia
Dall'alte gole della sua vedetta
La paura di guerra. — Un cittadino
D'arti tesoro in lunghi anni prepara
Di cippi e d'urne e monumenti ornata
Cinta custode della nostra polve:
Ma dal grembo degli anni una cruenta
Alba rinasce, e i suoi tetti prostrati
Vede, e Tonor delle colorfne e gli archi
Dalla saetta della guerra eversi,
E della polve eccidiale il nembo
Contaminar gli scoperchiati avelli,
E l'ugna dei cavalli innebriati
Scalpitar sulle nostre ossa dormenti.
Pur non è questo, o Padre, ira e paura
Tra i fratelli che il mare e l'Alpe serra,
Qual di tua Musa il ghibellino affanno
Rimpiangeva fremente ed invocando
La sella e il freno del Tedesco Alberto.
Son le risse civili e le funeste
Lotte già spente, il sai, che dimembrato
Hanno il gigante e ne spezzar la possa,
E dal battesmo del comun dolore
Germogliò la concordia. E il di nascendo
Ornai dall'Etna alla gioconda riva
Dell'altero Benaco un sol rischiara
Italo Regno. E poserà il suo core
Nella tua culla, se inspirar Io possa
A magni spirti e a palpiti divini.
Però che in grembo di fecondo suolo.
Pur negletto talora, apre Natura
Eletti semi, e piante erge superbe,
E sotto il cielo che perenne allieta
De* suoi vividi rai nitido il sole
Regna la fiamma dell'ingegno eterna,
Du B4tfo. Voi. XIV. 17
258 POESIE DI MILLE AUTORI
E coir antica polvere dei Grandi
Novelli Grandi l'avvenir procrea.
Ma in poco addensa opre sublimi il foco
Di sua virtù Natura e crea portenti
Nelle primiere età: — dirada il tempo
E attenua i raggi, e li comparte; e volti
Al tramonto i supremi astri, più mite
Lampa di civiltà splende diffusa
Neir universo popolo. — La mente
E il cor, gran Padre, che tu solo avesti
Più redivivi non vedrà la terra,
Perchè nel sen d' innumeri nepoti
Per lunghe età scintillano dispersi.
E cogliea del tuo Genio una favilla.
Ad avvivar le splendide sue larve
Il Poeta d'Orlando e di Ruggiero.
Il novator tuo cantico Cristiano
Spirò la tromba onde immortali e cari
Suonan l'armi pietose e il Gran Sepolcro;
E al pio fervore del Cantor d'Adelchi
Colla tua fede liberasti il volo.
Ai paurosi strali onde erompea
Della tua bile sovrumana il vampo
E di patria l' amor, Vittorio attinse
Il folgorar della sua nova Euterpe:
Bevve Parini V ironia sublime;
E la Musa sdegnosa Ugo nutria
Che dei sepolcri la pietà civile
E il culto scosse dal codardo obblio;
E Aleardo temprò d' Italia nova
E della nova libertade il verso.
Itale gemme della tua miniera
Son queste: esulta, o spirto Creatore,
Che il seme tuo nei secoli discende,
E istoria ancor di gloriosi altari
E d* inni avrai dal popolo futuro.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 259
Non isdegnar dei memori figliuoli
Il pio tributo se ti par nei petti
Dei prisco oprar la gagliardla prostrata.
Son nei tepidi cuori, è ver, più lente
Deli' onor le superbie istigatrici,
Chino dei voti e degli affetti il segno,
E tra povere stoppie e sterpi ignudi,
Per sentier desolato, egra, negletta,
E solitaria la vinù sospira.
Mentre solo ogni premio usurpa Toro,
E, di se guiderdon, crescendo, accentra
Fatai magnete ogni splendore umano.
Ma non alligna una virtude in terra
Senza rampollo che non sia peccato,
Ed ogni età di popolo si noma
Pur da una colpa. — Né la speme è tolta
D' alti destini : che se amor cotanto
Di sapienza e di viril favella
Ridestaro i tuoi canti; un di secondo
Ai valenti pensier fia che ritorni
Delle geste il vigor; poi che operosi
Nello spirito uman fremono i germi
Della parola e informano la vita.
Come il fiotto del vento a primavera
Le fonti avviva di natura occulte.
Il di verrà che, qual ti palpitava
Nel sentimento dell'ambascia arcana,
La patria tua rifulgerà nel mondo.
E come contemplando il suo Creato
Nelle perfette cose Iddio si piacque,
Alla Figlia regal del tuo sospiro
Sorriderai dell* immortai sorriso. '
Cesare Pappa, avvocato veronese, nacque il i8i i, morì nel 1868.
* hanno di luì alcuni versi dì occasione.
Qpmi nrsi cosi ti leggono « p^gg. 4S-49 dell'^i^ ianUtco tteromst, già cit.
lÓO POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXXII.
ANTONiE'n'A Dal-Covolo Mestre.
Ad ERKflNlA FUÀ FUSINATO.
(14 maggio 1865).
Ecco il sole d'Italia, il sol che indora
Di Fiesole le magiche colline,
E più soave, Erminia, e più lucente
Oggi riflette sulla tua cittade.
O d'Allighiero immane ombra t'innalza.
In questo giorno la tua terra esulta
Dall' Alpi air Etna, e al tuo gran nome educa
I serti immarcescibili ed i carmi.
Passò sul cener tuo, esule ancora
Dalla sua culla, un lungo ordine d'anni;
E qualche generosa anima solo
Tremando a Te venia pellegrinando,
E giunta innanzi all'umile tuo avello
Profondamente meditava.
Iroso
Uno spirto vedea sorger dall'urna,
E irrequieto vagolar per l'ampio
Regno dell'aure, qual chi senta in core
Della patria perduta acre tormento.
Dai segni dell' antica ira conobbe
L' aquila della tua musa raminga
Un calice di fiel colto allo Stige
Su Fiorenza versar, mentre sclamava:
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 2ÒI
« Ahi serva Italia di dolore ostello, »
Quindi serena alla region degli astri
Spingere il volo
E nel giardin beato,
Ove il mal seme della colpa nacque,
Donna Ti apparve di beltà celeste.
Vestita di color di fiamma viva.
E trasvolando estatico pei cieli
Cosa di Ciclo già parca Tu fossi.
Ma in seno all' onda luminosa un detto
Fatidico ti colse, e in tanto gaudio
Cupo il dolore ti gravò la fronte,
Ahi Ghibellin, e Tu provasti quanto
Sappia di sale il pane dell* esilio.
Alla scienza splendida degli avi,
Mendicando la vita a frusto a frusto,
Temprasti il core, ed incompreso e solo
Li scettri fulminando e le tiare
Unico fosti imperator del canto.
E ancora ascolto per la mia Verona
Il grido dì dolor che disposava
Il tuo pletro immortai alla fremente
Onda del fiume.
Quante volte assiso
Sulla cima de' miei colli ridenti
Melanconicamente un pio desiro
L* anima straziata ti compunse.
Si che pel vasto e limpido orizzonte
Più mite rimiravi all' Apennino,
E un'insùeta lagrima dal ciglio
T'avvivò l'arbuscel della Speranza.
Prendi l'arpa dei Padri, Erminia, e canta.
Queir arbor pollulò sacro un rampollo
Che libertà si noma, e quella terra
Che preme il gentilissimo tuo piede
Terra è d' eroi e d' alto senno altrice.
262 POESIE DI MILLE AUTORI
Una sublime melodia celeste
Pei zefflri s'avanza.
Maritate
Alle querele tenere d'Olindo
Senti d' Orlando le follie divine :
E in suon più dolce temprasi la lira
Che il lombardo pungea Sardanapalo:
E il cantor di Maclodio, e cento e cento
Grandi d'Ausonia, intrecciano ghirlande
Ed il sire dei carmi incoronando
Un saluto d* amor mandano in terra.
Prendi 1' arpa dei Padri, Erminia, e canta,
E allora che un mestissimo concento
La tua soave cétera commuova,
Ti volgi all'Alpi, ed alla tua Venezia
Manda pietoso a consolarla un carme.*
Antonietta Dal-Covolo Mestre nacque in Feltro il 9 sette
bre 1832 e morì il 24 gennaio 1889. Si hanno di lei: Versi. Visi
(Feltre, 1857); A Caterina Bon-Brenioni^ elegia (Verona, 1859);
cordo agli amici (Feltre, r888). Altre sue poesie furono pubblicate
nozze e nelle Strenne veneziane (1865 e 1867).
' Questi versi cosi leggonsi a r«gg- $o-$2 dell'Albo dantesco vtroius*, già cit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 263
DCCXXXIII.
Carlo F a c c i o l i .
La morte di Dante Alighieri.
Carme.
(14 maggio 1865).
Ma chi pensasse il ponderoso tema
K l'omero mortai che se ne carea,
Noi biasmerebbe se «^ott'esto trema.
{Paradiso, C XXIII).
Lìmpida e fresca, come avvien sovente
Ne' giorni primi del soave autunno,
Sorgeva l'alba. Una purpurea striscia
Ch* era di luce, e d* infinite rose
Un intreccio mirabile parea,
Verso Oriente difFondeasi, e V ampia
Curva azzurrina dell'adriaco mare
Separava dal cielo. Invan lo sguardo
Rapido intorno si volgea, chiedendo
D* una candida vela ove posarsi.
Però eh' è dolce, ad ingannar la mesta
Solitudine, in traccia ir del naviglio
Che sorge lento, avanza e si fa grande,
0 picciolo trascorre entro i vapori
Dell' ondoso orizzonte. A gara intanto
Dalla pineta, che verdeggia immensa
Lunghesso il lido e nome ha da Ravenna,
Uscian garrendo gli augelletti; e a stormi
Aggirarsi lievissimi pel terso
Aér fulgente, e si vedean scherzosi
204 POESIE DI MILLE AUTORI
Discendere, inseguirsi e stanchi alfine
Nel profondo tornar della boscaglia.
In quest* ora si placida, prosteso
Sopra letto di morte, un uom languia
Miseramente. — La Natura spesso
Illumina del suo riso sereno
Non soltanto d'un uom, ma d'un intero
Popolo il fine ahi! luttuoso, e immota
Neir armonia dell* opre sue rimane. —
Dal vegliar lungo e dall'acuta febbre
Che gli serpe nei polsi, attenuate
Quegli ha le tempie, sovra cui, stillanti
Un sudor freddo, scendono le ciocche
De' grigiastri capei. L' occhio, già privo
D* ogni moto e splendor, sembra da lieve
Ombra velarsi quasi fosse in pianto;
L' occhio istesso che a tempi altri men tristi
Potentemente affascinando, il lampo
Diffondea degli affetti ! E il sen traspare
Livido, emunto dai socchiusi lini ;
Solo gonfiasi a tratti allor che manda
Un respir faticoso. Ei tien le braccia
Sulla coltre allungate, e nella destra
Il crocefisso. — Se saper tu brami
Che nome ha quel morente, odilo; e nullo
Elogio che idear possa la mente
Un tal nome accompagni, unico al mondo:
Dante Alighieri! — In dolce atto pietoso
G^i stanno appresso trepidanti i figli
Piero e Iacopo; e tale han la sembianza
Che ti rivela V anima. Fiducio
Dei Milotti, compagno a' suoi begli anni.
Fisico illustre da Certaldo, siede
Sollecito al guanciale, ogni accidente
Deir agonia notando. In sulla soglia
Inquieti si accalcano gli amici
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 26)
E i miglior di Ravenna: e in mezzo ad essi
Guido Novello da Polenta, il prence
Che a lui ramingo per diverse terre
D* Italia, apriva un onorato asilo
Liberalmente, onde ottenea più gloria
Che di splendido trono altri o di vinte
Sanguinose battaglie e di conquisti.
Taccion tutti. A fatica ora V infermo
Sui gomiti si leva, e ne* suoi figli
Lo sguardo drizza ed il pensier. Raccolto
Ogni spirto di vita in sulle labbra,
Quindi favella: «Oh! ben per mia cagione
Mestissimi voi foste e sventurati.
Per mia cagioni Mi dissentite indarno
Col crollar della testa; io nel profondo
Leggo del vostro cor... L'amaro csiglio... »
« No, padre mio, — con subite parole
Pier lo interrompe — ogni loco e destino,
Se diviso con te, non parve amaro. »
A cui Dante: « L'affetto e una cortese
Indole, o figlio, menzogner ti fanno.
Simili a foglie che dal vivo ramo
Distacca il vento e su pel cielo aggira
O nella polve della via, n'andammo.
Mendicando la vita a frusto a frusto,
Per lunghi anni fuggiaschi. Ostello e pace
È ver che poscia con pietà gentile
A noi Guido largiva. — E al limitare.
Si dicendo, mirò. — Tutto egh fece
Che far potea; ma a chiuder la ferita
Mortai che geme in mezzo il cuore aperta
Pel crudele martirio immeritato,
Non il tempo, che oblio reca e conforto
Di lieti eventi, né sarebbe valsa
L^opra istessa d'un dio! Balsamo a quella
Ei fu soltanto; e se il dolor non tolse,
266 POESIE DI MILLE AUTORI
Almen temprollo. A lui perciò sien grazie,
E premio tal che il buon voler pareggi. »
Qui un istante fé' posa; indi accorato,
Ma con più forza ripigliò: « Per quella
Terra che ai giovinetti occhi sorrise
Primieramente e che obliar non posso.
Cinsi al fianco una spada. Aduho poscia
Nella pubbHca cosa io la giovai;
E la sua gloria, non la mia, cercando,
Con libera parola impetuosa
Le sue ragioni francheggiai dinanzi
Alle corti d'ItaHa e dell'Europa,
Non troppo audace che imprudente io fossi,
Né si prudente da sembrar codardo.
Ma da ciò ch'ebbi? Odio e calunnie! E fede
Die' all'accuse di pochi invidi e abbietti
Più assai del verme che nel fango striscia,
Il mio Paese; onde fui prima esposto
All'ignominia d'un giudizio e quindi
D'una condanna all'universo nota.'
Pur attenti m'udite; e quanto grande
E indomabile amor nel petto accolsi
Pel mio loco nativo, apprenda ognuno.
Sebben d'ingratitudine e di cieca
Ingiustizia bruttato esso m'apparve,
Neppur nell'ira e il parteggiar feroce
Un momento vi fu, che non provassi
Di sue glorie allegrezza e duol profondo,
Quantunque ascoso, delle sue sventure.
E desiai, dovunque il passo errante
Volsi o sostenni, che alla fin scoverta
* La condanna pronunciata da Gante 1 duto nelle mani della Repubblica. Vedi Ce
de' Gabbrielli da Gubbio, podestà di Fi- ' sire Balbo, llta H Danti, Felice Le Mos»'
renze, contro Dante portava per effetto la | nier, 185), capo XII, libro I; e Pt«
confisca degli averi, l' csiglio e la morte 1 Fraticelli, Storia dtlla vita tU Dantt Jl^
sul rogo, se fosse egli per avventura ca- | ghieri, G. Barbèra, 1861, capitolo V.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 267
L'innocenza e il crudele animo vinto
De* miei nemici, richiamato e accolto
Foss'io di nuovo nel suo dolce grembo.'
Ed or che moro... non piangete, o figli,.-
Insieme colla vita ora non langue
Quel si pio desiderio; anzi s'accresce
Quanto più intendo che impossibil torna
Il satisfarlo. Oh! se qualcun di voi
Che mi sta muto e pensieroso intomo,
Il suol rivegga, ch'Arno bagna e infiora
Col tesoro di chiare onde, e i bei colli
Che fan ghirlanda alla gentil Firenze;
A' suoi superbi cittadin ripeta
Quel eh* io dissi in quest'ora, in cui sarebbe
Vano il mentir poiché il futuro è tolto,
L'ultimo voto mio: se vivo il cielo
Non volle, estinto almanco e fredda spoglia
Ch'io là ritorni, ov'ebbi sempre il cuore!»
Supin ricadde, e in un cupo singhiozzo
Le parole finirò. Allor Fiducio
Levossi; e alle convulse aride labbra
Del moribondo il refrigerio porse
Di alcune stille d'acqua. Intenerito
Parve Dante al pietoso atto, gli stese
La destra e mormorò : « La coscienza
E ti rimerti Iddio delle sincere
Prove d'affetto, che tu ognor mi desti.
Sin dalla balda giovinezza. »
E 1' altro
Pronto rispose: « Amarti era una dolce
^ Tale dettderio TiTiuinio di Dante di Se mai continua che M poema tacro
Ritornarsene a Firenie, come da ogni sua ; Al uuule ha posto mano e cielo e terra,
^■Uiont.riwltapnrchiarodaogni.oo.critto. Si che m ha fatto per molt ann. macro,
■fc^ _^ . 1 '«- •. _s » L • . uu Vmca la crudeltà, che fuor mi «erra
^«ti, tra k molte c.taaonl che ..potrebbero ^^^ ^„^ ^^^j^; ^^. .^ ^^^^.. ^ ^^
^àn, qaesu del principio del Canto XXV Nimico a' lupi che gli danno guerra;
^4cl PmwJii»'. Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte
, Del mio batteamo prenderò '1 cappello.
268 POESIE DI MILLE AUTORI
Necessità dell' anima. » E que' giorni,
Assai lontani, richiamògli a mente
Che allegri insiem divisero i gagliardi
Fervidi giuochi, e i primi studi.
« Donde —
L'Alighier lo interruppe — alto conforto
Poi si ritrasse nell'acute angosce
Di cui si trama Y esistenza. »
Un pio
Detto di ricordanza anche Fiducio
Agli amici concesse; e pria d'ogn* altro
A Guido Cavalcanti, a lui che in guisa
Tanto leggiadra poetò d'amore,
E a Compagni, l'istorico. Pensiero
Da pensier scoppia; ed a quel tempo alluse
Che più adulti ne andarono alla guerra,
Sfidando le fatiche aspre del campo
E, impavidi, il furor delle battaglie.
Sol come disse che talvòlta il gaudio
Ansioso provar della vittoria.
Parve il Poeta conturbarsi; in sulle
Piume agitossi; e mentre a lui stupiti
Si appressa van gli astanti: « Oh meglio assai
Sommesso proferi — meglio l'esiglio
E questa paurosa ora di morte
Che quei trionti sciagurati ! » Gli occhi
Ratto egli chiuse; e forse dalla vista
Si voleva sottrar d*orribil cosa,
Che la memoria gli facea presente
Sebben fosse da molti anni avvenuta.
E un torpor lo sorprese.
A lui dinanzi
Apparve in sogno (che talor continua
I pensier della veglia) una diserta
Valle, che per confine avea le grigie
Falde e i dirupi d'una gran montagna;
IMTORNO A DANTK ALIGHIERI. 269
E la montagna nell* accesa mente
Appennin gli sembrava. Il ciel per tutto
Si distendea, come sospeso mare.
Lieve, azzurrino e immenso. Un sol di giugno
Fiamme spargeva e tremuli baleni.
Nel delirio febbrile allor l'infermo
Qua e là vide per quella ampia campagna
Nembi di polve sollevarsi; e un suono
Airimprovviso gli ferì l'orecchio
D'armi e di voci concitate ad ira.
Soffiò il vento, e squarciaronsi quei groppi
Turbinosi di polve; e al vivo lume
Del giorno, elmetti scintillaro e usberghi
Di terso acciaio e argento, e brandi e lancie
E spiegate bandiere. Una di queste
Candida, il campo da purpureo giglio
Contrassegnato, su destrier gagliardo
Iva tra' suoi compagni alto agitando
Taciturno un garzon, che il quinto lustro
Non avea forse tocco. Alla sembianza
Nobile e altera, al portamento e agli atti
Che svelavano tosto una gentile
Baldanza e la infondeano, il moriente
In quel garzone affigurò sé stesso.
Sobbalzò dalla coltrice, e la mano,
Qual fa chi attento in lontananza miri,
Tese sul ciglio; e il fido suo vessillo
Nel tumulto segui della battaglia.
Già di mezzo scomparso era il terreno
E gli eserciti avversi orrendamente
Si azzuffavano insieme. A simil modo
Nubi sorgenti da contrarie bande
Dell'orizzonte, veggonsi nerastre
E solcate da folgori affollarsi
In un turbine solo. E fra quell'aspra
Confusion di carri arrovesciati
270 POESIE DI MILLE AUTORI
E di corsier', che, infranto ogni ritegno,
Gittavansi talor precipitosi
Per i liberi campi; e in mezzo a tante
Schiere d'armati, vincitrici o vinte,
II drappo bianco comparia pur sempre
Della nota bandiera. A cento, a mille,
Per quell'aere percosso, ed infinite
Volavano le freccie. *
« Oh! mi togliete —
Dante a un tratto esclamò, dal reo letargo
Sciogliendosi in sussulto, — a quella vista
Orrenda al par d'un abisso d'inferno.
Per carità toglietemi!»
Atterrito,
Come a rifugio, nelle aperte braccia
Cadde e sul petto de' suoi figli.
« Infausto
Giorno di Campaldino, a che mi torni
Vivamente cosi nella memoria,
Come se rinnovato innanzi agli occhi
Tu mi fossi davvero ? E in questa estrema
Ora mi torni?... Oh la cagion ne intendo!
Qua dunque tutti, che il dolor m'inspira
E fors' anco il rimorso. »
E a gran tristezza
Composto il viso, con più ferma voce
Ei ripigliò : « Sien le fraterne guerre
Sien maledette! e abbominoso sempre
Suoni ad orecchio italiano il nome
Di Guelfo e Ghibellin, di Bianco e Nero,
E di quale altra fazion men nota
' La battaglia che qui tentai descrivere i istesso la ricorda nel Purgatorio, Gante
si è quella di Campaldino, avvenuu addi v. 91-1)0. Vedi pura U Cronita di D
IX di giugno 1289 tra gli Aretini e i Fio- Compagni,
rentini, con la vittoria dei secondi. Dante ,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 271
E perciò meno infame. ' Oggi e per quanto
Il mondo duri, ognun rifugga e abborra
Dalle fraterne scellerate guerre.
Che l'onta a vendicar d'una famiglia
O pei capricci d'un superbo accese,
Questa Italia partirò e da reina
L'ban fatta serva, povera e schernita.
Deseni i campi e isteriliti; in tetro
Lutto e silenzio le città converse,
Cosi floride un tempo!, e da tiranni
Contaminate: perfidi tiranni
Quanto oscuri e minuti: ebber vita
Come alla state in putrefatta gora
Schifosi insetti e serpentelli. E al sangue
Corse avida la gente; e stragi orrende
Sulle pianure accaddero, ove aperto
Nel suo cerchio infinito il ciel sorride,
O in cittadine anguste vie, per entro
A case smantellate e a templi in fiamme,
Si vider poscia, ahi vitupero eterno!.
Tradotte al loco del supplizio intere
Torme di vinti, la catena ai polsi,
E lo scherno negli occhi e sulla bocca
Dei circostanti. E quei ch'ebbero in grazia
La vita, nelle carceri languirò
O fur dannati ad un perpetuo esiglio.
Ma nell'esiglio, i miseri! con fioca
Timida voce, che dal fino orecchio
Dello stranier fu però intesa, questo
A soccorso chiamaro, onde alla Patria
,^^^^^*H« Oadm ìb esigilo abbia abbando- | Averti fatta parte per te stesso .
j^ S^ashmqiM partito, puossi facilmente j Vedi a maggiore illustrazione d'un ule
^ ***^^ dalle tanto famose parole che Cac- " " ' '^ "*
r^~^^*t«, ioo trisavolo, gli rivolge nel
'"**» XVII del P^ii$4, V. 68-69.
A te fia beUo
argomento, gli Scritti vari di Giuttpfi Giù-
sti^ pbublicati per cura di Aurelio Gotti,
Felice Lemonnier, 186), pag. 300 e se-
guenti.
272 POESIE DI MILLE AUTORI
Riedere. E lo stranier pronto sen venne;
E fu Testremo, ma il maggior dei danni
Che ci percosse, — e come suon per l'etere
Pia propagato ai secoli venturi.
Udite, udite! Giovanil vigore
Abbia qui la mia lingua, e nella morte.
Al par d'uno scalpello, ogni parola
V'incida. Io che furente un di m'opposi
Alla calata del mendico Carlo
Di Valoè:* sedotto poscia e vinto
Da una fallace illusion di gloria
E di perfetto universal dominio,*
Anch'io, stolto e infelice, aiuto chiesi
Agli alemanni imperadori e a nome
Della mia gente gì' invocai fatali
Restauratori del Romano Impero. » ^
Esausto era di forze, e abbandonossi
Nuovamente sul letto. Avea le labbra
Però composte a placido sorriso;
E negli occhi splendeagli un mite gaudio,
Qual prova quei che satisfece a sacro
Obbligo e dalla terra è alfin disgiunto.
Da dolor, da pietà, da reverenza
Compresi eran gli astanti; e genuflessi
' La ragione vera per cui Dante venne I Guadagnerà, per sé unto più grave
esigliato, fii l'aversi opposto alla discesa Quanto più lieve simil danno conta.
di Carlo di Valois. Quanto fosse l' olio '■ Qu^to principe fu per dileggio chU-
che nutriva contro questo principe avve..- ■ „^,^ Qarlo Seniaterta, non avendo mai pò-
turiero, si può conoscere dal modo col ^^^^ impossessarsi di alcun paese ; al che
quale lo nomina nel Purgatorio, canto XX, | alludono le terribili parole dell'ultiraa ter-
^* 7^~79 • zina : « Quindi non terra guadagnerà, ma
Tempo vejjg'io, non molto dopo ancoi, peccato ed onta ».
Che tragj,^ un altro Carlo fuor di Francia, \ ^ Vedi l'opera di Dante : D» MonarthU^
Per far conoscer meglio e so e i suoi. ' "«11* q«>»'e egl« desidera una moiarchìa
e » • , • I I • universale collo ristabilimento dell' Impero
oenz armi n esce, e solo con la lanci.i, '^
Con la qual giostrò Ginda : e quella ponta , . ^
CI u» e» ^ e -1 • 5 AlludesialrepistolalndinxtaudeDante
SI, eh a Fiorenza fa scoppiar la pancia. ^ a' i w
Quindi non terra, ma peccato ed onu
Romano.
3 Alludi
ad Arrigo dì Lucemburgo.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 273
I suoi figli gemevano, la faccia
Nelle palme ascondendo.
Il sol frattanto
Sorto già nitidissimo, una striscia
Di raggi diffondea per la funebre
Stanza.
A' que' raggi, come a un lieto annunzio,
Parve il morente ravvivarsi : « Addio
Piero, Iacopo: e voi teneri amici,
E tu, gentil Fiducio, addio per sempre.
Siavi raccomandato il mio Poema,
In cui me stesso e il secolo ritrassi
Con sue glorie e peccata e sue sventure.
A te grazie di nuovo, illustre Guido,
E la fortuna abbi propizia. Accanto
Or tutti mi venite, e un altro amplesso,
L'ultimo!... oh! ch'è mai questo?... Entro odorosa
Nube di fiori, e tal vivace lume
Spargendo che già velasi l'aspetto
Di voi, fidi compagni, ecco apparirmi.
Un angiolo... e s'arresta a me di fronte
Nel lieve aér sospeso. O Beatrice,
Sebben trasumanata, io ti ravviso
E benedico. Guardami! Ogni aflPanno,
Se mi guardi e sorridi, illanguidisce,
E rapido con te nella serena
Regi'on della gioia io mi sollevo. »
Disse; e le braccia ch'alto protendea.
Caddero in sulla coltre. Era lo spirto
Glorioso di Dante al ciel salito!'
. CZarlo Faccioli, veronese, nato nel 1S40, è piò conosciuto per
*^« traduzioni, che per i suoi scritti originali, sia in prosa che
^^Tsi. Fatti i suoi studi legali in Padova, gettò presto la toga
Cjpttti veni coti si leggono « pagg. S3~^3 àtìY Albo JanUsco vtrontse^ dt.
DiL BALto. Voi. XIV. 18
274 POESIE DI MILLE AUTORI
per la cattedra. Si consacrò ali* insegnamento, e scrìsse un buon
libro, // Vademecum del maestro^ seguito dalla Sapienia della vita, de^
dotta dai libri. Le sue poesie liriche hanno un certo valore, ma è più
lodato per la fedeltà e l'eleganza delle traduzioni del Pellegrinaggio
del giovine Araldo del Byron, di alcune poesie del Tennyson, e,
specialmente, deìVEvangelina del Longfellow.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 275
DCCXXXIV.
Tullio Mestre.
Per Dante.
Carme.
(14 maggio 1865).
O glorioso Spirito de' Grandi
Itab'ani avvivami nel petto
L'aura de' Carmi, e mi rapisci al Canto. —
Ripetimi i gementi inni, e le lunghe
Trenodie del passato, ove gli affanni
Dell'Italo compendi, e se talora
Rompi in accenti d'ira, oh ti disfrena
Sulle vie del mio cor, che dispettoso
Medita al brago dei fratelli, e piange.
Dimmi un'ora di Dio: l'ultimo dimmi
Pianto del tuo poeta, a cui la bile
Ghibellina, e i domestici deliri
Di parte, e il cruccio dell'esigilo il trasse. —
Ei parla. —
O tempi del futuro, il vostro
Grembo m'aprite, e d'una stella ahi! presso
Al suo tramonto raccogliete il raggio. —
10 già vacillo, e da quel Ciel, che è suo,
Beatrice mi chiama entro il Sepolcro. —
Ma pria che s'apra a prendermi l'amplesso
Della pietà di Dio, cogliete, o genti,
11 senno del Poeta: esso sfavilla.
276 POESIE DI MILLE AUTORI
Esso cresce pei secoli, né teme
Reboato di bieche orde — l'udite.
Fin dal primo vagito il fato appronta
Ai mortali una meta, e invan gagliardo
Colla legge del Ciel l'uomo contende. —
Svanir popoli e tempi, e sol rimase
Sulla lor polve questa legge eterna,
Che le cose balestra entro gli abissi
Dell'obblio, che all'obblio toglie ed insempra;
Tra monumenti squallida ruina
O.fra ruine eterno monumento. —
Questo fato all'Italia un volo indisse:
E fu doma la terra. Indisse il pianto:
E un turbine di barbare cavalle
La desolò. — Ma a che narrar ^li strazi
Già troppo conti, e troppo pianti? In Lei
Tutto fu spento, e il suo vedovo Cielo
Sol peregrine navicar due stelle —
Stella del Genio, che i contrasti abbatte
Della carne, che il cinge, e ardimentosa
Si svincola dall'ombra, e intende a Dio:
Stella di Speme, di universo Amore,
D'amor di patria indomito ed immenso —
E fu fatai, che dall'Italia uscisse
Novellamente l'alito di vita. —
Ella fu l'Angiol, che protesse il sonno
Lunghissimo del Mondo: Ella che al mondo
Sonnolento gridò: Sorgi e cammina. —
Quinci credei che il redentor dovesse
Redimere sé stesso, e che il paese
Di si splendide sorti, immaculato'
Starebbe all'occhio de' Celesti. — Ahi cieco!
Io stesso in omicide ire travolto
A Campaldin m'abbeverai nel sangue
Di cognati micidi, e ancora ascolto
I fratelli, che imprecano sul capo
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 277
De' fratelli, e sconsacrano la terra.
Che solo di Gain germina il frutto. —
Cercatevi d'intorno: ove si gode
Di pace? A che sulla funerea scena
D'Italia quei fantasimi di morte .^
Freme Vinegia, e Baiamonte e fatto
Ludìbrio delle perfide lagune: —
La Meloria d' un popolo è sepolcro ;
E ringhiano i tiranni, e Tun dell'altro
Fa terribile scempio. E chi compone
Tanto lacere membra, e riconsola
Questa povera mia patria dolente?
Fastidito di tante ire cercai
Sotto il voi delle antiche aquile il figlio
Della Vittoria, che Tarcion ponesse
All'indomita fera, e che appuntando
A una meta i suoi sdegni entro la via
La spingesse del moto. — E fui dannato
E maledetto, e mi negdr nel duro
Pellegrinaggio un tetto, una bevanda.
Chi siete Voi, che all'esule, che piange
Sulla madre morente, una rampogna
Di viltà fulminate? Non ha il mondo
Tanto splendor di libertà, che un solo
Palpito a saziar valga di Dante!...
Se Firenze sapesse il cor, che m'ebbi
Limosinando il pane a frusto a frusto,
Ben potrebbe gridar: Levati, o Sire
Dei tre Canti divini. — Io ti trafìssi
CoU'arco dell'esilio, e tu coU'arco
Che saetta le colpe, e le infutura
Mi mandasti da lor — Levati, io sono
La redenta tua Madre; il diadema
Che al tuo fronte porrò simile al sole
Sfavillerà pei tempi, e le sue fronde
Rinverdiranno le rugiade eterne...
278 POESIE DI MILLE AUTORI
Malaspini, Scaligeri, Polenta,
Salute a Voi! — Finché si giri il cielo,
Tributo avrete d'anime gentili
Ove alberghino amore e cortesia,
Perchè l'aspra blandiste arpa fremente
Al Poeta fuggiasco. — O meste sere
Quando fendeami, come freccia, il core
Del mio povero ostel la rimembranza:
E Bianchi e Neri, e d'Aragona e Francia
La rea colluvie a disertar discesa
Il giardin dello Imperio, e dell'avara
Babilonia le tresche. ., oh senza Voi
Venerabili, e magni Itali Spirti,
Questo iniquo alternar d'odii ferigni
Avria la cetra d'AUighiero infranta. —
E Voi veniste a lusingarmi i sonni
Amabilmente, e nell'ombria de' sonni,
Pel tremolio delle pioventi stelUe,
A me apparia la bella creatura
Che amato ho in terra, e mi levò pel cielo
A parlarmi di pace e di perdono,
E dalla esulcerata anima il grido
Mi proruppe di pace e di perdono...
Addio Fiesole beila, addio. Tu muori
Illacrimata. Invano i generosi
Mani de' padri tuoi levano a Dio
Le braccia a deprecar le tue sciagure,
Perchè Tu muori, e immemore banchetti
Gli aspidi del sepolcro. — I tuoi guerrieri
Si cozzano com' ebri ; i tuoi Priori
Siccome orbi vacillano, e li assale
L'agonia, che s'avanza. — O Dio m'assenti
Solo una prece. — Assentimi riposo
Nel mio bel Sangiovanni, e allor che i guai
Lunghi, incresciosi evocheran la stanca
Italia a un primo palpito di vita.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 279
E come in Ciel s' inneggia inneggieranno
Tutte ritale cetre, unicamente
Donami, che dal mio cenere ascenda
La parola d' un Angelo, che ì petti
De' fratelli congiunga eternamente —
L'ultimo sguardo mio fissi per l'aure
Monda di sangue l'Itala bandiera:
E mi rallegri un bacio ultimo, il bacio
Della concordia, eppoi... se lo comporta
Il mio Voto; se ipocrita fu il core,
E fatale ebbi il senno, a me d'incontro
Metti i posteri tutti, e mi condanna
Pei secoli a stancar l'Itale pene...
Un' ultima parola : Iddio m' ispira
Questa cetra fatidica. L' udite. —
Veggo un* aurora, e questa Italia, questa
Prediletta di Dio s'alza ed innonda
I popoli di luce, e l'aspettato
Veltro dalle sue brulle alpi disceso,
Pei valli fulminati, e lungo i mari
Terribile galoppa, e sotto il carro
Della vittoria i vecchi idoli infrange.'
Dio combatte pei giusti: e se abbandona
All'obbrobrio del Golgota la fronte
'^ Veltro aspettato da Dante era 1* im- ! della spada, e la vigna sua allogherà ad
J;'^****''* Arrigo VII. Alla sua calata dalle ! altri lavoratori, i quali renderanno il frutto
t R *^ «U»lno poeta scriveva agli Italiani: ' della Giustizia nel tempo, che si miete. ■
j^ *"**grati oggimai Italia, di cui si dee E più presso : « Ecco ora et tempo ac-
. *^iserìcordia, U quale inconunente ceptabilc nel quale surgano i segni di con-
,^. *' P«r tutto il mondo essere invidiata solazione e di pace. In verità il di nuovo
^ ^^*0 da Saraceni : però che il tuo Sposo, comincia a spandere la sua luce mostrando
pll 1^ «iclizia del secolo e gloria della tua da Oriente l'aurora, che assottiglia le te-
Q.^^/ Il pietosissimo Arrigo chiaro ac- nebre della lunga miseria. Noi vedremo U
^ *^*^re et — Cesare alle sue nozze di aspettata alle^^rezza, i quali lungamente di-
Kì;
.^. — — -'» f 'T — -O
^ s affirctta. — Asciuga, o bellissima, moriamo nel deserto. Imperocché il pacifico
- .^^ lagrime, e gli andamenti della tri- sole si leverà, et la giustizia la quale era
(^1 ^ ^sfiai: imperocché Egli é presso senza luce al termine della retrogradazione
ni^l *» che ti libererà dalla carcere dei impigrita, rinverdirà inconunente che ap-
top> ^tf > 1) qiulc percuotendo li perpetra- parirà lo splendore. •
^«Uc fieiikmie gli dannerà nel uglio i
280 POESIE DI MaLE AUTORI
Del martire, il moraento, il sospirato
Momento riconduce, in cui raggiando
L'Angelo della Fede e dell'Amore
Dai rovesciati tumuli ripete
Ai figli dell'Amore e della Fede:
La vittoria è pel Giusto: Egli è risorto.'
Tullio Mestre, nato a Sanguinetto (Verona) nel 1825, morto a
Feltre nel 1887, fu avvocato e letterato. Pubblicò le Osservazioni so-
pra Caio Giulio Cesare, lettera (Verona, 1865); ^ Veronesi a Pontida,
commemorazione (Verona, 1867); Manuale per i giurati (Verona, 1871)
e molti versi d'occasione.
' Qpetto carme cosi si legge a pagg. 66-70 déiVAlbo iamUtco veronese^ gii cit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 281
DCCXXXV.
Luigi Segala.
Dante in Verona.
Epistola.
(14 maggio 1865).
I.
Vieni, dolce amor mio: ride sereno
Per li campi e nel eie) Maggio odoroso,
ì la festa di Dante. Ohi comMo sento
La gioia d'esser italo! Vien meco
Fuor dalle anguste cittadine vie,«
E di placidi gaudi ne circondi
La libera Natura. Un inno udrai
Che mi sgorga dall'anima commossa.
Salve, o gentil Verona! Ostello primo,
Primo rifugio all'Alighier fuggiasco;
0 benedetta dal suo carme, salve.
Forse il sorriso de' tuoi miti soli
E de' tuoi colli floridi l'aspetto
Fur benigni di qualche ora di pace
All'afflitta sdegnosa alma del Grande.
Ma più agl'Itali cara, o mia Verona,
Perchè pria nel tuo grembo al Ghibellino
Cadean dall'alto cor l'ire di parte:
Quando ne lo Scaligero Palagio
Splendido d'armi e cortesia regale,
Ove accorrean da tutta Italia i prodi,
Ei potè meglio ravvisar l'Italia.
282 POESIE DI MILLE AUTORI
Vivo era il genio e la fierezza antica;
Ma né plebi né prenci uni di core,
Superbi e stolti si rodean Tun l'altro:
E libertade non avvampa i petti
Ove é misto al valor l'odio fraterno.
Si volse all'avvenir, giubilò... e vide,
Vide il Veltro magnanimo, all'incanto
D'un vessillo adunar da cento parti
I popoli divisi, e a le battaglie
Quasi a festa volar, vittorioso
Di villa in villa, e benedetto, un regno
Fondar di pace per giustizia saldo.
E la sua voce allor fu come vento
«Che le più alte cime più percuote;»
E il pan cibato al signoril banchetto
Seppe di sale al libero poeta.
Oh! quante volte consigliati invano
Sapienti propositi d'amore
Ai parteggiapti, errava solitario
Lungo la riva d'Adige sonante,
La fuga delle fiere onde mirando
Con gaudio. Oh! quante volte in l'alta notte
Su le ruine dell'antica Roma
Che si vaste, o Verona, hai nel tuo grembo
S'assidea senza pace. Oh! quante volte
Se la luna pendea queta sui merli
De le due torri, l'Alighieri pianse;
Che gli sovvenner le fraterne guerre.
Quando più Taffiianava il suo gran core.
Ne' templi venne a cercar pace: l'aura
Senti del Dio vivente, e degli umani
L'egualità. iMesto dicea: — Sublime
Religion, che degli schiavi infrante
Hai le catene, a mille empi la bocca,
A pochi il core. Non s'innalzi l'uomo
Sui deboli fratelli; e sol primeggi
INTORNO A DANTE ALIGHIERI 283
Coi lumi e con l'amor beneficando,
Non col dominio. O delle vilipese
Plebi Signor, quanti superbi fanno
Soffrir! dov'è giustizia? e dove alberga
Di caritade la soave fiamma? —
Quel terribile re della parola,
Che allegro, se di colpe eran pollute,
Fulminò le corone e la tiara,
Lagrimava pensando alla divina
Della croce follia, follia d'amore
Che innovò l'universo.
O mia cittade
Avventurata, esultai Ei che di tanti
Sulle pagine eterne il vitupero
Alle genti svelò, di te. Verona,
La cortesia registra. E questa luce
E quest'aere avvivar l'alma di Dante.
II.
Mira, o diletta mia: questa ghirlanda *
Di collinette amene, e le fiorite
Aperte piagge, e il flessuoso fiume
Somiglian tanto alla gentil Firenze.
Quante memorie della Vita nova,
Di Beatrice sua quanto desio
Risvegliar del poeta esule in seno.
Oh! la sua storia ti sovvien? Rideva,
Come ora, il Maggio; la città del Fiore,
A salutar dei fiori la stagione.
Era tutta una festa: e per le vie
Frequenti, e nelle liete radunanze.
Di quella gioventude itala il core
Come l'italo sol brillava. Dante
Mirò la prima volta una fanciulla,
Angelica al sorriso e come sogno
284 POESIE DI MILLE AUTORI
Dolce: in quell'ora lo inondò infinita
Gioia, in quell'ora si senti più grande.
Oh! il mondo ascolterà cose inudite
Di quella benedetta! Un cielo novo
Gli apparve a quel sorriso; e inebriato
E scosso, il re degl'itali intelletti
Il cor cantò, cantò la patria e Dio.
Quello era amore! — e la perdea si presto...
Oh! più mai non lasciarmi, unica mia:
Quand'io ti miro si piacente e pura
« Mi vien per gli occhi una dolcezza al core
« Che intender non la può chi non la prova. »
Quel che in me desti, o amata, esprimer godo
Con la favella d'Alighier; sol esso
Ragionar osi del suo dolce affetto:
Par che si muova ancor da le sue rime
« Uno spirto soave e pien d'amore
«Che va dicendo all'anima: sospira.»
Quella cara beltà fin da' prim'anni
Lo sostenne a seguir loda e virente;
Onde mai sempre al generoso amante
Il piacer ozioso e il fango increbbe.
Disdegnando e fremendo in fra i tiranni
E gl'ipocriti visse immacolato:
Della santa ira sua li turba ancora
La terribilitade. Ei primo i vulghi
Ond'era scissa Italia, uni rendea
Nell'idioma, vincolo d'amore.
Libero vate, con la sua parola
Evocò l'avvenire: — A salde voglie
Nella virtude e nel saver temprate,
O Italiani, i petti! Ogni trionfo
« Tra quei che un muro ed una fossa serra »
Non è gloria, è sventura. Oh! a vincer Tire
Sacrileghe, senz'armi il sacerdote,
Mite segno d'amor, levi la croce. —
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 285
Volle col soffio creator del genio
Innovar le sue genti; e fu proscritto
Siccome un reo. Ma dopo lunga etade
Miseranda, il suo sdegno oggi si allegra.
Contemplando a' suoi di Tun contra l'altro
I fratelli ringhiosi, oh! se fu triste
La grande alma di Dante! Or da la bella
Gloriosa Palermo all'Alpe mesta
Ove il léon ruggiva, Italia tutta,
Una di cor, nel suo gran nome esulta. '
Luigi Segala nacque a S. Massimo in qud di Verona nel 1836;
^crcita ravvocheria a Verona. È consigliere ed assessore comunale.
E autore di molti versi per occasioni diverse, e di molte memorie
gitiriciìche in materia civile.
Qpctta epUtoU cosi ti legge * pAgg* 72-76 deìVÀlbo dantesco vtrotuse, già duto.
286 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXXVL
Bartolomeo Biadego.
Il culto di Dante
espressione dell'odierna civiltà.
(14 maggio 1865).
Tutti gli accenti suoi fur luce e acampo.
Tutta 1* viu auA fu tinp«reggÌAto
Rimbrotto a' tìU, e sprone ai generosi.
Un uom divino egli è!
(Silvio PeUico).
È solenne del tuono
Il tempestoso rombo, che la via
S'apre di nubi dense
In fra la turbinosa tenebria.
L'uom s'affisa alle immense
Vie del baleno, e un Dio sente in quel suono.
Memore che dal Sina
Parla Ei così, quando vèr lui s'inchina.
Tal dell'Italo Vate
Che *i trino regno pinge in sua canzone
Il verso onnipotente
Di rei secoli vinse la tenzone;
E più la forza sente.
Perchè più al vero amica è nostra etate.
Già come a tutelare
Suo nume ogni città gli erge un aitate.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 287
Fu mai di ciotte rime
Fabbro più industre, o Sofo si profondo,
Che di più eccelsa fama
Tutto occupasse quanto è vasto il mondo?
Ben Diviìto si chiama
Chi del saver poggiò sull'alte cime,
E ad ogni fallo rio
Ruppe la guerra per guidarti a Dio.
La prìgion tenebrosa
Fatta è patente, dove in foco e in gelo
L'empio ha sua giusta pena.
Non fu livor, si ben diritto zelo
Ond'ei ti mostra in scena
Tanta, pur de' suoi di, gente odiosa;
Volle a tal fiera vista
La scissa terra sua render men trista.
Poi dove più sereno
L*àer si spande, e al ciel s'aderge un colle,
È svolto il magistero
D'un pio dolore che a virtude estolle.
Quale desio sincero
Spira quel canto di dolcezza pieno!
Quanti mai sono presti
All'opra santa Messagger celesti!
Ma già, deposto il peso
D'ogni ingombro, con lui t'innalzi a volo
Fin sopra de le stelle.
Oh Bi^atricel o mezzo a fruir solo
Di tutte cose belle!
Tanto impeto d'amor omai t'ha preso,
Che per fulgente via
L'alma tua di lei piena, in lei s'india.
a88 POESIE DI MILLE AUTORI
Volse stagione in cui
Nel tempio istesso, un popolo felice
Si erudiva alla scuola
Del Cristo e insieme del Cantor di Bice;
Quanti ebber la parola
Sapiente, Tattinser tutti in lui,
Dal gentil Certaldese,
A chi die* l'Inno sacro al bel paese.
Non de' giacer negletta
Ninna gente lor che le glorie avite
Religiose accoglie
E queste più che mai le son gradite.
Se da sue lunghe doglie
È nostra etade a riposarsi eletta,
N' ha il merto sol chi tante
Cure adoprò per richiamarla a Dante.
Ed havvi pur chi stolto
Morir dice fra noi la prisca fede.
Mentre addoppiarsi tanto
L'aflFetto al Re dei carmi oggi si vede?
Forse non è ad un santo
Fine questo comun foco rivolto?
E la fraterna festa
Nobili sensi in ogni cor non desta?
Italia! — Poi che onori
L'altissimo poeta, e gli hai tal culto.
Bene augurar mi è dato
Di tue sorti. — Confondi il bieco insulto.
Mostra che s'ei donato
T'ha in quel Volume il sommo dei tesori.
Tu sai cercarlo, e altera
Lo levi in alto come tua bandiera. *
Questi versi cosi si leggono a pagg. 77>8o dell'io /^0 dantesco veronese, già eit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 289
Bartolomeo Biadego nacque in Verona il 1812. Fu ordinato prete
e divenne abate. Fu sacerdote e cittadino di non comuni virtù. Soffrì,
per i suoi sentimenti patriottici, molestie e persecuzioni sotto la do-
mìndurìone austriaca. Dal 1868 in poi, fino alla sua morte, avvenuu
VH maggio 1887, insegnò lettere italiane nel collegio femminile degli
An^li in Verona. Fu poeta dialettale di vena facile e gioconda. '
* Vedine un cenno nell'opuscolo: Ptr l* non* Savini-Zueeari (Verona, 1884), pub-
blicACO da Giateppe PUtelH.
^«L Balio. Voi. XIV. I9
290 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXXVIL
P. Antonibon.
Ad Ugo Zanxoni che scolpiva la statua
DI Dante.
(14 maggio 1865).
V mi ton OH che qiun
Amore spira, noto.
(Dante;
O giovinetto che nel cor ti senti
Lo spirto di Canova e Tenerani,
E penetri gli arcani
Santuari dell'arte, e non paventi,
Sotto la man che crea
Non tremava il tuo giovine scalpello.
Quando ti apparve alla feconda idea,
Tutto avvolto nel suo bruno mantello,
Il divino sembiante
Della grande e sdegnosa ombra di Dante?
Il Titano de' vati, alto disegna
De* tempi foschi nella notte oscura
La nobile figura,
E ancor su tutti alteramente regna;
Dal sole della gloria irradiato,
Dall'esiglio e dal duol santificato...
Fra i popoli divisi egli passava
Con r amore d' Italia, e Sacerdote
Del canto, preludiava
Col forte immaginar dell'intelletto
La sapienza dei secoli avvenire.
Cieche fremevan Tire
Dietro il fuggiasco, che in tremende note
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 291
Con lo sdegno nel core e col dispetto,
Ai porporati poveri gridava:
Curvatevi — son io re del pensiero !
Cieco mendica Omero,
Ma vive eterno il Bardo, e non è morta
La cetra che cantava
Ilio due volte rasa e due risorta.
E il divino Àllighiero
Vide pur sempre una perenne aurora,
Che amor di Dante è amor d' Italia ancora.
Ugo m* ascolta. — Era un giorno d' Aprile
E un giovinetto dalla fronte bruna,
Dall'occhio mesto, pallido e gentile
Fra Tonda delle liete Fiorentine,
Vestite a festa, una fanciulla nota,
Dalle labbra soavi e porporine,
Bella cosi e devota,
Che gli occhi non ardiscon di guardare,
Perchè nel Paradiso ebbe la cuna.
Mentre ei cantava le pupille care.
La bocca le baciò tutto tremante.
Ella beata dell'amor di Dante.
Ahi! che il duro cammin di nostra vita
Non era degno di si gentil cosa.
Ella cadeva come fragil rosa
Sull'infecondo cespo inaridita.
Di Fiesole movea per le colline
L' Àllighiero dolente, lo pungea
Il desìo della morte, allor che mesta
La voce delle squille vespertine
Flebile si spandeva intorno intorno.
Ancor egli volea morir col giorno.
Ma l'ansia del dolore e la tempesta
Ridestò la divina aura segreta
Che dal nume movea,
E Dante si riscosse... egli è poeta.
292 POESIE DI MILLE AUTORI
E caldo ancor del sol della battaglia
Che a Campaldino colorò il vermiglio
Giglio Palvese della Guelfa insegna
Combattuta d'Arezzo, il vate impara
Il cammin dell' esiglio.
Che questa terra sventurata e cara
Dal di che il si suonava, e che s'udia
Una favella ed una gente nova,
Della sventura e del dolor fu Y ara.
E l'esule fuggia del santo uccello
Sotto i vanni cortesi, e qui ritrova
Lo suo primo rifugio e primo ostello.
Che questo sole agguaglia
Il sol che batte e muore
Sulla gentil Santa Maria del Fiore.
Che Firenze e Verona amiche e belle
Son due perle d* Italia e son gemelle.
Son due vaghe gemelle
Redemite di colti e di colline.
Culla di fiori e di leggiadre e belle
Scaligere fanciulle e ghibelline.
Là consola di molli ombre un cipresso
La tomba di Riccarda, e qui Giulietta
Dorme a Romeo d'appresso.
Una si specchia in Arno
E l'altra il vorticoso Adige bagna,
E si chiamano sempre e sempre indarno.
Qui i vecchi monumenti, illustri altari
Della superba Maestà Romana,
Le porte trionfali
Liete dell' inno e della uscente schiera
Che di Raudio a pugnar nella campagna
Con Mario affretta, e vince le fatali
Orde dei Cimbri. Là d' Etruschi Lari
L'orma repubblicana,
E San Miniato e la cupola altera
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 293
Di Brunellesco che mirò lontana
Vinta cader la libera bandiera
Coirultimo Toscano a Gavinana.
Là Michelangiol pinsc, e qui Ciliari,
Ed or r inno dei Bardi
Ancor risuona in numeri divini,
E al cantico fedel di Nicolini
Il cantico risponde d' Alcardi ;
Che Verona e Firenze amiche e belle
Son due perle d'Itaha e due gemelle.
D'una selva selvaggia ed aspra e forte
Ei qui discese tra i funesti giri,
Nei cerchi ardenti ove regna la morte
Ei raccolse le lagrime e i sospiri;
E il pianto di Francesca ancor risuona
Nei silenzi del vespro, e cento e cento
Italiane fanciulle, innamorate
Ripetono il lamento
Da un senso arcano di dolor portate,
Che amore a nullo amato amar perdona.
E il carcere di Pisa, e il violento
Teschio corroso, e nella torre infame
La terribile lotta della fame,
Gaddo, Anselmuccio, e l'ansia d'Ugolino
Morto caduto a' suoi figliuoli accanto.
Tale ridesta un fremito divino.
Che chi non piange, non conosce il pianto.
Ma quel divino spirito s'innalza,
Solcato il mar crudele.
Dove vicino già si sente Iddio.
Un angiol mesto e pio
Per correr miglior acqua alza le vele.
Sale di balza in balza;
E dietro i passi del poeta nasce
Il fior della speranza ed il sorriso...
Che r anima si pasce
294 POESIE DI MILLE AUTORI
Del barlume che vieti dal Paradiso^
Perchè U fede, eterna
Fiamma, il dolor governa.
E il bruno pellegrin passa e conforta
L'aflFanno della Pia cui la maremma
Rubò la gemma e della vita il fiore,
E la prima cnnzon ode d'amore
Del suo Casella, e porta
La rugiada d'un bacio a quelle arcane
Figure di Metelda e della Lia
Che ancor non san d'umane.
Freme sdegnoso e piange con Sordello
Su questo antico di dolore ostello.
Ma là dove s' acqueta ogni speranza,
Dove non move piccioletta barca
Sali, o poeta. — Una gentil sembianza
L'aere beato varca
E pei ridenti tramiti ti mena
Della region serena,
Dove s* appura in Dio ogni sustanza.
Angelica farfalla, e tu disveli
Le ignote forme degli ignoti cieli
E penetri per entro agli andamenti
Di quei mondi lucenti,
Dove oscillanti e belle
Palpitano le stelle
Coi lor fidi pianeti.
Sovrano dei poeti!
Tu vedi in coraggiosa vicinanza
Di Dio l'aspetto e quell'amor che splende
Pegli atomi di luce e si matura,
Vita riceve e lume
Come dall' iri l'iride, alla pura
Fiamma immortai del Nume. —
Dante, se a te fea guerra
La fiera umanità, che tutto vende,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 295
Pellegrino dei cieli vagabondo,
Fuggi pei calli di un etereo mondo.
Che al tuo genio divin scarsa è la terra.
Ma di Dante nel cor batte 1' estrema
Ora di morte e l'anima commossa
Ritoma ancora alla magion suprema
Che vide viva. Ravenna Ospitale
Solo vegliava attonita e percossa
Del gran ramingo al povero guanciale...
Una mesta visione indefinita
Al morente appariva
L'ultime addolorando aure di vita.
Nuova Cassandra al Simoenta in riva
Egli allor del destin l'ordine apriva...
Venezia altera e bella, * ora i tuoi scalzi
Eneti, pescator grandi son fatti,
E sui cedri del Libano t'innalzi!
Repubblicana tu rifiuti i patti
Delle sorelle tue... ahi! che lontano
S'agita un uragano;
Il pugnai che tu affili è il tuo pugnale!
E l'aurato vedea corno ducale
Piombar nell'onda con l'anello d'oro,
Lacero il Bucintoro
Dormire col Leone in Arsenale,
E la nova Vestale
Cader, no morta, ma sepolta viva
Nel formidabil campo scellerato. '
E il capo recUnato
Amaramente pianse il gran profeta.
Ma il vento che movea dalla marina
Un angiolo giocondo
Destava allor dalla palude Altina.
1 ^ - -
■ori. ^^ «vtadp odPMBhMdcrU Ji VcneiM Dastc o-t*-.vo e.', ch« loIIc, iuitrmò •
296 POESIE DI MILLE AUTORI
E venne... e accanto al fatai letto assiso.
Parlò segretamente al moribondo
Un'arcana parola, e niun Tudia. —
Mentre la cara vision svania
In fronte al vate balenò un sorriso.*
E il sol d' Italia riposò un istante
Sulla pallida testa del poeta...
E il domani splendeva sulla fossa
Che serba le invidiate ossa di Dante.
Udisti giovinetto ? — Ora i nepoti
Han sciolto il voto, e sorta la reina
Dell'Arno antico, un di guelfa caduta
Imperatrice nova e ghibellina,
Alza l'aitar dei popoli devoti —
E r Adige saluta
L' ospite eterno, ed or tutto risplende
Dell'opra tua sotto le bianche bende
Questa storia d'amore, e tu lo sai —
Tu che movendo vai
L'orme felici pei senticr dell'arte. —
Va giovinetto. — Sei l'erede degno
Del prepotente ingegno
Del povero Torquato, e tanta parte *
Batte di quel suo cor entro il tuo core.
Ei ci donò la Pia, Gaddo che muore;
Tu con novo ardimento
Alzi la pietra, e doni la parola
Alla pietà del sacro monumento.
E la patria vi mira, e si consola,
E pone sulla fronte
D' Ugo e Torquato una corona sola. ^
Pasquale Antonibon nacque a Nove in provincia di Vic<
Studiò neir università di Padova e si laureò in diritto. Esercitò
1 II Bembo. 3 Questi versi cosi si leggono a p«|
' Torquato della Torre. ; 87 deir.4/^o dantesco vtromtu, già ci
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 297
digTììxk e splendore Tavvocherìa. Fu principe nel Foro veneto. Per
molti anni sindaco del paesello natio, fu consigliere provinciale e
deputato per quattro legislature. Si ricordano i suoi discorsi alla
C-amera contro la pena di morte. Fu poeta gentile e letterato ge-
nj^tle. Nel corso dì questo anno (1907) gli è stata consacrata una
Jaj>i<ie sulla facciata del municipio di Nove, sormontata dal suo rae-
da^^lione e recante quest'epigrafe dettata dal Marchetti:
«La patria ricorda con orgoglio di madre | un altro nome di
gLoria I Pasquale Antonibon | sindaco per molti anni di Nove | m^-
selcisi figura di uomo, d'italiano, nel foro, ne la magistratura, al
Pstrlamento | disse gagliarde parole di verità, di giustizia | e le con-
sacrò ne l'azione intensa, feconda | Il Comune, la cittadinanza | la
scia ola di disegno | le società di mutuo soccorso | V Opera pia Giu-
seppe de Fabbris.
298 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXXXVIII.
Vittorio Merighi.
Emilio dei Mazzanti e Virginia dei Musel
Dante.
Ballata.
(14 maggio 1865).
I.
L'alba è appena; cala il ponte
Del Castel di Villafranca:
Il berretto obliquo in fronte,
Giustacor serrato all' anca
Di perfetta leggiadria;
Stretta maglia che gli intona
D' un' arcana melodia
La vaghissima persona;
Franco piglio qual s* aspetta
Ad intrepido guerrier.
Via pel ponte il passo affretta
Giovinetto cavalier.
Oh, r impronta ampia e sovrana
Di quel fronte e di quel viso!
Dolce il fascino che emana
Dal mestissimo sorriso!
E non sai se sia maggiore
Nel cilestro sguardo intento
O la fiamma dell' amore,
O il vulcan dell'ardimento:
INTORNO A DANI E ALIGHIERI. 299
E la molle onda che scende
Giù pegli omeri dai crin,
Sembra l'oro ciie risplende
Sulla testa a un cherubin.
E ogni donna, allor eh' e' usciva
Per le strade di Verona,
Ne ammirava almen furtiva
La vaghissima persona:
Né fanciulla, o altera sìa.
Sia pur fredda e vereconda.
Di baciar negato avria
Quella testa cosi bionda;
Saria ognuna a lui volata
Come in braccio del» Signor
A dividere chiamata
Le sue gioie e i suoi dolor.
Era sangue di una schiatta
Ladra, avara, prepotente,
E per esser cosi fatta
In orrore della gente:
Schiatta atroce in pace e in guerra.
Nominata dei Mazzanti,
Perchè entrata in una terra
Vi mazzava tutti quanti:
Ed appunto perchè nato
Da si orribile magion,
Doppiamente è caro e amato
Il vaghissimo garzon.
L' epoca era atroce e rea
Che in cittadi ed in borgate
Tutta Italia misfacea
In contese scellerate:
Che per fisco, per confini,
Per camifici, per bandi,
300 POESIE DI MILLE AUTORI
I più integri cittadini
Eran fatti miserandi;
Ma che pure a la sventura.
Desco e tetto e usbergo a offrir,
Si schiudevano le mura
Del men barbaro dei Sir.
Oh, Verona, antico nido
Di fortezza e cortesia,
II mio cor t' è sempre fido,
Gonfio ai palpiti di pria!
Sol, coni' è dei forti usanza.
Taccio, amando, ed opro, e penso;
Ma r amor cogli anni avanza,
Ma si fa più bello e intenso;
E da altri invidi impedito.
Da fiacchezza, da rancor.
Nelle lotte ingagliardito,
Si ritempra a nuovo ardor!
Oh Veronal... E l'alma oppressa
Scuoti e tu, Cantor Divino!
Alto avrai conforto in essa
Contro al barbaro destino.
Senza patria e senza tetto.
Calunniato, vagabondo,
Avrai patria ad essa in petto.
Avrai fama in lutto il mondo:
Mentre ogni invido nemico
Od il nulla avvolgerà,
O Cain, come V antico,
Abbruciato in fronte andrà!
Si, superba la ghirlanda
Dei dolori immeritati ;
La vittoria miseranda
Degli obbietti fortunati!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 30I
A coprir lor vita immonda
Sfoggiai! auri, acciar, blasoni;
Ma una voce li circonda :
— Via, progenie di lenoni! —
Mentre il giusto calunniato,
Torre agli odj ed ai livor,
Passa altero e salutato
Dal rispetto e dall'amor!
Torno adesso al giovin bello:
Parteggiante con Romeo,
Dei Montecchi insiem con elio
Le battaglie combatteo:
Ma fur poi dubbiosi i fati,
Ma poi venne la sventura;
Ed a morte condannati.
Addio patrie amate mura!
Sol che il Sir di Villafranca,
Tocco a un fato si crude),
Li nasconde e li rinfranca
Nel fortissimo castel.
A che intende adesso? Intende
Riveder le mura amate,
Or che feste ampie e stupende
Fur da Cane pubblicate:
Nobil là fanciulla ha sede,
Che da lungo ignoto adora;
Che è il suo cielo, la sua fede,
Dì sua vita la signora:
Chiuso in armi, la più bella
Ei la intende proclamar;
Un istante rivedella,
Ed in bando ritornar.
;02 POESIE DI MILLE AUTORI
IL
Di gloria e gaudio è di! Ma a mille e mille
Piangono madri e spose, orfani e vegli.
E messi arsero e case, e sradicati
Alberi furo, e aperte acque, e innondate
Campagne e ville... e gaudio e gloria è questo?
Di gaudio e gloria è di! Ma a mille e mille
Caddero umani, ed insepolte ancora
Son le salme sformate, e orrendo a lupi
Pasto e a grifagni; ed eran belli e prodi,
E d' una lingua, e d' una terra, e d' una
Famiglia istessa... e gaudio è questo e gloria?
Inutili ansie, non compresi accenti,
Lugubri i tempi, e scellerato il mondo!
Di gloria e gaudio è di! Tutto in Verona
Pompa spira e tripudio: è dalla torre
Battuto a festa da tre giorni il Rengo;
Ed ai balconi ammanti aurei e broccati,
E da tre giorni a cittadini e agresti
Deschi imbanditi ognor, liberi vini,
E più libere danze. Avea d' un colpo,
Improvviso pei tempi e fulminato.
Il felice Scaligero abbattuta
Del Carrara la possa, e trionfante
N' era tornato ; tra fraterne spoglie
Tripudiava la plebe ebra agli aperti
Padiglioni del cielo, e dentro alle aule
Quella dei grandi! E pure era pei tempi
Inver magno signor Cane, e il migliore,
E colto e prode e riverito e amato:
Lugubri i tempi, e scellerato il mondo!
Oggi è il di del torneo; domani quello
Sarà dei trovatori, e poi le feste
Chiuse con esso; e, ad eco prolungata,
Invidiati e cari resteranno
INTX>RKO A DANTE ALIGHIERI. 3O3
I dolci nomi delle due bellezze
Che avrà il voto maggior scelte, e levate
Della fesu a regine» e i due campioni
Vincitori del canto e degli armeggi.
E se una sola la bellezza fosse
IDoppiamente regina, e doppiamente
Solo uno il vincitore?
Ecco, air occaso
IDeclioa il sole, e mitigate molto
Son le vampe del di; pronto il torneo.
Squillan le trombe ad annunciar che arriva
XI magno Prence: cavalieri e dame
Sorgono a un tratto; ed egli baldo incede
1)* una maschia beltà, d' una serena
fronte abbronzata, d' uno sguardo aperto
Tra cortese e guerriero, e circumfuso
IDa quella aureola arcana abbagliatrice
Che il trono dona, e la virtù delle armi,
X gioventude, e studio, e cortesia.
Saluta intorno, e di sedere accenna.
Cd ei s' asside, ed a' suoi fianchi stanno,
Con prenci e grandi, l'Alighiero e il prode
TJguccione, e quanti altri avea più illustri
Cacciati in bando fratricida istinto
Delle città insensate italiane.
Un altro squillo! — Cavalieri e dame.
Clama un araldo, il granzìoso Sire
A sccr vi invita la beltà che segga
Della festa a Regina! — In questo istante
Rompe a carriera, e dell' arena in mezzo
S'arresta a un colpo e sta, chiuso nelle armi,
Un ignoto campione, a tutta voce:
— Virginia, grida, dei Muselli, dessa !
Si, la più bella, la più savia e santa
Vergine in terra; la più pura perla
De' tuoi gran regni, o Cane: o, meglio ancora.
304 POESIE DI MILLE AUTORI
Il primo giglio del giardin di Dio! —
Fondo segue un silenzio. Avea Y audace
Le leggi infrante, che non stava ad esso
Né sceglier, né parlare. Ognun fissato
Tiene in Cane lo sguardo: egli favella:
— Cavalier, non a te la scelta stava,
E troppo osasti : pur tale V hai fatta
Che t' é il faflo rimesso; oh! ma rimembra
Che non tutto dicesti, e che rivale
Altro potresti aver che non in armi.
— Spiegati, Sire ! — T' é Virginia nota ?
Favellasti con lei? Ti conosce ella?
— Mai Tonore ebbi della sua presenza,
Né mi nosce la vergine! — Ed allora
Sappi eh' ella é pregiata e amata molto
Qui dal nostro Alighiero e la più eletta
Che canti alla sua scola, e che declami
Air illustre Maèstro il carme etemo.
Se non nelle armi allor, bene il potresti
In Beatrice ritrovar rivale!
— Possibile una sola é Beatrice
Per chi arda casto in cor, Principe! — É fama
Che un pò* le labbra si mordesse il Sire,
E che il guatasse TAllighier sottecchi
Con quel sorriso che ti esprime: — Prendi! —
Ma ancor Cane sorrise, e fece intorno
Cortese inchiesta, se la scelta fosse
Di comun gradimento, e mille voci
La designata proclamar Regina.
Ma la donzella intanto ? Ella che stava
Schiva e modesta alla sua madre a canto.
Allo improvviso proclamar del proprio
Nome cosi solenne, ai mille sguardi
Sov* essa intenti ad un tratta, al bisbiglio,
Al piglio altero dell' ignoto in armi.
Da tal fu invasa turbamento, a tanto
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 305
Rossore incensa, che, nascoso il volto,
Della sua madre rifugiossi in seno,
E a un pianto disfrenato il varco aperse
Di sgomento e dispetto ! Olà V audace,
Ch' osa il suo nome profferir... che ardisce
Quasi d'amarla... e il grida intorno...! Offesa,
Immensa offesa!... Oh tergi il pianto inconscia
Vergine del Signore, e i conturbati
Spiriti calma! Ahimè, ben d' altra punta
Ei t' avrà in breve trapassata, il prode.
Ma che vorrai più sempre in core infìtta.
Che compagna sarà cara de' tuoi
Giorni pensosi, e ancor più cara a canto
Sui tuoi guanciali ; che sarà 1' oggetto
Fidato al cielo dalle tue preghiere.
Che sarà la tua vita e la tua morte!
Ma ti calma per ora, e ti componi.
A mille voci ognor più acute, e a mille
Mani ognor più agitate, odilo, sei
Proclamata Regina: il seggio accetta,
E t' apparecchia di tua mano il serto
Sulla fronte a posar del vincitore.
Ella è tutt' ora colla fronte ascosa
Nel sen materno; ma cessato è il pianto,
Manso a la nota voce e a le carezze.
— Dante, parla il Signor, vanne alla tua •
Gentil scolara, e 1' anima e rinfranca
Della maschia parola, e di tua mano
Sopra il trono Y inseggia! — E il Ghibellino
Iva, e pressava; e docile ai conforti
Dell' amato Maèstro, ella il seguia
Al seggio dell' onor. Calma, composta,
Alra la fronte alfìn... Dio, che fanciulla!!
Pieno crescente un mormorio si leva
Di maraviglia misto e di piacenza...
Squillan le trombe, alto silenzio; araldo:
*^%i Bàlio. Vd. xiv. ao
306 POESIE DI MILLE AUTOItl
— Il campo è aperto; cavalieri, a voi! —
Dodici sono baldanzosi in sella.
Fitti in banaglia, splendidi, piumati,
Ai colori, alle foggie ed alle insegne
Montecchio un solo, Cappelletti il resto.
Rompe ei la riga, e in mezzo al circo sprona :
— Un' altra volta ancor : V impareggianda
Vergine dei Muselli io la più saggia,
La più bella proclamo e la più ornata:
Dissente alcuno ? — Ha ognun la sua — risponde
Voce fra i cavalieri, e gli altri : — È vero ! —
Ed ei: — Che monta? — E siamo undici, e istess
E solo tu, e Montecchio... — E buon per tutti !
Un dopo r altro, Cappelletti, avanti! —
Era troppo! Il primier sprona; di sdegno
Tremante, ogni ritardo indegno indugio
Il superbo a punir cogita, e dritto.
Lancia in resta, precipita sovr' esso.
Scansa il colpo il Montecchio; oh, ma V attende
Air assalto secondo ! Eccolo ! Para
Asta con asta: scivola l'avversa
Innocente e sviata; ei colla sua
Proprio nel mezzo alla corazza ha colto,
E lo sventola là ! Sprona il secondo :
Vola, ritorna, si ripiega, fugge,
Para, investe, ripara, investe ancora.
Eccolo a terra! Sprona il terzo, e il quarto,
E il quinto, e il sesto e un dopo l'altro anch' essi.
Siccome i primi, fuor di sella, e giù!
A un cenno del Signor, squillo improvviso
La sosta suona: — Cavalier, sei prode,
Cane ragiona, e ti riposa alquanto.
— Grazie, cortese Sir; ma omai, tu il vedi.
Più non restan che cinque, ed abbastanza
Valgo per essi ancor! — E allora... — Allora
Sprona furente il settimo, ed investe
IMTORNO A DANTE ALIGHIERI. 307
Direttamente senza finta o guardia...
Riverso !... E quattro un dopo V altro ancora,
Ed essi air aria ancor : 1* ultimo resta !
Sprona pure ei; ma benché franco agli atti.
Lento procede e riguardoso; ha forse
Visto che un cotal poco al gran campione
Tremava il braccio, e faticata in punta
Pendea la lancia agli ultimi certami.
Eì stancherallo più, finché lo renda
Tardo a colpire ed a parare infermo.
L' altro ba compreso e ripagarlo pensa
D* egual moneta» simulando offese,
E solo intento a riparar le avverse,
Finché lo scopra alla final puntata.
E già da lungo dubbioso e lento
Segue il certame, e già due volte, al petto
Strisciati i cavalier, piegaro a destra
Ed a sinistra sugli incerti arcioni...
Oh, ma che è mai, bellissima Regina?
Tu sei turbata? Ansante il seno, gli occhi
Umidi e gonfi ognor più assorta intendi
Sopra un sol cavalier, e il Cappelletto
Non é r oggetto della tua pressura !
Ma dove dunque giti sono i tuoi
Spiriti risentiti; ove l'offesa?...
La vide il cavalier; virtù ne trasse
A sovrumana prova, e tutte in una
Le esauste forze accolte, entrambi i fianchi
Punse al corsiero, V avverti alle fauci,
In resta pose, si chinò in arcione,
Investi dritto, parò a destra e a manca.
Lo sfiorò appena il Cappelletto all' elmo,
Bi calzò al petto, e lo mandò riverso.
Alto prorompe, forsennato cresce,
Al del si spande generale un grido.
S' agitan lini trionfali, e palme
308 POESIE DI MILLE AUTORI
Battono a palme, e di vittoria i squilli
Assordai! V aria di letizia intorno.
E la Regina respirò si come
Dair incubo fantasma egro svegliato,
Ma bianca in fronte, semispenti i cigli,
Pendenti i bracci, e la persona affiranta.
Tutte consunte avea nell' ansia orrenda
Dell' alma le virtudi e delle membra :
Ell'ama! Oh se, poc'anzi appena, offesa
Tutta fremette e conturbata? EU' ama!
Oh ma se ignora ancor chi si nasconda
Dentro all' armi del prode ? Ama ! Ma ignoto
Se le fu sempre amor, se visse ognora
Sola e studiosa alla sua madre in seno?
Ed è per questo ancor eh' ama, e più forte !
Cane fa cenno, e cessan gridi e trombe.
— Cavaliere, in ginocchio; e tu. Regina,
Gli cingi al fronte dei vincenti il serto! —
China il ginocchio il cavaliere ai piedi
Della Regina, e ben gli sta che il cinge
Corazza al petto, e gli nasconde il fronte
Fitta celata, che altrimenti a ognuno.
Dal tempestar del seno e dal rossore.
Saria palese V amorosa fiamma.
Prende ella in ambe man 1* aurea ghirlanda
Per cingerlo al cimieri — Regina (il Sire),
Attendere ti piaccia anco un istante:
Deve posare la ghirianda in prima
Sul fronte al vincitor; l'elmo ti leva,
O cavaliere, e la sùeta grazia.
Concessa al vincitor, chiedi al tuo Sire!
— Mio Sire il fosti, e rispettato e amato
Tho sempre, e sempre ti rispetto e t' amo...
— Ebben? — Ma adesso in bando son... — Proseguii
— Dannato... — libbene ? — E mal reggendo all'acre
Desio crescente, che consuma a morte.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 309
XDalie mura paterne osai furtivo
Qui penetrar, tentar la giostra, ed ove
^e uscissi vincitor, chieder la grazia
IDi riveder questa Verona tua
(E mia puranco!) cosi bella e amata,
IDi chiuder gli occhi a' miei vegliardi, e, il giorno
Che Iddio fissasse, i miei chiudervi ancora.
JE se non vincitore, una adorata
fronte un istante rivedervi almeno,
E cosi confonato al bando amaro.
Se ignoto, ritornare ; o, discoperto,
JDelle leggi ai rigor chinar la testa...
J\iz riposare al natio nido in seno!
Prode sei, cavaliere, e ornato e onesto...
-A.' fianchi miei, credo, pugnasti. — È vero! —
I^resso a Vicenza? — É il terzo anno... — Or t'aggiungo
dlhe vago sei quanto sei prode e onesto :
iratta è la grazia: cavalier, ti scopri! —
Bello esser forte ha Y uom! V hanno momenti
dlhe tutto quanto ei si disface, e sviene
Cignale eco in monti, qual vapore in fumi,
^^ual mente in sonno. Egli tuttor posava
XJn ginocchio per terra : all' improvviso
Xliflui're del sangue a tanto annuncio,
<Zome gli manca qualche cosa in petto,
-Soffocato è il respir, la testa incendio,
Cartel le tempie, e vorticoso il guardo.
"Vacilla, e già... no, d* ambo i pugni ha fatto
Puntello al suol: vuole! E come sospinto
i)a occulta molla è in pie* scattato, e, scossa,
X^otentemente la persona, entrambe
^dene all'elmo le mani, e svita e slaccia,
^ r elmo toglie alteramente, e sta!
Emilio I Emilio dei Mazzanti! — è il grido
M)ì dolce meraviglia inaspettata.
Di mal domi rancor, d'affetto immenso.
310 POESIE DI MILLE AUTORI
Ei richina il ginocchio, e la ghirlanda
Gli posa in fronte... ed isfioràr funivi
Una candida man due labbri ardenti,
E voce mornìorò: — Virginia, io t'amo!
E per tal guisa era il torneo finito.
III.
E poi venne 1' occaso ; e là, di retro
li campanile San Zeno, il sole
Pomposamente si corcò tranquillo.
E poi spuntò la luna; e i solitari
Spazi del firmamento ascese, e splende
Dei silenzi regina e dei pensieri,
E mormora sommesso Adige; e intorno
In sulle rinfrescate aure accarezza
Alberi e fiori, vigili e dormenti;
Ed è il cuor della notte! Ancor passeggia
Una forma bianchissima ondeggiante
Su e giù un veron che lambe Adige ai piedi.
Oh, roco e triste un martellar risuona!
Della tor dei Muselli è il coprifoco.
Basta, Virginia! Son talor fatali.
Troppo notturne, quelle fresche e crude
Aure atesine; ti ritira, e requie
Nel sonno invoca ai conturbati spirti.
Ebben, si, audace, se tale ti giova.
Audace pur lo sconosciuto in armi
Cosi solenne a proclamarti a tanta
Gente in cospetto... ma poi che t' amava
Di cosi puro amore, egH, il più bello.
Egli il più prode, egli il più dolce e ornato .^,
Ebbene, e sia, più audace ancora osare
Dirtelo io t' amo, ed un ardente bacio
Sulla tua mano... ma poi che t'amava
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 3II
Tanto, e da tempo si lungo, e di fiamma
Si pura e sviscerata ?... — Offesa, offesa ! —
Oh ma, Virginia, insieme ad esser quella
Della vergine amata, era la destra
Che allora allora V avea cinto in fronte
Del serto dell' onore!... — Offesa, offesa! —
E vuol bene ella coricarsi alfine,
Oh, ma nel seno della madre sua
Contro air audace troverà un rifugio !
Dorme; sogna! Le varie e tante sono
Immagini del giorno ed i pensieri
dhe sulla mente le fan specchio e ressa.
Oh, il sen le batte ognor più gonfio, e cresce
I^iù frequente il respiro e faticato!
fi desso, desso, il giovinetto audace
Che supplicante del verone ai piedi
XJn sguardo sol le chiede, una innocente
Stretta di mano!... Ed una forza arcana
Soavemente la costringe e tira
I^resso al supplice, là... là abbasso! Oh via!
Xndietro!... Indietro!... Ha vinto: e la fatale
forza è domata; e omai ampia respira,
£ di sé donna e libera si sente!
Oh, ben si può ciò che si vuole!... Cielo!
Spavento! Inverso ha il corso, e la fatale
Forza che prima la tirava in basso,
Costrìnge adesso il giovinetto ad essa!
1^0, non s'inganna! .. Ei monta... e monta... e ancora
Monta!... Gran Dio! Eccolo, giuntaci... Il capo
Gli spunta dal verone!... Indietro!... Aiuto,
O madre mia! Sopra il tuo sen mi salva!...
E la madre compare, ed ella entrambe
I-e braccia stende, e desolatamente
le si gitta sul sen gridando: — Aiuto! —
È che tu sogni ! Ma del resto, come,
Imprudente carissima, vorresti
312 POESIE DI MILLE AUTORI
Trovar difesa alla tua madre in seno
Contro amor come il tuo? Ara di sacro
Foco è il sen della madre, e al suo contatto
Tutto s' infiamma quanto è puro, e il tuo,
Benché cosi respinto e paventato,
È castissimo amore, almo, celeste,
Da far superbo ogni mortale in terra.
Da farlo in terra, avanti al ciel, felice!
Oh non avesser li primieri nostri
Padri peccato innanzi al Nume, e fosse
Eden rimasto il mondo, e immacolato
Spirito l'uomo, ed a novello eliso
Non redenturo, e sopra il mio cammino
Incontrata ti avessi, oli con che core
Salutata t* avrei, piena di grazia.
Ma per me, ma per me — Ave Maria/ —
Il sogno segue. E della madre al collo
Ognor serrata più la giovinetta.
China alla spalla, e colle labbra presse
A una sua guancia, chiude gli occhi, e parie
Rassicurata alfin cader sopita.
Quando una voce non ignota suona:
— Ah, madre nostra! — Schiude il guardo, e ve
(Oh, sogno sogno, illusion, delirio!)
Emilio vede che suU' altra guancia
Posa alla madre le sue labbra, e sente
1/ alito istesso suo: sente, a traverso
Del sen materno, i palpiti trasmessi
Di queir ardente cor!... Battono eguali
Coi propri... eguali di candor, di fede...
Soavi, pudibondi, immacolati !...
E da* suoi sguardi fissi umidi, pieni
D' immenso affetto, ella un' ignota beve
Dolcezza e una fidanza... e sta la madre
Senza sgomento... e a poco a poco parie
Più assicurata ancot cader sopita.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 513
Ed ecco a un punto quella voce istessa:
— Mia! Mia ! — suonar : schiude gli sguardi, e trova
(Sogno due volte, illusion, delirio!)
Altra la guancia che la sua combacia.
Altro il sen su cui posa, altro V amplesso
Che la serra alla vita!... Oh Dio Signore!...
Fra le braccia d' Emilio ella si trova
E la madre sparita ! A disperati
Crolli vorria disciorsi, e senza lena
Sono le braccia immobili e gelate;
Vorria fuggir, ma son pur essi al suolo
Come inchiodati i piedi! Esterrefatta
Volge intorno gli sguardi... oh ciel, la madre
Che proprio li sopra le teste loro,
Piena d' amor la guarda- e le sorride,
E r assecura, e ad accettar la incuora
Del dolcissimo amante anima e vita!...
E Emilio che più ognor — Mia! Mia! — ripete.
Ella, la madre, a raddoppiati amplessi
In fronte bacia, e poi li bacia entrambi.
Leva in alto le mani, e benedice!
Delizia del Signor! Ella si sente
Tutta cambiata a un punto: un' aura intorno
Di fidanza, d' amor, di tenerezza
Tutta l'avvolge: a poco a poco come
Liquefarsele il core insiem le sembra
Con quel d' Emilio... colle sue le braccia
D' Emilio assimilarsi, e i due respiri
Fusi in un solo; ed una forza arcana
Prepotente, dolcissima, divina.
Tirarla alla sua bocca!... Oh allora, tutta
Scossa in sé stessa d' un t .emendo schianto,
Sei serra al petto, disperatamente
Bocca congiunge a bocca, e grida: — Tua! —
E trabalzò sul letto risvegliata,
E stati sogni solo erano e larve...
314 POESIE DI MILLE AUTORI
Si, ma svegliossi eternamente sua!
Ed in vita ed in morte I Oh quando amore
Cominciò si guardingo ed oppugnato;
Quando dentro a sue spire avvolse e chiuse
A poco a poco, ad una ad una, tutte
D* un nobii cor le più riposte fibre:
Ed or soffio di Simon, or gelato
Alito d'Aquilone, assuefatto
A quelli avrallo turbamenti arcani
Che non sgomentan più, che fonte sono
D* una crescente tenerezza... Amore
Fato diventa, onnipotenza, Dio !
E r anima che tanto altera e offesa
Fea ripulse in principio, e suspiciosa
In appresso esitava, -eccola a un punto
Di tanto ardente amante ed indomanda!
Ahimè, Virginia, ma sei cinta intorno
Di cor spietati, ed il dolor ti aspetta
Forse al gaudio primieri... Venga il dolore!
Ma, Dio! raminga per regioni ignote
Stenterai forse il pan, né avrai ricetto
Ove ridurre il pie'!... L'esiglio venga
E la miseria! Ma se un fatto atroce,
0 un ferro atroce più, mieter dovesse
1 tuoi giovani giorni? E sia, la morte!
È detto, ed io t'abbraccio in un amplesso
Di purissimo affetto, e al cor ti stringo.
Sublime créatura, e tale il cielo
Voluto avesse sul mio mesto calle
Metter fanciulla a compensarmi amante
Le nequizie del mondo, a farmi il tetto
Di bambini giulivo, e a provvedermi
Affetti e cure pei più tardi giorni.
Che troppo, ahi, ratti mi si fanno innanzi !
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 315
IV.
Di cor spietati tutto intorno cinta,
Io tei dissi. Virgìnia, ahimè il rammenta!
Innumere per gli atrii ardon le faci,
E per gli ampi scaloni, e dentro alle aule
Del Signor di Verona: ultima festa.
Come dodici ieri in armi, adesso
Dodici sono i trovator presenti
Del canto aneli alla onorata fronda.
Tutti del divo Fiorentino all'alma
Scola nodriti in sulle atesie rive.
Sta TAUighiero preside supremo.
Ed ha giudici insieme otto, i più culti
Fra i nati suU' ameno Adige, dove
« Solea valore e cortesia trovarsi. »
É in torno assiso quanto v' ha più eletto
Di matrone, donzelle e cavalieri.
Parla il Signore: — ET adunanza intera.
La Regina si scelga. — Ecco d' un tratto,
Quasi d' intesa pattuita in prima,
Tutti gli sguardi correre là, dove
Stava Virginia colla madre assisa.
Essa era calma, placida, sicura
Oggi di sé, non come ieri incerta.
Tutta intorno alla fronte una grandiosa
Aura serena la rendea più bella.
Pareva come irradiata in volto
D' una luce lievissima ed arcana,
E il seno avvolto e la persona in leni
Panneggiamenti d' etere e di luna.
E le ragioni non sapea trovarne,
Ma la vedeva e la sentiva ognuno
Altra e più bella che giammai non fosse...
E ad una voce la clamar Regina!
3l6 POESIE DI MILLE AUTORI
Ah, le ragioni non sapean trovarne ?
Volgo!... L'alito ornai della seconda,
Della vita verace ha in lei soflBato!
Volgo!... Di Dio la luce e la parola
S'è rivelata all'anima redenta!
Eir ama ! Ed in brevi ore ella ha vissuto
Tutta una vita dei più ardenti e puri
E vivifici aflfetti! Oh là, in quel fionte,
Della vergin vegg* io la pavida ansia,
Là della sposa il pudibondo eliso,
Là della madre la celeste fiamma!
Oh volgo, volgo!
Eccola in seggio ancora.
Dei trovator si leva il primo, e attende
Dalla Regina ed argomento e cenno.
— Concordia — ella pronuncia. Avea i fratelli
Cappelletti e i parenti, ed era molto
Delicato il pensier che le inspirava
La fraterna parola. Il giovincello
Nulla comprese, e strimpellò pel meglio
Che gli dettava la stordita etate.
Così al secondo — Cariiade - e al terzo
— Perdono — ella prosegue : ( — Amor — non osj
Quella celeste pudibonda, pure
Che tal la tenti ad ogni istante il labbro!)
Ed — Amistade — al quinto, e cosi sempre
Fin che tocca ali* estremo. Alla sua volta
Ei pur si leva: è Emilio. — Gelosia! —
Suona dura una voce all'aula in fondo.
Si piantò come lama in mezzo al core
La sinistra parola a la donzella!
Bianco si volge Emilio, ed i suoi sguardi
In altri sguardi torbidi e sinistri
Eguali si scontrar!... Le punte in breve
Si scontreranno delle spade loro!
Ei si compone, e a la Regina inchiede
INTORNO A DANTE ALIGHIERI 317
Se mai gradisca la richiesta, ed ella
Del capo afferma; e il trovator raccolto
Qualche momento sta, s' agita, canta.
Gelosia.
Parola alcun fé* intendere
Che suscita e desola;
Eppure, eppur terribile
Sempre non è parola!...
Si, troppo spesso agli uomini
Furioso accecamento;
Ma pur talor n' ha origine
Caro gentil tormento!
De' sogni il senso affermasi
Dai saggi veritier;
Il mio ti narro, giudica.
Regina, tu se è ver.
Esce dalle onde, mostrasi
La creatura santa:
Ahi, nel lenzuolo avvolgiti,
Di pieghe assai t' ammanta I
È ver, tranne al purissimo
Occhio del sol, negato
È a ogni altro ciglio il fascino
Del cinto immacolato:
Pur del mio amore, o vergine,
Tanto è geloso il voi.
Che non che ignota agli uomini,
Ti voglio arcana al Sol !
Un' altra volta immcrgesi
La santa creatura:
Esce!... Ahi dolor!... rannicchiati,
Dentro al lenzuol ti fura!
Eccetto la castissima
3l8 POESIE DI MILLE AUTORI
Pupilla della luna,
In te là, è vero, a pascei
Non V* ha pupilla alcuna ;
Ma pure è tale il palpito
Del mio gentile amor,
Che, non che al sole, incognita
Ti TO* alla luna ancor!
Son sveglio adesso. Oh, vergine.
Non corrucciarti; e queste
No, per pietà, non crederle
Stolide smanie infeste!
Tu se' innocente, ingenua.
Tu non sai nulla adesso;
Ma un altro mondo incognito
Ti sarà noto appresso:
Vedresti allor quale, unica
Fiamma mi lega a te.
Che ti vorrei nel talamo
Perfino arcana a me!
Salve lingua del ciel; salve gentile
Possa dei carmi! La donzella, aflfatto
Ismemorata ove e chi fosse, il varco
Lasciò sfrenato alla virtù del core,
In lagrime dolcissime sfogando
La tenerezza che Y avvolse intera.
E pianser dame e cavalieri, e il Prence;
Ma ne fu molle sopra tutti e a lungo
Il viso arcigno del Cantor divino.
Diva possa dei carmi! Oh! bello il volto,
Torvo e rugoso di precoci increspi
Per gli affanni del cor, bello vederlo
Di lagrime inondato all' improvviso
Manifestarsi d* un gentil pensiere !
Care, sublimi, invidiate quelle
Correnti arcane, che a distanze in onta
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 319
Di secoli e di siti, i cor fan stretti
In vìncoli d'affetto! E fu so vr* esse,
0 Pia, Francesca, Beatrice, eterne
Creature d' Italia, orte dai vostri
Cosi teneri cor, scese a traverso
Dei vostri cigli, che vennero quelle
Lagrime gentilissime negli occhi
Del Cantore immortai vostro trasmesse!
E come una beltà sola era stata
Doppiamente regina, e doppiamente
Uno fu il vincitor. Sol che stavolta
Quando la fronda gli posò sul capo,
Ed egli ripetè: — Virginia, io t'amo! —
Altra voce rispose: — Oh grazie, Emilio! —
E poi si seppe d' un immenso affetto,
Di notturni spiati abboccamenti,
Di ripulse richieste e di minaccie,
D'ire tremende e di parenti in armi,
Di giuri sacri e d' incrollata fede.
Buia è la notte! Un lieve schifo approda
Ai piedi d' un veron: la fuga intesa!
Ahi non appar Virginia, e a Emilio invece
Ecco alle spalle due furenti in armi!
E nota voce: — Gelosia I — Vendetta! —
Altra soggiunge, e son le spade tratte.
Cugino era e fratel della fanciulla
Insieme uniti a traditor assalto.
Sguaina Emilio anch' esso, e in un momento
È il primo ucciso, ed il fratel sparito!
Ahi sventura, ahi dolor! Virginia, addio!
Tutto è grida e scompiglio all' improvviso
Dentro alle case dei Muselli; irrompe
Ebra di sangue la caterva in armi
Dei famigliari... eccoli!... Ahimè, un istante
Non esitare, Emilio!... A che varrebbe
La tua prodezza a tante punte innanzi?
320 POESIE DI MILLE AUTORI
Ahi duolo! in bando ancor!... Virginia, addio!
E via per le acque a raddoppiata lena
Lo schifo salvatore è ornai sparito.
V.
L' alba ancora, e cala il ponte
Del Castel di Villafranca:
Il berretto obliquo in fronte,
Giustacor serrato all'anca
Di perfetta leggiadria;
Stretta maglia che gli intona
D' un' arcana melodia
La vaghissima persona;
Franco piglio qual s' aspetta
Ad intrepido guerrier.
Via pel ponte il passo affretta
Giovinetto cavalier.
Oh, ma pur, se ben si mira.
Non è quel dell'altra volta;
Da quel fronte un' ansia spira
Che non sa restar sepolta;
Un insolito pallore...
Oh, ma è franco e passo e piglio.
In quel cor non v' ha terrore
Né di duci né di periglio!
Che fu dunque? Ahimé, son cose
Che vorrei ben io sparmiar;
SI terribili e pietose
Che mi fanno lagrimar!
Da quel di che i sventurati
Fur divisi nella vita.
Ahi, d' aspetti desolati
Fu natura rivestita!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 32 1
L* aere torbido, i pianeti
Non più belli e rilucenti;
Non più dolci e mansueti
Animali ed elementi;
Tutto in terra apparve ed essi
Senza viscere e pietà;
Tutto lagrime d' oppressi,
Tutto orrore e crudeltà!
Che allor quando cor si affini
Hanno i palpiti confuso;
Quando spirti si divini
L* un neir altro s* è trasfuso;
Quando è fatta di due vite
Una cosa istessa e sola.
Nelle orrende dipartite
Non v' ha nulla che consola :
O riviver fa mestieri
Nel medesimo respir,
O addio sogni lusinghieri,
E componersi e morir.
Da quel di per la fanciulla
Altro voto ed altra speme,
Non sorrise omai più nulla
Che fuggir fuggire insieme:
E potuto avea frattanto
Fare il giovine avvertito
Di tenersi ad essa accanto
Per un giorno stabilito:
Or per fidi arcani detti
Ieri alfine il fé' avvisar
Che stanotte arrivi, e aspetti
Del cortile al limitar.
Come? Alfin del dolce amore
È si prossimo all'amplesso,
^Auro. Voi. XIV. 91
322 POESIE DI MILLE AUTORI
E a lei vola più a dolore
Che a delizia in volto impresso?
Questo insegna ch'ei del cielo
È fattura prediletta;
Ch'ebbe compio il terreo velo
Con un'alma ardente eletta;
Siy perchè più un core è bello,
E più prossimo a gioir.
Più la gioia ha un senso in elio
Che confina col soffrir.
Cosi volle per le arcane
Leggi Iddio con cui dispose
Che si tocchin non estrane
Fra di lor le avverse cose;
Cosi forse ancor per cento
Ragioni altre ha destinato
Che al mio breve intendimento
Di spiegare non è dato;
Questo so sicuramente
Che volgare ha l'uomo il cor.
Se nel gaudio insiem non sente
Punta arcana di dolor.
Ecco adunque alla cittade
Mal paziente il passo affretta;
Siano a mille pur le spade
Affilate alla vendetta;
Sian pur gli archi e doppi e pronti
Delle scolte, e i guardi intenti;
Doppi sieno e spalti e ponti,
E fossati e impedimenti;
Sia pur terra e cielo ostile...
Non temete, arriverà;
E alla porta del cortile,
Mezzanotte il troverà!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 323
VI.
Rossigno, o sol, ti corichi là dietro
Il campanile di San Zeno, e tetro!...
Pronuba face ardente
Un'ansiosa gentil ti salutò.
Auspice alle cruente
Ire del core un empio in te giurò!...
Ahi, sole, ai voti amanti ed ai scelesti
Augurio egual saresti?
Calma è la notte-* e pur nella profonda
Requie par quasi un gemito s'asconda!
É ver, come a carezza
S'ode Adige tranquillo mormorar;
Ma una villana orezza
Involontari suscita a tremar:
Ahi, sacra, o notte, a sviscerati amplessi
Od al cruor t' inspessi?
Un tocco squilla replicato e roco;
Della tor dei Muselli è il coprìfoco:
E quelle cupe mura?
Son di Virginia la fatai magion;
G quella macchia oscura
Nel vicolo laggiù?... Cielo, il garzoni
E mezzanotte passa, e passa un'ora...
E tutto è arcano ancora!
Oh, dal veron di vetri un tintinnio...
E un lume splende... e vaga forma!... Dio!
Dessa !... Eccola, le palme
Agita e accenna che discende... e allor.
Deh, per pietà, ti calma
Palpito tempestoso a Emilio in cor,
O malpotente contro ad ansia tanta.
N'avrà la vita infranta!
324 POESIE DI MILLE AUTORI
Si preme il seno!... Ad ascoltar la testa
Posa suir uscio!... Oh, fremito di vesta!...
Ma suon di passi ascolto
Dietro al garzon lievissimi a spiar!...
Passò, fermossi, è volto
(Ahi, rea figura!) e seguita a sguardar...
Oh Dio del Cielo... e assorto il giovinetto
Alcun non ha sospetto!...
Spari non visto! Ahi, mille idee funeste!...
Oh, ma certo il garzon la maglia veste!
La maglia?... AUor che ardente
Virginia attende a stringerlo sul cor ?
Ei cinge unicamente
Pugnale e spada e n* ha di troppo ancor!
Lasso! Pria snudarli! a tradimento
Esser potresti spento !
Oh, non s'inganna più!... Ciel! del vestito
Distintissimo adesso il fruscio ha udito!
Ecco, la sbarra svolta
Sommessamente cigola... rista :
Cigola ancora... tolta !
T'arresta!... Non entrar, per carità!...
È scritto il fato omai! La porta cede...
Ei brancolando incede!
Duplice suona un domandar represso:
— Ma dove sei, viscere mie ? — Qui presso !...
— Delizia!... Oh, le tue braccia
Al collo avvinte! — Oh, sul tuo seno il seni...
— Oh, dolce la tua faccia !
— Divino il tuo sospiri — Mio ben! — Mio ben!
Viscere! — Amore, amore! Angelo mio! —
Virginia!... — Emilio!... — Oh Dio!!.,.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 325
Deh, almeno sii lunga lunga, o notte, infino
Ch'abbian libato al calice divino;
Infin che cento volte
Fuse le anime insieme in un sospir.
Nei vortici travolte
Dì cieli inesprimibili, il gioir
Dei lunghi di di sviscerati amanti
L'abbiano in pochi istanti!!...
VII.
Tutto è calma! Al mal represso
Primo istante gioibondo,
In un subito è successo
Un silenzio il più profondo:
Forse a farli il ciel premiati
Dell'onor di tanta fede,
D*ampi amplessi sviscerati
La delizia a lor concede;
Forse a toglierla dal truce
Predominio del fratel,
Giù per l'Adige l'adduce
Remigante il suo fedel.
Dio terribile!... Spavento!
Uno strido s' è levato
D'inefFabil patimento.
Acutissimo, troncato!...
E una voce che per ira
Roca rompe ed affannata,
Per le vòlte urlando gira:
— Lumi! — Lumi! — dissennata:
E qualcosa che rinlbomba
Con cupissimo romor,
Per le scale abbasso piomba
In cadenza che fa orror!
326 POESIE DI MILLE AUTORI
Del Signore ai cupi accenti.
Colle faci air improvviso
Da ogni parte prorompenti,
Ecco i servi... orrendo viso!...
Sulla cima della scala
La figura rea su detta.
Che da un ghigno atroce esala
Il piacer della vendetta !...
E dall'alto ove fidente
Come in cielo si posò
La pia coppia orrendamente
Giù nel fondo rotolò!
Ma, Signor, non sei tu stessa
Che all'amor ci inspiri in cielo;
Che quaggiù talvolta in esso
Il tuo ciel ci fai rivelo?
Non sei tu che all'uomo hai detto
Che per correr la tua via
Dee dividere il suo tetto
Colle grazie d'una pia?
Che a insegnar che insiem sariéno
Una carne ed un pensier.
Dal tessuto del suo seno
La traesti all'uom primier ?
Ma, Signor, ne' tuoi superni
Libri adunque è sempre scritto.
Che quaggiù più assai governi
Di virtù fausto il delitto?
Ma chi ognor ti screde e insulta
Con si orribile nequizia.
Crollerà la testa inulta
Per l'oblio di tua giustizia?
Vedi in cima il furibondo...
È tua imagine, Signor?
INTORKO A DAKTE ALIGHIERI. 327
L'occhio volgi e guarda in fondo...
Non si scuote il braccio ultor?
Ahi, fratello snaturato!
Di un si bello e santo amore
Il sorriso a far troncato
Vake forse il tuo furore ?
Mira! Il brando che nei petti
Casti è ancora^ orrore, impresso.
Valse a renderli più stretti
Della morte nell'amplesso;
Valse a stringerli abbracciati .
Dopo spenti ancora più;
Valse a unirli più beati
Nell'amplesso di lassù!
Vili.
Tutto è il cielo a fosche impronte,
L'alba appena intorno imbianca;
Piange il vento, e cala il fronte
Del Castel di Villafranca!
Altre volte parimenti
Mattutin cosi ne uscia
Tutto pien di idee ridenti.
Tutto vita e leggiadria.
Ora invece, in mezzo a un tetro
Mormorar di pia canzon.
Vi ritoma nel feretro
Il vaghissimo garzon ! '
j . ^^ittorio Merìghi, nato in Verona verso il 1817, fu poeta, co-
y^^^^^^re, soldato. Prese parte col grado di maggiore all'assedio di
^^ia. Ebbe vita agitata e rapporti confidenziali con i principali
QpMCi «•»! coti kgfOBsi a pagg; 89-119 ^eU*if/3o dantuco vtronnt, già dt.
328 POESIE DI MILLE AUTORI
uomini del nostro risorgimento. Pubblicò Jnnoi/o, a Pinerolo nel 1855,
poi Nos^lopyy tragedia in cinque atti, a Torino nel 1862; Abelardo
ed Eloisa, dramma (Milano, 1876). Seguirono: A volo d'uccello attra-
verso i tredici anni di bonifiche ferraresi (Ferrara, 1876); Can/i\ con cenni
biografici (Roma, 1877); Dissotterro un ventennio, proclama ai Comac-
chiesi (Ferrara, 1883); Memorie di Venezia, 1848-49 (Torino, 1889).'
' Vedi Giuriati, Memorie i* un vecchio avvocato. Milano, 1888, pag. 142 sgg.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 329
DCCXXXIX.
Girolamo Lotto.
Ode a Dante.
(14 maggio 1865).
Suon di plausi festivi
Vola per Taér lieto, e si diffonde;
Echeggian del tuo nome
Immortale Alighier l'itale sponde.
Or che ai virili spiriti
Fervido si riscuote
li memore nepote,
E la tua sede avita
Sorge raggiante di novella vita.
O Sommo, a cui le menti
Per ammirar s'appuntan desiose,
Potrà voce mortale
Toccar l'altezza di celesti cose?
Solo adombrar del Genio
La feconda possanza,
E r inclita costanza,
E la gentil virtude
Che tanta luce di beltà dischiude?
Divina in te di carmi
Arte che tutte le dovizie accoglie
D'insuperato stile;
Che desta ogni armonia, ch'ogni fior coglie
330 POESIE DI MILLE AUTORI
Da la favella vergine
Teco già grande irata,
Ed a seguir temprata
Coir arduo magistero
Il vasto moto dell'uman pensiero.
In te la benedetta
Eredità che ci serbar de' padri
Le sapienti carte:
Cogli austeri pensier sparsi i leggiadri
Studi, e scolpita l'intima
Natura, e il vero aflFetto
Onde a* mortali il petto
Con assidue vicende
Macera il vizio e la virtude accende.
E, reggitrice eccelsa.
Nel sudato cammin confortatrice.
Il gran lavoro impronta
De* lumi suoi l'eterna Beatrice,
Che a disvelar reconditi
Veri ti fa possente,
E la Superna Mente
Interrogar col viso
Che sostiene il fulgor di Paradiso.
Ma la profonda ampiezza
Di tuo valor che in terra e in ciel si spazia
Dell'aquila con l'ale,
E con si forte ardor che nulla sazia,
A chi fu dato stringere
Sotto verace forma,
E con sicura norma.
Altissimo intelletto.
Render di te non disugual concetto?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 33I
Celeste raggio apparve
L'anima tua ne' cantici trasfusa,
Onde la tetra notte
De' tempi folgorando fu dischiusa:
Spirò fervente un alito
Suscitator di vita:
Conversa in te, rapita
Al portentoso lume,
L'etade a franco voi mettea le piume.
Nel suo fulgente nembo
Sfavilla il ver, di nostre brame obbietto.
Ma rara è la pupilla
Cui venga intero e nitido l'aspetto;
Cosi le tempre varia,
Così gli sguardi inclina
E più la vista affina
Ciascuno in quella parte
Ove il sospinge sua natura ed arte.
Te con diversa luce
Nostri poveri ingegni audacemente
Sommisero a giudicio:
Ma la potenza di sovrana mente
Sdegna l' incerto limite.
Penetra e d'ogni lato
Le risponde il creato,
E sotto mortai velo
Fiamma si mostra eh* è vivente in Cielo.
Nell'ire acri di parte,
O nel risurto imperiai concetto,
Altri avvbàr la vena
Dell'ardor che t'accese il nobil petto;
Indur novelle e candide
332 POESIE DI MILLE AUTORI
Religiose forme,
O di ragion su Torme
Sole, drizzarti al polo,
Altri fér meta al tuo sublime volo.
Ma forse il ver non scema
Vaghezza di sistema ? Alla terrena
Legge tu pur servisti,
O glorioso spirto: in te la piena
Proruppe ancor di giovani
Speranze e di desiri.
Di gioie e di martiri,
Di tema e d'ardimento
Cui solo è pari il tuo magico accento.
Dal di che giovinetto
Coll'elsa in pugno e colla patria in core.
De* prodi in fra le schiere
Spronasti alla battaglia il corridore,
E i rai della vittoria
Tinser l'onesto viso,
E d'ineffabil riso
Adorna ti raccolse
Quella che poscia in contra a te si dolse.
Quanta fiamma di vita,
Qual vigor d'opre e d'onorati studi,
In cosi breve etade !
Quanto sudor versato in aspri ludi,
Nei seggi de la patria,
O de la cruda in bando
Poveretto vagando,
Mentre gittavi il seme
Che a gran vendetta ti nutria la speme!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 333
E come alla preclara
Informante virtude rispondea
Il suggel de la creta,
Tale al tuo labbro lo spirto correa
Àrdente di magnanimi
Sdegni, e d' invitti amori.
Fecondo di dolori.
Tetragono alla sorte,
Vincitor della fama e della morte.
Alla viva natura,
Ai secreti dell'alma, agli astri, a Dio,
Rapisti r infinita
Mira armonia che dal tuo carme uscio;
Rapisti alle terribili
Potenze dell' Averno
Il tuo flagello eterno;...
Il supremo mistero
Anco vincesti, e brillò nudo il vero !
Se de l'umano ingegno
La navicella tanta acqua non corse,
AI sospirato porto
Assai da presso la tua vela sorse;
E dal tentato gurgite
La diva fantasia
Fortificata uscia
Di suoni e di splendori,
Sommo riflesso degli eterni cori.
E ti sorgea nell'alma
Un luminoso presentir che ai tempi
Nascituri t'aggiunse;
SI che r inclito germe e i caldi esempi
334 POESIE DI MILLE AUTORI
Ne trasse all'indomabile
Lavor degli intelletti.
Ài liberi concetti,
La bella età seguace
Su cui di civiltade arse la face.
Àntesignan dei giorni
Nati con te, specchio ne sei perfetto,
E testinion sublime.
Che non v* ha d'arte o di saper concetto,
Idea possente, splendido
Immaginar, gentile
Affetto, e oprar virile,
Virtude o disciplina,
Che la tua non riveli arpa divina.
Prediletti a le muse.
Sacerdoti a le vaghe arti sorelle.
Cui più moveva il core
Il sentimento delle cose belle,
A te le grandi immagini,
La passion, le pose
Meste, forti, amorose.
L'estro, chiedean dei carmi.
La vita, ad animar le tele e i marmi.
Son del tuo nume piene
Ancor quest'aure, e questa dolce terra:
La tua vital parola
Pur di nostr'alme la virtù disserra:
E ne rinfranca al nobile
Agone del pensiero.
Al voler forte, intero,
All'incroUabil fede,
A l'amor de la bella itala sede.
DiTORNO A DANTE ALIGHIERI. 335
Oh salve! eccelso figlio
Del pensiero di Dio, vivo splendore
De le stirpi d'Ausonia,
Auspicio ed arra del futuro onore!
Cadder nell'ombra i secoli.
Sparvero i tuoi nemici,
E le turbe infelici.
D'innanzi a cui sorgesti
Incompreso, passir: — tu solo resti.
Tu grande in cor di tutti:
Pari all'occhio del sol che immoto dura
Al cader delle genti.
Al costante mutar de la Natura,
Resti divin Prometeo,
Che del sacrato foco
Animi il natio loco. —
A noi, fatale Alcide,
Già la vincente civiltà sorride.*
^^*X"clamo Lotto fu avvocato veronese. Abbiamo di lui: Corra-
^* Svivia, canti tre (Padova, 1844); Del Quadrilatero^ canto (Ve-
'<>°*. XH66).
^^»««ÌT«rd
coflai l^gono t i>agg. lai-iaS dtìL* Albo danUsco virotuse, giaciuto.
33^ POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXL.
A. D. Fagiuoli,
Genio e Libertà.
POLIMETRO.
(14 maggio 1865).
...Le circosunze dei tempi, derivanti dalle
vicissitudini polìtiche delle n«sioai, o promuo-
Tono, o impediscono, o dirìgono i lavori del
genio.
(Foscolo, SmlU lingma ilalùuia, disc V).
Salve, altero vessillo benedetto
Di Libertà; dovunque all'aura spunti
Il tuo candido drappo, ivi risorge
Alla vita dei forti un popol novo.
Ed è una ressa, un fremito incessante
Di redenti, che al tuo mite convivio
Avidamente accorrono. È di destre
Un fervido intrecciarsi, un imprecare
All'uggiosa dei despoti paura,
Che s' appiatta nell' ombra, allorché genti
E nazioni, carità divina
In un eterno vincolo affratella.
Quest'impeto supremo avversa forza
Invan s'adopra a contener: la foga
Del turbinoso fiotto argini e dighe
Miseramente sfascia, e del passato
Sommerge i resti nel vorace gorgo.
Alla ruvina impavido sovrasta
Eterno il Genio, del pensier di Dio
Splendido raggio, che la mente guida
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 357
Per impervio sentiero ad aflSssare
Della luce nel mar l'audace sguardo;
Libero spaziar per Tetra immenso
Ama sui vanni poderosi, abborre
Dalla vergogna di codardi lacci,
Però che nato al verecondo amplesso
Di libertade, tra le ferree braccia
Odiosa tirannide lo strozza.
Fuor dalla grave tenebra
Che sull'avanzo immane
Di grandezze, di glorie
E di virtù romane,
Dalle rive dell' Istro
Un turbine addensò:
Fra le squarciate nuvole.
Come elettrica luce,
L'albor di nuovi secoli
Più splendido traluce;
Scalda la fredda argilla
Un alito vital.
E sulla terra italica
Dalla calma funesta.
Una balda progenie
Si riscuote, e si desta.
Fuga il dubbio fantasima
D'un sogno di terror ;
Ferve, s'urta e si mescola.
Fonde sangui e favelle,
S'accende ad ineffabili
Gioie e virtù novelle,
E l'orizzonte impavida
Guarda dell'avvenir.
^*«. Bauo. Voi. XIV.
338 POESIE DI MILLE AUTORI
E nelle calde ceneri
Della latina Roma,
Celti germi fecondano
Il volgare idioma.
Altissimo miracolo
Alle più tardi età.
É una divina Iliade
Avventurosa d'armi;
Un prepotente anelito
Di libertà, di carmi;
£ l'audacia Prometea
D'un genio creator.
E secoli d'angoscia,
Onte soflFerte e danni,
Odio di mille oppressi.
Nequizia di tiranni
Risuscitar ne' queruli
Servi fiera virtù.
E sventolò un impavido
Vessil sull'erte mura:
L'ire sfidò dei despoti
Una città secura,
Ed il Comune italico
Pe* dritti suoi pugnò.
Scosse, infranse la ferrea
Catena feudale,
E leggi impose ed ordini,
E l'uom fé* all'uomo eguale,
E respirò la fervida
Aura di libertà.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 339
...Ed il fecondo
Spiro sui verdi clivi
DeirAppennino germinò d'un soflBo,
Come voler di Dìo,
De' grandi la coorte.
Cui crebbe amor di questo suol natio;
Era una santa ebrezza
Di libertà, d'egregi fatti ardore.
Di virtù, di bellezza
Culto, di gloria giovanil fervore.
E come a cenno occulto
Dalla terra s'ergean sublimi al cielo
I portenti dell'arti;
Di natura l'eterno magistero
Svelava il genio indagator del vero.
E divina facella
Era lume al pensiero.
Era guida, siccome
Ai naviganti la polare stella:
Fede in Dio, nella patria e negli eventi
Inspirava alla libera parola
I numeri eloquenti:
Al petto del Crociato un di vestiva
Per Cristo invitte l'armi,
Era musa, era scola,
E madre alla divina arte dei carmi.
E sacro come il genio,
Fervido di speranza,
D'amor, d'ira avvampante
Tuonò sulla Penisola
II terribile anatema di Dante.
Era divino il canto.
Come sulla deserta Gerosolima
Il profetico pianto
Di Geremia.
?40 POESIE DI MILLE AUTORI
Torbido di parte
Astio nefando, livida paura
Dalle paterne mura
Il sovrano Cantor cacciò ramingo
Per le spiagge d'Italia;
Lui de' fratelli le vendette insane
Trasser di terra in terra,
A mendicar la carità d'un pane.
Ma la divina idea, come favilla
Ratta una fiamma vorticosa accese
Per l'italo paese:
Elettrica scintilla,
Dall'Alpi fulminava a Lilibeo
Di libertà, d'amore
Un impeto supremo.
Ahi! Che il precoce anelito
Innanzi alle commosse
Itale plebi improvvido si spense.
Sparve dall'orizzonte
Della speranza la lucente stella;
Ma il carme resta, eterno monumento.
Che sillaba di Dio mai si cancella.
Ma il Municipio italico disfatto
A tirannie diverse era sgabello.
Inceppate le braccia, la funesta
Ombra dei troni del pensiero il guizzo
Ottenebrava; impotente lo ingegno,
Spento il divino soffio, ir razzolando
Fra le greche e le lettere latine
Recondite bellezze ebbe costume.
Luttuoso il presente, era fatale
Nel passato cercar gli entusiasmi
Della mente e del cor.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 341
Pur tempo venne
Di monarchia pomposa; e una ciarliera
Di poeti legione, intorno al soglio
D'un papa mediceo tentò la lira
Italica. Col manto e la corona
Del Cantore di Laura, al Campidoglio
Sciame d'inetti ascese: e fu prodigio
Se in siffatta miseria della mente
L* Epico carme» solitaria quercia
Fra mille arbusti che radeano il suolo,
S'ergea sublime a smisurata altezza.
E più i ceppi serravano, e più tetre
Tirannidi sedean nelle inquinate
Itale reggie minacciose. Un atro
Sanguinoso mistero era velame
A tribunal feroce, ove la fede
Stuprata, generava l'assassino.
Evirava il pensiero. E fu terrore.
Servaggio fu, che le compresse menti
In enfatiche scede evaporando,
Traeva a delirar lungi dal raggio
Mirifico del vero. Non fu donna
Dignitosa, regal la Poesia,
Ma volgar femminuccia pettoruta
Ed azzimata a trine, a nastri, a fiori
Dalla mano d' un drudo. Ed ebbe amanti
Dalla parola turgida.
Ma un giorno
Durò la folle ebbrezza, e poi fu calma
Come la notte del sepolcro grave.
I silenzi talor solo rompea
Di strano armento il vacuo belato,
Mollemente dagli echi ripercosso
Di favolosa Arcadia. Rimbambiva
Del pensiero la vita, ed empiamente
542 POESIE DI MILLE AUTORI
Al sacerdozio nobile dei vati
Disertava lo ingegno, estri pensati
Limosinando.
Ma r aurora in cielo
Dai balzi d' oliente imporporava
L'orizzonte d'un secolo più bello:
E dalla Senna un prepotente spiro
Di dommi generosi, i ceppi aviti
Forte scuotendo, i despoti forzava
Ad allentare il freno. Ordini e léggi
Si mutarono in uno, e parea quasi
Un Camposanto di nuovi risorti.
E nacque il genio, e crebbe, e della patria
Sulla miseria pianse ; e la speranza
Lo nutrì dell* italico trionfo.
Lo scherno disdegnoso ed il tonante
Inno della vittoria alla deserta
Cercò lira di Dante. Al molle carme
D' età recente, all' ebre corruttele
Di Sibari moderne, altiero irrise
Il genio di Panni: l'Astigiano
Dal ferreo carme fulminò le fiacche
Servilità d* Italia, e in ogni parte
Delle riscosse il fremito s' intese. '
Achille Fagiuoli nato a Legnago, il 17 marzo 184;, studiò legge
neir università di Padova ed esercitò Tavvocheria a Verona. Fu
consigliere provinciale, poi deputato nei 1886, indi sottosegretario
di Stato per il tesoro col ministro Giolitti. Si hanno di lui molte pub-
blicazioni: Delle nuove imposte (VtronsLy iS6g)\ Se ìe professioni liberali
possono assoggettarsi alla tassa di esercizio e rivendita (Legnago, 1876);
La Francia repubblicana, epistolario (Verona, 1879); ^^^ beni patri-
moniali del comune di Legnago (Legnago, 1881); DeìVimpoten^a viriU
al matrimonio, secondo il diritto e la medicina legale (Verona, 1 882) ;
' Chiesti Yenl cosi si Uggono a pagg. 129-135 dàlV Albo dénUsto vtromgst, già ciu
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 343
Sul progetto di Ugge per Vàboliiiofte delle decime (Roma, 1887); ^^^
riordinamento dei tributi locali (Roma, 1888); Sulla riforma peniten-
v^aria (Roma, 1889); Su i provvedimenti finaniiari (Roma, 1894). Si
Hanno pure di lui moltissime scritture legali in materia civile. ' Mori
nel 1896.
' Vedi AtH pmrlmmtiUmri, • il dlscorto in sua commemonisione pronunciato da Au-
guato Riglit nel 1899 in Legnago.
344
POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXLI.
Lauro Bernardi.
Dante che parla a Roma. '
(14 maggio 1865).
La gloria di colui che tutto move.
Per l'universo penetra e risplende,
Veggendo *1 mondo aver cangiata faccia,
Disse: or pur mira, volgi gli occhi in giue
U* siede *1 successor del maggior Piero :
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville, ch'hanno i cuori accesi;
Per questo l'Evangelo e i Dottor Magni
Son derelitti, la mala condotta
Vedi che sdegna gli argomenti umani.
Ed ha natura si malvagia e ria
Che mai non empie la bramosa voglia
E dopo il pasto ha più fame che pria.
Di' oggi mai che la chiesa di Roma
Per confondere in sé due reggimenti
Cade nel fango e sé brutta, e la soma.
Vattene omai, non vo* che più t' arresti,
Ben puoi veder perch' io cosi ragiono.
A In questi tempi ne* quali è si accanita
tenzone sul temporale e spirituale de* Papi,
non sarà discaro conoscere come a' suoi
di pensasse su tale argomento il divino
poeta. Se la Chiesa oggidì sia diversa da
quella non tocca a me il decidere, ma alla
piibblìca opinione.
Invitato pertanto ia questa solenne
castone a fare alcun che di mio m
Dante, ho preferito tessermi comunque
perfettamente uno schisio de' tuoi ve
acciò, quali tavole di salvamento, potess
almeno preservarmi d'un probabile n
fragio.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 345
Come persona che per forza è desta
Venni quaggiù dal mio beato scanno
Nel dritto mez2o del campo maligno.
Io era già disposto tutto quanto
A rìsguardar nello scoverto fondo...
Ecco la fiera con la coda aguzza
Che passa i monti, e rompe mura ed armi ;
La faccia sua era faccia d'uom giusto
Tanto benigna avea di fuor la pelle,
E d*un serpente tutto T altro fusto.
Mi disse: ancor se' tu degli altri sciocchi?
Ed io: vostra avarizia '1 mondo attrista,
E molte genti fé* già viver grame
Calcando i buoni e sollevando i pravi.
Gente avara, invidiosa e superba,
Fatto V* avete Dio d* oro e d* argento,
E chi rubare, e chi civil negozio,
Chi nel diletto della carne involto
E chi regnar per forza e per sofismi;
Oltracotata schiatta che s' indraca
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il dente
O ver la borsa come agnel si placa,
Ond* està. tracotanza in voi s'alletta?
Ahi Costantin, di quanto mal fu matre
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo ricco patre ?
Pesa il gran manto a chi dal fango il guarda
Che piuma sembran tutte l'altre some:
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter Tali!
Pensa che Pietro e Paolo che morirò
Per la vigna che guasti, ancor son vivi;
Non fu la sposa di Cristo allevata
Per essere ad acquisto d'oro usata.
In vesta di pastor lupi rapaci
Si veggon di qua su: per tutti i paschi:
346 POESIE DI MILLE AUTORI
Non disse Cristo al suo primo Convento:
Andate e predicate al mondo dande,
Ma diede lor verace fondamento
Sicché le pecorelle che non sanno,
Si come cieco va dietro a sua guida,
Tornan dal pasco pasciute di vento ;
Onde si svia V umana famiglia
Per cui tanta stoltezza in terra crebbe.
Deh or mi di' quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da San Pietro
Che ponesse le chiavi in sua balia?
Certo non chiese, se non: viemmi dietro.
Pier cominciò senz' oro e senza argento:
Poiché la gente poverella crebbe
Già era *1 mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza seminata
Per li messaggi dell'eterno regno.
Ahi gente che dovresti esser divota,
E lasciar seder Cesar nella sella
Se bene intendi ciò che Dio ti nota:
E se guardi al principio di ciascuno,
Poscia riguardi là dove è trascorso.
Tu vederai del bianco fatto bruno.
Li accorgimenti, e le coperte vie.
La gente nova, e i subiti guadagni
Orgoglio e dismisura han generata.
Guarda com' està fiera è fatta fella
E mangia e bee, e dorme, e veste panni.
Soleva Roma che '1 buon mondo feo
Due soli aver, che Tuna e l'altra strada
Facen veder e del mondo, e di Deo:
L'un l'altro ha spinto, ed è giunta la spada
Col pastorale : e 1* un e l' altro insieme
Per viva forza mal convien che vada.
Quella milizia del celeste regno
Che nel suo sangue Cristo fece sposa
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 347
Alle cose mortali andò di sopra,
Ella con Cristo salse in sulla croce.
La mente pure alle cose terrene
Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo» solo con la lancia
Con la qual giostrò Giuda fatta pruno
Malignamente già si mette al nego.
Ma perchè io veggio te nello intelletto
Fatta di pietra, ed in peccato tinto,
Vedi colà un Angel che s* apresta
Per venir verso noi, si presso giunto
Di queir umile Italia fìa salute.
Sol per lo dolce suon della sua terra
Libertà va cercando eh' è si cara.
Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Fesse creando neir eterno die
Fu della volontà la libertate.
Color che ragionando andaro al fondo
S' accorser d' està innata libertate
E la speranza di costor non falla
Se ben si guarda colla mente sana
L' angel vegg' io, che siede in sulla porta
Nemico a lupi che gli danno guerra.
Purgando le caligini del mondo
La ploja fiammeggiar per l'universo
Dello Spirito Santo eh* è diffuso
In sulle vecchie, e in sulle nuove cuoja.
Or superbite, e via col viso altero
Figliuoli d'Eva, e non chinate il volto.
Tempo vegg* io non molto dopo ancoi
Che la luce divina penetrante
Dentro l'ampiezza di questo reame
Ripiglierà tra quella gente vana
L* antico sangue e l' opere leggiadre
Che fiir de' primi scalzi poverelli
Che nel capestro a Dio si fero amici.
348 POESIE DI MILLE AUTORI
Veggio dentro una nuvola di fiori
Lo Sommo Ben che solo a sé piace
Seder tra filosofica famiglia
E quel conoscitor delle peccata
Disnebbiar V angoscia delle genti
Che son quaggiù. R innovellar vegg* io
L'età dell'oro e suo stato felice.
Tempo futuro m* è già nel cospetto:
Lupo ed agnel dopo lunga tenzone
Verranno al sangue, e la parte selvaggia
Caccerà Y altra d* uno in altro sangue :
Alto terrà lungo tempo le fronti
Tenendo T altra sotto gravi pesi.
Poi appresso convien che questa caggia
E progenie discende dal ciel nova
O luce, o gloria della gente umana
Essenzia d'ogni ben frutto e radice
Nel suo aspetto di quel dritto zelo
Che misuratamente in core avvampa
Avendo gli occhi alle superne rote
Rigiglierà sua carne, e sua figura:
E quella rozza immagine di froda,
Falsità, ladroneccio e simonia,
Ruffian, baratti, e simile lordura
Caccerà tutti come porci in brago;
E Vaticano e 1' altre parti elette
Di Roma, che son state cimitero
Alla milizia che Pietro seguette
Tosto libere sien dell'adultero.
Dentro al suo raggio la figura santa
Con l'ale aperte che parean di cigno
Disse e tornò dove il gioir s' insempra. '
* Questa mescolanza di versi danteschi coti si legge a pagg. 137-142 deWAlbo
Useo verontrtf già cit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 349
Lauro Beraardi nacque nel 1809. Studiò lettere e medicina ; e
alternò l'esercizio dell'arte salutare con quello delle muse. Inco-
minciò di buon'ora a pubblicare per le stampe. La sua prima scrit-
tura: Osurvaxioni sulla causa più comune dilla rachitide, edita in Verona,
risale al 1837. Molte cose si hanno di lui: Filosofia della storia me-
dica (Verona, 1839) ; Due fatti in onore del clero veronese (Milano, 1846);
Giovanni Prati eie sue passeggiate solitarie, cenno critico (Milano, 1847);
Gii esami di maturità e il piano d* istru:(ione della Prussia, osservazioni
(Verona, 1859); Se io fossi re, articolo (Rovereto, 1862); Remini-
scenze di collegio (Rovereto, 1862) ; La matematica della medicina (Ro
vereto, 1864); Se io fossi vescovo (Padova, 1864); V idroterapia, con-
siderazioni (Padova, 1865); Dei segreti in m^t^ima, commentario (Ro-
vereto, 186$); Le nuove nomine dei professori a Padova e il favoritismo
(Verona, 1867); Il maestro del villaggio, ossia conferenze domenicali
(Padova, 1872); Reminiscenze mediche (Verona, 1876); Viaggi di una
mosca, libro di lettura e di premio per il popolo italiano (Verona, 1885);
Cecchino, dal x^ro al milione, romanzo industriale (Padova, 1889) ;
Verismo: Pariniana (Venezia, 1890).
350 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXLIl
G. Ganz.
La statua di Dante a Verona
DELLO SCULTORE UgO ZaNNONI.
(14 maggio 1865).
Dante sei tu, ti scorgo a quell'austera
Fronte inspirata ad un divin concetto:
Dante sei tu, ti scorgo alla severa
Maestade dell'atto e dell'aspetto.
Tal fu la tua sublimemente fiera
Sembianza, allor che nel vasto intelletto
Fremeva il genio della Musa altera
A cui e terra e ciel furon subbietto.
Chi ti sculse ti vide, o Sommo, quando
Sull'ostello ospitai l'occhio fremendo
Fissavi allora della patria in bando.
Or torni cittadin; perchè silente
Costringi il labbro ? Il tuo dolor comprendo:
Ti trovi ancora fra la 1 . . . . gente. '
Giuseppe Ganz nacque in Verona il 29 maggio 1808, e ivi morì
il 4 giugno 1872. Fu dotto ed operoso medico. Nel 1850 pubblicò
in Padova, giovanissimo : De febrium paihogenia animadversiones. Poi,
a Verona, nel 1835, in collaborazione con G. B. Sembenini, mise
fuori un Riassunto delle più utili cooniiioni e ncn^ità snl cboUra morbuSy
al quale seguirono nell'anno 1836, e pure in Verona, gli Studi me-
' Questo sonetto cosi leggesi a pag. 145 dell'Albo danttuo viromtse, gii cìt.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
351
dici sul choUra morbus. Indi comparvero i Frammenti filosofico-medici
sull'amore (Verona, 1845); Le propensioni simpatiche ed imitative (Ve-
rena, 1847); Rimembrante e studi (Verona, 1852); 7^^»^ mora/^ (Ve-
rona, 1856); Profilassi e trattamento per la cura dei sintomi prodromi
del cholera^ memoria nel voi. XXXIII delle Memorie accademiche di
Verona, Fu anche compilatore della Gaietta terapeutica, che si pub-
blicò a Verona negli anni 1835-86. '
* Oocste notizie e quasi tane quelle
concementi gli autori contenuti nitìVAÌho
danUsco verontu, che Tenni pubblicando, io
debbo alla squiiita cortesia di G. Btadego,
1* eminente bibliotecario della Comunale di
Verona.
3S2 POESIE DI MILLE AUTOBI
DCCXLIII.
Raffaello Fornaciari.
La Musa cristiana e Dante.
Ode.
(14 maggio 1865).
Chiamavi il cielo e Intorno vi fi g
Mostrandovi le sae bellezze eteri
E l'occhio vostro pure a terra a
(Purg, e. 14, V. 148 e se
Dove ti cerco, o Vergine,
Cui l'inno sacro alletta?
Forse negli aurei portici
Sulla Cecropia vetta
In mezzo ai sofi dell'antica età ?
O nei teatri splendidi
Ove i sensi accendea la voluttà ?
Forse ove '1 denso popolo
Sul clivo di Quirino
Fremea con lieto plauso
Al vincitor latino?
O fra le mense e i torbidi piacer
Ove '1 roman degenere
Seppelliva l'indocile pensier?
No: fra '1 terrestre gaudio
Fora il cercarti invano,
O nei trionfi labili
Del cieco orgoglio umano,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 353
Te che le piume dispiegasti il di
Che sul funereo Golgota
L'alta parola del perdon s'udì.
A te le tombe arridono
Cui lo sperar consola,
E a te fidente il gemito
Che da un cor mesto vola,
A te di penitenza aspra il rigor,
E quanto appar più inutile
Agli sguardi del secolo irrison
Né però sol di lacrime
Ti pasci e di sospiri.
Ma spesso ancor fra 'I giubilo,
Amabil Dea, t'aggiri.
Se dipingi il sereno deliziar
Di quell'alme che candide
Dai lavacri di vita ritornar.
Cessi Elicona il cantico
Fonte di dolce inganno,
E tu le cose svelaci
Che furo e che saranno.
Perchè l'uomo quaggiù nasce a patir,
E per qual grazia o merito
Pia che un giorno s'adempia il suo desir.
Ecco: la Diva calasi
Dall'eternal pendice:
Meravigliati gli uomini
La chiaman Beatrice:
In verde manto, sotto il bianco vel.
Color di fiamma cingela,
E mostra in viso la beltà del del.
DiL Balio. Voi. XIV. 93
.^54 PO£S1£ DI MILLB AUTORI
Mirala imento, e l'anima
Sgombra dai mesti affanni,
O Tu che all'ombra mediti
Del tuo bel San Giovanni;
Mirala: con quel volto Ella a te vien
Che, pur tornato -in cenere.
Ti scalda ancor di tanca fiamma il sen*
I detti suoi magnanimi
Fian lena al corpo frale
Quando del duro esilio
Ti pungerà lo strale,
E tu, rapito nella sua beltà.
Per la discorde Italia
T'aggirerai cantor di verità.
Già di spavento tremano
Gli inferociti petti
Udendo a qual martirio
Tardo fato gli aspetti,
Mentre canti il vermiglio-atro boUor
Ove i tiranni gemono
Che nel sangue avventaronsi e neiror.
Ma Talme oppresse e timide
Alle bell'opre incuora
Quel monte che in ascenderlo
Si fa men grave ognora,
Ed al sommo di quello i bei giardin
Cui rallegra immutabile
Uno spirto soave mattutin.
Alfin le sedi eteree
La Musa tua ti svela:
Ma qui alle menti il cantico
Soverchia luce vela,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 355
E nostra fanosia troppo è volgar
A te che osasti immobile
Nel trino lume il vivo occhio affissar.
Te suo poeta altissimo
La nuova età saluta,
E il re del canto ellenico
Meravigliando ammuta
Come quel di che *1 sempiterno onor
Scotea d'un raggio insolito,
Irrompendo in trionfo, il Redentor.
Oh! fortunati i secoli
Quando a si nobil segno
Su Fede e Amor levandosi
Poggiò rumano ingegno,
Né quel vero che sfugge al senso fral
Ancor negava improvvido,
Deprimendo uno spirito immortai!
Omai la vii materia
A noi siede reina,
E sorge altiera ed emula
Della virtù divina
Fino agli astri elevando il suo poter,
E di se stesso immemore
Piega a terra le vinte ali il pensier.
Ma intanto al vulgo misero
Felicità non ride,
Che nelle vene indomite
L'amaro ferro intride
Poi che giacque sua speme in abbandon,
E fu il tuo canto, o Vergine,
Allo spirito inquieto un vano suon.
356
POESIE DI MILLE AUTORI
Dehl a noi del dubbio sterile
Mai non s*oscuri il verso
Che fondo osò descrìvere
A tutto l'universo,
Né sviato dall'alto suo cammin
A mortai segno torcasi
Quel concetto che i cieli ha per confin.
Tu segui, o Dea. Se indocili
Fieno al tuo dir le genti,
Vola alle valli irrigue
E sui gioghi eminenti;
La prisca etade ivi respira ancor,
E da* suoi veti attonito
Pende al cantico sacro il pio culton*
' Questi Tersi cosi si leggono in: Lm
Musa cristiana § DamU, Ode. PistoiA, tipo-
grafia Cino-Vangucd, in- 8, di pagg. 8,
i%6$. Per le notizie blograficbt e
grafiche del Fomaciari, vedi a pag.
voL XI di questa Raccolu.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 357
DCCXLIV.
G. SlLINGARDI,
Dante nel suo sesto centenario.
(14 maggio i86s).
Genio d* Italia, ai popoli
Face d'immensa luce.
Volse sei volte il secolo
Sulla tua tomba e duce
A un bello indefettibile,
A un ben che non si smaga,
A un ver che l'alme appaga
L' Italia ti guardò.
O. deir Italia gloria»
O tosco pregio etemo,
Primo e migliore artefice
Tu del parlar materno.
Onde sua possa mostrasi,
E alla futura gente
Della tua vasta mente
Si grande orma restò.
Signor del canto altissimo,
Dei vati onore e lume,
Su cui al par dell'aquila
Ergi le forti piume.
358 FOESIE DI MILLE AUTORI
Cui cielo e terra porsero
Tanta virtude al verso
Che fondo airuniverso
Descrivere potè.
Oggi le terre atterransi»
O Padre, a te davanti,
E dopo lunghi secoli
Mirano i tuoi sembianti
Placati a quest* lulia
Che irrisero per mona
E veggono risorta,
O Padre, alfin per te.
O Padre, in basso volsero
Le sorti di tua terra,
E lonze e lupe crebbero
A darle in&nda guerra,
Leoni e volpi aggiunsero
La possa al mal talento,
Qual penna ad ogni vento
Per ogni duol tornò.
Fu di malizia gravida.
D'ogni virtù desena,
A vita senza gloria
Fu nel servaggio ofFena,
Ne fé* un calvario il barbaro.
Menzogna il suo diritto.
Amarla ancor delitto
E reo chi la nomò.
Dov'eri allor?... Qual tenebra
A noi ti nascondea ?
Nelle region degl* angeli
La luce dell* idea
nSTORKO A DANTE ALIGHIERI. 359
Che Tuniverso penetra,
Ecclissa neiroblio
L'amor del suol natio
Che tanto ti costò?
Tuy che la nobil patria
Ove dormisti agnello
Serrò noverca perfida
Fuori del sacro ostello,
E negli amari a volgerti
Passi pel duro calle.
Della selvaggia valle
D'esilio ti dannò;
Eppur li amasti... e all'ardua
Gloria di nova vita
Tentasti avviaria, giungere
D' lulia mal partita
Le sparse membra indomite,
E deir imperio il seno
Al tuo giardin deseno
Ridar tuo genio ardi.
Ed essa il passo torcere
Da te verace guida
Osò, seguendo imagine
Di picciol bene infida,
Drizzando in suo pericolo
Già tutta matta ed empia
In vanità le tempia
Onde tant'onta esci.
I ciechi duci sorsero
A pascerla di vento,
II ver si torse in favola,
Il £ilso in argomento.
)6o POESIE DI MILLE AUTORI
Le menti disviarono,
Che senza fine cupa
La maledetu lupa
D' ambagi le invescò.
I iristi pullularono.
Quasi da degna tana,
E di bestiai si piacquero
Più che di vita umana:
Coi forti pusillanimi,
Feroci con chi langue,
L' aver, la fama, il sangue
Dei miti li ingrassò.
Sicuri sobranzarono
Intenti al tristo pianto
Gli eroi dipinti, e martiri
Nel faticoso manto
Sui buoni si calcarono,
E sollevando i pravi
Diero per folli i savi.
Il vizio per virtù.
D' amore ancora il vincolo
Che fece a noi natura,
Mente del mondo ed anima
Onde virtù matura.
In turpe ci travolsero
Cagion di mal diletto.
Ed ogni santo affetto
Spento neir or ci fu.
•
Pur numi allor del secolo
I subiti guadagni,
La banca, il furto, il calcolo
Ci die' gli spirti magni,
IKTORKO A DANTE ALIGHIERI. 36 1
La spada cesse ali* abbaco,
II verso alla cambiale^
Air oro la morale»
L'eroe a chi rubò.
O Padre, or non arrossano
I bari ed i falsari,
I Baldi furon integri
A petto ai milionari,
E le Cianghelle vergini,...
Padre, mori vergogna.
Grattar si turpe rogna
Neppur tuo verso il può.
Se carità di patria
Arma di sdegno il canto
Che ti sacrai..., perdonami...
Tu mi educasti al santo
Amor del ver non timido,
Padre, il tuo immenso affetto
Infiammi a tutti il petto
E Italia tua sarà.'
Qpasto c«nto così leggeti in due pagine in fot col titolo : A DauU mi smo tato
ì9. MoodoYi, Rosài, 1865.
362 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXLV.
Giacomo Zanella.
A Dante Alighieri.
(14 maggio i86s).
Misurator di mondi.
Che disdegnoso di più breve lito
I pelaghi profondi
Solcar deli' infinito.
Fosti con vele ancor caduche ardito;
Se questa età, che d'oro
Volge in sorgente lo splendor del vero.
Torna al tuo santo alloro,
Non anco del pensiero
Tutto la creta conquistò l'impero.
Padre, dal di che in cielo
Eri con Bice novamente accolto,
Quanto del fosco velo
Al guardo uman fu tolto,
Onde giaceva l' universo avvolto !
Ancor nell* ombra assisa
II dito non togliea dal tuo volume
Filosofia derisa,
Che con gagliarde piume
Or le rideste menti empie di lume.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 365
Neir acque di ponente,
Ove locasti il sospiroso regno
Della compunta gente.
Spezzato ogni ritegno.
Auspice entrò di un Genovese il legno.
Son mille terre; e denso
Di tesori, di popoli, di navi
S'agita un mondo immenso,
Ove ne* flutti ignavi
Occultarsi a* mortali il sol pensavi.
Lascia le anguste sedi
Esule Europa ; e del merìggio ai man.
Che le son contro a' piedi.
Porta operosi lari.
Liberi scambi e non macchiati altari.
Padre, il tuo sol disparve
Co* cieli di cristallo. Un tuo Toscano
Delle pugnate larve
Atterrò T idol vano,
E del creato rivelò l'arcano.
Ai rai del ver caduta
É la vetusta idea. Ma la tua stella
Il mondo ancor saluta,
Che dalla tua favella
Senti le aure spirar d' alba novella.
O dell' inciso verso
Inflessibil signor, che in poche carte
Hai chiuso V universo,
Del folgore dell* arte
L'indomabile armando ira di parte;
364 POESIE DI MILLE AUTORI
Le torri e le badie,
Che ti accolsero errante, or son ruina;
Sovra men scabre vie
Umanità cammina
Col làbaro immonal : Fede e dottrina.
H tu nel lungo corso
Sempre innanzi le stai, come montagna
Che via per V ampio dorso
Deir onda, in cui si bagna,
Le vele, che dileguano, accompagna.
Vive di te V eterno.
Se r umano peri. Dal ciel discende.
Risale dall' inferno
L' austero suon, che apprende
Dell' alte cose amor che i degni accende.
O padre, cui risorto
Risorse ognor V italica fortuna,
Se un di falllisse al porto.
Ove ogni ben si aduna.
Questa terra fatai che ri fu cuna;
Al tempio tuo, che immoto
Leva la fronte su divine alture.
Porga fidente 11 voto;
E rinnovate e pure
Dal monte scenderan Tetà venture.'
Giacomo Zanella, prete e poeta, nacque nel 1820 in Chìan*
in quel di Vicenza. Nel seminario di Vicenza fece i suoi stud
colà incominciò, poscia, la sua carriera di insegnante. Da Vice
passò nel liceo Foscarini di Venezia, indi nel liceo di Padova, nel i J
* Qtiesti Tersi cosi si leggono in un opu-
scolo di 4 pagine in fòt. senze date (iqji
iS6s) né laogo, né nodi* 4i sumpatore,
col titolo : A D*nU AUghUri, Versi
l'abste Giacomo Zanella.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 36 ^
La prima sua vera afTermazione, come poeta, fu la pubblicazione,
nel 1865, nella Civiìià Italiana della sua Conchiglia Fossile.
L*anno dopo veniva nominato professore di letteratura italiana
neir Università patavina. Si incominciarono, allora, ad apprezzare !e
sue traduzioni poetiche dal greco, dal latino, dal tedesco, dall* inglese,
dallo spagnuolo. Nel 1868, il Barbèra pubblicava i suoi versi; un altro
volume di sue poesie stampava il Le Mounier nel 1877. La sua ripu-
tazione poetica si affermava. Vittorio Imbriani ne fu sdegnato ; gli
parve che usurpasse una fama a lui non dovuta. E in Quattro fame
usurpate lo assalì vigorosamente, cercando di demolirlo, come volle
demolire TAleardi e Andrea MafFei. Il libro crìtico fece rumore, come
tutte le cose eccessive, ma ugualmente come tutte le critiche uni-
laterali, e le cose violente, che non durano, dopo un pezzo, cadde
Dell*obblio. E allo Zanella insieme ai suoi difetti, nessuno nega i suo»
pregi. Unicuique suum.
366 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXLVL
Raffaele Granata.
Giuseppe Garibaldi
ALLA tomba di DaNTE AlIGHIERL
Ottave.
(14 maggio 1865).
A me la lira, a me!... frenar non posso
I prepotenti palpiti del core —
Ferve il pensier, sul volto mio commosso
Brilla di Febo il foco animatore —
Che a' detti miei da novo ardir sia scosso
Chi per la patria terra arde d'amore —
Che il mio labro riveli al mondo intero
L'arcana vision del mio pensiero. —
Ecco la tomba, ove Alighier divino
Posa da cinque secoli sepolto —
Qui si curva ogni fronte a mesto inchino
Al sacro nome, che sul marmo è scolto —
Un uomo vi si appressa — alto destino
Arcanamente gli riluce in volto —
Par che commossa da una forza ignota
La fredda tomba al guardo suo si scota —
De' sommi eroi, onde stupì la terra.
L'alto valor negli occhi suoi risplende;
Marte il diresti al fremito di guerra,
Che in ogni loco al suo venir s'accende! —
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 367
Con la sinistra man Ei l'elsa afferra
Del lungo acciaro, che al suo fianco pende —
Sta — della Patria assorto nel destino —
La tomba a contemplar del Ghibellino. —
Al sovrumano ardir, che mostra in viso.
Che i troni de' tiranni urta e scompone,
Alla sanguigna tunica, al deciso
Sguardo, che sempre ad alte imprese è sprone —
li difcnsor de' popoli ravviso;
Io riconosco, Italia, il tuo Campione —
Gran Dio! sta la mia mente in tale isunte
Tra Garibaldi e il tumulo di Dante.
Immobil, fiso, in suoi pensier rapito
L'Eroe favella: «O grande! un tempio eletto
É il marmo dove è il nome tuo scolpito.
Per chi un Italo cor sente nel petto 1 —
Ove il senso d'onor non è sopito.
Ove di patria palpita l'affetto —
Per te dove d'Iulia il nome suona
Di sempre verde allór v'è una corona —
a Qui posi è vero — la tua diva fronte
Qui da marmorea volta è ricoperta!
Amaro scherno!... in vita affanni ed onte,
Morto, di tombe e di corone offerta!
Di chi nacque a scolpir V eterne impronte
Del genio sovruman sul Mondo... è certa
Immutabil sentenza — aspri dolori,
Miserie, oltraggi... e poscia pianto e onori!
« Dalla Patria respinto — errante, astretto
A chieder da' potenti un pane amaro —
Ti rinchiudesti allin nell' intelletto,
E a te l'ombre de' grandi s' appressare!
3^3 POESIE DI MILLE AUTORI
Di loro degno — a lor cou Y alma stretto
Ti sottraesti ali* uomo empio ed avaro -^
Troppo angusta la terra ove abitasti.
Tre Mondi col pensier tu ti creasti! —
a SI!... tu nato a svelar quanto sia vero.
Che l'anima dell' uom soffio è di Dio —
Sul fango di quaggiù passasti altero.
Maggior del tuo destino avverso e rio,
Ma un sol ti travagliò ferreo pensiero.
L'onta del popol tuo, che in cieco obblio
Dei santi dritti suoi, schiavo, diviso,
E stolto inferocla di sangue intriso. —
«Pace, gridasti allor; ma fu smarrita
Di guerra nel fragor la tua parola —
Sol quando a sera giunse la tua vita,
Quel sommo Dio, che affanna e che consola,.
Al tuo pensier mostrò l'Italia unita.
Dopo lungo soffrir Regina e sola!
E tu che pronta a sorger la vedesti
Un braccio a rialzarla al Ciel chiedesti...
«Eccomi!... io surto dalla culla appena.
Dello stesso tuo Sol bevendo il raggio,
Un fremito m'intesi in ogni vena,
E piansi della Patria al rio servaggio —
10 scossi pel mio popol la catena,
E il non spento destai Roman coraggio;
Me chiama oggi a compir 1' Onnipotente
11 pensier, che svelò per la tua mente!
«Sull'ali d'inspirata fantasia
In Beatrice assorta la pupilla.
Tu l'adorasti dove l'uom s'india,
Ove fra mille Soli assisa brilla —
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 369
Me guida pur la Beatrice mia,
Che pur di luce angelica sfavilla —
La Dea che m'arde Libertà si noma,
Ed io le appresto alto trionfo in Romal
« La Croce, che tra' vividi splendori
Di quella gloria che ogni gloria eccede,
Raggiar mirasti fra gli eccelsi cori
Di quei che cadder per la nostra fede;
Quella de' fidi miei riscalda i cori,
Quella sull'armi mie sculta si vede —
Essi dà i lampi al ferro, al bronzo i tuoni;
Essa travolge de' tiranni i troni! —
« Eppur!... fremi, o Grand' Alma ?... ancor sospese
Pendon le sorti!... o rabbia!... ancor si sente
Al si, che suona nel tuo bel Paese,
Misto il roco chiocciar di strania gente —
Sul Campidoglio ancor 1' ali distese
Tiene di Francia l'Aquila possente...
L'Aquila, che alla gloria i cori accende,
Oggi l'Asil de* Farisei difende!!
«Oh! sorgi dalla fossa ombra sdegnosa.
Gigante sorgi!... avvolta in igneo lume
Sull'Alpi ascendi... annunzia imperiosa
Allo stranier la volontà del Nume!
Va fuor, digli, dal suolo ove riposa
Il cener mio, che vanta il mio volume!
La terra che a tant^opra il Ciel destina,
Tua schiava esser non può; ma tua Regina. —
aAhiI tu forse qui dormi corrucciato
Pel lungo de' tuoi figli ingrato obblio!
Padre perdona..., ancor sospeso è il fato,
A nove pugne ancor ci chiama Iddio —
Dii Bauo. VoL XIV. 34
370 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma — il giuro — a questo avello venerato
^el giorno del trionfo il popol mio
Verrà un inno di gloria a te cantando.
Ed io qui deporrò V alloro e il brando. »
E' tace. — Oh Cieli... sul volto suo le improi
Stan d'un sacro terror, che fa gelarmi I...
Del Ghibellino la rugosa fronte
Ecco s'aflFaccia degli aperti marmi!...
All' armi^ alVarmi. E* grida, e '1 piano e '1 mo
E la valle ripete: all'armiy all'armilll
Ove son io?l tutto spari. — Ma in mente
Risuona ancor quel grido onnipossente 1 — '
' QfMStl Ttrti coti ti leggono in un l Gérikaldi allm Umhm di DtuiU Aligì
opuscolo di ptgg. 8 col titolo: Giuseppi \ lUfficle Grtnttt.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
371
DCCXLVIL
WiLLELM BrAGHIROLLI.
Mantova a Dante il 14 maggio 1865.
Sonetto.
O sommo italo Vate, il cui possente
Carme la speme ravvivò ne* petti
E '1 primo ardor della latina gente,
Ond' or va lieta per concordi aflFctti ;
Mira, e lo sdegno della eccelsa mente
Attuta alfine, che di spirti eletti
Accoglie il fior la tua terra ridente
Da nobil patto virilmente stretti.
E a Te d'intorno con voler securo
L'alme temprando in tua robusta fede,
Sciolgon festosi per l'Italia un giuro:
Che se a convegno si gentile e bello
La patria del tuo Duca oggi non siede
Il cor non tace in Lei del suo Sordello/
Guglielmo BraghiroUi, crìtico e storìco d*arte, e rimatore, di tanto
^nto, nacque a Concordia nel Modenese, nel 182}; prìma profes-
*"^ e bibliotecarìo nel Seminano vescovile di Mantova, poi ispettore
^^*3Mtico, ci lascia notevoli ed utili scritti: Leon Battista Alberti a
^etto soBcno coti ti legge e peg. ^7
^ libro col titolo: Alk0 dantaco mila.
t9mwiemtma\i&m tMUHérU, offerto <U
^«ra «I nomo del poeu nulonale ita*
MutoTA, «al», tip. Loigt Segna, 186$.
Prime di questo sonetto, vi è neH' Albo
un sonetto di Perdi nendo Arrìvabene (1808)
pubblicato già nel voi. VII, pag. 496, di
questa Raccolta.
372 POESIE DI MILLE AUTORI
Mantova, Il Donatello a Mantova, Sulla manifattura à*arajx^ in Man
Cartef^gio ó^ Isabella d'Este Gonzaga intorno ad un quadro del Giambe
Dei rapporti di Federigo II Gonzaga con Antonio Allegri da Corri
Federigo II Gonzaga e Tiziano. Abbiamo pure di lui notizie int
santi intorno al Perugino, al Mantegna, lettere inedite di artisti its
del secolo xv e traduzioni in versi di poesie straniere, special n
di composizioni popolari andaluse, e leggende inglesi volgari
in prosa.
Il Braghirolli fu un appassionato bibliotecario e bibliofilo
bliografo, a differenza di molti che se ne stanno inerti fra tesor
non sanno esplorare o che non vogliono esplorare.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. S73
DCCXLVIII.
Antonio Codogni.
A Dante.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
<c Nel mezzo del cammin di nostra vita »
Scuotevi Italia dal suo tuq)e sonno
Con quel Carme divin che all'infinita
Di età catena fia maestro e donno.
^^cl Dritto, per la Croce, e la smarrita
Di patria Carità, su cui mal ponno
Ceppi e bipenni, la facea scaltrita
Quel Carme, ond'io mi beo più che m'indonno,
^^^iù che il sacro io ne cerco alto volume:
E grido, o miei fratelli, pace e amore;
V'adduca a un sol voler Tutil comune!
^*^è forse io grido invan, ule è l'ardore
« O degh altri poeti onore e lume »
Che diffondi d'Italia in ogni core.'
"* QDato toiieRo coti ti legge a pag. 135 dtìì'Alb§ danUseo mantovauo, eh.
\
374 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXLIX.
Angelo Poma,
A Mantova.
(14 maggio 1865).
O maga figlia di Bianore, lieta
Sciogli tu pure un canto e all'aure il fida:
(Jn vivo canto a quel divin poeta,
Ch'ebbe Virgilio per secura guida
Nel calle periglioso:
E di Sorde 1 sdegnoso
Cantò, che al dolce suon della sua terra
Sorge, e il Maestro fra le braccia serra.
Volgiti all'Arno, e le città sorelle
Mira che strette dal più santo amore,
Qual vaga turba di leggiadre ancelle.
Al divino poeta fanno onore;
Ed ogni invidia spenta,
Ognuna d'esse è intenta
A mostrarsi del grande atto compresa.
Che nobil gara ha in ogni petto accesa.
Ma tu gentil che sulle sponde amate
Ti stai seduta del tuo pigro fiume.
Inclita madre d' un guerrier, di un vate.
Or del pensier sulle robuste piume
INTORNO A DANTE ALIGHIBRI. 375
Vola, e nel fausto giorno
A quell'eccelso intorno,
a Nel bel paese là dove il si suona»
Il patrio canto intona.'
' QlMtti veni cosi ai leggono « pag. 157 dell*^/^o dantésco mmntovano eh.
376 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCL.
Teodosio Puerari.
Religione e Dante.
(14 maggio 1865).
Argomento.
La Tèritè hittorìque dcTimit ètre non moin^
sAcrèe que U rdigion.
(Napolèon III, Hisloirt de JuL-Cis., tom. t ,
Prèface).
Questa sentenza ddV Autor sovrano
Che lo storico libro mi largia,
Mentre plaudiva Italia ad Alighieri,
Mi mosse a dir di Religione e Dante.
Milano, maggio 1865.
Teodosio Puerari, Avvocato.
Religione e Dante.
I.
Tutto in natura ha scopo — Gli elementi
Fusi, rifusi, sempre roteati;
I corpi decomposti e riprodotti;
II durare cosi della materia,
Delle specie e dell'ordine primiero
Naturale, dinotano che tutte
Cose create, fra loro, hanno rapporto.
Relativo all'intero, e che, per nesso.
Sta l'atomo alla sfera, ali* Uni versoi
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 377
Da sperimento fisico cred' io
Aver si possa idea di quel legame,
Per cui duran le specie ognor distinte
(Data però de' primi corpi o stipiti
La creazione, perocché da ninna
Specie, che pria non fosse, ninna specie
Potea venir, se non era creata).
— Lo sperimento fisico sia questo —
Diverse fila, di licor diversi,
(Ogni filo un licor) s' imbevan pria :
Poscia, tutti quei liquidi, confusi
Sian dentro un vaso : in questo vaso un capo
Di quei fili s' immerga, e fuori V altro
Capo dei fili, ripiegato sia.
Avverrà che per leggi naturali
Note, costanti, di capilli, ascese,
Ed attraenze, assorbano que' fili,
Ognuno il suo licor di che fu molle ;
E quindi separati scorreranno.
Lungo le fila, i liquidi che prima
Eran confusi — e per leggi di gravi.
Che tenJon tutti al centro della terra,
I licor separati sboccheranno
Dagli altri capi dei curvati fili —
Se a quel vaso comune fia perenne
II riflesso dei liquidi confusi.
Anco r opra dei fili fia perenne —
E calamita, se a commista polve
Di materie s' accosti, in che sian miche
Di metalli, avverrà che solo attragga
Le omogenee metalliche parcelle,
L' altre lasciando d' altre leggi e forze
Alla potenza. Quelle parti attratte,
Attraenti pur fatte, accresceranno
Del complesso la forza — e proseguendo.
Le molecole corpo diverranno.
378 POESIE DI MILLE AUTORI
Che ingrosserà, che durerà compatto.
Fin che forza maggior non lo dissolva.
Ha in sé pur Y uomo lo simil sistema.
Si alimenta di cibi, di licori
Molti, svariati. — In suo stomaco ed epa
Fa di quelle materie elaborato
Confuso impasto, per moti, e per chimo
E contrazioni e spinte, che V impasto
Atomizzano; eppur, chilo succede,
Quindi ogni fibra dell' umano corpo
Di queir impasto ciò solo riceve
Ed assorbe, che va per quella fibra :
Né avviene mai si muti; che mutare.
Morbo sarebbe ed é. — Per tale, appunto.
Farmaco sana ed il veleno uccide.
Il creator cosi volle, e fur fatti.
Entro fusi elementi, i corpi innumeri
0 stipiti, che tutta la materia
Usufruttar dovean. — Però composti
Furo que* corpi di speciali essenze
Della materia — o fur costituiti
Di quelle essenze ed avidi e passivi.
Ed é cosi, cred* io, che per confusi
1 raggi della luce, ed i vapori.
Atomi, succhi e linfe, nell'immenso
Aèr, di terre e monti nelle viscere,
E nei profondi mar; ogni colore.
Ogni seme, ogni fior, pianta, metallo.
Conchiglia, insetto^ ed animai qual sia,
Attraggono pur sempre, ovvcr subiscono
L* essenze primitive naturali
Simpatiche ed imposte a lor natura,
E sempre son di quella specie e forma.
Ed é pure mirando quel rapporto.
Onde animali, insetti, e vegetali
Van generando e proJucendo, pure
IXTORN'O A DANTE ALIGHIERI. 379
Per accordi simpatici amorosi
Di semi fluiditi e di frammenti
Ch' hanno natura, proprietà medesme
Attraenti e subenti, si che corpi
Divengono simili ai loro stipiti,
E sono a riprodurre, infin che morti.
E morte li dissolve; perchè tutti
Ai vegnenti dian luogo ed, a lor volta,
Rendan l'avuto corpo alla natura.
— Quel Dante scrive, che sfogliato ramo
a Rende alla terra tutte le sue spoglh. •
Cosicché da putredini, fosfati.
Calce, succhi, vapor, carbonii, fluidi,
Aure, tragge natura continuate
Ed atte essenze ad ingrossare i piccoli
Semi vitali, come i padri furo.
— Si che dir puossi : essere ogni corpo
Serbator, generando, della specie;
E serbator della fusa materia,
A lei rendendo il decomposto frale.
— Chi sa, che d*Alighier lagrima ardente
Sulle patrie catene, ove, ossidando.
Si tinse di rossor, non sia feltrata
Il sangue a concitar del truce Alfieri}...
Ed è pure stupendo, come a fondere
Tutta, in giro lontano, ed a rifondere
La materia, però che mai consumasi.
Oprino forze gli elementi a scuotere.
I torrenti, i diluvi urtano, avvolgono —
Voragi si spalancano ed ingòjano
Valli, città — scoscendono, ri franano.
Vulcanizzano i monti — e i fuochi, ceneri
E polve danno, che per turbi salgono,
E sparse ancor sovr' altri corpi calano —
E dei corpi gli umori che trasudano,
Fonti, ruscelli, laghi, fiumi, oceani
380 POHblE DI MILLE AUTORI
Sfuman vapori, che di sotto gli Eoli
Investono, folleggiano e sospingono
A dense nubi, che poscia dileguano
Pioggie e rugiade, che alle linfe riedono,
Ai campi ristorati... e ancor risalgono
Anco vapor, per anco linfe pioverci...
É mirando il rapporto de' pianeti
E d'altre stelle, che sull'asse loro
Girano, e intorno a rispettivi Soli,
Da forze immense, misteriose quasi,
In aere librati, in ordin tale,
Che va a minuti, senza urtarsi mai!...
— Ma, cosi discorrendo, dall' assunto
Di religione, che m'imposi, forse
Divago? — No, — Premisi, anco per essa.
Che tutto ha scopo: e invero, lo stupendo
Legame del creato lo dimostra:
E già dall' ordin di natura indetto,
Parmi che l'uomo analoghe sacrate
Norme per sé ne possa trarre, e tono:
— Ch'egli ha propri diritti, ma soggetti
Al sociale organismo, ed al Supremo,
Come le fibre al corpo, il corpo al Sole:
— Che le nazioni, al pari de' pianeti.
Sull'asse loro avvolgere si denno,
E intorno a Dio, ma senza urtarsi mai.
— È quanto dir, che sempre rispettose
Sian de* confini e delle lor distanze,
Da natura segnate; e che fra loro
Sia lega di saper, merci, progresso,
Qual di luce, calor, moto, le stelle.
II.
Come dunque ogni cosa, sia creata.
Generata o prodotta, ebbe suo scopo;
Il pensiero dell' uomo, la ragione^
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 38 1
Che di lui sono pure nell'essenza
Naturale, doveano aver lor meta,
E Tcbbero. — E lo dico, perchè mia
Mente è scrutarla, perocché saperla.
Fa r uomo saggio, men dolente, queto
« Sotto r usbergo del sentirsi puro; »
Siccome analizzar, sapere il vero
Delle sostanze e delle membra il giusto,
Nudrìsce, sma, aSorza, addestra, alletta.
Ma pensiero e ragione, veramente
Sono ncir uomo ? Si, che in lui son fìtti.
Ei li sente, ne vede e sa gli eff(:tti:
Pensa e ragiona, pur quando a sé chiede,
Se pensi: sente più, mente t ragione^
Che Vanimay perché questa é un'imago
Più remota, e però meno compresa. —
Ond'io, non già per tórre tale imago
Da Platone e da Dante immortalata.
Ma sol per più chiarire, includo V alma
Nella ragione e nel pensiero y e dico.
Che pensiero e ragion, di nostra vita
Scienti quaggiù, che putrìdire mai
Furo veduti, presentar ci ponno
Coi vitali ricordi nel futuro. —
Lo scopo a giudicar, per cui fur dati
All'uomo il pensiero e la ragione,
É giusto meditar, da Cui ragione
Trasse, poiché di logica è dottrina
Dalla causa conoscere l'effetto —
Or bene: fu ragion, quella che diede
Ragione all' uomo ? — Si, perché da corpo
Vien corpo; dunque da ragion, ragione.
— E sovrumana fu la creatrice ? —
SI9 perché non potea l'uomo, incapace
A creare fil d'erba, né d'arena
Grano, né un punto di materia prima,
382 POESIE DI MILLE AUTORI
Non poteva creare sé medesmo.
Né pensiero e ragion dare a sé stesso;
Che idearli nemmen egli potea.
Se non era chi a lui dava pensiero.
— E fu sublime» fu ragione immensa.
La créatrice ? — Si, perché sublime
È r immenso creato: si, perché
Sublimi effetti dalla stessa umana
Ragion creata vennero; sublime.
Perché al Caso non dessi T Universo.
Dir: caso: é nulla dir —perch'io domando:
Chi definisce il caso ? ed il primiero
Misterioso creator? — Si dice:
D'atomi union, vicenda di elementi...
— Ma chi fé* gli elementi, la vicenda ?
Chi gli atomi, V unione ? Chi poteva
Tal caso, onde venisse orJin cotanto
Di tante varie, e in sé normali forme.
Di macchine che son complicatissime
Nella macchina immensa universale?
— E s* era caos^ chi '1 fece ? chi lo volle ?
Ond'era? — Da materia neutra inerte
Potea moto venir, senza Motore,
Che del moto sapesse? E dato moto.
Senza motor, potea dal mover cose
Il pensiero venir, ente morale}...
— Si dicesse pur caso^ alla ragione
Del creato, saria caso divino:
Di parola^ sarebbe la cemtesa.
Però dal divo senno creatore
Venuta la ragion, di senno scopo.
Ragion creata aver doveva^ e Y ebbe -r—
Son colpe, é vero, son tendenze prave;
Ma data appunto fu ragion, per cui
Domarle — e ben il vate ne dicea:
« Ove più pregi splendano, non io
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 383
« Mi offenderò di poche macchie » — sono
Ombre, talor, che rendono più vaghe
Le luci al quadro della storia umana. —
Or si dica: perchè tutte le genti
Ne' codici punir vollero i rei ?
Perchè il popolo freme di tiranni
A scenico trionfo? e perchè gode
Degli innocenti al gaudio ? — e che degli empi
Sono i rimorsi? che di patria amore,
Gloria ed onor ? V avidità del dritto ?
Le gioie di famiglia — se non sono
Effetti di ragion, prova in natura?...
— Ecco i cultor dell' arti belle ornare
La materia creata! — Ecco gli scienti
Scrutar natura e dritti, per salute.
Leggi, sentenze, calcoli, edifici!
— Ecco storici fidi rimembrare
Uomini e fatti, che ci danno esempio
E scola — ed associar filosofia,
Che lo storico dir fa più potente!
— Ecco orator magniloquenti, quali
Con loro lingue, più che spade acute,
E voci, della polve più tonanti,
Convincer sanno, scuotere, crollare!
— Ecco Poeti spingere le menti
Oltre materia e soliti concetti,
Per sublimare, quasi darci un nuovo
Spazio di vita più capace, piena
D'altissime e profonde idee novelle.
Di nuove elette armoniche favelle!
— Tal, che per sua ragion V uomo non resta
Air opre dell' istinto, da natura
Segnate, fisse, simili ed eguali
Sempre, come la sempre simil tana
Del castoro; simll sempre dell'api
L'alveare; de' bruchi, delle ragne
384 * POESIE DI MILLE AUTORI
Bozzoli e tele, d'usigauolo il canto;
D' inconscia pica il verbo imiutore...
Ma di palagi, templi, monumenti,
Arazzi, ornati, canti, melodie.
Saputi accenti, varii sempre, autore
È Tuom, che in globi vola; e sovra il ferro.
Senza cervi, precipita; e Tidee
Ratte, come il pensier, dall' uno all' altro
Polo, reca per fili elettrizzati;
E ritragge repente aspetti e cose
Sovra chimici strati, a lenti e luce...
E scopre, inventa, e progredisce sempre!...
IH.
Ma ad altro scopo data fu ragione,
E quello fu di che più dir m'imposi —
Fu, che l'uomo sentisse la potenza
Créatrice suprema e l'adorasse,
E per tale sentir, per tale culto.
Anco fosse più probo e confortato.
— Era selvaggio, ma intelletto avea,
E pensiero, e memoria de' pensieri ;
Quindi confronto delle idee, legame...
Era dunque ragion. — Però dovea
Mirare lo splendor, l'alba, l'occaso
Del sole; le innumerabili altissime
Stelle; e la luna, ora falcata or piena.
E 1* effigie dell' uom in lei bozzata ;
Degli augelli il volar; de' pesci il guizzo;
Fior, frutta, messi, prati, risi, spegli ;
Le voluttadi dell' amato ; poi
Il misterioso generar la prole!...
E conoscer dovea d'essere inetto
A ciò creare, cui potea nemmeno
Comprendere, ed ammettere, convinto.
OiTORNO A DANTE ALIGHIERI. 58$
Un poter sovrumano, creatore
Del firmamento e del piano terrestre
E d'ogni cosa. — Quindi meditare,
Contemplare, fissar, meravigliato.
Il cielo (a cui natura tutte volse
Anco de' fior, degli alberi le cime);
E bramare saper, chi, come, quando,
Perchè tant' opra, mentre di ragione
É ragione, cercar deìV onde ignoto:
E intanto, venerare l'incompresa.
Ma sentita potenza sovrumana :
E far roveti, perchè fumi al Cielo
Salissero — ed ambir unto che V etra
Li gradisse attraendo, da ridurre
Invidioso Caino^ e fratricida!...
— In quello stato di desio, d' incanto,
D' umile atteggio al Ciel, per venerato
Sovrumano poter... era dei primi
La religion, che a punto vai sentire
Un divino potere sovrumano,
E divin culto aver; pregiato pure
Quel primo senso, come fu selvaggio.
Stando i pregi coi tempi e le dottrine. —
Ma se le meraviglie del creato
Non bastavano a far 1' uomo devoto,
Anco i mali fur pronti ad umiliarlo —
Dir oso, che il Supremo, nell' infondere
Progrediente ragione all'uom, previde
Che se invitto, immortai, questi nascea.
Superbo, audace si saria vantato
Eguale al suo Fatcor; che mai prostrato
Si sarebbe al Divin, ch'anzi, ribelle
Avrebbe osato Dio sfidar!... — Di vero.
Non era fuori della mente umana
Tal fellonia, che d'uomini fu dire,
Di Prometeo fellon, che r.ii del sole
Dbi Balio. Voi. XIV. 25
386 POESIE DI MILLE AUTORI
Ebbe furato, ad animar gli automi
Tenuti ignari dagli Dei tiranni!
Ed anco dire dei Titani^ a guerra
Con Giove, e dal Tonante fulminati,
Arrotolati giù, colle franate
Rupi, nel mar! ed anco de' superbi
Angeli a Dio ribelli, che da Cieli
Altissimi nell'infero piombar!...
— Pur, dunque, i mali, le sventure, morte
Che tutti accascia, perchè — dice Ora^o —
« Col giusto piede batte alle capanne
« Dei poveri, e de' regi alle superbe
« Torri!» — E cosi, quando i tuoni, le folgori,
Uragani, tremuoti, ampi diluvi.
Belve, doglie mortali ed agonie,
E morte, ad atterrir, córre, fur pronti;
Anco fu forza dechinar l'altera
Fronte, che il Ciel parea sfìdare, e il fango
Guatar ove s' intomba, ed umiliati.
Prostrati supplicar che ancora in calma
Tornasser gli elementi, e che cessati
Possero i morbi, redivivi i cari!...
— E il sonno, prepotente della morte
Imago, ad ogni vespro, che sopisce
Degli ercoli il vigor, de' sofi il senno ?...
E le tenèbre, ad ogni di segnenti
Che de' rapidi sguardi V albagia
Frenano e fanno sospirar la luce,
Cui potere supremo ci misura ?...
— In natura fu dunque religione —
Quindi non è che Religion non fora,
Se non fossero scole, tradizioni
Di maèstri, di padri. Chi 1' apprese
Ai primi padri, se non fur natura.
Intimo senso, innanzi all' universo,
E mercè la ragion, fra beni e guai?...
IN'TORKO A DANTE ALIGHIERI. 387
Hducazione migliorò, ma sempre
Sul primo germe, quale aurata polve,
CZhe il magnete prìmier, benché di ferro,
Bacia ed indora — comechè perenni,
T^e meraviglie, le delizie, i mali
Ch' erano quando religion nascca;
Onde ognuno che nasce, al par dei primi,
La sente — e più, che nel social progresso
Più sensibili fé* la civiltade. —
IV.
— Religiosi però, sbanco divisi,
Esser più lo dovean uomini uniti
In social patto — E ciò volea natura —
Debili a fiere, timidi, dolenti,
Anco presi d'amor, in antri e selve
Adunarsi dovean; ivi aitarsi
A vicenda; ed espor loro concetti
Colla parola, che però fu data —
E più moltiplicavano gli affetti;
E più che le sventure erano gravi.
Più tremendi i nemici, a ratti, prede,
Odii, vendette, più s' unian seguaci,
E r emulo fervore in lor crescea...
— Cosi le società furo e diverse.
E in quelle Tuomo, che con seco trasse
Quanto aveva di fisico e morale.
Anco recò di religione il senso
E il culto primo, che fervette poi.
— E qual era il suo culto ? Assai conforme
Al naturale esprimere gli affetti :
Ciò che prova ognor più, come quel culto
Avesse ed abbia naturai radice —
Invero, si desia veder V amato,
E possederlo, e dinotar col fatto
388 POESIE DI MILLE AUTORI
Il nostro amor... — cosi per nuiai, Dei^
Idoli, r uom fissò come mirande
E care ad esso — e simboli si avea
Che baciava» e sul cor tenea, fidando
Essere illeso da sventure, in lotte
E pugne invitto, da divina forza
Anco protetto, contro cui l'umana
Hi sentiva impotente — ed il suo eulta
Mostrò con are, altari, incensi e roghi,
E riti, varii, come i gèni e i tempi...
Ma per ragione del social progresso.
Anco sorger dovea V unica idea
Del Dio solo ineffabile; sublime
Idea, che lo scevro dalle contese
Definitive, da rivali posse
Limitatrici del poter, ed anco
Dall' onte dei profani ; che potria
Usurpatore barbaro crollare
Immagini, ministri, templi — mai
U intima idea sovrana di quel Dio,
Né il culto che gli sacra, colla mente.
Il popolo continuo. —
Or è di fatto
(Cotanto è religion dall' uom sentita)
Che i ben mille du^ento milioni
Di popoli viventi religione
Han tutti, e mUh religioni or sono,
E tutte han saggi, martiri ed eroi.
V.
Dir \' una, e vera^ non pretendo in mille.
Accertar nel mistero io non presumo:
Né milioni di popoli sottrarre
A Dio, com* Ei non fosse tale immenso.
Da tutti accorre e meritare i voti
IMTOItNO A DANTE ALIGHIERI. 589
Di tuue Genti che emanar da Luil
— Bensì dirò: che religioni tutte
Han giusto fine, perchè vanno a Dio,
E mirano a virtù dei lor devoti. — •
Se v* ha pur chi contende, a me non dica,
Che possano bastar le savie leggi
Profane dello Stato e la morale —
Giusto, fedele, probo cittadino
Uom fia per esse, al popolo, allo Stato;
Ma verso Dio non già, se religione
Cessa. E morale o non contempla Dio,
E ne difetta, in onta alla natura,
Air umana ragion — come provai —
Od anche Dio contempia, e in questo dato.
Morale è Religion, detta « Morale. »
— Ma bastassero pur leggi profane
A fare probo cittadin; non meno
Sarla, che Religione lo migliori.
Invero, fia maggior nostro fervore.
Fratelli e Stato ci saran più cari.
Se nel tempio con noi inneggieranno
Ai martiri di nostra libenade;
E difendere i dritti della patria
Giureranno, per Dio! — che affé, sacrato^
Il giuramento più potente affida
Le promesse politiche e civili —
E ancor, perchè si benedice il brando?...
— Poi: a leggi profane — che partire
Dovean dzW attentato — non fu dritto
Córre pensieri rei, peccati strani
A sanzione penai, né ignoti pravi.
Ma religione, che Io spirto guida.
Ogni pecca, pensier che minacciosi
Iniziano la colpa, anco i malvagi
Occulti arriva e danna in sua morale,
E destando rimorsi, e predicando
390 POESIE DI MILLE AUTORI
Che gli empi dannerà quel giusto Dio
A cui nulla è celato! — Alcuni» forse.
Non crederanno?... basterà creduto
Abbian altri, perchè dire si possa.
Che religione ali'uom ebbe giovato.
Ed il conforto che ci dà la fede
In Dio, nella divina provvidenza.
Nella vita futura, onde men gravi
Sono i mali e la morte, e più propensi
Siamo a virtù ? — Chiedete a desolato
Padre, che piange dell' unico figlio
Sul cadavere, qual abbia conforto?
Ei vi dirà, che in Ciel beato Spirto
Il figlio suo l'attende! — E che, di più.
Quel padre non farà per meritarsi
Il Ciel? — Togliete d'altra vita speme:
Dite, che colla morte, tutto tutto
È finito, ed avrete disperati...
Epicurei !...
E d'altra vita^ io penso:
Chi potè dare ali'uom vita presente.
La futura dar può : qual die' futuro
Di materia a materia, può ben darlo
Di pensiero al pensiero, di ragione
Alla ragion. — È ver, che non è prova
Di fatto, al pensier; ma nemmen prova
È, che non sia: puot' essere, e non essere;
E nel dubbio tremendo, il saggio afferma.
Che all'astratto concetto del mistero
(Innegato al perché della natura)
E Yipotesi data, per non tórre
Ogni oggetto al mistery che più non fora.
Ed afferma, perchè niegnr, ripugna
Alla sublime idea che del Divino
Egli s' è fitta, ed alla innata brama
Di non morir, che non dovria fallire
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 59I
Alla ragion, che brama per volere
Del creator: e afferma, perchè aborre
Idea negar di tanti ben ferace —
Sia dunque religioni — Chi delle genti
Ama il progresso, non dovrà sopire,
Ma fervere que* sensi e quei sistemi.
Che di scienza e virtù filro fecondi -^
Né crederà, che possa religione
Essere idea qualunque, abbandonata
Dei singoli al sentir, senza dottrina
E riti. — Nel gran patto, ogni potente
Istituzione, per ragion sociale.
Aver leggi dovea, forme, sanzioni;
E religion cosi che tanto puote,
Perchè, in balia d'ignari e di sofisti.
Mostruosa non fosse; e pur non sia
Elevata cosi, che non s'intenda.
VI.
Però convien, che come ogni altra legge
A seconda dei tempi si riforma,
Ond'atta sia; cosi quella s'acconci
Cui r uomo fece per levarsi a Dio.
Non dirò le riforme a culti mfile:
Solo dirò, eh' ove saranno e sono
Nazioni dotte, libere, in progresso,
Ivi sarà di religione il culto
Filosofico più, che materiale:
Reggerà coli' amore: simonia
Vieterà: non vorrà ciò che non vuole
Il popolo sovran — per non patire
Sacrilegi, violenze, apostasie —
Né religioni avverserà d'altrui:
Né tratterà politica profana:
Bensì concorde alla ragion di Stato,
592 POESIE DI MILtB AUTOKI
Ove quel culto sta, dirà che voce
Di popolo è di Dio voce: che quindi
La salute del popolo è suprema
Legge: che già statuti, plebisciti^
Armi, bandiere, cittadini e prence
Fur benedetti!... E allor, oh quanto cara,
Adorata sarà forte e difesa
Religione, cosi pura ed accorde!...
AUor anco sarà degno che prence
Non politico s'abbia. — Può Y autocrate
Sol ove ha Tarmi: di rivolte e guerre
Segue le sorti: si, che religione
Rischia suo Capo, in lui, alla profana,
Ed iniqua talor, forza brutale —
Invece TAltro, che divino culto
Sol regga, intatto, di sua fé sovrano.
Perdura, e tal, che in religioso campo
A sovrani, e stranier, anco sovrasta! —
VII.
Ma perchè in fronte de* miei versi, Dante
Invocai ? — Fu perchè la sua Divina
Commedia lo fé* primo de* poeti
Italiani: 'e perchè sono recenti
I plausi al sesto secolo di sua
Gloria immortale. — Autoritadi sono
A mie parole! perocché, né Dante
Avria dettato, né vorriano i saggi
Tanto lodare quel divin poema,
Se religione fosse una chimera! *
' Questi versi cosi si leggono In un < ligipne e Détntt, Vtnì itUÌ'mrr, Puertrì
opuscolo in-S di pag. 31, col titolo i Re- \ Teoiloro. MiUao, tip. Co^nago e Co. 186$.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 393
DCCLI.
Alfonso Capra.
Dante e l'Italia.
(14 maggio 1865).
I.
Libertà va cercando, eh* è ti cara,
Come ta chi per lei vita rifiuta.
Dante, Parg, e. i.
Su nei campì deir etra, ove s' accoglie
L* ira d' un Dio fra vonici di fuoco,
Rapido il volo il genio mio discioglie.
E ratto intomo io sento un gemer fioco,
Un lamentarsi, un dimandar vendetta;
E pur deserto mi parea quel loco.
Quando, improvviso, in ferrei ceppi stretta.
Veggio gran torma insanguinata e pesta
Trarsi piangendo, e replicar: vendetta;
E, del serto regal scarco la testa,
Famoso Spirto, che, prostrato a Dio,
Tende le braccia, e a supplicar s* appresta.
«Vindice etemo, ei grida, è popol mio
Questo, che geme entro Venezia e Roma,
Ch' io sottrarlo giurava al fato rio.
Se non che mia virtù fu vinta, e doma
Nel di fatai, che decretai T esiglio,
E del diadema mi spogliai la chioma:
394 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma in di più fausti, e con miglior consiglio
La grand* opra dell' italo riscatto
Mirabilmente proseguiva il figlio.
Ed or perchè s' indugia ? a che ad un tratto
D' astute volpi e di rapaci lupi.
Non viene infranto Y esecrato patto ?
Deh che mai più nostre contrade occupi
Stuolo di mostri maledetto ed empio,
In loro agguati senza fine cupi!
Ve* che strazio crudel, ch'orrido scempio
Si fa di questo benedetto suolo,
Ch' esser dovria dell' universo il tempio.
Ve' come d' alme elette immenso stuolo.
Frementi amor di patria, errando vanno
Con prolungati gemiti di duolo.
Vagir gran tempo, il sai; né già vorranno
Salirne al premio dell'eterna sede.
Finché non cessi dell' Italia il danno.
Ve' r Alighier, eh* alla sua patria riede.
Dopo secol di lutto, e maturarsi
Suo concetto sublime ancor non vede.
Mira del Vate taciturna starsi.
In riva airAmo, 1' anima sdegnosa,
E dei plausi del mondo non curarsi.
Del suo gran di la lieta, e fragorosa
Solenne pompa in sua città sol mira,
A guisa di leon, quando si posa;
Ch* altro pensier lui preme, e in cor s' adira,
Che serva Italia, e di dolore ostello,
Tuttor r intera libertà sospira.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 395
Scorge in Firenze un principe novello.
Né il sospirato Veltro in lui saluta;
Che in Italia tuttor stride il flagello.
Deh! gradita gli rendi sua venuta!
« Libertà va cercando, eh* è si cara,
Come sa chi per lei scettro rifiuta. »
Tacque, e sul volto suo l'ambascia amara
Tutta si disvelò d'un re tradito
Nella funesta rotta di Novara.
In suir istante fu nell' alto udito
Una voce sonar, emula al tuono:
— Il destino d' Italia fia compito. —
Un angiol fiero, di quei detti al suono,
Qual fulmine, la nuvola scoscende,
Che immensa cinge di giustizia il trono.
Ei sopra l'Alpi folgorando scende.
Colà s' asside, e i lumi giù rivolto.
Le late piume su l' Italia stende.
A tal vista il gran Vate, in sé raccolto.
Ratto sorgendo, a re Vittorio mosse,
E giubilando *lo baciò sul volto.
E oh salve! disse: il tuo valor riscosse
Italia tutta dal letargo indegno,
E quasi a morte lo stranier percosse.
Esecutor dell* immortai disegno
Te il ciel prescelse, in questa sacra terra
Un sol trono vedrassi, unico regno.
Prosiegui 1' alta impresa, abbatti, atterra
Degli oppressori l'efferato orgoglio.
Distruggi i lupi, che ti fanno guerra,
E superbo t' assidi in Campidoglio.
39^ POESIE DI MILLE AUTORI
II.
io fai nato • eretciuto
Sovra '\ bel fiume d'Arac alla gran TÌlla.
Dante, /«/. e. a).
Per secoli interi fu vista sul^Arao
Un' ombra posarsi dolente, romita :
Per secoli interi V Altissimo indarno
Al premio dei giusti queir anima invita:
Il suolo ove nacque, V Italia eh* al Vate
Le note ispirate - nel duolo dettò.
La terra a cui mira suo nobile canto,
Neir onta, nel pianto - lasciare non può.
Ei vide, com' onde che incalzano altr' onde,
Giù scender dall' Alpi le barbare schiere,
Sfamarsi nel sangue le fauci immonde.
Travolger nel fango le nostre bandiere.
Strapparci di mano V antico retaggio,
Gravar di servaggio - chi il mondo domò,
E r alma del Vate, fremendo di sdegno,
Sul popolo indegno - tre volte imprecò.
Ei vide innovarsi d* ingordi leoni
Coir avida lupa la tresca nefanda ;
Su laghi di sangue fondar nuovi troni.
Di petti cognati la gara esecranda;
E, in onta a quel Nume ch'abomina l'empio,
Sacrarsi nel tempio - che 1' ara atterrò :
E r ombra squallente del divo cantore.
Compresa d' orrore, - la fronte curvò !
Ei vide aguzzarsi più crudi gli artigli
Da mostri scettrati nei sacri intelletti:
Oscure prigioni, lunghissimi esigli,
Atroci torture, patiboli eretti.
^
I
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 397
Di roghi fumanti Y acerbo tormento.
Le ceneri al vento - disperse mirò:
Colpita, a tal vista, queir anima offensa,
L' ingiusta sentenza - con ira membro.
Giaciuta lunghi anni dei Bruti la terra
Immersa in letargo di morte profondo,
Ei vide piombarvi quel fulmin di guerra,
Che strinse in un fascio gli scettri del mondo.
Nel figlio d* Italia, nell* uomo fatale.
Il Vate immortale - salute sperò;
Ma r uomo fatale, d* orgoglio deliro,
V Italia, r empirò - sé stesso obbliò.
U immenso gigante percosso, abbattuto,
Ei vide i tiranni, congiunti ad un tratto.
Covare, sancire nell* aere muto
Dei popoli il fato, l' orribile patto.
Che Italia avvolgendo nel buio di morte.
Gli orrori del Norte - su lei rovesciò.
Non raggio di speme fra Y ombre di lutto.
Tenèbre per tutto - queir ombra mirò.
Non raggio di speme? del Tebro sul lido
Il sacro vessillo dispiega un vegliardo:
Già s* ode d' intorno festevole grido.
Risorge 1* Italia, combatte il gagliardo;
Già crollano i troni... Ma, ahi crudo destino!
La patria il divino - Pastor rinnegò!
Il Vate su al cielo le luci rivolse.
In sé si raccolse - gemente, e pregò.
Ma arcangel di guerra dall'Alpi s' affaccia.
Fra torbidi nembi di fiera tempesta:
Ha sculta sul fronte tremenda minaccia
— Ai despoti morte, — V Italia ridesta :
3^3 POESIE DI MILLE AUTORI
Un rege guerriero discende dal soglio;
Da picciolo scoglio - qual prode volò?
U invitto Nizzardo. Più ratti che lampi
Si scaglian sui campi - che V oste occupò'.
Levandosi altero, con voce di tuono
AUor r Alighieri, terribile grida:
«Superbi monarchi, scendete dal trono;
Un popolo in armi, l'Italia vi sfida:
Le sacre contrade via sgombra, o straniero.
Un popol guerriero - soffrirti non può :
V acciaro dei forti ti preme, t' incalza,
I sogli trabalza, - vittoria suonò...
Si cessa?... Oh che miro! festose, esultanti,
A calca in Firenze si traggon le genti ?
Via gli archi e le pompe, le gioie ed i canti;
Di schiavi fratelli s* insulta ai lamenti !
Tacete il mio nome, gli onori detesto.
Mio di non è questo, - gradirlo non so :
Il fia, quando un grido di libero affetto
Dall'Alpi allo Stretto - diffondersi udrò.
Vittorio, che tardi? Tua gloria fia spenta
Se il vile ancor dura mortai vitupero:
II voto del padre, tuo giuro rammenta ;
In Roma sta il seggio dell* italo impero.
L' unanime grido degl' Itali tutti
Sui troni distrutti - quel solo piantò:
Su d' esso t' assidi. Ch* io vegga tal giorno !
E lieto al soggiorno - celeste ne andrò ».
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 399
III.
Che le U voce tua tari moleUA
Nel primo gusto, vital nntrìnento
Lascerà poi quando sarà digita.
Dante, Par, e. 17.
Né questa or si vedrla
Immensa calca, del servaggio sciolta,
Al gran Vate plaudir d'Arno sul lito;
Senza la voce, che dal cor gli uscia
Libera ardente, e negli etemi avvolta
Splendor deli' infinito.
Ella i secol varcando, e in pochi eletti
Pari air italo onor animi accolta.
Covò gran tempo; e rafforzati i petti,
Vinse il furor dei despoti sgomenti,
Per tutte guise a soffocarla intenti:
E il gran concetto, che il Cantor sublime
Arcanamente esprime,
A tutta Italia manifesto rese,
E i destini magnanimi le apprese.
Spegner può forza, od arte.
Fuoco di libertà, eh' al cor s' apprende
O' un popol conscio dei diritti suoi ?
Insorgemmo più volte, e d' aspro Marte
Furon fatali, è ver, le rie vicende;
E s* addensar su noi
Nembi più. fier d' interminati affanni.
Ma, per lungo martir, vinù riprende
L'eterna fiamma; ond* affrettò suoi danni
L* oppressor, che più forte il pie' ci avvinse ;
Disperato furor all' armi spinse,
Che mai non deporrem, finché del tutto
Non cessi 1' onta e il lutto
Di questa Italia bella,
Ognor d' estrani prenci abbietta ancella.
400 POESIE DI MILLE AUTORI
E il barbaro Teutòna
Pia r estremo, per Dio! che non invano
Scettrato sire, di francar giurando
Queste sacre contrade, ove il si suona.
Stese fremendo la robusta mano
Dei suoi grand' avi al brando,
E ratto corse a fiaccare nei campi
Del tedesco predon V orgoglio insano :
E non indamo, fra gli accesi lampi
Di mille acciar, l'arcangelo di guerra
D' improvviso piombò suU* alma terra
Dei Procida famosa ; e d' un sol guardo
Pulminando il codardo
Stuol di schiavi venduti a re felloni.
Scossi, scrollò gì' insanguinati troni.
Salvete, o al gran disegno
Dal ciel prescelti! Ah! voi nel bando ingrato
Lui confortaste, ch'in possenti note
Ritrasse l'ombra del beato regno.
Voi stringe tale un vincolo sacrato,
Che franger mai noi puote
L'arte di quei, che con astuto senno
Pesar finora dell'Italia il fato
Sulla bilancia eh' eredàr da Brenno.
Nel Nizzardo fatai divo messaggio
Non miran, stolti! il vergognoso oltraggio
Qui sceso a vendicar; qual vasto scudo
Sostenga il braccio ignudo
Scorger non sanno, e la divina spada.
Che schiude al Veltro fra i guerrier la strada.
Però ben lo vegg'io;
Ch'ai Vati spesso degli arcani il velo
Squarciasi, ed al pensiero
Dei suoi consigli lampeggiar fa un Dio
L'ordine eterno stabilito in cielo.
È a me palese il vero;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 40 1
Itali, udite: dell' Oreto in riva,'
Entro il temrpro maggior, mìo spirto anelo
Nel Prence assorto, in un balen sentiva
Rapirsi al trono del Rettor Sovrano;
E, sembianti a chefùbi, ecco la mano
Il Nizzardo e il Gantor stendere al serto,
Al re sabaudo offerto;
E sorrìdendo alle fattezze conte,
Deporio lieti sull'augusta fronte.
Rege, i destini nostri
A te commise Iddio: la grande impresa
Intrepido prosiegui ; T aere muto
Ognor rifuggi, u' da scettrati mostri
É la ragion dei popol vilipesa.
Stringi Tacciar temuto,
S'è d'uopo ancor, e suoni da per tutto
Voce che spinga a vendicar l'offesa.
Voce di morte, d' esterminio, e latto.
E «el -sublime invito al gran conflitto.
S'oda col nome tuo quel dell' invitto.
Che in te pur I-astro salutò prìmiero
Dell'italico impero.
Ohi lo richiama 'dall' ignavo scoglio;
E^'^erai dall'Adria .al Campidoglio.
Dei Cesari sul trono
Assiso là, sul Vatican Tedrai
Etema face, ohe rischiara il mondo.
Tu l'adora; e con voce emula al tuono.
Ne discaccia i piofan; piena di guai
Prema lo spirto immondo.
Ch'osi. recarle ohraggio; ma non vale
A far ohe 'moti suoi celesti rai
In teli di furor labbro mortale.
Che 'Suoi detti temprando in quel ch'in seno
^'"prcmntf 'del Ke Vittorio Emamiele 1 1860, mi dipinse aH'ceeen fantasi* il Veltro
^ I>noiiio di Palermo, oel dicembre del | di Dante.
^«L Balio. Voi. XIV. 26
402 POESIE DI MILLE AUTORI
Ignobil fuoco di desio terreno
Gli divampa, la folgore ad un Nume
Strappar di man presume,
E d'averno incalzar negli antri cupi
L*alme sublimi, che fan guerra ai lupi.
Tempo già fu, che in grembo
D* orrida notte d'ogni luce priva
Giaceasi il dritto; e per la selva umana
Ria prepotenza, come oscuro nembo
Sterminatore, imperversando giva,
Ed alla voce arcana
D* intrepido vegliardo, su Canossa *
Folgorando il divin astro appariva,
E al suol prostrò d' altero re la possa.
Il buio a dissipar d* età feroce.
Tuonar dovea l'onnipossente voce:
Ma trasportata al sacro tempio in vetta,
Raggi d'amor saetta
La diva face, e stringe tutti a un patto
Nel salutare universal riscatto.
Sol Un tutto ne accolse
Della luce il tesor nell'ansio petto,
E ne senti l'indomita potenza;
Sol TAlighier. Del genio il volo ei sciolse
Rapido al cielo; in unico concetto
Strinse coli' alma immensa
Quanto pel mar d'eternità si volve;
E con robusto carme, il maledetto
Stupro dannando, che l'Italia involve
In un turbo di mali indefinito;
Il diritto sentier, ch'ebber smarrito.
Ed ai popoli mostra, ed ai potenti,
E al Pastor delle genti.
Prence, il percorri; da tal guida scórto.
Non puoi fallire a glorioso porto.
' Papa Gregorio VII.
INTORNO K DANTE ALIGHIERL 403
Ove il rattrovi, o rege.
Punisci il fallo» e più quel che s'ammanta
Di finto zelo per la fé* di Cristo.
Ah ! per 1* incauto vulgo mal si legge
Neil* abisso dei cor, e par che santa
Suoni la voce, e di discordia il tristo
Seme si sparge a conturbar le menti:
Furor fremono in sen, che lor cotanta
Preda vien tolta... L'orrido non senti
Ulular deirEumenidi accosciate
Del gran delubro per l'ampie navate?
E i simulacri in lungo ordin nel tempio
Gemere a tanto scempio?
D'Italia il voto adempi; regna, impera;
Torni Roma, qual fu, prode guerriera.
Né timor, né consigli
Te vincan dei potenti. Ogni straniero
È nemico all' Italia. Al core apponi
La tua destra, ed il cor sol ti consigli.
D'italo amor v'ha palpiti? un guerriero,
Vita spregiando e troni.
Sol questi ascolta... Intorno intorno un mesto
Ululo prolungato odi: l'intero
Universo par gema... oh! il pianto è questo
Dei magnanimi eroi, cui dolce e cara
Morte tornò di patrio amor sull'ara.
Lung'Oreto, il Volturno ed il Ticino,
Vedi, lo stuol divino
Erra piangendo, e a te si duol, ch'ancora
Itali volti servitù scolora!
Soccomberai? Ti è noto.
Ben si compra per morte eterna fama.
Pia retaggio ai figliuoi splendido e bello
L'adempimento del paterno voto.
Ad ispirarsi, chi di gloria ha brama.
Trarrà al tuo sacro avello.
404
POESIE DI MILLE AUTORI
E tu pertanto rimarresti in terra
Coiralir'ombre immortali; e come scarna
Per te la patria già difesa in guerra.
Ammireranno nel celeste regno
I beati anch'essi. Ed oh spettacol degno
Della vista degli angioli e d'un nume!
Fuor del regal costume,
Veder fra mille eroi Prence scettrato.
Che anch'èi lamenta dell'Italia il fato.
Ma no: son già maturi
Della patria i destini. Al gran cimento
Forsennato furor, o insano orgoglio
Gli eroi non spinse intrepidi e sicuiri.
Ma non falla il mirabile portento:
Assiso in Campidoglio
Veggio il gran Veltro; e vel ripone il forte
Altor àel iretto sovrumano accento.
Che disserrò d'eternità le porte.
Hi col terror, la speme, e il riso etèrno
Ci apprèse i fini del Fattor superno.
Per cui di libertate il sacro fuòco
Scòrse di loco in loco;
Rifece itali i sensi e la fortézza,
E surser prodi alla comun salvezza.
Salve, Alighier divino!
Salve! la patria redentor ti grida:
Che per te del valor prisco latino
Acceso il forte, l'onor patrio affida
Nel proprio brando, ed il terror riveste
Del biondo imperadòr delle foreste. '
Alfonso Capra da Palermo fu delle Scuole Pie. Mori in
lermo nel 1875.
' Qutsti versi cosi si leggono in; Pel cente-
nario ài Dante: componimenti reciuti nelU
solenne accademit tenuta in Palermo, nel R.
Liceo Vittoriq Emaiu^le,!! 14 maggio
Palermo, tip. Lorsneider, 1S65, in-8'
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 4O)
DCCLII.
Gi.ysEPPE Sapio.
Dantis Italiaeciue laudes.
Elegia.
(14 maggio 1865).
Kunc gemma Ausoniae celebrai Florentia nostrae
Te, cui Virgilius dux dominusquc fuit.
Nunc Arni innumeri populi densantur in oris,
Quos d'ahit exultans dulcis'amor patriae;
Illius et divas artes laudesque perennes,
Eximiumque tuum nomen'ad astra ferunt.
Cur mihi tam dijgne non tangat pectora fiamma,
Claro ut tècum lllam Carmine et ipse c'anam ?
Cur mihi non linguae centum sint, oraque céntum.
Ferrea vox animis, et tuba Calliopes?
Tum canerem, tibi quae fuerit sapientia, virtus,
Et spes, et patrius pectore diyus amor:
Quomodo nàtales fugeres irivitus arenas,
Atque loca bue illuc hospita quaèsieris;
Ht panem exilii'tot limina ad alta potentum
Quantum te expertum poenituisset acrem.
Carmina tum divina, perennius aere voiumen,
Et cui coelum operam terra simulque dedit.
C5.U0 studio eloquia Itaiiae tot cogere velles,
Illius et simili iungerè membra modo.
C^uae, te fatidico, iam vincula nexit, et una,
Regina incedit libera serta ferens.
^4agnanimum regem et canerem, qui invicta Palestri
In campis vexilla extulit Itaiiae.
406 POESIE DI MILLE AUTORI
Quomodo, tum canerem, saeve dum praelia fervent,
Impositus dorso fraena vorantis equi.
Ignea dum aera tonant, tonitru coelumque remugit.
Et densus nubem fumus ad astra ruit,
Impiger ille, ferox, ardens, vitae immemor, hostis
Agmina se inferret territa per media;
Teutonicae et volucri, nostras quae infecerat auras,
Fulmineo geminum scinderet ense caput.
At quum haec magna mihi non sit celebrare facultas,
Praetereo, quae aliis sint memoranda viris
Ergo, quod tantum possum, divine poeta,
Accipe nunc cultus, vota, meumque vale.
Latore, ubi quondam fulsit Neptunia Troia,
Nunc vertit glebas rusticus agricola;
Sese et ubi extulerant sublimia tempia Deorum,
Carduus infelix nascitur et lolium;
Ac omnes tandem, fatis urgentibus, arces,
Urbes, regna ruunt; omnia tempus edìt.
Sed solem semper rapidus circumvolat orbis.
Per coelique vias Cynthia et astra micant.
Ac simul ingenii, pariter virtutis honores;
Temporis et victrix inclyta fama virùm.
Sic tua laus nomenque tuum immortale manebit.
Sic decus Italiae, sic decus atque tuum.
Cara vale, o dives, felix, pulcherrima tellus,
Omnibus et maior, magne poeta, vale. '
Giuseppe Sapio fu professore dì letteratura latina nel Lìcm
V. E. di Palermo.
* Quest'elegia cosi fu stampau a p«g. aa 1 nelU festa dantesca del Liceo _V. E.
deiropuacolo contenente le poesie recitate I Palermo, gii du
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 407
DCCLIIL
Pietro Nocito.
La Pace.
Meditazione di Dante al monastero del Corvo.
(14 maggio 1865).
Io di nnoTO il richiedo che si to^ì*
e ricerchi : egli girando lentamente il
capo, e guardando i Frati e me, risponde i
Pace.
(Lett. di Frate llarione).
Tetra è la notte, il fulmine
In del sanguigno romba.
Piove dall'alto all'anima
Il gelo della tomba,
Sola è la rerra, e squallida,
E dal profondo covo
Misterioso e novo
Mandan le belve un suon.
Che cerchi, o solitaria
Ombra pensosa e bruna.
Quando per Tuom Tempireo
Non ha parola alcuna?
Ahi no, se il lampo infuna,
Se rogge la tempesta.
Voce potente è questa
Che sveglia al Vate il cor.
408 POESIE. DI MILLB. AUTORI.
Fra mezzo ai nembi un'iride
Di pace a lui sorride:
Pace alla stolta Italia
Che i suoi figliuoli uccide,
E pace all'uom, che al triplice
Raggio di) uQi sol pensiero^
Il Bene, il Bello, il Vero,
Invan si scalda il cor.
E quinci errando il Genio
Trovai fra l'ombce algenti».
Nell'armonia dell'anima
I sovrumani accenti:
Ma mentre l cieli s'aprono
All' ispirato bardo,
Un secolo beffardo
Maledicendo il va.
Lieve s' innalza un murmore
Di mesto canta all'etra.
Che pace dall'empireo
Sull'universo impetra;
Ed al romito claustro
Dante traendo allora^
Senti nell'alma un'ora
Che al mondo apriva il CieL
Ma pace è qui? d^obbrohrio
Coperto è il sacro manto.
Più dentro all'alme sterili.
Non trova un* eco il pianto ;
Perduto nelle crapule.
Dalle celesti note
Non volge il sacerdote
Ad altri mondi il cor.
INTORNO A DANT^ ALIGHIERI. 40^
Colonna ipilliaria
Che ad altrjl insegna il pas^o.
Ahi! queir ajitipo spirito
Si tra^^ucav^. in sa^p,
E punire alU grgnd'opera
I^'qpianit^ s'avanza.
Un caqu). di speranza
Da, Igi npn sprge. ancor.
P4qe 0 romiti! i popoli
Crisw negar npn ppnnp;
Trpppo dorn^iix; luei secoli
Deli' ignoranza il soaop ;
Ma Cristo col oiar-tirio.
Imporporò la stola,
E a tutti voi fu scuola
Di pace e dj vi^tù.
Pace! ma cento despoti
Funestano la ten;a^^
Incatenati i popoli
Vanno a dorcoir sotterra,
E d'Ariman Io spirito
Sulla deserta arena
Apre la danza oscena
In abbom,inio al Ciel.
Alii! se nell'etra il turbine
È passeggiero istante»
Se i lampi si disperdono
D'un mar di luce innante.
Se lieto tra gli armonici
Mondi la terra gira^
Oh! perchè mai sosipira
Di questo mondo il re?
410 POESIE DI MILLE AUTORI
Ah ! no, d* un vaticinio
Sento la voce intorno,
AflFratellati i popoli
Saranno tutti un giorno.
No, per cangiar di secoli,
Come il Signor Y ha scritto.
La libertade, il dritto
Tra noi mancar non può.
Che vai, dicea quell'esule.
Se d'ombre è il ciel coperto?
Che vai se sono apostolo
Perduto in un deserto?
Quando lo sente l'anima.
Quando natura il vuole.
Ad arrestare il sole
La forza non varrà.
A nuovi figli Italia
Apre il suo sen fecondo.
Io veggo fra le tenebre
Rinnovellarsi un mondo.
Fatto di Roma il genio
Consolatore a noi,
Scuote dai vanni suoi
La polve di quaggiù.
Ah! questa è queir Italia,
Ch' io vagheggiai cantando,
E pei dolenti cerchii
Andava meco errando.
Del sangue dei tuoi martiri
Imporporata e bella
Vieni di stella in stella,
Italia mia, con me.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 4II
Ah ! questo è l'uom, che in estasi
Dentro a selvaggio loco
Purificai col turbine,
Il sangue, il freddo, il fuoco,
E meco nelle limpide
Onde, lavato il viso,
La pace in paradiso
Venne a gustar con me.
Cosi di Dante il libero
Pensier vagava, in quella
Ch'apparve tra le tenebre
La matutina stella,
E dalla nube rosea
Il sole uscito appena,
A Dante fu serena
Speme di lieto di.'
Pietro Nocito nacque in Calatafìmi nel 1841. Studiò prima nei
Seminari di Matera e di Monreale sotto la scorta di valenti, e per
ragione dei tempi, liberali maestri. Poi, passò a Palermo, dove ot-
tenne in quell'Università, a concorso, la laurea ad honorem. Altri
concorsi vinse, per cui fu nominato professore nel Liceo di Palermo.
Dopo il 1865 tornava ai suoi studi scientifici, ed era nominato, per
concorso, professore di economia politica neir Istituto nautico di Pa-
lermo. Poi andò a Siena, ad insegnare diritto e procedura penale in
qucll* Università. Esercitò con splendore Tavvocheria. Nel 1872 ve-
niva nominato professore nell'Università romana. Nel 1876 fu eletto
deputato del collegio di Acquaviva delie Fonti in provincia di Bari,
che gli si mantenne fedele fìno alla morte. Lascia delle opere pre-
gevoli: La filosofia del diritto penale e civile (Siena, 1867); Il giudizio
ài riftvio (Bologna, 1870); D^l Senato costituito in Alta Corte di giù-
sti^^ia (Bologna, 1872); La Corte d'assise (Roma, 1874); Sulla libertà
C€>ndi:f}onak dsi condannati (Roma, 1878).
' Qpesti Tcni coti furono sumpati a l rio, edito dal Liceo V. E. di Palermo,
^'^^. 24 • Mg. dell'oposcolo pel Centena- | già cit.
^^
POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLiy.
Salvatore Salomone Marino.
V Esilio di Dante.
C^ANTO.
(14 maggio 1865).
E se il mondo Mpesie il cuor ch'egli ebbe,
Mendicendo sua tIu a frusto a frusto.
Assai lo loda è più' lo loderèl>be.
(Paradiso, yi, 140-142).
Poi che armati correndo al gran cimento,
Contro Firenze ne venian gli Usciti,
E l'ardire piegava al tradimento;
Mentre, a^ mont^. 9 alla valU
Rifuggivan amarriti,
E il terrò osti! sentivano alle spalle;.
Solo e grave in aspetto
Dante tnovea pei campi;
E oppre;?so, ? travagliato
Da immagini di lutto e di spavento
Il pensiero sentia,
Mentre nell'imo petto
L' ira compi^essa cupa rimuggi.a.
E l'Apeuuin varcava.
Udiva ad or ad Qr confusamente
Della turba vincente
Giunger lassù le grida e il suon dell'arme
E ne gemea; ma nell'eccelsa mente
Già maturava il carme,
INTORNO A DANTE ALIGHIÈRI. 415
Che di stfài jpiù vélòée
Volasse 'ai còrde' triitì acre e tretìiendò.
E quando incerto e statico
Taior posava il Tiancò
0 in uno 'ò in altro locò,
Su le jjaigfiie etèrne il ^ànio foco
Ei trasfondea dell' animo 'scfvfànò ;
E tàcita al suo càHtb
Virtù sedeva e gli reggéa'la dano.
Ahi quanto Sttz ambàscia,
Quanto acerbo dolor Tàrige e^'péi"c6te!
Né già posar Io lascia ;
Che pel tòrcano' e pèiriiìsùbre 'suòlo
Poi che vagò più volte
Seguito e calunniato
Ognor più sèmpre dall*ìiigrata Flòra,
Oltre l'Alpe a cercar 'f)àce si volse.
Qual cuor, padre, fu il tuo.
Quale siral ti 'trafisse
Quando i palagi^ e le turrite ìtìufa
Della nuova BabeP ispiègàrìsi algiiardo?
E quando a te, die* pura
La fé ^serbavi, si mòsftrò davante
Quel Gruàsco che, lasciando
Vuoto il seggio di Roma,
In bro*^cònvertìa le chiavi sante ?
Tu'fàpìdo fuggisti;
E de" la scìènia cìie al Sigtìor ci 'guida
Su la S'èfina* vienisti
Ad abbellir la mente.
Ahil'Afìseria, delfè^ùle tiottipàgna.
Venne quivi al tuo' canto;
Era seco la Fame,
Seco l'Angoscia, il Terfòr seco e il' Pianto!
Oh! chi'^toi dà gli 'accénti
SI che all'itale genti
414 POESIE DI MILLE AUTORI
S' inumidisca per pietade il ciglio ?
Chi mi rimembra le dolenti note
Che t* uscivan dal petto,
Quando presso alle rive
Sedevi della Senna e senza tetto?
<c O di Fiorenza mia piagge rìdenti;
O fiume, ove irrorai
La prima voha il corpo fanciuUetto ;
O care e ingrate genti;
Né vi vedrò, né vi vedrò più mai?
Qual delitto macchiommi, onde si fiero
Sentir mi fate al sen la vostra lama?
Dov'è, Fiorenza, la virtù degli avi.
Dove i queti costumi
Che ti dier tanta fama,
Che ti locar sovra tant'alto seggio?
Dove la bella pace
Che in quei giorni di gloria
Dolce suU'origlier t'era compagna?
Ahi cieca! balde io veggio
Trescar per le tue vie
La Superbia, la Frode,
L'Avarizia, l' Invidia, e più la Guerra.
All'osceno fragor, de' tuoi maggiori
Si commovono 1' ossa ;
Surgon guatando, ed alla trista scena
Ricadono fremendo entro la fossa.
« Cesare e Piero dove son ? È sola
Pur la regina delle genti. — Ahi stolti 1
Perché nel dolce nido
L'aquila non chiamate, che smarrita
Intorno intorno vola ?
E ad italo pastore
Perché, perché non riede
Il buon governo delle sante chiavi?
Ecco novello Brenno
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 415
Di regno ingordo e d'oro
Portar fra voi l' adultera bilancia ;
Né più del gran disdoro
Vendicator Camillo
Risurge in vista fiera,
Palleggiando la lancia,
L' Egida in braccio e bassa la visiera.
« Oh 1 tornate all' amplesso ;
Tornate all'ombra delle sacre penne;
Lasciate il vanto del nefando eccesso.
Arse le case e i campì;
Cruenta (orrida vistai)
Di sangue italìan T itala mano;
Ebbri 1 gioite invano;
Che r avido stranier entro le piaghe
La man caccia, e le inaspra; ed insultando
Ride. — Pace, o mia terra;
Posa quell'empio brando,
E porgi orecchio al ver eh' io ti favello.
Ve* quanti in cento lochi.
Sotto povero cielo,
Errano senza colpa, e la lor vita
Acerba è più che morte,
Tal che a narrarla mancheria la voce,
Ve' come per tue vie languenti e smorte
Prive di speme vanno
Più d*una madre, più d'una consorte!
Ahi quanti bamboletti
Dormon la notte al rezzo.
Orfani 1 ed ahi non hanno
Chi lor proveggia un tetto per domane.
Chi riasciughi lor pianto.
Chi lor comparta le carezze e il pane! »
Cosi le lunghe pene
Disfogavi, o buon vate, e le querele
Givan con l'aura a volo.
\
416 POESIE DI MILLE AUTORI
Ancor posasti sulle liude érerte.
Or sotto sofe ardétite,
Or della bruma fra i rigóri e il g^ol
Ancor reietto e solo
Gisti di porta in porta
Ad accattare un * pan^clTe sa ài ssìc 1
E quando a riveder ri tato cielo
Desioso movesti,
E sótto il Pome d'Aftit)
Air ónda data il tuo piatito mfesCéJStr;
Quando con armi iófi'de
Su la città dei 'fiori
Veniva Arrigo "e tu fatto il ftfggt^i.
Onde Etruria ti vide
Vagar di sue città fra le ririne
Ùn'^ altra volta, e all'ospite Vèfòtia
Muover brartìoso il passo ;
Non domar Talnia tua tanti dtìori;
Vigor novo le diero; e mèhtte*&f<Ìrtta
Chiudeva a Te Firéiize le siie p6\rte.
Benigno a la tua mente
Apria r OnniposSeAte
Le dorate delCielo,e tutte tn gifo
Le sante sedi e V im mortài faìnigUa
Vèniati dimostrando,
Sempre di maraviglia in miàra viglia.
E giunto in su lo strèmo
Dell' affannosa vita,
Pur da lunge uria'vólta
Desio ti strinse di veder la patria
E sul ciglione estremo
Dell' irto dorso dell* aèreo Bàtria
Lènto traesti il fianco.
All'egro corpo tnanco
Venne il vigore antico.
In ospite città r ultimo "fiato
INTORNO A DANT£ ALIGHIERI. 417
Pio ne raccolse un generoso amico;
Mentre che l'alma dibattea sicura
Le piume, a Dio riedendo.
Sdegnosa sempre, ma più bella e pura.
Vanne, oh vanne beata!
La terra che cotanto
Ti fé* grave V esiglio.
Prona sull'urna tua si scioglie in pianto.
Vedi siccome altera
Di tua grandezza allo stranier t'addita;
E del divin tuo fuoco
Sente in cor, tua mercè, viva favilla.
Né tu, padre, sdegnar dall' alto loco
Volgere a lei pietosa la pupilla;
SI che risorta alla virtù latina
De le remote genti
Un' altra volta ancor torni reina. '
Salvatore Salomone Marino nacque nel 1847 a Borgetto, pro-
a dì Palermo, e vive in questa città, segretario della condotta
ca municipale. Fa parte di molte società letterarie e scientifiche.
)ubb!icato molti lavori linguistici. £ studioso di Dante e si hanno
i due pubblicazioni notevoli: Di alcuni luoghi diffìcili e controversi
Divina Commedia (Palermo, Giornale di Sicilia, 1873); Di un
e membranaceo inedito della Divina Commedia (Palermo, 1877).
Questo canto cosi fii stampato nell'opascolo pel Centenario, edito dal Liceo V. E.
ermo, gii cit.
Dbl Balio. Voi. XIV. 27
4l8 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLV.
Paolo Sapio.
A Dante Alighieri.
Carme.
(14 maggio 1865).
Seicento volte il sol dell'annuo giro
Varcò la meta, dacché tu volasti
In seno a Bice, anima forte, a noi
Tanta lasciando eredità di senno
E di patria virtù. Giovine ancora
Tu vivi in mezzo ali* itale contrade
Co' tuoi carmi divini, né mai polve
Poserà su tue cartel Ascolta l'inno
Degl* italici figli ; in te saluta
Il Profeta dell' italo riscatto !
Dall'alte sfere abbassa il guardo, e mira
Quanta schiera di vivi a te si volge,
E ti sorride; sol chi l'alma ha nera.
Bieco sogguarda, e mordesi le labbra.
Godi; i tiranni ti nomar molesto...
Non ragioniam di lor; di libertade
Il soffio li disperde. Oh! vedi, in dolce
Nodo strette son già l' itale suore;
Sol due mancan tuttora, ahi! le più belle!
Ma il coraggio dei Bruti e la possanza
Del Leon di S. Marco non son domi;
Chiedilo all' Austro, ed all'arpia di Romai
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 419
Ma tu dinne qual mai gioia celeste
T* invase il cor, quando vedesti i figli
Di nostra patria, col sabaudo duce.
Sulle lombarde valli, alzar la fronte,
E intrepidi sfidar le torme ingorde
Dell'infesto Croato, tal che il dorso.
Attonito, volgendo, ei corse, e giunse
Anelante alle tane; e che commosse
In un sorgendo le sicanie genti
Fransero i ceppi, e gli avventare in faccia
Al Borbone efferato, onde i frantumi
Rimbalzando spezzar corone e sogli!
Felici eventi, a prezzo ahimè 1 di sangue...
Gloria ai martiri nostri! E tu, divino.
Baciali in fronte; esulteran quell'alme
Paghe di tanto don; noi baceremo
Te nei tuoi carmi, e vincerem la lotta! '
' (^sto carmt coti fn stampato a pag. 35 dell'opascolo pel Centenario, edito dal
IJc«o V. E. di PaUrmo, già cit.
420 POESIE DI MILLE AUTQRI
DCCLVI.
Luigi Lucchini.
Dante poeta dell* Umanità.
(14 maggio 186$).
Come r irrevocata ala del tempo
Batte continuamente, e nulla è possa
Che a frenarla s'attenti — impetuosa
L'Umanità s'avanza, e vani i ceppi
Son de' tiranni e i roghi e le bipenni.
Ella si volge a un Dio, e un Dio la guida...
L'Amor — figlio del Ciel, alma del mondo,
L'Amor che muove il sole e l'altre stelle.
E tu ce l'insegnasti, o Gloria prima
De la mia terra, o Imperator del canto.
Disdegnoso Alighier — grande e infelice.
E allor che la divina alma tua venne
A viaggiar costretta in questo esigilo,
In mezzo ai tuoi fratelli una bandiera
Sollevasti di fede e di battaglie,
Generoso Cantor.
L'aura de' carmi
Nel cor ti piovve, e splendido t'apparve
In quella tenebria de' tempi inconsci
L*Amor che tutto regge; — « Oh, allor gridasti.
Qui non v'è amore... fra le genti orrendo
S'apre un abisso che le tien divise...
Onde tanto afforzar di mura e torri
Le inceppate cittadi ?... ed onde mai
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 42 1
Tanta sete di sangue intra i fratelli?...
Qui non v*è amore; ovunque l'odio bieco
Indefesso cavalca, e invan di Cristo
II fatidico legno ad amorosi
Sensi l'alme siiade; e invan le stragi,
E l'orride battaglie e le infinite
Morti e ruì'ne annunziano alle genti,
Che la vittoria a chi la ottiene è infame...
« Roma idolatra la ferina etade
A impietosir non muove, poi che l'empia
Alla coppa di Cristo il repugnante
Labbro non appressò. — Ahi duro fato!
Non è, non è vessillo in Laterano
D'evangelico amor, ch'io vedo invece
Panir da Roma artefice d'inganni
E agitarsi una furia irrequieta
Di questa Italia a lacerar le membra...
10 vedo Benevento e Tagliacozzo
Coronar le sue brame, e i nostri morti
11 francese insultar. — Perfida lupa.
Ti maledice il Vate!...»
E tu cantasti
Nobili canti, o Sol di Civiltade,
Lo sdegno li temprò, l'amor li accese,
Li plasmò la sventura.
O Sapiente,
Che in mezzo al rotear vertiginoso
Dei fati, ai campi del pensier commetti
Di reconditi veri il gran tesoro
Degli avi — e il cresci — a te non fur speranze
Torbide d'ira... Amore, amor ti mosse;
E per l'amore, che cantar tue note.
In te legge l'Ispan, l'Arabo il Franco,
II Mondo intero: poiché in mezzo a tanta
Di lutti obbrobriosi infame notte
Predicasti la vita all'Universo...
422 POESIE DI MILLE AUTORI
Ti fu scuola la Croce, e tu cantasti
Un impero di Cristo armonioso
Generato d*amor. — Sorgan le genti
Naufraghe nelFerror, sorgano; e il carme
Che tu sciogliesti ai popoli divenga
Il sacro carme dell'età novella.
Di Fiorenza cantor, cantor d'Italia,
Cantor del Mondo... in questa giovin' alma
Un desiderio ferve, un sentimento,
Che dall'alto mi scende, e m'assecura
Che nel Vate il Profeta non morio...
Che la speme tua santa or si ridesta,
E alla luce dei martiri s'infiamma...
Esulta, o Grande — la risorta Italia
L'ara di vita gloriosa ascende,
E la novella via segna ai Redenti ! '
Luigi Lucchini, quando scrisse questa poesia, era allievo del
terzo corso nel Liceo V. E. di Palermo. Nacque a Piove di Sacco,
in provincia di Padova, nel 1847. Studiò con amore le scienze giu-
ridiche, e, specialmente, le questioni di diritto penale. Venuto in fama
in tali discipline, fu nominato, in prima, professore di diritto e pro-
cedura penale nella Scuola superiore di commercio di Venezia, poi
nell'Università di Siena. Diresse poi la Rivista ptnàU, la migliore
pubblicazione del genere, apparsa finora in Italia. Le sue lezioni di
diritto penale furono molto lodate, come le sue estese monografìe
sul processo penale e sul carcere preventivo. Fu chiamato dallo
Zanardelli a far parte della Commissione incaricata della riforma del
Codice penale. Entrato nella magistratura vi percorse rapidamente
tutti i gradi. Ora è presidente di Cassazione a Roma. Fu, per molti
anni, coscienzioso e indipendente deputato al Parlamento.
È notevole fra i suoi studi letterari : La politica ài Dante e il suo
pellegrinaggio a Bologna (1893).
' Qjietti ▼erti cosi furono stampati a pag. 37 ncll'opuicolo pel Centenario, edito
dal Liceo V. E. di Palermo, già dt.
/
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
\2^
DCCLVII.
Niccolò Camarda.
'EnirPAMMA
ef^ Aivxt5o€ èop-d)v.
Adb/Tig àaS(ov Xfioxo;, 8^ SXyea TroXXà TreTrovO'e,
^'Og x*^'^ "^^ 9uyi]v YEÓaaxo xal nevfrjv,
Bt] 8' iXXrjYoptxòv oeO Kóva ^Y]Tf|ievat.
'A8«vàx(ov Te Sójiou^, crwYepoO 5' àotSe yépovxo;
'AXXà Xad«v xeNo^ axe8òv looo|iévGtat Ppóxotot,
*Etaox* àvoxxa Xàxev x' èv pootXeOot iilyo^-
EiSpt 8è • vDv x' IxoXcóv xoOpot [léXTwuatv àot56v
Tflivag iuX£$avxeg TwfxtXov aò oxlcpovov. '
Niccolò Camarda nacque a Piana dei Greci, nel 1807. Entrò
** ^^^ Seminario greco di Palermo, dove sostenne brillantemente tutti
^5* «sami, per cui, appena ordinato sacerdote, fu nominato professore
^ letteratura greca. A trentatre anni, Taria chiusa del Seminario gli
^^^ac in uggia, se ne ritornò nella sua Piana; più tardi, fu nomi-
'^''^CD parroco della chiesa greco-unita di Messina. D'animo liberale
^*^xie in sospetto del Governo borbonico e incarcerato nella for-
^^^^a di Messina, nel 1848. Proclamata l'amnistia, ricuperò la libertà;
^^^» nel i8s2, dovè subire nuova persecuzione e nuova e più dura
^*"*&ionia nel forte di S. Salvatore. Costretto a lasciare la Sicilia,
^^ ^^ ^mpagnato da un ispettore di polizia, si imbarcò sopra un vapore
^^ <)pctto epigramma cosi Icgges) alla
^. '^r -^ Bell'opuscolo, edito dal Liceo V. E.
~' , già cit. Il Camarda non ripub-
blicò questo tuo epigramma, che manca
perfino nei suoi opuscoli ellenici.
\
424 POESIE DI MILLE AUTORI
francese e salpò per Livorno. Rimase in Toscana fìno al 1860. Ri-
tornato in Sicilia nel 1860, fu chiamato prima ad insegnare lettere
greche e latine nel Liceo V. E. di Palermo, e, poi, dopo il 1870, ad
insegnare letteratura greca in quell'Università.
Fu grecista insigne e si hanno di lui lodate versioni degli 7tli7/i
ed epigrammi di Teocrito, delle Omelie e dei Discorsi di Giovanni
Damasceno; e studi su Tucidide, suìV Antigone di Sofocle, sulla prima
Olimpica di Pindaro. Lascia pure molte poesie originali in greco e
non pochi epigrammi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 425
DCCLVIII.
Riccardo Mitciiell.
Traduzione del precedente epigramma
DI Niccolò Camarda.
(14 maggio 1865).
Dante nel coro dei poeti massimo
Che a tollerar molte sciagure venne;
Ei che Tacerbo esilio
E povertà sostenne:
E senti come punga sulle labbia
Il pane, che dagli ospiti si merca;
Del suo veltro allegorico
Corse gran tempo in cerca.
Dei beati cantò Teterno empireo,
E del veglio odioso il buio loco,
E come ben gli spiriti
Ripurghi il vivo foco.
Ma per la gente dei futuri secoli
Ei quasi ignoto se medesmo fé';
Infin che un grande principe
Non ritrovò fra' re.
Trovollo al certo, ed i garzon d'Italia
Ricantano il poeta in questo die,
A lui tessendo varia
Corona d'armonie. '
' Quesu traduzione cosi leggeii a pag 41 dell'opuscolo pel Centenario, edito dal Li-
V. E. di Palermo, già àu
426 POESIE DI MILLE AUTORI
Riccardo Mitchell nacque in Messina, nel 1815. I versi gli sgor-
gavano spontanei sulle labbra adolescenti; negli intermezzi della
scuola ne declamava parecchi ai giovinetti compagni, che lo stavano
ad udire ammirati. La poesia non lo distolse dal profondo studio
delle lingue antiche, e, specialmente, della greca. Nel 1842 comparve
il primo suo volume di versi Ore poetiche e due anni dopo vennero
fuori Le Melodie, Le sue composizioni furono lodate, perchè avvi-
vate da un pensiero civile e rigeneratore.
Tradusse poi dal greco gli Idilli di Bione e di Mosco, la Teogonia
e i Giorni di Esiodo e poi anche gli Idilli di Teocrito. Piacquero
ancora di più i versi suoi della traduzione delle profezie di Ezechiello,
che aveva conquistato Tanimo suo, assetato di giustizia e di libertà.
Nel 1860 fu nominato professore di letteratura italiana nell'Univer-
sità di Messina, di cui poscia fu rettore. Pubblicò, nel 1872, un terzo
volume di versi Canto e luce, che fu pure favorevolmente accolto; ma
non giunse a superare la sua felice traduzione di Ezechiello.
Si possono leggere con vantaggio i suoi discorsi di crìtica let-
teraria. Fu amante della sua patria ed ebbe alto concetto della mis-
sione dell'uomo di lettere.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 427
DCCLIX.
Andrea Crescimanno.
Augurio di Dante.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
In riva ali* Amo, u* la città dei fiori
Come Ninfa gentil si specchia aironda,
Scende Dante dal Ciel su' primi albori
Del suo gran giorno, in cui letizia abbonda.
Mira gli archi, le pompe e i verdi allori,
Ma tuttor solitudine profonda...
Attende... alfin dei tetti uscendo fuori
Immensa calca la cittade inonda.
Fra loro è Quegli, che Tacciar temuto
Strinse, scendendo dall'augusto soglio,
E fugar lo straniero fu veduto.
Il Vate allor: Te prence io lieto accoglio.
Segui tua stella, e Te vedrò seduto
Sul maggiore dei troni in Campidoglio. '
Questo tooetto coti l«ggetl a pag. 4* 1 cto V. E. di Palermo, già cit. Il Crttci-
*opuicolo pel Centenerìo, edito dal Li- I manno era alunno del tecondo corto.
4^8 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLX,
Basilio Artale.
Beatrice!
Sonetto.
(14 maggio 1865).
Nel giovin cor fiamma sublime accese
Di Beatrice la gentil sembianza.
Quando tra il canto, e l'amorosa danza
De' miei desir l'arcana possa intese.
La sua parola nel mio petto scese
Ripiena di fatidica speranza.
Domò de' sensi la fatai baldanza
E più potente la ragion mi rese.
Cenere fatta, la levai di terra
Col mio pensiero, e in ciel la posi accanto
All'alme sante, che l'Empireo serra.
Velando in lei lo scibile divino
Per la virtù, che mi trasfuse, il Canto
Dettai, spirato da Amor Uno e Trino. '
* Qufpto sonetto coti leggeti a pag. 43 l eco V. E. di Palermo, già cit. L' Artale
dell'opuscolo pel Ceatenario, edito dal Li- | era alunno del terzo corto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 429
DCCLXI. i
Mario Villareale.
L'Arte Dantesca.
(14 maggio 1865).
Oggi» mentre di mille
Applausi echeggia la città dell'Arno,
Ed il festoso grido
Le odorose di Maggio aure tranquille
Per le italiche ville
Ponan di lido in lido,
r per lungo dolor pallido e scarno
Nella mia cameretta
Mi chiudo, e gran contento
Pur nell'anima sento
Come se in sul bel fiume i* mi trovassi. -
Già s'avviva il pensiero
Siccome allor che contemplando stassi —
Già il divino Allighiero
Mi s'appresenta: i' me gli prostro e grido:
O mio duce e maestro,
O nel cammin Silvestro
Di questa vita a me conforto fido,
Da me l'omaggio ancora
Fra mille, onde la terra oggi t'onora.
Ricevi, e questa nota
Che, come prece, a te s'alza devota.
Nell'april di mia vita
Sulla tua Visione io meditando,
430 POESIE DI MILLE AUTORI
Levava T intelletto
All'ideai bellezza indefinita.
E l'alma avvigorita
Mi sentia dall'affetto
Fé, patria, gloria, libertade amando,
E dicea tra me stesso:
Questa è la vera scola,
Qui vive la parola
Segnata bene dall'interna stampa:
De' rei distruggitrice
Dal pensier, dall'affetto esce la vampa,
E pianto, e sdegno elice. —
Da indi in qua, finché m'aliti in petto
Quest'etere vitale,
O spirito immortale.
Tu m'accompagni ovunque, benedetto
E senza fine amato —
E tu trasfondi ognor novello fiato
A questo, ch'io trascino,
Ultimo avanzo del mortai cammino.
Deh! come avvenne mai
Che da te Italia torse gli occhi, e a' molli
Dilettosi cantori
Vaga li affisse? oimè, padre, tu sai
Qual di tremendi guai
•E di lunghi dolori
Nembo su noi discese! — Oh! insani e folli
Che sordi alle tue voci
Ci rodemmo feroci —
Onde superbo d'atro sangue intriso
Or il Franco or l'Ispano
Fra noi s' assise, con lo scherno in viso
E con la scure in mano —
E dai roghi s'alzar foschi splendori.
Ove ardeva ogni invitto
Sostenitor del dritto —
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 43 1
E nella selva degli antichi errori
Ci spìngea l'empia lupa
Per la sua fame senza fine cupa:
Che or, da tutti spregiata
Livida e bieca in sul morir ci guata.
Nel pubblico servaggio,
Oimè, la tua possente arte si tacque;
E Takero tuo sdegno
In fiacco si mutò pallido omaggio,
E il purissimo raggio
Degli affetti, nel fango estinto giacque. —
Sol, mentre Tarte un gioco
Fatta è, che tocchi i sensi
E tesori dispensi
A te il gran Michelangelo s'eleva
Quando sculpe o colora,
E quando eccelse moli al del solleva —
E (à e notte t'onora:
E cosi canta a te: divino ingegno.
Spregiato il bel desio
Fu dal popolo rio
Ingrato, onde soffristi esilio indegno —
Oh! foss'io tal, che pure
Con la virtude per le tue sventure.
In simil sorte nato
a Darei del mondo il più felice stato! » '
Precipite torrente
Àlfin tutto distrugge e porta seco:
Cosi Tarte ruina.
Cosi spento è il valor di nostra gente, —
Il bello, il ver non sente
L' italo che delira
Idrope fatto, brancolante e cieco
Nella nebbia de' sensi.
' ImlttsioM iti ftmoto sonetto di Michclaagelo in lode di Duite.
432 POESIE DI MILLE AUTORI
Quando l'Arcade vile
Infemìnla lo stile,
Dov'eri, o padre, o quando il Loiolita
Lo imbellettava, fabbro
Di rea menzogna, e ci spegnea la viu?
Chi fia, che primo il labbro
Dischiuder osi, e la magnanim' ira
Contro Tempio straniero
Attizzerà? Chi al vero
Senza paura accorderà la lira ?
Odilo: è il tuo Parini,
Che non fia mai l'altero animo inchini
A vii desio; che in petto
Serba per la virtù perenne aflPetto,
La comune viltade
E l'ozio sopportar non seppe il forte,
Ed impavido strinse
Contro i costumi della rea cittade,
Contro la stolta etade
Il flagel, che s' intinse
Nel purissimo sangue e gli die' morte. —
A pugnar la gran lotta
Deirumano pensiero
E delToflfeso vero
Con lui l'invitto Allobrogo. discese;
E le vergogne e Tonte
Tutte fé* chiare del natio paese. —
Leva, o padre, la fronte
Lieta, che alfin lunge da noi respinse
Le folte nebbie il santo
Tuo fatidico canto,
E tutti a un voto, ad un desio ci strinse :
Odio a* tiranni, amore
Di libertà : sempre virtude in core :
Una T Italia : — è questa
L'arte, che nova in te s'avviva e desta*
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 433
Mira: nel secol mio
La tua vendicatrice ira ribolle:
Oh come arde nel Vate,
Che i Sepolcri cantò ! che tanto ardio ! —
Nel tuo loco natio
Esecra le malnate
Libidini di Roma avara e folle
Di Giovanni e di Arnaldo
Lo sdegnoso cantore —
E r ingegno ed il core
E la favella Giusti a te simile
Mestamente deride
I vizi dell'età corrotta e vile. —
Teco a parlar s'asside
L'eletto stuol fra l'anime beate. —
O santi spirti — o esempi
Forti in codardi tempi,
O del pensiero martiri, esultate —
Una, libera è Italia —
E al suon de' vostri carmi, e deir Italia
CoU'alma mai non doma
Nostre faremo alfin Venezia e Roma. '
viario Villareale fu professore di lettere italiane nel Liceo V. E.
ilerrao. Scrìsse lodate poesie, che poi raccolse in un volume;
>ccupò sempre di cose dantesche, proponendo un'edizione na-
ie, definitiva, della Divina Commedia.
Qpesu CMXOM coti leggeti a p«gg. 44 e segg. dell'opuscolo pel Centenario, edito
Z90 V. E. di Palermo, già cit.
DiL Bauo. Voi. XIV. 28
434 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXII.
GiovAN Battista Siracusa.
Legge educatrice.
(14 maggio i86s).
Poiché lasciava il natio loco, e il fiume
U* sì irrorò fanciullo, e i noti colli:
Errava muto per estranee ville
Meditando rattissimo poema.
Cantava a ricompor Tire fraterne,
E una legge dettava educatrice
A libertade i posteri più tardi.
Legge divina! A lei si volga audace
L* itala' gioventù, che al par del Vate
Quando più sente la baldanza in core
Brandisca il ferro, e nelle patrie pugne
Sollevi un voto, che il suo sangue fosse
Per la patria versato. E se poltrisce
Negli ozii, apprenda quanto ognor sovrasti
AI facil ozio la virtù sudata,
E forte impari ad apprezzar la vita.
Sol quando accesa dal desio di gloria.
Avvolta nei perigli, oblia se stessa.
Di virtù quella legge ispiratrice
L' italo canto educhi, e al par del Vate
AUor la fantasia l'util cercando
Rivestirà di lusinghevol verso
I più sublimi veri; a quella scola
Ammaestrati mostrerem siccome
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 435
Amor lo spino in noi ferve degli avi —
Ed altri allori cingeranno i vati
Di viril carme, che lo spirto allevi
A virtù vera, e disprezzar sapranno
« Sempre il verso che suona e che non crea »•'
i Tersi coti leggonsi a p«g. 49 I ceo V. E. di Palermo, già cit. Il Siragusa
do pel Centenario, edito dal Li- I era alnnno del primo corso/
43^ POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXIII.
Ignazio Palermo.
Il Poema.
(14 maggio 1865).
Oggi, che arcana possa arde secreta
Degl' Itali nel petto,
Devoti al gran pensiero
Del divino Alighiero,
Prostrati a lui, lo invochiam profeta —
E terso alfine il piànto,
Liberi e senza tema
C ispiriamo nel suo divino canto.
Ogni virtù nudriva
Di santi affetti, or placidi or freojenti,.
II sacro carme, come amor dettava
Nel cor sdegnoso e pio ;
Quasi giustizia che dal ciel deriva,
Librò le colpe de le inique genti,
E, fulmine di Dio,
A le peccata rie lo strai vibrava,
E poi che l'uno inferno e l'altro vide^
Tra dolce melodia sali nel cielo.
Sempre laudando con devoto affetto
La fé, la carità de Tevangelo.
La terra e il ciel tutto spogliò del velo,.
Che ne l'error tenacemente dura,
E, martire del vero,
Ben tetragono a' colpi di ventura
Cantò l'Italia e l'universo intero.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 437
Le sante note, d' immortai vaghezza
Leggiadramente ornate.
Destaro una melode di dolcezza,
Che non raggiunse mai corda di vate ;
Furono altrici e scola
A tele, a marmi, a generosi e santi
Magnanimi pensieri:
Le care arti divine
Vestirò casti affetti, e gli alti veri
Sembianze peregrine:
L'alma sentiva sua virtù secura
Svelando avidamente
I segreti de l'arte e di natura.
Quando neglette ne l'oblio molt'anni
Lascidr gli arcani canti
I pigri figli fervidi idolatri
D'invereconde note allettatrici,
Funesta nube d'infiniti affanni
Copri r italo cielo :
Inaridiva '1 peregrino stelo
D'ogni affetto che al ciel volge la piuma.
Alcun vestigio non lasciava il canto,
Qual fumo in aere od in acqua la schiuma.
E la prostrata madre.
Suggendo a goccia a goccia il vitupero,
Più non amò nel gelido suo core
Intemerata la beltà del vero.
Ma quando a nobil opre accese il core
La patria mia, riscossa
Dal pigro sonno, con invitto ardore
L'asta temprata da la man latina
Brandi sdegnosa, e fu ministra a l' ira
Del divo ingegno la sublime nota.
Allor l'arte, e il pensiero e la favella
Sanu virtù spiraro e santo affetto:
Splendè fulgida e bella
43^ POESIE DI MILLE AUTORI
La pura fiamma, che n'avviva in petto
L'amor, lo sdegno, il fulmine de Tira
Che acceser l'estro a la dantesca lira.
E pur molle di lagrime si lagna
Sul cenere de' martiri adorato
La venerabil madre.
Ahi! che nebbia nemica
Grave sul Tebro e su l'adriatiche onde
Il sospirar l'anelito affaticai
Ma Italia, Italia desolata e mesta
Non piangeranno i vati;
Nova virtù si desta
Ne gì' italici petti al sacro carme ;
I figli la fatidica parola,
Che, come strai, parte da l'arco, e vola,
Ecco già ispira nel fiiror de l'arme.
Fu inferma e vile, or piena di salute
E sapienza e amore e virtute
Anelando nel core,
Italia è già risorta al prisco onore 1 '
' Civetto canto coti leggeti « p^gg. $o 1 dal Liceo V. E. di Palermo, già dt. IL
e Kgg. dell'opuscolo pel Centenario, edito I lenno era alunno del terzo corso.
\
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 439
DCCLXIV.
Salvatore Cocchiara.
Risposta di Dante.
(14 maggio 1865).
Ed è questo il richiamo glorioso
Onde Dante Alighier dopo tant'anni
Di amaro esigilo e di penar doglioso
Firenze rivedrà scarco di affanni ?
Ed è questo il compenso generoso,
Ch'ora si rende a chi sprezzò gì' inganni,
A chi veglie, dolor, fami soffrio
Ad illustrar l'amato suol natio ?
Lungi dall'uom : che venera l'amata
FilosoBa l'avvilimento: un core
Disonesto se l'abbia, a cui spregiata
Corse la vita quasi a malfattore.
Lungi dal difensor della sacrata
Giustizia, lungi l'onta e il disonore
Di chinar, come un vii, la fronte altera
Degli offensori alla codarda schiera.
No, non è questa l'onorata via
Ch'alia patria conduce... altra più degna
Ne additi alcun, che ognor la fama mia
Non piaghi, né all'onor si disconvegna ;
Alior vedrò Firenze, quella ria
Di figli generosi madre indegna:
Tale il ritorno al cittadino errante,
E tal la via, che sol s'addice a Dante.
440
POESIE DI MILLE AUTOIH
E che? lontan dalle materne mura
Contemplar non potrò li rai fulgenti
Del ministro maggior della natura ?
O bearmi del ver tra pene e stenti
Se pria V infamia nell'età futura
Il mio nome non macchi fra le genti?
Sarà l'errar conforto al mio disdegno.
L'esilio che mi è dato onor mi tegno. '
' Qjiette ottave, che alludono aiU sde-
gnosa risposta di Dante alle umilianti con*
disioni che gli ii proponerano per rien-
trare in Firenxe, coti si leggono a pag. 53
dell'opuscolo pel Centenario, edito dal
ceo V. E. di Palermo, gii cit. Il Coech
era alunno del secondo corso.
ì
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 44 1
DCCLXV.
Carmelo Pardi.
Pel Centenario di Dante.
Ode.
(14 maggio 1865).
Ononite raltUdmo Poeta.
L'ombra tua toma ch'era dipartita.
Dunque prevale in nui
Tanto la carità del natio loco,
Che, in questo giorno, in cui
Dall'Alpe estrema all'Isola del foco,
Sovr'l bel fiume d'Arno alla gran villa
Tutti convengon là d'ogni paese,
E come a far ammenda
D' un'ingiustizia grave,
Ogni anima gentile è tutta lieta
D'onorare l'altissimo Poeta?
Io, secondo che in petto
Detta racceso amor del patrio suolo.
Col reverente affetto
Che più non deve a padre alcun figliuolo,
Di tanto onor indegno,
Se a laudarti qui vegno,
O degli altri poeti onore e lume.
Valgami il grande amore
Che m'ha fatto cercar lo tuo volume,
E regga all'arduo voi le inferme piume.
442 POESIE DI MILLE AUTORI
Ve', gran Padre, che trema
Il mio debile ingegno sotto il carco
Del ponderoso tema;
E poiché all'alto uffizio io mi sobbarco,
Tu perdona, se ardito.
Per correr arduo lito,
Con piccioletta barca
Segua il tuo legno che cantando varca,
E prenda, onde il mio dir non sia molesto.
La tua loquela a farci manifesto.
Nell'austero intelletto
Accogliesti del Ben Timagin chiara.
Nel suo vero concetto
Libertade cercando, eh* è si cara;
Ma poi eh* ebber nei cori
Dei cittadin della città partita
Superbia, invidia ed avarizia rea
Le tre faville accese.
Arder vedesti la feroce guerra
Fra quei che un muro ed una fossa serra.
Quindi smarrito il lume
Di sapienza, d' amore e virtute.
Cangiando ognor costume
Credè Fiorenza rinvenir salute;
Mutò legge ed uffici, con sottili
Provvedimenti rinnovando membre
Senza trovar mai posa,
E nel fiero martire
Ti parve somigliante a quella inferma
Che con dar volta suo dolore scherma.
La prisca gloria è spenta,
E le terre d'Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 443
Italia è fatta fella.
Per non esser corretta dallo sprone,
Che renderla potria libera e snella,
E par sia vaga della sua mina.
Fra insane ire di parti, a mal far presta,
Nave senza nocchiero in gran tempesta.
La ricchezza, che ignota
Era ai primi pastori, avida cerca
La gente, che dovrebbe esser divota.
Là dove Cristo tutto di si merca,
Il successor di Piero
Vuol congiunta la spada
Col pastorale; e Y uno e V altro insieme
Per viva forza mal convien che vada.
Per confondere in sé due regni, ahi, Roma
Cade nel fango, e sé brutta e la soma.
Quinci, con giogo alterno.
In veste di pastor lupi rapaci
Sull'alme impongon duplice governo...
Ahi, vendetta di Dio, perchè ti giaci!
Le somme chiavi a lor non fur concesse
Per divenir segnacolo in vessillo
Che contro ai battezzati combattesse;
Mercanteggiar coi regi al mondo è vista
La milizia di Piero, e l'assicura
Di fede invece la comun paura.
E tu severo ingegno.
Librasti in equa lance il bene e il male,
E il tuo sublime sdegno.
Ministrò forza al tuo verso immortale.
Tu, non timido amico
Del vero, in te romito, e senza parte,
Miglior fama cercasti in fra coloro
Che avrian chiamato lo tuo tempo antico;
444 POESIE DI MILLE AUTORI
Però tua voce fatta manifesta
Al secol rio ben parve esser molesta.
E fuor del bello ovile
Ti cacciò in bando il tuo popolo ingiusto.
Con animo virile
Mendicando la vita a frusto a frusto,
Ahi, tu provasti come sa di sale
Lo pane altrui, e come è duro calle
Lo scendere e'I salir per l'altrui scale;
Ma tetragono ai colpi di fortuna.
Posò l'anima tua ferma e sicura.
Sotto l'usbergo del sentirsi pura.
Nullo dolor più vale
Quanto il lasciar ogni cosa diletta;
Ed è questo lo strale
Che l'arco dell'esilio in pria saetta;
Ma tu ben dir potesti,
Com'uom cui coglie immeritata pena:
L' esilio che mi è dato onor mi tegno,
E la tua fronte austera.
Alma sdegnosa, alcun pallor non tinse.
Ma solo un punto fu quel che ti vinse.
Nel cammin della vita
Avesti a fianco, qual fidata scorta.
Una speranza ardita,
Sanar le piaghe ch'hanno Italia morta;
Neir alto Arrigo, che a drizzar Italia
Venne in prima che fosse ella disposta,
Fondator del latino imperio eletto.
Sperasti, o santo petto;
Ma poich' egli fu morto a Buonconvento,
Le tue speranze andaron sparte al vento.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 44$
Cadde Io spirto lasso,
E allor, levando al cielo ambe le palme,
Tu sospirasti basso,
Come dicessi a Dio : d' altro non calme.
Quinci il poema sacro,
Al qual posero mano e cielo e terra,
E che ti fece per tanti macro,
Mostrò ciò che potea la lingua nostra.
Preconizzò la nuova Italia, e il verso
Descrisse fondo a tutto l'universo.
Rinnovellato intanto
Dalla virtù che ti largiva Iddio,
Colei che amasti tanto,
Dal punto ove s' acqueta ogni desio.
Ti apparve entro una nuvola di fiori,
Sovra candido vel cinto d'oliva
E sotto verde manto.
Vestita di color di fiamma viva.
Riverberando un lume consolante
Col raggio delle sue pupille sante.
Nelle superne ruote
Fisse tenea le luci, e tu in lei,
E di lassù rimote
Quinci obliando i tristi danni e rei
La divina virtude in te accogliesti.
Cosi che r ombra del beato regno,
Sul tuo capo segnata, ritraesti.
Nella virtù, che già t' avea trafitto,
Eran le tue pupille intente e quete,
A disbramarsi la decenne sete.
Sei secoli son volti
Dacché alla terra ti mandava Iddio,
Noi, coi pensier rivolti
A te, all'Italia, al tuo terren natio.
44^ POESIE DI MILLE AUTORI
Te lodiamo sovrano
Cantor del trino regno,
Norma e duce degli itali destini.
Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il moto lontana,
O luce e gloria della gente umana.
Ora sei fatto tale
Che la nostra miseria non ti tange;
Ma tu, spirto immortale,
Vieni a vedere la tua Roma che piange
Vedova, e sola, e di e notte chiama :
Cesare mio perchè non mi accompagni ?
E la veneta gente
Che tiene ancor gemente
L' aquila armata con Y ugne grifagne,
Sola cagion per cui da noi si piagne.
Tu guardi, o Padre, e in viso
Balenar veggo d' alma pace un raggio,
E quel sereno riso
Cosi par che mi dica in suo linguaggio :
« Il Veltro caccerà per ogni villa
a L' avara ingorda lupa, e il Vaticano
«Tosto libero fia dall'adultero;
a E alfin Venezia e Roma
« Rinnoverà, come piante novelle,
« L* amor che muove il sole e l'altre stelle. » '
Carmelo Pardi, dell* ordine dei Minimi di san Francesco dì
Paola, nacque il 6 aprile 1822 in Partinico, provincia di Palermo^
e mori ivi il 24 luglio 1875. Fu direttore del Convitto Vittori*
Emanuele e del Ginnasio S. Anna di Palermo, deputato del collegio
di musica, socio dell'Accademia di scienze e lettere di Palermo •
di altri sodalizi letterari. Caldeggiò gli studi danteschi. Li maggio^
parte delle sue poesie furono raccolte negli Scritti vari (Palermc
voi. 3, 1871-73) stampati dal Giornali di Sicilia,
' Quest'ode cosi fu stimpata i pag. 5 ^ e segg. dell'opuscolo pel Centenario, edii*
dal Liceo V. E. di Palermo, già cit«
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
447
DCCLXVI.
G. Casella.
Canto a Dante Alighieri.
(14 maggio 1865).
Una subita voce entro mi suona,
Che muovendo per sé dal cuor profondo
Di te, padre Alighieri, a dir mi sprona;
Di te, cui parrai ogni mortai secondo.
Che di tre stelle, amor, genio e sventura,
Hai senza pari una corona al mondo.
Tu eletta fra Telette aha natura,
Qual il Destin d'un suo segno suggella.
Quando nuovo di cose ordin matura.
Non pur bilustre, in quell'età novella
Che l'alma semplicetta pargoleggia,
Te strinse amor di creatura bella;
Quel forte e puro amor, che signoreggia
L'uom tutto, e si temprar l'animo suole
Che sol degne e gentili opre vagheggia.
Quando natura ingiovanisce, e il sole
Il bel maggio rimena. Ella t'apparve
Nella festa tra i fiori e le carole;
4|8
POESIE DI MILLE AUTORI
E innanzi a quella pargola disparve
Tutto intorno per te: lei sola miri
Che verace di un Dio figlia ti parve/
Che ardenti vision, quanti sospiri
Per la celeste giovinetta! e quante
Trepide gioie e subiti martiri!
Ti fa l'aspetto suo tutto tremante,
E il cerchi ognor; da un atto di quel viso
Hai morte e vita inebriato amante.
E pur dura da lei t'ebbe diviso
Fortuna, e più felice altro mortale,
Non tu, baciava il desiato rìso.
Indi anzi tempo dispiegando l'ale
Ella pur di sua vista sconsolato
Ti lascia, e torna a secolo immortale.
Oh lacrime del cuor quando l'amato
Angiol s'invola!... Ma narrar tu puoi.
Tu sol quanto ti fé' gramo e beato.
E tu ce '1 narri, e degli affetti tuoi
Si pietosa è la stona e si gentile,
Ch'altra del par non fu prima né poi.
Né sol questa ti detta e il dolce stile
Amor; che d'ogni altissimo concetto
Talor Musa é la donna a cuor virile.
Per Beatrice pria nell'intelletto
Ti lampeggiò la Vision sublime
A dirne quel che d' altra unqua fu detto. *
' «Certo dì lei si potea dire quella parola
del poeta Omero: Ella non pare figliuola
d' uomo mortale, ma di Dio. ■ Dante, Vita
Nuova,
^ « Se piacere sarà di coluf , per cui tutte
le cose yìtooo, che U ad* viu per «!•
quanti anni penererì, spero di dir* di lei
quello che mai non fu detto d* alcima. »
rua Nmové,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
449
E il gran poema ordisti ove dall' ime
Parti alle somme, tutto l'universo
Poi ritraevi nell'eterne rime;
Ove in mezzo a quel mondo uno e diverso
Che tal disegni, e di color 1* avviva
SI fieri e gai l'onnipotente verso,
Splende la donna tua cinta d'oliva
Su bianco velo, e sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva.
Fatta è Virtù che l'uom de' santi al Santo
Leva di cielo in cielo. Oh quando mai
Fuor che in itali petti amor può tanto?
La dolce terra, ove del giorno a' rai
Sorgesti, amavi tu di quell' amore
Che ogni altro in nobil cuor vince d'assai;
E farne scempio il cittadin furore
Tu allor miravi, e un popolo fratello
Vibrar la spada del fratello al cuore;
Tiranni ovunque, ogni villan Marcello
Divenir parteggiando, e lulia grama
Non più donna di genti, ma bordello.
Vedova Roma il suo Cesare chiama,
£ piange invan: che tra i suoi colli annida
La Lupa carca d'ogni ingorda brama;
Onde guasto il Pastor disvia, non guida,
E la spada s'usurpa, e delle genti
Il dritto calca, e la ragion disfida.
Padre Alighier, con che occhi dolenti
Contempli lo spettacol miserando!
Qual magnanima in petto ira ne sentii
D«t B^xo. Voi. XIV. 39
450 POESIE DI MILLE AUTORI
E a cessarlo ti adopri: odio nefando
Su te quindi e calunnia, e premio indegno
Di tuo buon zelo e d'innocenza, il bando.
Divelto, ahimè! da ogni più caro pegno.
Mendico va per l'itale contrade
Il più integro, il più alto italo ingegno.
Ma sull'anime eccelse indamo cade
Implacato il martel della sventura;
Che anzi le tempra in af61ate spade,
SI che vizio e viltade anco in altura
Ferir ben san, far dell'ingiusto emenda.
Sfolgorar lungi nell'età futura.
Guai chi la tua sfidava ira tremenda.
Cui pur alta giustizia è freno e cote;
Par ch'ella uguale a fulmine discenda.
Che le più alte cime più percote;
Qual Dio che scrive nel volume etemo
Cotal tu incidi adamantine note.
Dischiudi a posu tua cielo ed inferno,
E siedi giustizier sopra lo scanno.
Che a te cedeva il Giudice superno;
Genti infinite dinanzi ti vanno.
Ciascuno in tuo saver giudichi e mandi,
E là dove gli lochi eterni sunno.
Cosi infami i malvagi, e venerandi
I buon si fanno, e grande insegnamento
Tu, fiero vate, ai secoli tramandi.
E sebben V alto cittadino intento
Più ognor ti volge a Italia, e più s' accende
E più suona per lei dal cuor i' accento.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. .) ) I
Il tuo vasto pensiero ohm si stende,
Si che ogai gente ed ogni etade abbraccia;
Anzi il mortai confine anco trascende,
E mostra come V uomo altro si faccia,
E per etema via, siccome è degno,
Proceda ognor del suo principio in traccia.
Né già eri pur tu lungi dal segno.
Ove a correr quel mar dell* infinito
Altre vele il mortai mette al suo legno;
E talor forse là di Chiassi al liio
Per la pineta solitario errando.
Quando annunzia la squilla il di compito.
Tutto in te chiuso andavi ripensando.
Le tue gioie si brevi, i lunghi affanni.
Tanta speme delusa, e il come e il quando.
Cessate V onte e vendicati i danni
Della patria sperasti, e in seno a Flora
Tornar poeta, e stanco chiuder gli anni;
Ed ecco d' ogni ben più nuda ognora
Italia farsi, e vedovo il suo cielo
Già pur d' un sole, or del secondo ancora ; '
E ornai riposo del mortai tuo velo
Ravenna fìa» né l'ultimo respiro
Al tosco aer darà lo spirto anelo.
' Si è tentAto qui di significare quei
pensieri, che TcritimUnieate doveano toI*
latrai per la oMmu di Dante nello scorcio
^t san v.ta, qaando già da alcuni anni la
^Mda poatificak tn tuu trasferita In Avi-
[giioaa. È noto come per lui i due Soli di
Soan • d' lulU fiMMTO 1* Imperatore e il
Pontefice, l'uno nell'ordine doli* cose tem-
porali, l'altro delle spirituali :
Soleva Roma che il buon mondo feo
Due soli aver, che l'una e l'altra straJa
Facean vedere, e del mondo e di Deo.
Pmrg. XVI.
()2 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma tu vivesti; e un monumento miro
Leghi air età futura, ove perenne
Vive il pensiero tuo, vive il tuo spiro.
E come quel di Dio, che di sue penne
Covò la notte dell'abisso informe,
E fé' che a luce e ad armonia ne venne ;
Tal deir uomo lo spirto deiforme
Nel buio dell' età feconda il vero,
E suscita la vita ove pria dorme.
Forse avverrà che un di dal tuo pensiero
Rinasca Italia. — E Italia oggi rinasce
Per te, che fosti a lei senno primiero.
Come il Lucifer tuo, che in nove fasce
L' abisso ha intomo, e d' ogni parte i pesi
Dell' universo premonlo in ambasce.
Si stava Italia; e a fabbricarle intesi
Tai ceppi i figli fur della rapina
In lei dai boreali antri discesi.
Dal lungo sonno la Ragion latina.
Che tua scorta invocavi, alfin ridesta,
Quel barbarico inferno urta e ruina;
Si che redenta e bella alza la testa
La gran Donna, e d' acciar tutta lucente
Già squassa al vento la guerriera cresta ;
E spada ha nella man, che orribilmente
Balena in viso agli oppressori, e luce
Manda di speme ad ogni oppressa gente.
E più tema e conforto insieme adduce
Dove anco accampa il teutono predone.
Non so ben dir qual più se avido o truce ;.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. .\^]
Dove a minaccia il mesto atto compone
La regina dell'Adria, e senza posa
Dd gemiti e ruggiti il suo leone.
Indi del Tebro imperiai la sposa
S* allegra, e il fatai Veltro attender pare,
Che da lei cacci la gran Lupa annosa ;
Sì che là si raccenda il focolare
Dell' itala famiglia, ove da pria
Ebbe r ausonia Vesta il santo altare. '
Ben è ragion se tua città natia,
Ora in ammenda dell' antico oltraggio,
Festa t' indice, che gioiosa e pia
Ogn' evo innoverà, quando col maggio
« Quegli che è padre d' ogni mortai vita
Radduce il tuo natale, inclito Saggio ; »
E la marmorea tua forma scolpita
Custode al tempio loca, ove si serba
Cotanta gloria dal tuo fonte uscita.
Tu a fatti egregi ogni memoria acerba
Fa sprone, Italia, ora che il fato hai destro ;
Qualunque speme tua non è superba
Auspice TAlighier duce e maestro. '
Giacinto Casella nacque a Filéttole, nella provincia di Pisa, il
^ 2 settembre 1817. Fatte le scuole elemeniari nel paesello natio, a
«^ odici anni entrò nel seminario di Santa Caterina di Pisa. 1 suoi
^^ro^ressi furono rapidi e notevoli, avendo egli la febbre del sapere.
-^^ sedici aveva tradotto, per esercìzio, la battaglia del quarto libro
' Cicerone cU«inò l*«lure di Vesta puh- I 1 3 in un opuscolo in-8 col titolo Canio a
^^Uo fotohrt. • VirgiBM Vesulet in urbe ; DanU Aìi^huri di G. CaselU, con un dì-
^%aftlodiuntigntmibcipiiblici lempiteraum.» j «corso intorno alla forma alle^orica e alla
^"Ifcf Sjtg, a, 8» I principale allei;;orla della Divina Commedia.
' Qpetto auuo cori li legge a pegg* 3- i Firenze, tip. G. Barbera, 180$.
4)4
POESIE DI MILLE AUTORI
MV Iliad^j quando andò a visitare il collegio quel Mancini «celebre
maldicente di tutti i grandi poeti d*allora, e perciò castigato meri-
tamente dagli acerbi versi del Giusti. I maestri gli presenurono il
giovanetto, e l'implacabile ^/>ijE^ramwiafo gli donò la propria versione
óqW Iliade, e scrisse sulla copertina che avrebbe volentieri barattato
le proprie ottave con quelle del poeta adolescente. » '
Terminati gli studi, fu eletto maestro, dove era stato discepolo;
poi passò ad insegnar lettere nelle scuole comanali di S. Michele,
dove ebbe tra gli ahri allievi, Alessandro d'Ancona, la cui altezza
di ingegno è pari alla bontà dell'animo, Gustavo Milani, divenuto
fisico distinto, il Franchetti, poi valente grecista, e 11 Bombini e il
Del Beccàro.
Molto avrebbe fatto il Casella, se, tra i ventidue e i ventitre anni,
non fosse stato preso da una grave malattia agli occhi, la quale, se
non gli impedì di continuare i suoi studi, lo tenne sempre in una
gran malinconia. Pensava che, alla lunga, avrebbe potuto rimaner
privo della vista. Ciò era per lui un'ossessione, per cui, tutto chiuso
nei suoi studi, fu noncurante del mondo e della fama che spesso è
usurpata dai più turbolenti e procaccianti.
Dopo quindici anni di insegnamento, per i bnooi uffici del Bo-
naini, fu eletto accademico della Crusca, e uno dei compilatori del
dizionario. La sua opera diligente, minuu, sapiente giovò non poco
alla formazione di quel lavoro.
Nel 1865, insieme col canto per Dante, pubblicò un suo discorso
intorno alla Forma allegorica e alla principale alUfforia àdla Divina
Commedia. È una dissenazione di poco più di venti pagine « ma
che, a giudizio di molti intelligenti » scrive il D'Ancona, a è quanto
di meglio siasi detto in così trito argomento. Voleva egli, così mi
disse quando lo rividi l'ultima volta, ritornar sul soggetto, allargan-
dolo: ma quel breve saggio serve a mostrare com'egli sapesse sicu-
ramente penetrare nel fondo dell'arte dantesca.
« Dopo aver determinato il proprio carattere dell' allegoria nel
poema sacro, e detto com'essa scenda via via dall'astrattezza mag-
giore a più particolare specificazione e quindi all'individuazione, e
risalga poi indietro, pei medesimi gradi, all'idea somma delle cose,
il Casella prende a dichiarare più specialmente il significato della
selva e delle tre belve; e rifacendo il processo stesso tenuto dalla
mente e dall'arte dell'autore, scorge simboli generalissimi ed astratti,
e significazioni sempre più particolari e concrete. Così, ad esempio,
rispetto alle tre fiere non esclude che la lonza simboleggi Firenze,
' Vedi a p«g. sx, toI. I, notizi* biogra-
fica di G.CuelU scritt* dalU TedoTi Eleo-
nora Ghexzi-CucU* in : Oftrt editt i fo-
fhum di GUdoto CtMlU. già •ceadMoko
della Cnascft, Firaut, tip. Berbera, 18S4,
dot mi, in-ié.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. [>>
e il leone la Casa dì Francia, e la lupa la Curia romana, ma, dalle
idee politiche ascendendo alle morali, vede nelle tre belve adom-
brati soprattutto tre vizi; e qui separandosi dalla comune degli in-
terpreti moralizzanti, e giovandosi dell'etica dantesca e delle tripar-
tizione dell* inferno, nella lonza riconosce non giù la libidine, ma la
frode;' nel leone non già la superbia, ma la violenza; nella lupa non
Favarìzia, ma l'incontinenza: e queste sue opinioni prova con molta
acutezza di ragionamenti e copia di raffronti tolti da tutto il poema. » '
Sono anche eccellenti studi critici quelli sul Guarini e sul-
TArìosto, che ei scrìsse per la BihlioUca diamanti Barbèra. Kè si
dimentichi un breve paragone tra la Divina Commedia e il Fausto
del Goethe a proposito di due quadri di Carlo Vogel di Vogelstein.
Le sue traduzioni del Pellógrinaggio dtl giovine ArolJo e di tutte le
elegie di Properzio sono mirabili. Esse videro la luce dopo la sua
morte, avvenuta nel gennaio del 1880. Ad esse aveva dato T ultima
mano, quando, nel 1874, avendo preso il riposo, divenuto quasi del
ttutto cieco, si era ritirato nella solitudine delia campagna, confortato
dalle amorose cure di sua moglie, la quale fu la sua diligente ama-
nuense, impareggiabile infermiera e collaboratrice ad un tempo.
Povero Casella, il suo intelletto non ebbe rivale se non nella sua
modestia !
' Vedi Tol. I, p«g^« x-xi, PrefuioiM d«lU Open tditi t pcttmm» del Otseila, ediz.
456 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXVII.
Paolo Garelli.
Vita oi Dante Alighieri.
Terze rime
dedicate a francesco petrarca
(14 maggio i86s).
Canto I.
Alma Italia | contrada ospitale a Saturno | figlia di Venere e
Marte | che splendi in terra ed in cielo | non rifiutare | I* offerta del
canto natalìzio | di quell'eccelso Vate | fondatore della novella ci-
viltà I eh* estese la tua nominanza | ancora nell* universo.
Nel sesto centenario d' una vita
Celebre si, che disprezzò la morte,
A ragionare ancor secolo invita.
Anch' io direi, s* avessi avuto in sorte
Dono di versi e di cospicue rime,
Ch' alla sapienza V uom fanno consorte,
Con verità del vivere sublime.
Che seguitò queirAldigherio Dante,
Che sorpassò del Pindo le due cime :
Ma r umil mia parola a quelle sante
Muse si volge, e di soccorso prega
Neir opra omai cosi fatta gigante.
O sommo Apollo, cui la mente spiega
Del nostro Globo il movimento eterno.
Deh ! pure a me la tua virtù non nega.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 4>7
Ch' i' segni il nascimento : il dolce interno
Amore: il sentier fatale aperto
D'esiglio: di poesia quanto discerno:
La bruna morte : Y immortai suo serto.
Deh! Tu, eh' a gara n' inclinasti tanto
Dei Vati al ramo, che ti venne offerto
Dalla Senna e dal Tebro in darti vanto,
Epico magno e lirico Cantore,
Sicché '1 tuo metro è caro, casto e santo.
Nelle due lingue dell' Italia onore.
Accogli in dono le mìe rime nuove.
Che nel variato stil denno vigore
Per quanto ispirò '1 Ciel, che tutto muove
Dand' alma al mondo, dove Tu d' intorno
La religione universal, eh' è dove
Vive il gran Padre genitor del giorno,
Traggi di pace e vera ed una e pura,
Che r umana famiglia ha un sol soggiorno.
Sulla riviera d'Arno per ventura
Del Romano Fiorin nella Cittade
Dal latin sangue venne senza usura
Lo splendor dell' Italia, e d' ogni etade,
Che di saper quasi datore al nK)ndo
Alma luce portò per dar non rade
Riprove d' un esempio assai profondo,
Ch' Italia scosse, e risvegliò 1' antica
Natia fierezza del genio fecondo
Di quella fede nazionale amica,
Ch' ebbe, ha, ed avrà e norma e guida
A fugar tirannia empia nemica
458 POESIE DI MILLE AUTORI
Ud manto, un scettro, per onde confida
La sorte delle esperiche vedute,
Che r aspettata stella par eh' arrìda.
Ne' Frangiapane scese di virtute
Adorni, e ricchi di Castella e Loggia»
Ch' UQ Arco indennità dava e salute.
In Eliseo cangiò lor nome in foggia
Fregiando meglio '1 seme di vittoria,
Ch' in Aldighier di poi si alto poggia.
Era r anno volgar d' orientai storia
Sessanta quattro sul mille dugento,
Quand'incarnò l' immortai nostra gloria.
Visione parve grave d* argomento
All' inclita Matrona singolare
Disvelatrice a cosi gran portento.
D' una fresca sorgente parve stare
Giacente in riva a pie d' un alto alloro
E partorir fanciul di forme rare,
Che di cadenti bacche a suo lavoro
Pascersi sempre e sempre di più lieto,
Se dissetando al fonte, eh* è un tesoro.
Da cibo nutricato quieto, quieto
Cresceva poscia assai leggiadro e fiero,
Libero e forte per alto decreto.
Pastore divenla, e di quel vero
Albor ambiva e vagheggiava foglia.
Per la corona e sentimento altero.
Poi non giungeva ad appagar la voglia,
Per quanto quella si sforzasse avere,
E cadea innanzi della verde soglia,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 459
Mentre la madre attendea di vedere
Levato il figlio, non già lui, ma vide
Sorgere un Pavon, che dea piacere.
La donna allor maravigliando ancide
Riscossa il sonno, ed a memoria espone
Quanto la mente dal mattin previde.
Qual mai congiunto potè aver ragione
Intorno a tanto e mistico presagio.
Che di lucubrazion n' era cagione ?
Ma come quei, che vede un bel palagio
Da lungi, e le sue linee son confuse.
Sicché patisce per distar disagio,
Cosi nella incertezza n' eran chiuse
Le vere conoscenze del destino
Svelate ai fidi delle sole Muse.
Venere fors* era, eh' al divino
Consorte Anchise n' elargì il coraggio,
Che fu conforto del duro cammino.
Dall' Una ed Altro poi Y Eneide Raggio
Neir Egeo si sovvenne col futuro
Per guida e speme del Latin Retaggio.
S* a molti parve quel concetto oscuro,
A' filosofi no, perchè lor sanno
Che maggior enti porgono sicuro
Indizio sui minor, i quali stanno
A ricever virtù, e queir infusa
Volontà intema, per la qual si fanno
L' attitudini umane. Ahi ! mal s' accusa
Natura e previdenza, perchè siamo
Una generazion molto confusa.
460 POESIE DI MILLE AUTORI
Siamo di duro cuor, perchè da Adamo
Smarrita nostra Madre e '1 nostro Marte
Andiamo torti nel nuovo richiamo.
Che contrario al paese a parte a parte
Disvia dal retto, ed imbroglia la mente.
Che non è dato vedere con arte.
Miseri noi, ed è cosa spiacente
Udire, udire ciancie inconcludenti
Per illudere il mondo sottilmente,
Per estorcer moneta, e macilenti
Rendere i figli ed ingannando altrui
Provvedere ai tiranni lauti argenti.
Se pena fosse dentro i regni bui
A tal delitto, che 1' uomo tormenta,
Dovrebber relegarsi questi fui.
Il Cielo omai avea già fatta attenta
La genitrice intomo del natale
Del favorito, e la rendea contenta;
Perchè V alloro è lo studio immortale,
E r affezion dell' essenza divina.
Senza la quale tutto quanto è frale.
La bacca mostra il metro, a cui s'inchina
Uomo e Celeste per ricever grido,
Come se V ebbe la terra Latina ;
Che se ben si nutrica uccello al nido.
Cresce con quel vigor tanto perfetto.
Da sostenersi al voi, eh' anch' io mi fido.
La fontana dimostra all' umor schietto
Il puro senso di Filosofia,
Con la qual si conduce l'intelletto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 46 1
E come il cibo, che nel petto stia
Di bevanda abbisogna ed una e pretta,
Che lo disponga al sangue alia sua via.
Cosi la scienza, cui ragione aspetta
Dalla filosofia norma riceve
Per reggersi col genio, che n' alletta.
La caduta avvertia ch'avrebbe breve
Essere in patria, che da' brutti piedi
Levato si sarebbe, come deve
Sorgere il meritcvol di mercedi.
Che con cent' occhi meglio si riadorna,
Qual la Saturnia in aria, s' arco vedi
Dentro la pioggia, dove ben soggiorna
Trasparente color, nel cui riguardo,
Ch* a serenante di segno ritorna,
Fuggon le nubi, e '1 Sol torna gagliardo.
Questi voller le Muse eh' ammaestrasse
Portandol seco con diletto sguardo,
Perchè civile '1 mondo ancor tornasse.
Canto IL
Illustre Firenze | non sdegnare la dedica | del canto d* amore |
da cui germogliarono | gli affetti immortali del Vate | che per vo-
lere dei fati I vide la luce nel tuo grembo | fatto grande | nel nome
delle aspirazioni | del sangue latino.
Ogni puerilità comune al volgo
Il nostro Dante cacciò tosto in bando,
E con Io studio, per lo qual i' colgo
Le brevi rime i versi esercitando,
Tant'applicossi all'arti liberali.
Che venne esperto, e meglio seguitando
462 POESIE DI MILLE AUTORI
Ripudiò *\ lucro, e si volse a' reali
Distinti fregi della lingua eterna.
Che con l'acute discipline Tali
Segui de' Vati a diva gloria intema.
Già co' famosi famigliar divenne.
Che con la mente ornai tutto governa.
Ser Brunetto Latini lo sostenne
Nel cammin vago, eh' in principio è duro,
E sotto l'astro favorito il tenne
Insegnando la via d'andar sicuro
Sul monte in odio agl'ignoranti soli.
Cui lor felicità par nello scuro
Di putrida mollezza, ond' i figliuoli
Mal vegetando seminan la peste
Della misera Patria in falsi voli.
Il Nostro nell'amor, ch'anima investe
Al vero, al bello, ad altra mèta corse.
Ed oltre all'Appennino manifeste
Udì pure le scienze, che trascorse.
Né di ciò paga l'avida gran mente.
Con pene acerbe e con disagio forse
In alta età anco la Senna '1 sente
Filosofar, che detto fu maestro
Con titoli d'onor molto lucente.
Ch'espositore in Teologia e destro
In ogni idea concreta, astratta e grande
Tutt' il ciel vide con Torbe terrcstro.
Rimontando all'ardor, eh' il core spande
Per volontà di Dio nell'aver lode
Ed offerte di fiori e di ghirlande.
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 463
Dico ch'alia Cini del nostro Prode,
Tosto che giunge la bella stagione.
Cui porta madre Maja, che ne gode,
Ciascun festeggi, e di gioia cagione
Sien gli seffiri calmi, e dolci, e grati,
Per cui l'anima s'apre alle persone,
E quanto aflfetto s'ebbe da' beati
Regni si manifesta a' cari amici
Cercando apertamente nei creati
Corrispondenze angeliche e felici,
Provando in cor quel sentimento arcano
Ch'intender non si può, eh' a' Beatrici.
Il ragionar di più fia sempre vano.
Se non con vergin, cui Natura e Dio
Ci ponga a lato d'invisibil mano.
Quest'è quel primo tempo di disio,
Nel qual V Eterno n'ordinò le cose
Levandole dal seno dell'oblio.
Quando Sol mosse, dentro cui dispose
Di attrar le stelle a repulsione erranti.
Onde leggi creò tutte amorose,
Sicché tornando primavera, in canti
Ecco s'allegra con il ciel la terra,
E s'ispira la fede delli amanti,
Quasi ci avverta Dio di odiar la guerra.
Morte di società, vita di pene.
U' t'empio s'alza, ed il miglior s'atterra.
Ridon l'erbette e i fior alle serene
Aurette vive, e mormoran le fonti,
A cui l'onda d'argento più conviene.
464 POESIE DI MILLE AUTORI
Le selve si fan liete, e sopra i monti
Ritorna '1 verde che distrugge il verno:
Gli alberi a germogliar ecco son pronti.
In tanto moto universale, eterno
Nel primo del bel maggio dava prova
Di convito un Signor, non già moderno.
Dove la signoria non si ritrova,
Che d'avarizia e d'empia invidia piena.
Sicché scansarla spesse volte giova.
Tra varii dei vicini in sì serena
Stagione di diletti e di piaceri
Seguiva il padre il nostro Dante appena
Sull'età del nono anno volontieri.
Perchè si corre a varietà cercando
Disvago all'occhio per mutar pensieri.
Con altri dell'età sua trastullando
Mirò tra questi una cara e vezzosa
Àmabil fanciuUetta, cui guardando
Una e più volte a lui comparve cosa
Sopra di quante avesse visto mai
Di piacevole aspetto ed amorosa.
Di detti rari e non vani giammai
Cadeva nell'error d'altre bambine,
E movea, caste stelle, i dolci rai.
Certo di forme tali alme divine
Ebb'io larghezza al ciel senza misura
In quella, ch*a me pur ruppe '1 confine
Della mia pace per Colei, che fura
I primi e puri con i più perfetti.
Sicché '1 ben fugge, e regna la sventura.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 46$
Con affezione molta e con diletti,
Ricevendo nell'anima tal forma
I sospiri d'amor senti perfetti,
Che tempo mai non cancellò quell'orma,
Ma lo desiar l'amata tanto crebbe,
Che delle aspirazion la fé' sua norma.
Qual mai simile amor non loderebbe.
Se casto^ onesto d'ambedue le parti
Lasciò Lachesi, a cui vittoria increbbe?
Non sguardi, non parole o cenni od arti.
Se non di grazie in atti dolci e cari,
Che gli vedresti ancor senza saziarti.
Ripreso da Costei, eh' i famigliari
Nominar Bice, ma eh* al nome stimo
Beata disse, perchè '1 mondo impari.
S'aperse al petto, e ridestossi il primo.
Unito a scienza, eh' a comporre '1 trasse.
Genio di rime nei fioretti opimo.
Che per l'eccelsa donna sua gustasse.
Nel qual sommo maestro Amor lo spinse.
Che tolto ad altri il serto a sé serbasse.
Ferito dall'amor la cetra strinse.
Ch'emise l'opinion ch'in avvenire
Meglio di lui non s'avanzasse, e vinse.
E lagrime e sospiri, cui ridire
Altri potrebbe per Colei, eh' ingrada
Con palpiti si spessì da morire
Eran destino, eh' è d'amor la strada.
Che lunga pena, che passione rende
Ed aspra e fone, ch'il sospiro aggrada
I>u Balio. VoL XIV. 30
466 POESIE DI MILLE AUTORI
Al Garzon crudo» ch'alle doglie attende.
Che serio e macilente neir idea
Ogni tormento Tamator comprende.
S' a questo ancora d'una luce rea
Non era soddisfatta empia fortuna.
Un altro danno da lei procedei;
Che sul quarto vigesimo la bruna
Àtropo die lo colpo più crudele
Tagliando stame senza pietà alcuna
Dell'amata diletta, che fedele
Dimostrò che si vuol Genio infelice
Ramingo, oppresso d'angoscia e di fiele.
Senza conforto perduta Beatrice
Tenne chiuse le luci umide al sole,
E la lingua all'altrui consolatrice.
Povero Dante, che son le parole
Nell'acerbo dolor dell'ora amara.
Dove non canti, ma pianto ci vuole?
Ahi! l'umana famiglia forse impara.^
Ahi spensierata, e senza cognizione
Non ode, se non vede la sua bara.
Per il difetto a nostra educazione.
Canto III.
Nobile Verona | città chiara e generosa | accetta in don«
canto del crudele esilio | immeritevolmente offerto | dal sacro V
a cui desti ricovero | ospitalità e soccorso | nei supremi momt
d'una sventurata esistenza.
Ah! fia chi canti che gli amici suoi.
Perchè cacciasse dalla mente quella,
Ond'arse ed arde sempre fino a noi
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 467
In terra, in Cielo, u' se ne sta più* bella.
Gli offiìsser donna, ed inclinando '1 mesto
Dante d'Imene parve la facella.
Se lodevole fu pel fine onesto
Il bel consiglio, partorì pensieri,
E battaglie domestiche e dissesto.
I lavoranti, i ricchi, i cavalieri
Son per le femminette, e non i dotti.
Ch'ai poetic'amor fansi scudieri.
Taccio lo slancio, per lo qual condotti
A sovvenir la Patria nei perigli
Volontier siam, anco spregiati e rotti.
Né di questo nessun si maravigli,
Avvegnaché a* nostri di vediamo
L'usurpazione dell'avidi artigli.
II nostro Dante, ch'oggi si lodiamo
Provossi nelle parti in Campaldino
In mezzo al tristo e reo seme di Adamo.
E là die del suo braccio il peregrino
Esempio nel pugnar forte ed ardito,
Che nella zuffa superò il destino.
Con Lucchesi n'andò contro del sito
Di Pisa si, che riportò vittoria,
Ch'il Castel di Caprona fu ghermito.
Già l'alma altera d'alcuna memoria
Cui nulla calse dì cure reali
S'invaghì degli onor d'incerta gloria,
U' morte alberga con immensi mali.
Sicché '1 governo del pubblico uffizio,
Ch'in lui fidava le cose mortali
468 POESIE DI MILLE AUTORI
Ruinando il trasse dal natale ospizio,
E vota pompa ed invidia molesta
Con l'avarizia e di superbia il vizio
In esilio lo spinser con tempesta
Nell'ampio mar, dove perisce oppresso
Il leal partito della patria onesta;
Che a pochi è dato superar d'appresso
La bufera terribile e lo scoglio,
Dove l'uom perde nell'oblio se stesso.
Oh! Giustizia a raffrenar l'orgoglio
De' despoti feroci e minaccianti
I buoni forse salvi pel tuo soglio;
Che tra le selve dell'esiglio erranti
Ne guidi e reggi il senno ed il consiglio.
Che sia di luce e norma intorno a quanti
Senton l'aflFetto in cor d'un patrio giglio,
Che nel palpito ardito e franco e forte
Mutan in ben le pene dell'esiglio.
La terra nazional fugge la morte:
La corona d'allor cinge la fronte:
Rinascon fiori dall'empie ritorte.
Quanto sia vero il suon delle mie pronte
Parole Io dimostra il nostro Vate,
Al quale Iddio largì le cose conte.
E' lasciando in crudel necessitate
La moglie e i figli in grembo alla fortuna
Toscana corse in vicende variate,
E l'Eridania senza scorta alcuna,
U' povertà più lo sdegnò nel petto,
Che la vendetta non restò digiuna.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 469
A Verona ricorse nell'aspetto
Del Gran Lombardo, che portò la Scala»
E sovvenuto fu con grand'affetto.
In Casentino errò» e sotto l'ala
Di Salvatico Conte riparossi»
Signor, con cui si monta e non si cala.
Passò variando e monti e piani e fossi
Da Malaspina Morello Marchese
Gareggiando ambedui da valor mossi/
L'uno di fama e l'altro delle spese.
Lasciando Lunigiana molto visse
Con quel della Faggiuola si cortese
Vicino a Urbino, dove tanto disse.
Indi a Bologna, a Padova, a Verona
Alternando Io studio molto scrisse.
La bramosia d'impardr, che sprona,
L'indusse a meditar, perchè lontana
La speranza d'italica corona.
E' colse riparando alla fontana
Della sapienza, e restituì '1 perduto
Tempo a Filosofia con mente sana.
Non si stette cosi pertanto muto,
Ma pensando alla Patria ritentava
Di Luzinbur l'Arrigo, che perduto
Vedendol nell'impresa lo destava
Ad esser magno, e d'alta fama cinto:
Ma quel trattando in molto declinava.
D'onde fu pria battuto e poscia vinto.
Che cosi tocca a chi dispregia il saggio.
Che vede il vero ben chiaro e distinto.
470 POESIE DI MILLE AUTORI
Chi mai potrà tacer di dare omaggio
Al magnanimo largo Cavaliere
Di Ravenna Signor d'alto retaggio.
Che Dante ricevè con quel dovere,
Che merita virtù perseguitau
Per toglierla da false a cose vere?
O Novel Guido da Polenta nata
Certo tua gente fu dal gentil seme,
E da qualche Deità forse informata;
Che mai non vidi tanto unite insieme
Cortesia, civiltà, eh' anch' io ringrazio.
Che la tua gloria un emulo non teme.
La generosità per lungo spazio
Vive, e vivrà, e sempre più famosa,
E fia vergogna, a chi non è mai sazio
Dell' empia iniquità, in cui si posa
Queir arbitro, eh' è mal dell'orbe tutto.
Cosa in vero a dirsi dolorosa.
Ma la virtù deve aver lode e frutto,
Mentre eh' il vizio ogni castigo merta,
Finché non sia diviso e poi distrutto.
Tra molte cose buone quanto è certa
Quella Poesia, che flagella e loda
Senza misericordia alla scoverta !
Il Sommo Nostro, che tutto disnoda
Terribilmente condannando infama
E disvela le trame d'ogni froda:
Ma dove pare, e scorge d* onor brama
Per giungere a virtù pura e distinta
Senza altro porge e dona lunga fama.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 47 <
Mi spiace ritoccar con simil tinta
Alcuna fiata i' umil mio quaderno.
Ma sento in odio la gente dipinta.
Amo sinceriti fin nel governo:
Desidero la pace e Y armonia :
Vorrei riconoscenza nell'eterno.
So di quanto mai danno se ne sia
La politica ingrata dei malanni,
Che dal me' seguitar l'anime svia.
So quante rovine e quanti affanni
Sostenne Grecia, Roma, e la mal ferma
Italia, eh' ancor sente acerbi danni,
Sicché prolunga a vivere da inferma.
CANTO IV.
Poetica Mantova | genitrice del cigno nazionale | Virgilio Ma-
*"*^'Kie I patria del sentimentale Bordello | deh sii favorevole | umilian-
***^^i a ricevere il canto | dell* italica tromba | del dantesco valore |
^We di cuore e d* anima | ti consacro.
Vago di gloria e di solidi onori,
Siccome esser dovrian i Cittadini,
Amò poesia per aver splendori
D' una Corona di rami divini,
Qual vagheggiava in grembo alla sua Fiora,
E ricusava offerta dai vicini.
Da cui aveva avuto certo ancora
"' Venerazione pel concetto ambito:
Ma morte non rispetta la dimora,
E per lo lungo esiglio fu tradito.
Sicché spirò con la speranza in petto,
Ch' il resse, eh' e' non fu vinto e smarrito.
472 POESIE DI MILLE AUTÓRI
Ma se il mal fiore rifiutò l'aspetto
Per rodio al magno poetico laureto,
Italia, Europa, e'I mondo del difetto
Per lo riparo senza alcun decreto,
E sul gran capo d' ogni scienza carco
Depose serto ad ogni secol lieto.
L' invidiosa città tendeva al varco
Per acchiappare e strugger le mondizie.
Che di lordure parve l'Arno scarco.
Per dare un saggio delle sue primizie
Ad A:^:^oìin, e a Nericoz^o Uberti
Troncò la testa per recar delizie.
E ricompense a' gran servigi aperti
Del padre Farinata, che difese
Sodisfacendo con Fiorin scoperti.
Nericozzo al fratel, che lo richiese
N' andiamo a risaldar un grave antico
Debito, che da' padri a noi s'estese.
Poi discacciò per lo mondo smarrito
Il nobil seme, cui mancava schermo,
Ch' in Damasco spirò bene ammonito.
Oggi altra gente per lo Stato infermo
Ahi! simil vive, e simile s' ispira
A tai prodezze e molto ritien fermo.
Maledetta sii tu infame e dira
Sementa di delitti, che dal seno
Schianti gli affetti per riporvi l'ira.
Dall' alto scesa per V ampio sereno
Divinità, levossi un culto, un tempio,
E perchè mai non ne venisse meno
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 473
O muto Stasse ad altri scorno e scempio,
Parve mestier che di parole magne
Con regola e misura in raro esempio
Si dettasser le lodi lor compagne
Lusingando, encomiando in vario modo
Quanto per gioia s' ha, quanto si piagne,
Onde vennero i vati, e muse, ch'odo.
Che celebrando e cantando le feste
S' avvinser V alme col celeste nodo.
Il Tiranno cosi n' usurpò veste
Per dominare i popoli credenti,
Ed intese eh' a lui Vati scriveste.
V umane stragi fur pinte alle genti
Con color vario ritorcendo il vero
E '1 campo ingrato con fiori ridenti;
Che senza Poeti mal si resse impero:
Né furon gesta già mai memorate,
Né falso udito, né parlar sincero.
Allor parver le Muse alme create,
E rispettato, e poi temuto il Dio
Che dal Castalio monte ha potestate.
Gli Eroi ebbe in custodia il nostro D/o,
Le battaglie, le leggi, Talte imprese,
E della civiltà fu fatto il Dio.
Ogni seguace seco lui si rese
Di vittoria signor nel senso umano,
Com* altro Imperator d'armi distese,
Sicché per compensar con larga mano
Il braccio, e '1 genio, verso d'amendue
Si scelse il Lauro Omerico Sovrano,
474 POESIE DI MILLE AUTORI
Che inai non lascia delle frodi sue
Il vivo verde, che diletta e piace,
Perchè disiato dalli etemi fue.
Nulla paventa il Poeta; non dispiace.
Se colpisce, se loda, né cancella
Un metro il tempo, che con altri face.
Dante alla scorta di cotanta stella
Segna de' giorni suoi l'applicazione,
E se la svolge con nuova favella.
Punto dal duolo armando la ragione
A vendicar le offese con l'oltraggio
Volle sua gloria, e V altrui punizione.
Era r età, che riordinava il viaggio
Delle misere vittime di morte
Dentro V ideale, che frange '1 coraggio.
Ecco già Dante ardimentoso e forte
Investirsi d'idee dell'artifizio,
E le soglie varcar d'eterne porte;
Che retro al Cigno del maggiore indizio.
Che porta Numi sotto le grandi ali,
Si slanciò dentro del novello ospizio.
Ordinò con ragion futuri mali:
Argomentò potersi fare emenda:
I buoni munerar con gli immortali,
Dove improntò eh' a secoli risplenda
La virtù, il vizio, di cotal parola
Senza nulla pietà, eh' il mondo intenda.
Fissò i pensier con l' arte d' una scuola
E somma e nova e con variata forma,
Ch' ancor la civiltà si riconsola.
INTORNO A DAJ4TE ALIGHIERI. -175
Dettando legge, eh* universo informa
D' ogni giustizia, con si nobii metro
Il precursore fu della riforma.
La favola è Commedia, nel cui vetro
AI popolo s' espone, e viceversa
È la Tragedia istoria. Dico a retro
Riguardando Virgilio, ch'attraversa
Qualunque età, istorico di Roma,
E Dante novellier, che non s' avversa.
Però d'idea del volgare idioma,
Ch* al popolo Cristiano ne racconta,
La Triade iniqua pensa render doma.
La lode al Sangue Tun fa chiara e conu,
L'altro la società fatta da Adamo,
Che col delitto troppo si confronta.
Molte altre cose scrisse, eh* i' non bramo
Registrar qui, che ne son si note,
Che senza colpa noi tacer possiamo.
Tende '1 Convito a dimostrar che puote
Filosofico ingegno in rime sparso
Sotto la guida di liriche note:
La Vita Nuova è un bel gioiello sparso:
Dell' Eloquio Volgar fìa nobil dire:
Ne quel De-monarchia apparve scarso.
Egloghe e versi fé', che rifiorire
Vide *l Parnaso la deserta piaggia,
Ch' un vario canto in lui s' ebbe ad udire
Togliendo il mondo dall' idea selvaggia :
Gran filosofo fu: parlator franco,
E '1 suo pensier continuamente viaggia
47^ POESIE DI MILLE AUTORI
Da mane a sera e nella notte al fianco
Del mortale si posa, e seco veglia,
Che nel suo meditar non par mai stanco.
Quando V aurora gli animali sveglia,
Percorre il mondo, come suon di tromba,
Trionfator che il ver ovunque speglia.
E' dando fiato all' epica rimbomba
Per educare al retto fine, al bene,
Che per V eternità s' ode la tromba.
O savia alma Poesia, che conviene
L* ispirazion d' un ver, d' un buono e bello,
Ond' avanzarsi a fiaccar le catene,
Tu fosti, se', sarai robusto uccello.
Che gli aquilotti regge al primo volo.
Perchè de' suoi non si faccia bordello.
A chi vuol infangarsi entro del suolo
Faccia sua arte, che non gliela invidio.
Che teco sorridendo mi consolo.
Come Orazio, Virgilio, e '1 buon Ovidio.
Canto V.
Memorabile Ravenna | sopra tutte magnanima | che proteggesti
ed onorasti | Dante Alighieri | ramingo e profugo | di cui custodisci
orgogliosa e devota | le sacre ceneri | deh sii per accogliere | il fu-
nebre doloroso canto | del Poeta italiano.
Dell' espor dimostrando l' arte in rima.
In Ravenna esaltava l'Argomento
Con maraviglia e con pubblica stima.
Quando a tal opra s' occupava attento
Sul cinquantesmo sesto di sua vita
Il giunse morbo inesorabil lento.
WTORNO A DANTE ALIGHIERI. 477
Per cui r alma fuggii e dipartita
Dal mondo fé* in grembo de' ridenti
Astri, u' la virtù non fu sbandita.
S* in terra il duol con i mesti lamenti
V* era, ed in bruno Ravenna coperta,
Scendeva all'Alto con gli occhi lucenti
La diletta Beatrice non incerta,
E tra le braccia levando il suo fido
Caro la via del ciel gli fé' più certa:
Ed udissi echeggiar unico un grido:
Ecco uniti gli amori: viva il Vate:
Viva del trino regno *1 sacro nido.
Qual parte di divina cantate
Al fianco di colui, che tutto impera.
Il depose la donna con bontate.
Fu quivi salutato dalla schiera
Dei serafini e dei beati cori
Dell'eccelsa dottrina ed una e vera.
Non si tennero in ciel solo gli onori ;
Che dell'aquila '1 nobil cavaliere
Ornamenti ordinò quanto maggiori
Alla frìgida salma del sapere,
Ch* a simbolici segni tempestare
Del poetico valor fé*, che vedere
Potessi il verde lauro li parlare:
Pianger la cetra, come rauca pure
S' udì quasi la Tromba lamentare
Il suo signor, e V alte sue scritture
In silenzio penar col cor ghiacciata
Per ritardar ancor l'età mature.
478 POESIE DI MILLE AUTORI
Sopra funebre letto riposato
Su r omeri del fior dei Ravennati
Con lenta pompa venne trasportato
Nciruma a pietra per dove serrati
Fur gli gelidi avanzi *n pensier santo
D*un mausoleo, che mostrasse a' nati
Il vasto genio d'universo canto,
Che superava alla vittoria gli anni,
E quanto ordito fora al papal manto.
Di ciò non sazio, immerso negli affanni
In treno da Signore si recava
Nella casa del Vate senza inganni
Commemorando lui, che lamentava
E tra le doglie consolando i figli
I congiunti e gli amici sei chiamava
Illustre tipo ai sovrani consigli.
Astro a* futuri, di cui fora duce,
Ch' ogni umano gentil si maravigli.
0 magno Ravennate, non se* luce
A' Duchi, ed a' Monarchi, ed agli Imperi,
Se fosse chi vedesse che riluce ?
1 Grammatici presti e volentieri
Nella lingua del Lazio udendo *1 fine
Dettaro i metri a' superbi pensieri.
Monumentali allor furon di\nne
Parole in scienza di dottrina carche
E dolci e gravi, oneste e pellegrine,
Perchè la fama battesse le Parche
Nel regno, che divora quelle chiuse
Alme, che visser di valore scarche.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI 479
Sudar le fronti, lagrimar le Muse
Con Apollo, ed in nero vel cuoprissi
Dì nubi il sacro monte, che si chiuse
Il cor d* Itah'a, eh' a fatica aprissi.
Si smarrì civiltà, perduta scorta
D' un Manto, d' un Impero, come dissi.
O famosa Ravenna non fia mona
Per l'infinita età la tua gran fede,
Che del futuro se' fatta la porta.
L'Aquila con Cesare, che riede
Ricoverasti dalle Gallie stanco,
Ch* al Rubicone in Roma pose '1 piede.
L* antiveggenza tua non venne manco,
E 1' Esarcato in te s ebbe la stanza,
Ch' ogni lingua di fama ti sta al fianco.
Deh! lieta vivi, che la tua speranza
È di felicità, eh' arreca pace;
Che con Dante n' hai altra dilettanza.
Tra mille e mille, la cui salma giace
Nella tua cinta, che seguette '1 vero,
Decoro illustre di gloriosa pace.
Ben si riposa l'Altissimo Omero
Dell'Italia Novella, cui fu guida,
Ch' alla moderna luce apri '1 sentiero.
Mentre che tutto si dolea, sol fida
Nel male immota se ne stava Flora,
Com* in barbara rocca, cui s' annida
Fiera silvestre di costante mora;
Che non die segno al colpo di sventura
In quel che riportò la nuova aurora:
4^0 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma come spenta fosse vii creatura,
Sdegnosa indifferente non fé' pianto»
Che d* una gioia assai volgare oscura.
Cosi '1 pittor del Sarto d* arte incanto
Dopo molto mori, qual fosse infesto
Ignorant' uomo, senza pompa e canto.
O Guelfo, o Ghibelb'n, insigne, onesto
Qualunque fosse dalla gloria amato
A maraviglia lo fai manifesto:
Se poi mediocre simile al tuo stato
Divien mai meno col leggiadro ingegno
A Tetra Y alzi 'n lauro incoronato.
Con la morte finir suole lo sdegno,
L'odio, il rancor, l'inimicizia grave
Con tutto il mal dell'oro e del suo regno:
Ma per te, o Dante, eh' avesti la chiave
D'ogni celebrità con tua balia.
Il diffamarti a' rei parve soave.
Qual non sente virtù se n'odia in pria
La tua chiarezza e poi la tua potenza,
E come serpe a' prati giace in via
Tentando dar veleno all'eccellenza
Di te, che lotta colossale e fiera.
S'urta di più air orientale essenza.
Se cedi vinta tu, Fiorenza altera,
Per avere alternato il tuo diadema.
La vendetta d'un Dio calmar chi spera?
Pochi giusti vi son, che senza tema
Mirano al legno per lo sen dell'onde.
Che per lor prego la grazia non scema.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 48 1
Già già r Europa meglio corrisponde
Nella dotta parola del Poeta,
Che più la verità non si nasconde.
Dove l'umanità fassi più lieta.
Canto VI.
Eterna Roma | che rompi i confini del mondo | levandoti agli
11 mortali | non ricusare | il canto della fama dì colui | che da vec-
chiezza a gioventù | come Taraba fenice | ti risvegliava | onde ancora
e drai I r impero novello.
La fama serbatrìcé delli umani
Fasti levossi sostenendo il volo
Per divolgar ne' paesi lontani
Quanto avea visto all'italiano suolo,
E l'etra mossa seguitava '1 viaggio,
Che padre seco aveva e non figliuolo.
Ribatte Tali nel dantesco omaggio
Per le contrade lungo l'Appennino
In riva a' mari spargendo il suo raggio.
Varca intrepida l'Alpi nel cammino,
Ch'apri '1 nemico fier nostro Anniballe,
Che contese con iloma un gran destino.
Passati i Monti entro la franca Valle
Lascia trista memoria dolorosa,
E seguitando oltre il marino calle
Su l'Anglia piega seria e nebulosa,
Ch'inclina a tenerezza ed a mestizia,
E gli affetti d'un bruno vi riposa.
Si volge a destra, e là senza letizia
Nel meditar della Germania infonde
La fatale mortifera notìzia.
Oit Balio. Voi. XIV. 3^
482 POESIE DI MILLE AUTORI
Seguendo contro Oriente risponde
Ogni parte di terra nel suo corso.
Che dove l'Astro tace sol s'asconde.
Il sommo Vate, eh* altri avea soccorso,
Di soccorso fu degno, e fu laudato
In verso, in prosa senza alcun rimorso.
Se nella vita sua fu disturbato
Da cure materiali, serbò fede
A quello spirto, eh' uom fassi beato.
D'ogni nostra grandezza eletto er^de
Alzossi in atto e degnamente scosse
11 pedantismo, ch'infranse col piede.
Lo stil del secol d'oro si riscosse.
Ed ebbe sangue dalla lingua nuova.
Grande e potente, come prima fosse.
Ecco la scuola tutu si rinnova,
E l'orma impressa dal grand' Alighieri
Seguir l'insegna, ch'ali' Italia giova.
La colossal pittura fu mestieri
Studiare attentamente, dove i segni
D'ogni argomento son gravi e leggieri.
Dove s'impara a ben guidare i regni,
A ricondurre l'onestà sicura,
E nella emulazione i belli ingegni;
Perchè nel cuore giovanil matura
Insieme al sangue nella prima etade
Del dovere l'idea costante e pura.
Onde da' figli spera caritade
Alfin l'Italia, che torna sincera
Nella prisca fierezza, che non trade.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 483
L'antica scienza unissi a quanto v'era
Gii di risorto nel pensier moderno:
Tanto s'accrebbe del saper la spera.
Come Colui, che sen mori a Linterno,
Che Spagna e Zama feo di gloria reda,
Per l'ingratitudine d'un governo,
Il nostro Dante a Ravenna fu preda
Fuor della terra, che le die i natali.
Per bene oprar, perchè meglio succeda.
Come già a Roma per colmo di mali
Germogliò quell'offesa per l'invidia.
Cosi a Firenze s'aguzzar gli strali,
Là pel valore e qui per certa accidia;
Che voglia non fu mai di perfezione
Nelle Città, dov'annida perfidia.
La notte s'avventò senza ragione
Contro la Gloria dalle sette arcane,
Che l'Italia sentinne umiliazione:
Ma contro delle file olcremontane
E le marine, che firmar l'accordo
Per soflfocar l'intelligenze umane,
Minerva armata, che già die ricordo
A' que' Giganti, che pugnaro a Flegra
Con lo scudo d'antica fama ingordo.
Per entro il cor d'ogni falange negra
Ritorce assai le punte avvelenate.
Perchè la punizion fosse più integra.
Ecco il dardo d'Apollo d'ogni etate.
Sicché là Grecia '1 vide con Calcanta,
E Niobe '1 disse senza vanitate.
484 POESIE DI MILLE AUTORI
Venere madre, cui T Italia vanta,
Con l'aspetto leggiadro, come stella.
Smaglia loriche e la vittoria canta.
Lonze, Leoni e Lupe, alla favella
Robusta degli italici campioni
Dai pie cadon feriti alla mascella.
Pugna la gioventù, ch'odia gli sproni,
Che si caccia bramosa nello aringo;
Che le corone s'han da questi doni.
L' Italia ornai non vuol eh* è loiteringo,
Ned altri mai a tali sette amici.
Che vivon, come bestie, ed io non fingo
Cose strane, ma svelo le radici
Al Nazional Concetto intero e tondo
Tirando sempre più sopra i nemici.
Miro già già tornare entro del mondo
L* avito scettro, ch'occidente vede
Con occhio singolare a lui giocondo.
Vedo alfine eh' Italia in Dante crede,
Che nel suo rinnovarsi bianca immago
d'innalza in pegno della avuta fede.
Oh! salve, Italia, onde pur io m'appago:
Salve Reina adorna dell'antico
Diadema e del novel, che fia più vago»
Salve, tempio di Dio, sempre più amico.
Luce d'ogni virtù: pari all'aurora
T'avanzi, ch'altre glorie ti predico.
Salve, Madre leggiadra, alma dimora
Del Genio delli Eroi e di dottrina.
Onde intero il mondo se ne onora..
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 485
Salve mia terra alfin sempre divina,
In te della fortuna è '1 simulacro,
E della Qviltà più pellegrina.
Fiorenza illustre, or ecco '1 pio lavacro
Ti sdebita cosi me' seguitando
All'emenda gentil del Vate Sacro.
Sol a me duole, se vo ripensando,
Ch' allorché avevi in te tuo reggimento
Non revocassi ancor il crudel bando:
Che mentre decretavi a cento a cento
Riparazioni, al preside triumviro
Trascuravi il marmoreo monumento.
Non senza alcun principio anch'io m* adiro.
Perchè tra remi del tuo breve regno
Chi seguitava v'era il nostro giro.
Trascurati i miglior con raro ingegno
Ti circondasti di minor sostanza,
Che di causa a dubbiar rinacque un segno.
Fu tanto amato, chi s'ebbe sembianza
Di Lorenese, o di coda bastarda,
Che la reazione ripigliò baldanza.
Similemente v'è per chi riguarda
L'ingrata gente ancor alle novelle.
Che dan timor d'una voce bugiarda.
Tu compensasti i peggio, ed in favelle
Ti perdesti di fronte a Cittadini,
Che ne vergognan fino le donzelle.
Peruzzi per compenso e Malenchini
Con quanti ebbero fior di senno in testa,
E all'austrìaco ornato il tuo Danzini,
4S6 POESIE DI MILLE AUTORI
Servir l'Italia per i di da festa
Provvedendo con Tordine più fine
All'Austria prepotente e tanto infesta.
Pur V* è chi cinge a mirto e lauro il crìne^
Mentre che tu con l'opere leggiadre
Stavi per Scilla e Carìddi al confine.
Autonomica più qual buona madre
Proteggesti gli avari ed i sospetti,
E favoristi il manto del Re Padre,
Sicché '1 disio delli italiani affetti.
Che con parole descrivevi in fogli
Deviasti in frasi ed in soli concetti;
Ch'in quella tafferuglia in mezzo a' scogli.
Che spezzavan le monche monarchie.
Aver si potea Roma senza imbrogli.
Se l'Anglia nobii non era a' que' die^
E '1 magno Imperator Sangue Latino,
Le nostre sorti sarian utopie:
Ma le schiere di Marte a Solferino
Menando brandi non erano lenti
Con r Italia riunita a S. Martino.
In Sicilia discesero i valenti:
Ad Ancona e Gaeta in fort'aspetta
Furon l'armi del Regno rilucenti.
O se! non era il nazionale affetto
Per tema di qualch' altra dura soma
Ogni imbroglio saria stato interdetto...
Ma senza Te^ Cui 1' universo noma
Signora e Madre, ove non è contesa.
Nulla dura quaggiù, alma mia Romat
INTORNO A. DANTE ALIGHIERI. 487
Certo seguisti e fu beila sorpresa
U mota, ch'opinasti lusingare
Per aon sapere quant'era distesa
La tela, che ti parve indovinare.
Ahi s'altre tu non hai più lunghe spanne
Seguita l'opra dell'usureggiare.
S'avesti nome degno d'alte scanne
li da a' Ghibellin; che l'affannata
Lingua del Guelfio ti seccò le canne.
Tu fusti dall'Italia conquistata,
Che l'opre dell'esiglio alle superbe
Bolgie d'inferno t' hanno confinata.
Ah! perchè fosse tolta alle verd'erbe
Del tempo Quella, che ben vide farsi
Italia all'Indie, e nelle voglie acerbe
D'un Concordato indegno a ricordarsi
Non cape in mente, poiché l'animose
Celebrità si videro piegarsi.
Or mi volgo all'Italia, che di cose
Di gloria è carca e lunga fama avita.
Perchè si possan cogliere altre rose.
Al mio Petrarca puro, che e' invita
Alla gran palma del nuovo Soldano,
In cui r Italia pon l'unica vita,
Perchè non sia di già d'industre mano
Busto e Colonna compatir non posso.
Se non nell'odio e nell'errore umano.
Egli l'Impero avea d'Italia mosso,
E se non v'era Renzo lo tribuno,
Ogni giogo stranier era già scosso.
POESIE DI MILLE AUTORI
Del Boccaccio gentil non son digiuno.
Che portò '1 greco studio a proprie spese
Nella Toscana senza premio alcuno.
Egli di vero amor sempre s'accese
Pe* patri amici, che di Dante estinto
La civile virtù tanto difese,
Che dal suo zelo in povertà fu vinto. *
' Queste rime cosi farouo pubblicate nel 1865 in Firenae presso U tip. dei
cessori Le Monnier, in-8.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 4S9
DCCLXVIII.
Paolo Pezone.
>ANTE Alighieri, che, immaginando la Divina Comme-
dia, PREDICE mirabilmente l' INFLUSSO DEL RIFUGIO
DI Maria SS. nel compimento degli umani destini.
(14 maggio 1865).
Donna, te' tanto grande, e tanto vali.
Che qual vuol grazia, ed a Te non ricorre.
Sua disianza vuol volar senz'ali.
(Par. XXXIII).
Qual da spietata e perfida noverca.
Dalla patria reietto, in suo sentiero,
Iva d'albergo e d'alimento in cerca
Il Cigno Fiorentin, l'Italo Omero,
Quando, con genio cui nuli' oro merca,
Levatosi in altissimo pensiero,
Contempla il bel giardino di natura
Fatto selva selvaggia, ed aspra e oscura.
Vede, dall'Alpi al Lilibeo, la guerra
Ahi! fratricida desolar le genti,
E quei, che un muro ed una fossa serra.
Troncarsi a brani, e struggersi furenti;
Vede crescer Tiranni in ogni terra,
Lieti i Delitti, e le Virtù piangenti;
Vede che degli onori il sommo tiene
Ogni villan che parteggiando viene.
490 POESIE DI MILLE AUTORI
Allo spettacol tristo e miserando,
Già vulnerato gli trambascia il core.
Ei fassi in volto, come nube, quando
Vermiglia e immota piange il di che muore.
Con ansia di pietà va meditando
Come apprestar rimedio a tanto orrore...
Esclama infin, le luci al Ciel levate,
O Muse o alio ingegno, or m'aiutate.
Al generoso grido, ecco le Dive,
Non di Cirra bugiarda cittadine.
Ma quelle che s'udirò in sulle rive
Del Giordano, cantar l'opre divine,
Risponder fide, e di menzogna schive.
Ad ogni Ver dischiuder le cortine.
Che deve il Vate, col potente verso.
Descriver fondo a tutto l'universo.
Mettesi quinci di quel Sommo al cenno
Già tutta del saver l'ampia famiglia;
Ne* suoi robusti voi quel divin Senno
Or con Fé, or con Natura si consiglia
E quanti gesti fur, che inarcar fenno
A' stupefatti secoli le ciglia,
Prestansi, e al gran Lavor che si disserra,
Pongon cosi lor mano e cielo e terra.
O Donna il cui valor il mondo allieta,
Deh! afforza di mio spirto la pupilla.
Tu dammi dell' altissimo Poeu,
Nel dir di Tuo Rifugio, una scintilla.
Tu fa che io sveli la virtù segreta.
Che nel mirabil Carme egli sigilla.
Onde l'idea, che a svolger mi movesti.
Segnata oel mio capo, io manifestL
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 49 1
E tu perdona, incomparabii Vate,
Se in queste basse e disadorne rime,
Vedi le gemme tue spesso incastrate,
Ma senza onor di tue perite lime.
Credei che, sol tue note adoperate.
Spiegar potriasi il tuo pensier sublime...
Oh! si ch'io venga, in piccioletta barca.
Dietro il tuo legno che cantando varca.
La gente, che vagava orba e smarrita
Per vie ritorte di selvaggia valle.
Menar voleasi al colle della vita
Dal nostro Vate, per ameno calle;
E già di Sole gli apparìa vestita
L'ardua montagna al sommo de le spalle.
Ma diergti poi tre fiere tal gravezza
Da torgli la speranza dell'altezza.
Anzi precipitava in basso loco
Dove del bel Pianeta il raggio tace,
Dall'aspetto ripinto, a poco a poco.
De la Bestia bramosa e senza pace,
Se Tal non gli appariva, al quale ei fioco,
Miserere di me a gridar si face.
Deh! toglimi agli orror del gran diserto,
Qual che tu sii, od ombra, o uomo certo.
Ed era quel Virgilio del Trojano
Enea, già nobilissimo Cantore,
Quegli ond'ei tolse, con saver sovrano.
Lo bello stile che gli ha fatto onore!
Quegli parlando a lui soave e piano,
Come a diletto figlio genitore,
Se vuoi venir, gli dice, al lieto rnggio,
A te convien tener altro viaggio.
492 POESIE DI MILLE AUTORI
Muover tu dèi di qui per luogo eterno,
Ed io, non paventar, sarò tua guida;
Discenderai con me nel basso inferno,
Ove udirai le disperate strida.
Poscia color vedrai che, a quanto scerno.
Contenti son nel fuoco, che 1* affida
Speme del cieL Per altri sarai dove
La gloria è di Colui, che tutto muove.
Da suo timor cosi Dante disciolto,
O massimo Poeta, io ti ricbieggio
Pel Dio, risponde, al qual non fosti vólto,
E pel tuo dir cui grado saper deggio,
Che a questo rio diserto io venga tolto.
Onde ne vada al fortunato Seggio.
E il buon Virgilio all'opra allor si pose,
E il mise dentro a le segrete cose.
Ed ecco d'Alighieri il traposscnte
Genio, dell'esser pel gran mar l'antenna
Dell'ingegno portar siffattamente.
Che noi seguiteria hngua, né penna.
E scorre ogni contrada ed ogni gente,
E a pene, e a premi, e a tristi, e a buoni accenna,
E sol s'arresta innanzi al Trino ed Uno,
U' non si muta mai bianco né bruno.
Ma in questo arcano spiritai cammino.
Pel qual menar tu vuoi tutti gli umani,
Piucchè Virgilio, o Apollo fiorentbo,
Chi mai fa i passi tuoi facili e piani?
Ah! mei dicesti già tu in bel latino.
In uno degli slanci tuoi sovrani,
Quando, avvisando in ciel lo maggior foco.
Cantavi: È quel bel Fior, che io sempre invoco.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 49}
E la Donna ' gentil, che là su in cielo,
Si compiangeva de lo impedimento
Delle tre 6ere, e di Giustizia il telo
Duro frangeva, con pietoso accento.
Chi mai ascondea nel sottil suo Velo,
Se non di quel bel Fiore T ornamento?
Se non l'Augusta, a cui mente e favella
Sempre drizzasti, come l'ago a stella?
Vero è, che, per T inferno discorrendo.
Sino al più cupo di dolore ostello,
Di Lei te andasti in tuo cammin tacendo
Co* spirti d'ogni cerchio e d'ogni avello.
Ma ciò facesti, se il tuo dir comprendo,
Per indicar che la del mal flagello.
Sia lungi sol dal loco maledetto
Ove è perduto '1 Ben dell'intelletto.
Escasi intanto fuor dall'aura morta,
Traggasi, ove lo spirito si purga.
Qui di Colei, che al Cielo è fida scorta,
Avvien che chiara la presenza surga.
Ognun dei sette regni si conforta
Della virtù di Lei tàumaturga,
All'ombra ognun di quel divino Segno
Qui di salire al ciel diventa degno.
' « Noi non «^rtaimo «ecoturd •! tca-
timcmo gcacrale dcgl* interpreti i quali qui
(cioè dove Daot« fa meiuione della donna
gwtile) non veggono che la Clemenza
peraoaifica. Una allegoria astratu non po«
tr^bo eteere confata in una medesima
finzione con due donne iatoriche. Anzi
noi ao^pttiaroo doverti trovare la tco-
aosdota, come le due tue compagne,
Ttrso la ino del Farmiùo. Coti vuole la
liametricn dispoaizìone della favola. Ma
fui* é la BobUe ligaora dei cieli, che non I
ha bitogno di un ni>me, la cui interces*
tione piega l' immutabile Giudice, te non
colei, che ti chiama Nottra Signora, nella
antica favella delle nazioni crittiane? È
quella che il Poeta vede teduta da lovrana,
nel primo posto della Corte beata ... Nel>
l'augusto aspetto di lei più risplendente
che mai, egli contempla la rassomiglianza
divina, egli le volg^ la sublime preghiera
per la quale comincia U suo ultimo canto. »
j (Ozanam, DanU t /a Jiiosojia étl secolo xiii).
494 POESIE DI MILLE AUTORI
Però di Lei sovente si ragiona
Tra quell'anime calde ne' martori.
Ed una, a cui fu rotta la persona,
Dice, che uscio dal dolce mondo fuori.
Nel nome di Maria; un'altra intuona
La prece dei pentiti peccatori,
E al ciel rivolta, con gli affetti suoi,
S'ode gridar: Maria, óra per noi.
Dov'Ella è sculta, a tipo luminoso.
Dell'anime più pure e più perfette.
Dove si narra il corso glorioso
Dell'opre sue per sempre benedette;
E dove, a spron di buon cammin ritroso
Ripetonsi parole da Lei dette:
E col vinum non habent sono uditi.
Alla mensa d'amor cortesi inviti.
Ecco poi là l'immagine vivace
Di Quei, che venne in terra col decreto
Della tant'anni lacrimata pace,
Che aperse il ciel dal suo lungo divieto.
Incontro a Lui si sta l'Eva verace.
Raccolta in abitacolo segreto,
In atto di ridire: Ecco l'ancella,
Come figura in cera si suggella.
Altrove Ella, con placido sembiante,
Appare, ripetendo: Figliuol mio,
Dove ne andasti con le luci sante?
Ecco dolenti lo tuo padre ed io
Ti cercavamo; e via movendo innante,
S'ascoltan ombre, in largo pianto e pio
Gridar, seguite già da turba magna:
Maria corse con fretta a la montagna*
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 49)
Altri spirti gementi, in altro canto,
Ridicono tra lor: Dolce Maria,
Tu povera là in terra fosti tanto.
Quanto dal loco intender si potria
Dove sponesti il tuo Portato santo.
Ed altra ancor piangente compagnia,
Dice: Pensasti allor piucchè al tuo bere,
Fosser le nozze orrevoli ed intere.
Ma già r etemo fuoco e il temporale
Scorso, uscia Dante in selva spessa e viva:
Una campagna già prendea, la quale
Su per lo suolo d' ogni pianta oliva ;
L'aura soave e a se mai sempre eguale.
Leggiera per la fronte lo feriva,
E un rio scorreva con si limpid'onde.
Che torbe son quaggiù l'acque più monde.
Il buon Virgilio sparve, e a lui successe
Tosto Beatrice, lode di Dio vera.
Costei de' falli in pria Dante corresse.
Poi seco lo menò di sfera in sfera.
Fin dove eran le splendide promesse.
Nella selva, connate, orrida e nera,
Quando: Dopo gli spiriti dolenti.
Verrai, fu detto^ alle beate genti.
Qui di Maria la Possa e la Boutade
Quanto più splendon negli uman destini!
Ohi in quante guise ed oh per quante strade.
Entra la Diva ne' lavor divini 1
Come sovente qui notarla accade
Guida e conforto ai mesti pellegrini,
E anel, che al ciel la terra ricongiunse,
Allor che chiuse la gran piaga ed unse.
496 INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Tra il lieto folgorar d'immensa luce.
Di Cristo il bel Giardin quivi s'infiora,
L'una e l'altra Milizia e canta e luce,
E il sommo Bene corteggiando, adora.
Lume intellettuale e Amor produce
Felicità perfetta in tal dimora,
Felicità che forma, col suo riso.
La dolce sinfonia del Paradiso.
Ha poi quell'ammirabile Soggiorno
Imago di gentil candida rosa.
Di che le foglie son dentro e d' intorno.
Piene di gente che Cristo fé* sposa
Nel sangue suo divino, ed or n'è adomo.
Fulgide alate schiere, senza posa,
Volan, cantando insieme, per quell'ora.
La gloria di Colui che l'innamora.
Scorrendo il vago Fior di foglia in foglia,
Di cerchio in cerchio, là nel più rimoto.
Del tron di Lei rimirasi la soglia.
Cui questo regno è suddito e divoto.
Quivi cotanta luce par si accoglia,
E godimento tal facciasi noto,
Che tutte insieme quelle foglie sante.
Non mostrano di Dio tanto sembiante.
A mille a mille gli angeli festosi
Veggonsi trasvolar per quell'altezze.
Ed, in concenti a noi mortali ascosi,
Lodan di quella Donna le grandezze.
Ed Ella, per quei seggi gloriosi.
Spargendo va si tenere dolcezze.
Che in sé ben mostra Lei, che un di soave.
Ad aprir Talto Amor, volse la chiave.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 497
Ma chi è <]uell' Un della milizia alata,
Che innanzi a Lei, con Tali stese e immote,
Ha in sé cotanta leggiadrìa adunata,
Quanta in Angelo e in alma esser mai puote ?
Fiso negli occhi la gran Donna guata,
Il cui chiaror nel suo si ripercote,
E il dà a vedere, in quell'eccelso loco,
Innamorato si, che par di foco.
È l'Angel che quaggiù portò la palma
A Lei, che accolse nell'intatto seno,
Quel Dio che si carco di nostra salma,
E nato, si adagiò su poco fieno.
ylve MariOt per quell'eterna calma,
£i canta, e seco il resto a coro pieno,
In suon ripete soavemente forte.
Da tutte parti, la Beata Corte.
O fecondo saluto, o eccelsi omaggi,
Che dureran per secoli immortali 1
Chi mai spiegar potrìa tutti i vantaggi
Che additansi, per essi, a noi mortali?
Di là a noi vengon qual dal sole i raggi,
A dire, d'esto esiglio in mezzo ai mali.
Che Maria se ivi è meridiana face,
Qui, di speranza è fontana vivace.
Ohi la gran Donna! in sul celeste trono,
Non pure è Madre del Figliuol di Dio,
Ma ancor di quei, su cui chiamò il perdono.
Quel divin Figlio che per lor mono.
A Lei pertanto debitori or sono.
Quanti, già esclusi dall'Eden natio,
Perduti eternamente non andaro
Laggiù nel mondo senza fine amaro.
Obl Bauo. Voi. XIV. 3*
498 POESIE DI MILLE AUTORI
Né solo ciò. Ma l'opra sua materna
Piove altri beni in sen dei cari figli.
Li guida inverso il cielo, e li governa
Con alti lumi, e provvidi consigli.
Ne' gran cimenti, con virtù superna.
Li protegge e li salva da' perigli.
E se lasciar dovranno il mondo tristo.
Saprà sola disporli a veder Cristo.
Ond'il gran Vate prossimo a toccare
La meta di suo mistico viaggio,
Come giunto del tempio al limitare,
A cui mirava il suo pellegrinaggio.
Te, Vergin Madre, fossi a supplicare,
Che lo conforti di Tuo soave raggio;
E che lo guidi, con la Tua virtute,
Insino al porto d'ultima salute.
Alla qual prece ancora i prieghi nostri
Seguir facendo, o Donna benedetta.
Ti richiediamo che il valor Tuo mostri
A prò de la vangehca Barchetta.
Tu vedi a quai procelle e a quanti mostri
Satanno imperversato T assoggetta?
Vedi con quale disperata forza
Or da poggia 1* assale ed ora da orza ?
Vedi dagli splendor del Paradiso
Come il tuo Cristo è nuovamente catto,
E come è motteggiato ed è deriso,
E segno ad altri mille oltraggi è fatto?
Vedi com'erra il mondo omai diviso
Tra ciechi duci, in quali inganni è tratto,
E come man sacrilega e crudele
Porta nel tempio le cupide vele?
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 499
Se Tu puoi quanto vuoi. Vergine Madre,
Ahi sperdi degli abissi i rei disegni,
Sgomina tutte le infernali squadre,
Dehl che Giustizia e Verità sol regni!
Veggansi sfolgorar Topre leggiadre
Di rinsaviti e valorosi ingegni,
SI che a dispetto degli sforzi insani,
Vinca tua guardia i movimenti umani.
Ricorda quante lagrime spargesti.
Sul monte della mirra e del dolore.
Per liberar noi tutti da' funesti
Domini del ner*Angel seduttore.
No, tanto Tuo patir per noi non resti
Senza frutto, o del ciel più vago fiore,
Dehl dica ogni fedel che a Te ricorse:
Benedetta Colei che ne soccorse 1
AUor di Cristo il Regno dilatato
Vedrassi, Tua mercè, bella Regina,
AUor (ìa Tuo Rifugio celebrato
Pur da chi adesso in sua follia rovina.
AUor con cor riconoscente e grato.
Salve, dirà ciascun. Madre divina,
Per Te fé' rifiorir piante novelle
L'Amor che muove il sole e T altre stelle.'
Paolo Pezone, canonico, fu teologo della cattedrale di Aversa,
Prefetto degli studi in quel seminario.
Questi veni eod ai legano in opu- i mento dtf li umaHiJaslimi. Dodici ptf^ntin-È
T^^o : DmHte AligbUri tbé,immagimMdo U «eiu* data (ma 1S65)» ni luopro, né nome
*^''«« CommtJm,prÉiUee mirMhilmtnU l'in' di tumpatore.
^'^o Jsl RifmiiB U Marim SS. nel compi- \
500 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXIX.
Cesare M asini.
Per la festa italiana del centenario
DI Dante Alighieri.
Sestine.
Al poeta giocoso prof. Domenico Ghinassi di Lugo.
(Marxo 1864-14 maggio 1865).
I.
— Ma come, nuovi versi ? E non dicesti
Ad essi d'esser morto? — E il son di fatto.
Che se, Ghinassi mio, scrivo anche questi.
Non devi rimanerne stupefatto:
Sono la morta rana di Galvani
Sotto la pila degli eventi umani.
Un'elettrica scossa ho ricevuto
Dal grande avvenimento già annunziato.
Che di Domeneddio con l'alto aiuto
Sarà l'anno venturo celebrato;
Quello cioè d'una gran festa a onore
Del centenario del divin cantore,
Di quel sommo poeta che fu Dante,
Il simbol dell' idea della nazione;
Primo ad esprimer quel pensier gigante:
V Italia agi Itaìianiy oggi in azione;
E ben di gratitudin gli è dovuto,
E di onoranza un nazional tributo.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 50:
Gli alzeranno una statua colossale;
Sarà coniata apposita medaglia;
Altro saravvi chi sa quanto e quale,
E infin sarà distesa la tovaglia,
E U da cento e cento, alti i bicchieri,
Brindisi si faranno all'Alighieri.
In tanta nazional festività
La musa tua vorrà tacersi?... ohibò!
Sarebbe una vergogna, e non sarà.
Io pur vorrei, mio caro, e perchè no?
Con la mia musa satiro-faceta
Onorare l'altissimo poeta.
Anch'io, si, né la credo impertinenza;
Poiché dovrian gl'itali vati tutti
Nella fausta felice ricorrenza
I lor versi cantare, o belli o brutti,
Da intronarne altamente il bel paese...
Accade in maggio, ed é propizio il mese.
Come i devoti accendono al lor santo
Nel di della sua festa il lumicino,
Cosi i poeti italici il lor canto
Sciogliendo a onor del grande fiorentino
Di nostra poesia padre e maestro,
Denno accendere il lume del lor^ estro.
Profanazione! grideranno i lirici,
I classici poeti ed i romantici:
Oseran gli scherzevoli satirici
Al divin vate d' innalzar lor cantici ?
Cotal profanazion sapria di vandalo,
E potrebbe far nascere uno scandalo.
502 POESIE DI MILLE AUTORI
Che scandalo d'Egitto! I nostri versi»
Con buona pace dei poeti seri.
Più saranno di sai caustico aspersi»
Più all'ombra gradiran dell' Alighieri,
Che fu, sia detto per ver dir, vivendo.
Un poeta satirico tremendo.
Quel ch'ei disse nel suo sacro poema
Contro de' chierci e papi e cardinali.
Non starò a riportare, essendo un tema
Sempre all'ordin del giorno sui giornali;
Ma dirò della satira ch'ei fa
Persino a intere italiche città.
Carta canta: ei dicea vani i sanesi;'
Bòtoli tutto il popolo aretino;*
Spergiuri e barattier disse i lucchesi;^
Trattò di porci quei del Casentino^
Ed i pisani, senza complimenti.
Li disse vituperio delle genti ^
Ei diede dei mezzani ai bolognesi;^
Die' dei malvagi a quelli dì Romagna;^
Diede dei traditori ai genovesi.
Che disse ancora pien d'ogni magagna;*
E non trovava in tutta Lombardia,
Meno che in tre, valore e cortesia.*
E non pago a una simile censura
Scagliata a questo popolo ed a quello.
Mettendoli in un fascio addirittura,
Tutta r Italia la chiamò un bordello.
Or r esposto mi par che sia bastante
A provar ben satirico anche Dante.
^ V. Div. Comm. /«/. e. XXIX.
* Inf, XXI.
3 Inf. XXI.
4 Purg. XIV.
5 Inf. XXXIII.
6
/••/ xvin.
7 Pmrg, XIV.
8 Inf, XXXIU.
9 Pmrg. XVI.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 503
Povero Dante! È ben da compatire,
S'egli satirizzò senza riguardi;
Se nella sua commedia egli ebbe a dire
Quello che a dirlo in oggi Dio ne guardi!
E specialmente se potenti tocca...
Dolce non può sputar chi amaro ha in bocca.
Esul, ramingo, di sostanze privo
Il fiero partigiano ghibellino,
Con la condanna ad esser arso vivo;
Costretto da ingradssimo destino
A scendere e salir per l'altrui scale,
E a trangugiare il pan che sa di sale;
Gli era un bisogno di sfogar la bile.
L'amarezza del suo stato infelice;
Benché fosse uno spirito gentile,
Come il prova cantando di sua Bice,
E dei martiri, ai quali eran dannati
Per amor oell' inferno i due cognati.
Del resto amor d'Italia lo condusse
A flagellarla nelle sue vergogne,
E santissime furon quelle busse,
E le amare invettive e le rampogne;
Se l'avesse trattata col giulebbe.
Or donna di provincie non sarebbe.
La satira del giorno è un'altra cosa.
Non la ispira passione personale;
Ma è quale mascherina spiritosa,
Che della società nel carnevale,
Mentre va biasimando i tuoi difetti.
Ti regala dei fiori e dei confetti.
504 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma lo scherzo alla satira innesuto
Sarà pur esso conveniente? — Eh via!
Nulla di meglio né di più adattato:
A una festa ci vuol deirallegrìa.
Se no, non è più festa, non è gioia.
Ma una cosa sorella della noia.
D' altronde, per rispetto a convenienze,
Dov* è, domando io, che è festeggiato
Dante Alighieri? Nella sua Firenze,
Precisamente appunto dov* è nato
Anche il Berni, poeta a lui simile.
Maestro e padre del burlesco stile.
Il centenario suo nel tosco suolo
Si solennizza, dove di giocosi
Satirici poeti eletto stuolo
Emerse in ogni tempo, e di famosi:
Fra i recenti più ameni e più robusti
Basti il Pananti, il Guadagnoli, il Giusti.
Animo adunque, amico, a tavolino
Con carta, penna, col fedel rimario,
E con il calamaio e il polverino
E scrivi pel dantesco centenario,
Tu gaio autor della Ricreaxione^^
Non farai mica bene, ma benone.
C è tempo più d' un anno, mi dirai ;
È vero, ma trattandosi di Dante,
II tempo ad un poeta non è mai
Per ben studiare e ben limar bastante...
Scommetto che più d* uno già a quest* ora
Dei vati estemporanei lavora.
' L« rUrea^iont per /a//i, ecc , stampata in Lugo, e risumpau ia Nspoli
ed aggiunte.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 5O)
Soggiungerai: va là, sei un bel tomo!
Come usar del ridicolo la sferza
In versi consacrati a un divin uomo?
Con un uomo divino non si scherza...
Grazie, obbligato: questo anch'io lo so;
Sferzare e rider nuUamen si può.
Per esempio: tu puoi glorificare
Il divino Alighieri, e dir che Ausonia
Deve a lui se imparò ad abbominare
La servitù, Yavara Babilonia,
E la straniera barbara oppressione,
Onde alfin potè sorgere nazione.
Ed esaltato un fatto come questo,
Tu puoi quegl' italiani tirar fuora,
Che occultamente e in modo manifesto
La mala signoria che sempre accora
Li popoli soggetti amano e bramano
Si, che i croati coi lor voti chiamano.
Costoro che ognor van sputando arsenico
Contro la patria lor rigenerata,
Non ofFron forse campo, o mio Domenico,
A sferzarli con più di una risata?
Oggi chi più di lor degno è di riso,
Che siano benedetti in paradiso!
Vedi adunque che a' versi agro-faceti
Non può mancar, se vogliasi, materia;
Come ne ponno aver gli altri poeti
Per poesia sublime, grave e seria,
La qual nel far di sé pomposa mostra
Talor fa rider più, che non la nostra.
506 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma ciò non ci dee punto interessare;
Quisque in provincia sua^ e tirìam dritto.
Cert' è che in quel gran giorno s' ha a cantare,
E al diavol quel poeta che sta zitto 1...
Oh in Firenze quel di, di Dante a gloria.
Qua! chiasso, qual tripudio, qual baldoria!
Anche il popol plebeo, panecipante
In quel giorno solenne alla gran festa.
Griderà: viva Dante!... Chi è mo Dante?
E forse alcun del popolo all' inchiesta.
Dando saggio di sue gran cognizioni,
Dirà che il dante è pelle da calzoni.
Tu ridi? Ciò non è degno di risa:
Quest' anno accorse popolana gente
Al centenario celebrato in Pisa,
Credendo festeggiar devotamente.
Non lui che sbugiardava Giosueo,
Ma in chiesa su un alur San Galileo.
La quale istruzione popolare
Degnissima per vero del preterito
Tempo, convien pur dirlo a note chiare:
Dei quondam padron nostri è tutto merito;
10 non sono codino, ma mi piace
Render giustizia... requiescant in pace!
Ed io pur mi requiesco. Intesi siamo:
Al festivo dantesco gran convito
Farem noi pure un brindisi, e speriamo
Che allora sarà V obbligo finito
D' incastrarvi, lasciando ogni facezia,
11 ritornei di Roma e di Venezia.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 507
IL
Ci siamo, .amico, al di della gran festa
Dantesca italiana fiorentina:
Oh come il tempo corre a gamba lesta !
È più di un anno, e parmi ier mattina,
Che per tal solennissima occasione
T'invitai a grattar il colascione.
Or mentre che di udir tuoi versi aspetto
A onor di Lui che tutta Italia onora,
A scribacchiarne alcuni or io mi metto
Per mantener quel che promisi allora:
Mi farò corbellar, ma mi consolo,
Che in faccenda cotal non sarò solo.
E per incominciar dirò eh' io scorgo
Con gli occhi deir accesa fantasia
L' ombra di Dante, cui V omaggio io porgo
Della profonda riverenza mia;
E mirandola... ahimè! parmi non lieta...
Che mai t'affligge, o sovruman poeta .^
O sommo autor di quel poema sacro,
AI quale pose mano e cielo e terra,
Si che ti fece per più anni macro,
Qual duolo mai lo spirto tuo rinserra;
Mentre convien d' Italia il popolo vario
A festeggiare il tuo secentenario.^
Dovresti pur appieno esser felice
Tu che da tanto tempo in paradiso
Ti bèi nella tua cara Beatrice;
Dovresti pur mostrar gaudente il viso
Vedendo Italia, che tu amasti tanto,
Or venerarti al paro d' un gran santo !
508 POESIE DI MILLE AUTORI
Al celebrarsi dei tuoi parentali
Parrai che alfin dovresti pur placartc;
E alfìn dimenticar tutti que' mali.
Che ti fecer soffrir V ire di parte:
Degli errori degli avi troppo noti
Or fanno ammenda i tardi lor nipoti.
Forse non sei contento della statua
Che t' hanno eretta in piazza Santacroce,
Ed alla quale il popolo s'infatua?
O bella o brutta al nome tuo non nuoce:
Ti basti che è di grande dimensione
Da non temer confronto col Biaticone.*
Forse t' incresce che per la tua festa
Il cener tuo non trovisi in Firenze?
Ma no, che dèi gradir se colà resta
Dove avesti ne' guai buone accoglienze:
Oh sono i ravennati troppo teneri.
Ed a ragion, delle tue sacre ceneri!
Forse ti duol che i tuoi divini canti
Con commenti ai commenti dei commenti
Ristampati in tuo onor da tanti e tanti
Con nuovi studi e indagini sapienti
Giunti non siano ancora a far capire
Certe cose che tu intendesti dire ?
Però dopo anni quasi cinquecento
Fu riprodotto da una mente buona*
Del bolognese Lana anche il Commento,
Di lui che ti fu amico di persona;
^ Cosi detu volgarmente una ttaiua co* I di Iacopo della Lana bologacte, per cura
lessale di marmo bianco, che fa part« di
una fontana nella piazza del Palazzo Vec-
chio in Firenze.
^ Fu per la circostanza pubblicata in
edizione splendida coi tipi Civelli di Mi-
Uno la Divina Commedia col commento
e con tatudi esplicatici <lel professore Lu-
ciano Scarabelli, deputato al Parlamento,
il quale volle il magidfico libro dedicato
alla città madre dell'antico commenutore r
libro dal municipio della città stessa man-
dato air Esposizione dantesca fiorentina.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. )09
Ond' or de* canti tuoi ne' passi bui
Ci fari lume, qual Io fésti a lui.
È forse in te cagione di rammarico
Il vedere che zoppi can talora
Color che portan del Governo il carico ?
Ma siamo giusti: ò nata Italia or ora.
Deve combatter contro cento ostacoli:
Cosicché i fatti suoi sembran miracoli.
Camillo Benso conte di Cavurre,
L' incarnator della tua grande idea.
Queir uom che bene la sapea condurre.
Ahi troppo presto a te si congiungea!
Ei di te degno e tu degno di lui:
Ma un Dante ed un Cavour non son che in dui.
Insomma perchè mai, ombra di Dante,
Il volto hai mesto in questi fausti dì,
Mentre con noi io ti credea esultante ?
Il tuo voto oramai non si esaudì?
Non è unita l'Italia e indipendente,
Com'era nel tuo cuor, nella tua mente?
Ah! capisco oramai di tua mestizia
La vera, la giustissima cagione;
Non puoi partecipare alla letizia
Per non veder compiuta la nazione ;
Perchè il papa è ostinato come un turco.
Ed in Venezia vi è il tedesco lurco.
Perchè vedi siccome ai tempi tuoi
Le fazioni dei Guelfi e Ghibellini,
E bianchi e neri e rossi fra di noi,
E temi che gli altissimi destini
Della patria non vengan da noi stessi
Per non andar d' accordo compromessi.
>I0 POESIE DI MILLE AUTORI
Perchè perfino la discordia miri
Entrata fra i due nostri Parlamenti,
Onde talor le leggi pei raggiri
Deir arti occulte soffrono accidenti,
E si mettono in piena opposizione
Alla spiegata pubblica opinione.
Certo invece di musiche onorarie,
Statue, medaglie, addobbi, esposizioni,
Accademie, banchetti, luminarie,
Corse ed altre di tai dimostrazioni,
Avresti più gradito e più goduto
D' italiana concordia un bel tributo.
E più se fra i vessilli italiani
Sventolanti per te sotto a' tuoi sguardi.
Degli emigrati veneti e romani
Non avesti veduto i due stendardi
Di gramaglia vestiti tuttavia...
Oh allor nel viso tuo quant* allegria!
In quanto alla discordia è da sperare.
Che col tempo fra noi spenga sua face ;
Sebben poco su ciò sia da contare.
Che fra gli uomini mai fu schietta pace
Dai due primier figli d'Adamo in poi.
Né r avrem finché noi saremo noi.
Se tutti quanti i destri ed i sinistri
Del regno nostro costituzionale
Un portafoglio avesser da ministri.
Chi sa che non andasse meno male,
E non cessasser Y ire maledette
Dei diversi partiti e delle sette.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Si ha un bel discorrer di virtù nel mondo,
Si ha un bel parlare di patriottismo,
Ma in fin de' conti che e' è poi nel fondo ?
Egoismo, egoismo ed egoismo:
Sempre e sempre questione, a parlar chiaro,
D' ambizion, di potere e di danaro.
Gli antitalian del resto faccian pure:
Dieci non potran mai contr* un migliaio;
Coi loro conciliaboli e congiure
Non pesteran che V acqua nel mortaio :
Canoni han essi, e Italia ha dei cannoni.
Che sono la ragion delle ragioni.
Lor malgrado il bellissimo stivale,
Gii un tempo si infangato e lacerato,
Dalla punta del pie' su su al gambale
Sarà tutto a suo tempo accomodato,
E con buon spago vi saran cuciti
Anche i pezzi mancanti e disuniti.
E allorquando sarà ben terminato,
E forte per bullette e grosse e spesse,
E che il Re Galantuom V avrà calzato.
Se romperglielo alcun mai pretendesse,
Vittorio è un re che gliel farà sentire
In parte tal, che non è bello il dire.
Libera è Italia, e di letizia ostello.
Nave con buon nocchier nella tempesta.
Donna alfin di provincie e non bordello;
Onde, o sommo Alighieri, alla tua festa
Sereno assisti e mostrati giocondo:
L'itala nave non può andar più a fondo.
512 POESIE DI MILLE AUTORI
Che se rnancan Venezia e Roma a questo
Tuo sesto centenario natalizio.
Certo al settimo più non sarai mesto.
Perchè vedrai compiuto 1' edìfizio...
Per te che sei d* eternità nel seno,
Che son cent' anni più cent' anni meno !
Sperai fin V anno scorso, a dir il vero.
Che quelle due provincie sventurate.
Oggi dall' oppression dello straniero
Libere si sarebbero trovate;
Ma che vuoi far? bisogna aver pazienza...
Tutto risolverà la Provvidenza.
Neir intanto compiaciti al vedere.
Che il Governo italian nella natia
Tua terra in questi di venne a sedere.
Dove almeno la sua burocrazia
Meglio potrà imparar senza sudore
La lingua di cui fosti il creatore.
Dirai: ma a Roma non doveva andare?
Vuoisi cosi colà dove si puote
Ciò che si vuole, e .più non dimandare.
Tn Roma intanto sta il gran Sacerdote,
Il cui trono tarlato appuntellato
Sta li li per cadere sfracellato:
E ciò pel ben della cristiana fé.
Che Cristo già lo disse chiaro e tondo:
A Cesar da quel che di Cesar i\
Il mio regno non e di questo mondo \
Note che in tutti i toni or piano or forte
Tu ricantasti alla romana corte.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
513
lì Vaticano e Y altre parti elette
Di Roma, che son state cimitero
Alla mHizia che Pietro seguette,
Cosi libere fien dair adultero ;
Cosi si avvererà piir finalmente
Ciò che tanto bramasti in tuo vìvente.
Cosi r esilio tuo fia vendicato ;
Perocché lo si volle dalla chierca
Di Bonifazio, al tempo tuo dannato.
Là dove Cristo tutto di si merca;
Cosi sarà rimossa ogni menzogna,
E lascia pur grattar dov* è la rogna.
Io fui in Roma al tempo di Gregorio,
E là te ambasciatore a Bonifazio
Dipinsi in tela, di cui or mi glorio,
E d* avermi inspirato ti ringrazio:
Perch' oggi posso dir eh' io t' onorava
Fin da quando era Italia tutta schiava/
Povero Bonifazio ! se all' inferno
Col corpo in giù in un buco, a quelle note.
Che gli cantasti in tuon che sarà eterno.
Forte spingava con ambo le piote:
Alla tua festa il condannò Bologna
A maggior pena ed a maggior vergogna.
Perocché volle fossevi presente
Una statua di rame che tien essa
Di lui antica... ed oh! come fremente
EU' esser deve di trovarsi méssa
Contemplatrice della tua vittoria.
Del tuo trionfo e della tua gran gloria!
C-*aator« nei 1819 dipinte in Rom« in
^ grandi al yero ZXmI# ambauut^»
^U>mHmi « Bomifatio Vili, quadro che
^to indio dal giornale romano L'apt
itaUan» delU belle arti, e poscia acquistato
dal duca D. Marino Torlonia» presso il
quale ai trova in Roma.
Oli Balio. Voi. XIV.
33
514 POESIE DI MILLE AUTORI
Pel buono, per il vero e per il giusto
O presto o tardi vien sempre il trionfo.
Còme per V impostura, *per Y ingiusto
E per il tristo il giorno vien del tonfo;
E un tonfo dovrà dar, che è suo destino,
Il poter temporale papalino.
Il papa deve stare in sagrestia,
E non seder dei Cesari sul soglio;
È una troppo patente anomalia
Che sìedan zoccolanti in Campidoglio,
E d* esso ai piedi quei di Sant* Ignazio...
Dee ritornar quel dell* antico Lazio.
Sieder vi deve V italiano senno,
E buon numero d' oche insiem tenervi.
Caso mai che tornar volesse un Brenno:
Insomma chi di Dio servo dei servi
Si dice, più non dee per più ragioni
Il padron voler esser dei padroni.
Tu ben dici che la Chiesa di Roma
Per confondere in sé duo reggimenti
Cade nel fango e sé brutta e la soma.
Onde il Pastor delle cristiane genti
Dovrà veder, voler o non volere.
Crollare appieno il suo ci vii potere.
Tutto oggimai concorre a dar la spinta
A un poter che al progresso fa la guerra;
Contro il progresso non l'avrà mai vinta,
iMa dovrà andare a gambe all'aria in terra:
Agl'immani suoi sforzi ed incredibili
Il vapore risponde coi suoi sibili.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 515
Il cercare che il secolo rinculi,
E ostinarsi in cotal proponimento»
É veramente osdnazion da muli.
Che danno calci, ma li danno al vento:
Corre la civiltà alla perfezione
Per gli elettrici fili, ed in vagone.
Essa volando per le ferree strisce
In lungo treno con accesi lumi,
Se quanto al mondo è di retrivo ardisce
Ad essa opporsi, mandalo in frantumi:
Essa, o Dante, cosi ti rende onore.
Poiché fosti di lei V iniziatore.
Cresciuta poi via via, ed oggi unita
A liberti, la civiltade è dessa
Che la tua apoteosi ha stabilita,
A cui ritalia assiste or genuflessa,
E in te venera il suo divo Alighiero,
Come la Chiesa il suo beato Piero.
La Chiesa renda pur divini onori
E canonizzi finché vuole i suoi
Proprii religiosissimi fautori
E difensori taumaturghi croi;
L' Italia farà in seguito il simile
Co' sommi suoi nella ragion civile.
Essa innanzi di metterli nel tempio
Non cercherà i miracoli che han fatto:
S' abbiano predicato, per esempio.
Ai pesci a bocca aperta e stupefatti,
E siansi i muti abitator de' flutti
Per ciò pentiti e convertiti tutti.
5l6 POESIE DI MILLE AUTORI
Non cercherà s' abbian sospeso m aria
Cadenti muratori per due ore,
Onde aver la licenza necessaria
Il miracolo a far dal superiore;
Né se un naufrago a fine di salvare
A piedi asciutti camminar sul mare.
Non cercherà se in estasi sian iti,
O se volaron d' un uccello al pari ;
Se a un tempo si trovarono in due siti,
E s' abbian fatto inginocchiar somari
Per riverenza all' ostia; se lor viu
VoUer condur fra triboli, o romita*
Ma ne' suoi sommi Italia cercherà
S' abbian essi con V arte e con la scienza
Beneficata assai V umanità,
E sian stati per lei gran provvidenza:
Soltanto a tali taumaturghi rari
Renderà culto, alzerà templi e altari.
E a te divo Alighieri or V ha già eretto
Sotto la immensa cupola del cielo.
Degna sol del tuo tempio, dirimpetto
E distante da quello appena un pelo
Dove stan MichelangioI, Machiavello,
Alfieri, Galileo dentro V avello.
Ed altri di cotai civili santi;
Cosicché verran ivi gì' Italiani
A inspirar la lor mente a idee giganti
Dai paesi vicini e dai lontani,
Ed a fortificarsi a un tempo il core
Di patria carità, di patrio amore.
INTORKO A DANTE ALIGHIERI.
$17
Dinanzi alla tua imagin venerata
Non arderan candele inutilmente;
Ma dal sol sarà dessa illuminata,
Unica lampa a lei conveniente;
Di notte supplirà fulgido gasse.
Faro a Italia, se mai mal navigasse.
E come ogni cent' anni stabilito
Da Bonifazio venne un Giubileo,
Onde a Roma correva al santo invito
Portando del denaro ogni romeo.
Cosi *1 tuo Giubileo pe* Fiorentini
Sarà una bella fonte di quattrini.
I tuoi concittadini dieder già
Il sacco alla tua casa, e di denari
Ti spogliò il fiero guelfo podestà:
Tu invece con virtude da tuo pari
Occasion presti lor d* aureo conforto...
Fosti grande da vivo, e il sei da morto.
Ma r ombra tua già agli occhi miei svanisce.
Come da folta nebbia involta fosse...
Ahimè! la cara vision sparisce.
Deb scusa s*io ne dissi delle grosse,
Se da cane cantai, canterò meglio
All'altro centenario, se mi sveglio.'
Qpetti versi coti leggonti jtMapAti in
pascolo in-ié di pagg. 24» col te-
te tOBìÌMfùóo: Ftr la foia ikdiauBdtl
futric di DMHtg AlighUri, sestine del
re, professors ■•giiado Cesare Ms-
sini. bolognese. Costsntino CAcdsmsni,
editore. Coi tipi Aiudi, vie CATsllicrs,
xu 16x6 in Bologne, 286$. Per le notizie
biografiche e bibliografiche del Masini, vedi
a pag. 5<3 del toI. IX di queste leccolu.
5i8
POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXX.
Stephen Liégeard.
A l'ombre de Dante.'
Canto.
(14 marzo 1865).
Les torches ont pàli sur les balcons de marbré.
Le demier chant de féte a traverse les airs:
Plus d'aigrettes de feu scintillant d'arbre en arbre...
Le bruit des pas s'éteint sous les arceaux déserts.
Seul - tandis que, de pourprc encor toute vétue,
Florence, en s'endormant, murmure un nom chérì,
Seul avec ma pensée, au pied de la statue,
Je velile, ó Dante Alighieri!
Te voilà donc, géant, qui, debout sur TÉrèbe,
Osas heurter du front les astres souverains!
Te voilà, dédaigneux des clameurs de la plèbe,
La robe du proscrit serrée autour des reins,
T*avan^ant dans la vie, apre, sublime, étrange,
— Si bien que les enfants de ton siècle de fer
Disaient, en te voyant pareli au sombre archange:
« C'est celui qui vient de Tenfer ! »
' Il principale episodio delle feate dan-
tesche in Firenze nel tS6$ fu l'inaugura-
zione, sulla piazza di Santa Croce» della
statua del divino poeta, che è rappresen-
tato nel momento in cui, nel Purgatorio,
lancia, in presenza di Sordello e di Vir-
gilio, la tua apottrofè :
Ahi, serva Italia! di dolore ostello.
L' autore colloca la sua evocazione
declinare della notte che segui l'inai
zione del monumento.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 519
Te voilà tei qu'un soir l'infernale tempere
Te fouetta de son aile en la cité des pleurs!
L'aigle rampe à ton socie, un laurier ceint ta réte;
Sous le carrare ému qui trahit tes douleurs,
L'hydre du souvenir se glisse et te va mordre;
Ton coeur gronde, orageux : on dirait à te voir
Le presser de la main, que ta main veut le tordre
Pour en chasser les désespoir.
Va, ne tourmente plus de ta fiévreuse étreinte
Ce cceur dont chaque élan se perd dans un sanglot.
Des larmes d'une mère il a gardé Tempreinte:
Son berceau fut l'exil, Tinfortune est son lot!
Dùt le Styx le tremper contre la tyrannie,
Quand son jour aura lui de battre ou de souffrir,
Ces deux tyrans divins, l'amour et le genie,
Sauront bien se le faire ouvrir.
Cest là de tes pareils le fatai hérìtage!
Tout change, et leur destin ne saurait point changer.
Des trésors de ce monde ils n'ont rien en partage,
Rien que Teau des torrents, le pain de l'étranger.
La bruyère pour lit, pour oreiller le sable.
Puis, quand le soufflé manque à leur corps gémissant.
La stèrile faveur d'un nom impèrissable
Écrìt des gouttes de leur sang.
Tu révais ton amante heureuse entre les femmes:
Que t'importaient l'Èden ou les pleurs des maudits?
Hors de ta Beatrice il n'était point de flammes,
Dans Tazur de ses yeux tenait ton paradis...
Mais le lis qui devait embaumer ta demeure
S'efFeuille, et — du nèant superbe vanite —
Tu ne peux à sa vie ajouter méme une heure,
Toi qui parlais d'èternitè!
520 POESIE DI MILLE AUTORI
Tu révais ta patrie et plus grande et plus libre!
Tu sortis de ses flaacs, barde et preuz tour à tour:
Pour elle, en maini combat, ton fer luit, fioo luth vibre;
Des pahnes vont sans doute accneilHr txm retour?
Non, non ! Tingrate brise et ton glaivc et ta lyre,
Un Corso Donad promct ta cendre au vcttt...
Déjà le bùcber fiime, et la fonie en tièlire
S'appréte à t'y jeter vivant!
Obi n'est->ce point alors 4)u'à ton ime zneunrie
L'image d'Ugolin ^parut, spectre amer,
Au bruit retentissant des clfe de la patrie
Que pour jamais le fleuve entraìnait à la naer ?
Car de leurs doigts crochus la mort et fostracisme
Clouaient derrière toì ics portes 4u bonhear,
Car de tes songes 4'or, fiis d'un par stoicisme,
Seul debout restait ton honneurl
Et vers ton seuil détruit tu laissas respèrance
Comme un rameau séché <|ui ne doit plus fleurìr:
Et tu partis, donnant ia matn à la «ouflrance;
Et, vingt ans, Ton te vit — sans en ponvoir moarir —
Tantót agenouillé, la face sur Iqs daUes,
Tantót de ta x:olère agitane le flambeau,
Souffleter les tribuns du plat de tes sandales,
Ou sangloter près d'un tombeau.
Jusqit*i rbeure oà, oourbé soos ta petne ooissante,
Las d'aller devaAt toi cberchant la libectè,
Las de trainar ce deuil de la patrie absente«
— Tunique de Nessus «qui farùiait ta fierté —
Tu t'arrétas enfia sur la pente flétrie
Oli d'un suprème effort te poussaient tes bivcrs^
Léguant tout à la lois son crime i rÈtrurie
Et ton poème à Tunivers.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. $21
Pardonne tant d'audace, oui, pardonne, grande ombre,
A qui t'ose évoquer du séjour des élus!
S'il n*est pire douleur, en la fortune sombre,
Qu'un lointain souvenir des bìens que Ton n'a plus,
N'est-il pas doux aussi, quand, à travers Torage,
Le del a sur son voile épandu ses saphirs,
De reaaitfe, oubiieux des terreurs du naufrage,
Sous les caresses des zéphirs?
Viensi ils ont fui ces temps d'opprobre et de détresse
Où la dague homicìde armait la trabison^
Où le hanap versait la mort avec Tivresse,
Où dans le pain sacre se glissnit le poison:
Où jusqu'eo ses palais Florence ensanglantée
Maudissait par ta voix ses bourreaux triomphants :
Où l'Arno refermait sa vague épouvantée
Sur les forfaits de ses enfants.
Cest la ville des Fleurs qui maintenant t'appellei
La jote est en son àme et l'orgueil à son front,
Tandis qu'i ton édat elle renaìt plus belle:
De six cents ans d'oubli ce jour venge l'affront...^
Et, de peur que ton marbré où frémit la menace
Ne veuille de Texil reprendre le chemin,
Comme une tendre mère, ó Dante, elle t'enlace
Dans ses guirlandes de jasmin.
Vieasl c*est Theure du ré ve et des fantóntes pàks.
Sur les moms» sur les eaux, sur ton noir monument
L'ètoile du matio égrène ses opales;
Des Casdjies au Dòme un long tressaillement
Agite, en son sommeil, ta terre nourricière.
Et panni ces tombeaux qu'ik sont las de peupler,
Gueifes et Gibelins du fond de leur poussiére
Se dressent pour te contempler.
522 POESIE DI MILLE AUTORI
Oui, viens! et si jadis par des landes funèbres
Ayant trouvé la Muse errante, les pieds nus.
Tu fis devant ses pas resplendir les ténèbres
Et palpiter son sein de transports inconnus.
Parie! quelle oasis ou quel désert rabritc?
Je veux, lorsque notre àge est sourd à ses accens,
Porter moa brin de myrte à ta soeur, la proscrite,
A ses autels mon humble encens.
Sois mon Virgile, ó Maitre!... En la forèt sauvage
Des larves trop longtemps ont égaré mes pas:
D'un coup d'aile, aigle altier, brise cet esclavage!
Allons à la lumière au travers du trépas.
Et par delà Tespace où notre monde expire,
Entr'ouvre à mon essor, sous un rayon bèni,
Ces horizons perdus de l'éternel empire
Dont la limite est TinBni.
Déjà, déjà mon àme à la suite s'élance!
Ricn n'arrète son voi, ni les souffles stridents,
Ni du vai douloureux TeflFroyable silence.
Ni les cris échappés des sépulcres ardents.
Ni, hurlant en ses murs du feu qui la dévore,
Cette Dite fatale à qui veut Tapprocher,
Ni ces spectres roulant dans la nuit sans aurore
Sous l'aviron du vieux nocher...
Par les fleuves sanglants, par les lacs de bitume.
Elle glisse, de vague en vague, jusqu'au fond
De cet humide gouffre, océan d'amertume,
Où, dans son vain orgueil qu*un Dieu juste confoni
Pareil à ce Titan foudroyé du Caucase,
Lucifer se débat sur la giace et la mord,
Moins accablé du poids de Tenfer qui Técrase
Que du fardeau de son remord!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. $2^
Un ÌDStanty Maitre, un seuI ! oh ! que je puisse entendre
De ces deux alcyons l'harmonieux soupir,
Hymne embaumé du coeur» si plaintif et si tendre,
Qu'à récouter Gerbère a paru s'assoupir!
Que Francesca me dise, avec les pleurs de Tàme,
Par quels charmes celui qui la sut embraser
Lui fit boire Tamour dans un regard de fiamme.
Et le trépas dans un baiser!
Mais ton élan m'emporte ainsi qu'un vent rapide...^
Ce frais vallon, ces bois pleins de fleurs et d'accords,
Ces mousseSy ces parfums, ces chants, cette eau limpide
Qui baigne, en son cristal, les roseaux de scs bords,
Tout ce printemps éclos d'haleine créatrice,
N'est-ce point là l'Èden si souvent imploré
Sous les palmiers duquel te regut Beatrice,
La vierge au scurire adoré?
Ah! tu Tas reconnue... elle nous tend son voile...
Et par elle attirés vers un éther plus pur,
Nous montons, éblouis, de soleil en étoile,
Au son dcs harpes d'or qui vibrent sous l'azur:
Et du divin amour la brùlante étincelle
Allume autour de nous ces flots de diamant
Dont la nappe eclatante incessamment ruisselle
Sur les degrés du firmament.
Et voici, du Très-Haut célébrant les louanges,
— Gomme une rose immense et d'enivrante odeur —
Au Seuil de l'infini dotter le choeur des anges:
Et, dans leur bianche étole inondés de splendeur,
Rayonnent des élus, triomphante milice:
Et mon regard tremblant vers l'Éternel s'en va,
Et j'entrevois, au fond du celeste calice,
Flamboycr l'oeil de Jéhova!
524
POESIE DI MILLE AUTORI
De ce mìrage, hélas, tout n'était qac mcnsonge,
L'Empyrée et ses feux, TÈrèbe et ses démons.
Avec la nuit mourante a disparu le songe:
L'aube de ses reflets illuminc les monts.
Tom ombre qui s'enfuit fait place à la statue,
Et, sous rédair brutal de la réalité,
Je sens tomber d*en haut ma pensée abattue
Au pied de ton marbré irrite.
Au sombre Gibelin que font ces chants de féte?
Qu*importent ces honneurs au plus grand des Toscans^
Il sait ce qu'un beau jour peut cacher de tempète.
Il sait que Tltalie est le sol des volcans.
Et combien le Vésuve, en ses ruisseaux de lave,
A noyé tour à tour de tribuns et de rois,
Depuis que le genie, impérissable épave,
Y surnage auprès de la croix.
Le tien est immortel?... Tant que l'oiseau sublime
Pendra son aire aux rocs où la nue a tonné —
Vaste comme le elei, profond comme Tabime —
Dante, tu planeras sur le monde étonné:
Et les brises de mai diront avec mystère
Le nom de Beatrice aux échos du printemps,
Quand les portes d'airain de ton vieux Baptistère
Auront croulé depuis longtemps. *
Stefano Liégeard, deputato al Corpo legislativo, fu maestro dei
giuochi floreali di Tolosa * e davvero non fu spregevole poeta.
* Questo ctnto cosi leggcsi in: Stephen
Liégeard, A l'ombrt it DanU. Chrat, eoa
U traduz. libera di Luigi Silva. Parma, lip.
Grazioli, 1878, in- 16, di pagg. 63.
^ L'accademia di ToIom, ti collegio d^a
Gaia seitnia^ vanta le sue orìgini all'an-
no 1324, in cui sette dotti Tolosaoi fecero
appello a tutti i Trtyatori della kngng
i'Oct affinchè in un delisioso giariHao, che
•i distenderà alle porte della citci, «i dispu>
tasaero il premio deli' iapiraaioBe poetica,
una VioUtUi d'oro fimo. Tra le vicisaixudini
dei tempi cakmitoai i poeti Airoiio d&^persì
e il giardino di^iarvc Ma verto gli ultimi
anni del 1400, la nobile donzella Clemenza
Itaure risuscitò l'antica iatituzione e ag>
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
>2)
illa TioletU, il fitr» d'arancio e la
ma <r«r0. Poi, nel 1694, Luigi XIV
{uel collegio al grado di accademia,
un qtaarto fiore, Vawtaramio ^oro,
1 cominciare del secolo xviii, fiorì
. Vcaaero dopo le primula e il ga-
Tre fiori, imo dei quali dev'essere
Ito, danno diritto al diploma di
maestro dei giuochi floreali. Fu uno dei
maestri Fabre d'Eglantine, più tardi Che-
teaubriand, Dani e poi Victor Hugo.
Da seicento ad ottocento, in media, sono
i componimenti presentati, ogni anno, al
collega della Gaia scienza. Il Liigeard fu
nominato maestro dei giuochi floreali con
lettere patenti del 3 maggio i8é6.
520 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXI.
Luigi Silva.
Traduzione libbra del precedente canto del Liégeard.
(14 maggio 1865;.
Le faci impallidirono
Sui marmorei balconi :
L'eco passò per l'aere
Dell'ultime canzoni.
Fra i rami più non brillano
Bianche tede lucenti;
Il suon de' passi estinguesi
Sotto gli archi silenti.
Io sol, — mentre di porpora
Firenze ancora ornata
Un caro nome mormora
E s'addorme beata, —
Ai pie' della tua statua.
Chiuso nel mio pensier,
Metadibondo io vigilo,
Sol io..., Dante Alighier.
Negli astri il fronte battere
Tu se' dunque colui
Che ardi, gigante immobile
Ritto sui regni bui ?
Eccoti altero spernere
Voci di plebe irata,
E la veste dell'esule
Ai lombi tuoi serrata,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 527
Lungo la vita muovere
Sublime, aspro, tremendo
Cosi che, al bruno arcangelo
Te simile veggendo,
GÌ* infanti di quel ferreo
Secol che ti creò
a Queiruom, dicean segnandoti,
Dall'inferno tornò!»
Eccoti quale il soffio
Dell' infernal bufera
Nella città dei reprobi
Ti percosse una sera,
Ai piedi tuoi sta 1' aquila.
Sul capo un lauro. Sembra
Che dei ricordi penetri
Fra le marmoree membra
(Che il duol commosse svelano)
L* idra, strisciando, e addenti.
Ruggc il tuo cor qual turbine,
Che mesce gli elementi.
Ed uom potria, mirandoti
Premerti a forza il cor,
Dir che tu tenti svellerne
Disperato dolor.
Oh ! non voler comprimere
Con si febbrili amplessi
Quel cor di cui son gì* impeti
Sol da singhiozzi espressi.
Delle materne lagrime
In lui r impronta dura :
Fu sua culla V esilio.
Retaggio la sventura.
Se fia contro a tirannide
Ch* Ei 1* abbia in Stige armato, —
Di soffrire o percuotere
Quando sia il di spuntato, —
528 POESIE DI MILLE AUTORI
Due divini, inflessibili
Tiranni, genio e amor,
Bea sapranno dischiuderne
A lui le porte allor.
Quest* è il fatai retaggio
Dei pari tuoi! Se tutto
Muta quaggiù, non mirasi
Il lor fato distrutto.
In sorte a lor non toccano
Le ricchezze mondane:
Un torrente li abbevera,
Ciban straniero pane:
Sul duro suol riposano,
Han per guancial 1' arena ;
E quando il vìtal soffio
Manca al lor frale, appena
Un nome eterno, — sterile
E supremo favor, —
Nel tempio suo la Gloria
Scrive col sangue lor.
Sognasti felicissima
Colei che amavi tanto :
E non pensavi ai Superi
O dei dannati al pianto.
Fulgor non avea V etere
Fuor che di Bice il riso:
Negli occhi suoi cerulei
Era il tuo paradiso.
Ma quel candido giglio.
Che imbalsamar dovea
La tua dimora, i petali
Sui primi albor perdea.
Né un' ora sola, — ahi misera
Del nulla vanità ! —
Dar gli potesti! E il cantico
Suonava « eternità! »
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 529
E più grande e più libera
La patria tua volevi:
Bardo e guerrier dall' inclito
Seno di lei scendevi.
Suonar fra le battaglie
Pesti liuto e brando...,
Già le palme ti aspettano
Ai lari tuoi tornando.
Ma no : V ingrata patria
.Spada e lira ha spezzato;
Corso Donati il cenere
Ai venti ha consacrato.
Già fuma il rogo infausto.
La matta plebe è là,
Che, vivo ancor, nell' ignea
Pira ti lancerà.
Al contristato spirito
AUor non fu che apparve
D* Ugolino r immagine
Tetra fra tante larve ?
Non fu che udisti, al sonito
Che rimbombar le fea,
Le chiavi della patria
Che TArno al mar traea
Per sempre ? O morte e esilio,
Con le adunche ritorte
Mani, per te chiudevano
D* ogni uman ben le porte !
Figli di pura e stoica
Alma, i tuoi sogni d' or
Nuir altro a te lasciavano,
Nuir altro che V onor.
Qual ramo secco ed aiido —
Cui di fiorir natura
Negò — lasciasti al limite
Di tue distrutte mura
IL Balio. Voi. XIV. 34
530 POESIE DI MILLE AUTORI
La speme. A pene e triboli
Stendesti la tua mano.
E venti anni ti videro —
Morte chiedendo invano —
Talor curvo sui gelidi
Marmi il viso, pregando,
Talor della tua collera
La fiaccola agitando,
Cogl' impugnati sandali
Tribuni schiaffeggiar,
0 a' piedi di un sarcofago
Sommesso singhiozzar.
Insin che sotto il cumulo
Di tanto duol prostrato.
Stanco d'aver tra gli uomini
La libertà cercato,
Di vestire il corruccio
Del natio suol lontano,
— Di Nesso orrenda tunica
Pel tuo orgoglio sovrano, —
Sostasti alfin sul lurido
Pendio, nel cui profondo
Col suo poter traevati
Degli anni il grave pondo;
Insiem legando a Etruria
La colpa sua fatai,
E all'universo il mistico
Tuo poema immortal.
O grande ombra perdonami
L^ inusitato ardire
Di chi evoca il tuo spirito
Dall' eterno gioire.
Se in seno alla miseria
Non v' ha maggior dolore
Che ricordarsi, ahi labili!
1 lieti giorni e Tore,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 531
Non è forse dolcissimo.
Fra la tempesta irata,
Mirar la volta eterea
Di zaffiri ingemmata ?
Sotto r ali de* zefiri
Rinascere all'amor.
Ed obliar de' naufraghi
Le angoscie ed i terror?
Vieni! I rei tempi sparvero
D'obbrobrio e di spavento
Quando omicida armavasi
Di ferro il tradimento:
Quando ad un'ora il calice
Morte e ebbrezza versava,
E consacrata l'ostia
Il tossico celava;
Quando, sin negli splendidi
Palagi insanguinata,
Firenze a' suoi carnefici
Per te imprecava irata:
Quando l'Arno i suoi torbidi
Fiotti sgomenti apri
E de' figli in quel baratro
Le colpe seppellì.
Ed or colei che appellati
È la città dei Fiori.
Sulle fronti è l'orgoglio,
La gioia in tutti i cuori.
Fatta per te più fulgida,
Più bella essa rinasce:
È il di che di sei secoli
L'oblio vince e le ambasce.
E perchè il marmo fremere
Le sembra minaccioso,
E riprender degli esuli
Il cammin tenebroso,
532 POESIE DI MILLE AUTORI
0 Dante, — come tenera
Madre, che teme ancor
Del tuo corruccio — avvinceti
Con ghirlande di fior.
Vieni! di sogni e pallidi
Fantasmi è questa Torà.
De* suoi opali semina
1 monti e Tacque ancora,
E il tuo gran marmo in tenebre.
La mattutina stella.
Agita un lungo fremito
La terra tua si bella,
Dalle Cascine al venice
Di Giotto ancor silente.
Di Ghibellini estollevi
E di Guelfi fremente,
A contemplarti, innumera
Turba dal freddo avel:
Dove, già stanca, infrangere
Vorria di morte il gel.
Vieni! e se un di per funebri
Lande la Musa errante
Scalza trovasti, e splendere
A' passi suoi dinante
Il buio festi, e a palpiti
Novi hai quel seno aperto —
Qual la nasconde un'oasi.
Parla, o qual mai deserto?
Da che l'avaro secolo.
Che sol dell'oro ha cura.
Sdegna l'orecchio porgere
A quella voce pura.
Di mirto un ramo cogliere
Per la proscritta io vuo' :
Ai suoi altari l'umile
Incenso mio darò.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 533
Novello a me Virgilio
Sii tu, Maestro; assai
Nella selva selvaggia
Tra larve infide errai.
Aquila altera infrangimi
D*un colpo le ritorte;
Fino alle stelle guidami
Pei regni della mone.
E al di là dello spazio,
Confin di nostra terra,
Che un benedetto raggio
Al guardo mio disserra,
GÌ* ignoti deir empireo
Schiudi orizzonti a me.
Cui r infinito a limite
Supremo Iddio sol die.
Già si lancia il mio spirito
Dietro i tuoi passi a volo.
Le strida non lo arrestano
Del sempiterno duolo:
Non l'atre solitudini
Delle vallee silenti:
Non l'urla che scatenansi
Fuor dei sepolcri ardenti:
Non quella, a chi osa incedervi,
Dite fatai, che rugge
Neil' infuocato vonice
In che tutta si strugge:
Non gli spettri che io tenebre
Eteme, in caldo e in gel.
Mena col remo il livido
Navalestro crudel.
Per fiumi e laghi e rivoli
Di sangue e di bitume.
D'onda in onda, lo spirito
Drizza al fondo le piume
534 POESIE DI MILLE AUTORI
Del freddo abisso; oceano
D'amarezza e di lutto I
Ove, in suo vano orgoglio
Da un giusto Dio condutto.
Simile a quel del Caucaso
Titano fulminato,
Si dibatte Lucifero
Mordendo il suol ghiacciato
E, più di quel che schiaccialo
Grave pondo infernal,
Gli è duro, insopportabile.
Il rimorso fatai.
Duca, eh' io possa intendere
Un solo istante, un solo.
L'armonioso anelito
Di due colombe a volo:
Imbalsamato cantico
Del cor, si pio, si tristo
Che, in ascoltarlo, Cerbero
Quasi quietar fu visto:
Che da Francesca in lagrime
Io possa udir. Signore,
Per quale arcano fascino
Chi l'accese d'amore
Le fé' il nappo dolcissimo
Con un guardo libar,
E in un supremo bacio
La morte ritrovar.
Ma sovra l'ali rapide
La tua virtude e i venti
Di già lungi mi portano.
Ecco fiori e concenti,
E valli, e boschi, e limpidi
Rivi, — che gli ondeggianti
Steli sul margo irrorano —
Ecco profumi e canti!
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. $3$
Non è questo dal soffio
Del gran Fattor creato,
L* Eden non è, dagli uomini
SI sovente implorato,
Dove sotto le aeree
Palme t'accolse un di
La sorridente vergine
Che al guardo tuo s'oflPri?
L'hai scona... è dessa; guardala,
A noi tende il suo velo,
E in novo incanto levasi
Verso più puro cielo.
Al suon dell'arpe angeliche —
Di sole in sol portati —
Dell'arpe d'or che vibrano
Sotto gli azzurri strati,
E intorno a noi la splendida
Del divo amor scintilla
In gemme innumerabili
Tutta s'incende e brilla;
E per gli spazi eterei
Stesa senza confin,
Del firmamento irraggia
Il nobile cammin.
Ed ecco dell'Altissimo,
Di laude assorta in canti,
Qual rosa immensa, effluvio
D'aromi inebbrianti.
D'eternità sul limite
Aleggiar la coorte
De' puri spirti angelici ;
Vincitor della morte
Degli eletti il manipolo.
Avvolto in bianche stole.
Splendere intorno. Trepido
Verso l'eterno Sole
53^ POESIE DI MILLE AUTORI
Lo Sguardo mio già levasi;
Già il grande occhio mi par»
Entro r eterno calice,
Di Jéhova brillar !
Ahi ! Non eran V Empireo
E i suoi splendor che larve.
Co* suoi demoni V Èrebo
Era una larva..., e sparve!
n sogno mio dileguasi
Colla notte che muore:
Ecco già i monti illumina
L'alba col suo fulgore.
All'ombra tua, che involasi,
Subentra un nudo sasso;
E al lampo che disvelami
La realtà, me lasso!
Sento in polve dissolversi
L'abbattuto pensier,
Al pie' della tua statua
Dal volto irato e alter.
A che i festivi cantici,
A che gli onori, al fiero
Ghibellino? Che importano
Mai de* Toschi al primiero?
Eì sa ch'anche uno splendido
Giorno uragan rinserra:
Egli sa che 1' Italia
Dei vulcani è la terra,
E quanti del Vesuvio
Nella lava tremenda
Tribuni e re disparvero
Con alterna vicenda,
Insin dal di che il genio.
Che indarno il fiotto assai,
Eterno accanto naviga
Al Làbaro immortal.
INTORNO A DANTE ALGHIERI. 557
E etemo è il tuo! Dell'aquila
Sin che l'artiglio audace
Porrà suo nido in culmini
Segno al fulmine edace —
Vasto siccome l'etere,
Qual l'abisso profondo —
Aleggerà tuo genio
Sull'attonito mondo.
Diran coli' eco, in mistica
Voce, sui rosei vanni.
Di Bice il nome i zeffiri:
Del tuo bel San Giovanni
Quando forse da secoli —
Che nulla eterno su —
Vbto le Porte in polvere
Occhio mortale avrà.'
1 QoMti versi coti ti leggono aell'opotcolo dtcto nel precedente capitolo.
5)8 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXII.
Angelo Gualandi.
Voti e speranze in occasione del sesto centenario
dantesco in ravenna.
Sonetti.
(14 maggio 1865).
All'Italia.
Donna regal, di tua grandezza altera.
Palladio di virtute, Italia bella.
Te non scinda livor, non prostri nera
Per6dia i chiari ingegni e la favella!
Ma fisa in Lui' che in ciel da eletta spera
T' arride padre, duce, e fida stella.
Chiama i tuoi prodi alla virtù primiera,
E spegni qual v' ha brama empia o rubella !
Italia, Italia, al gran disio rispondi...
Sorgi, e al ciel terso, e d' aure dolci al riso.
Mostra agli strani quanti pregi ascondi!...
Uno in te sia il voler, non più diviso,
E spenti i cittadini odi profondi.
Tornerai, bella Italia, un paradiso!...
' Dante Alighieri.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 539
O Italia, o bel giardin dell' universo,
Posta ad esser regina e non ancella,
Serba gelosa la gentil favella,
L*aér puro, i bei campi, e il ciel si terso!...
Ve' lo stranier che V occhio in te converso
Di possederti tanto s' arrovella,
E di quegli odi avviva la facella
Onde in petti fraterni è il ferro immerso !
Temi de' grandi imperador V ausilio.
Pensa che è legge vergognosa e dura
Fidarsi nell'altrui forza e consiglio.
Ebbe già un di per l'altrui fé spergiura
L' itala libertade onta e periglio;
Or più non 1' abbia... sul tuo brando giura!
Infranti i ceppi ornai di schiavitute
Leviam l' italiana alma da forti.
Non sian per noi le illustri tombe mute,
Non le gesta magnanime dei morti ;
Non sian l'itale donne ognor vendute
E d' infami stranier mancipie ai torti.
Ma l'avita si desti in cor virtute.
Risorga ardor che nuove glorie apporti!...
Non ci vinca per Dio nuov'arte o inganno,
E mentre calmi n' attendiam diletto,
Tal eh' adegui il patito immenso affanno...
Giuriamo a te, giardin di pregi eletto.
Francarti, o Italia, da servaggio e danno,
E sacriam a tuo scudo il nostro petto!
540 POESIE DI MILLE AUTORI
A Roma.
Ahi, Roma, tu che i tuoi trionfi e glorie
Rechi ne' templi e in moli auguste sculti.
Grande un dì per falangi e per vittorie.
Poi per la Croce sui bugiardi culti »•••
Lasci ancor che sui marmi e le memorie
Turba schiava a Simon s' assida e insulti,
E libertà di nostre patrie istorie
Dineghi a figli ognor mancipi e inulti?...
Scuoti omai, generosa, il giogo indegno,
E grida a Lui che in Vaticano ha sede:
<c Santa la libertà, santo il triregno ! »
Sii de* cristiani martiri V erede,
Via mondo e carne, e per l'invitto Segno
Umile e nuda trionferà la fede!...'
' QDMti veni coti ti leggono a pAgg. y 1 MwtfvMfio ianlaeo im Rammn». Tip. Fata
6 int Voti § spiranti im oetathm dtl tato I • GaragaAiiI, Bologiu, 186$.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 54I
DCCLXXIII,
G. Battista Terracina.
Il sbsto centenario di Dante Alighieri.
Canzone.
(14 maggio i86s).
Egli novenne il palpito
Primo senti d' amore.
Alla diletta vergine
Sacrò l'ingenuo core»
Onde gli venne stimolo
A nobile virtù.
Raccolse Egli dai codici
Del Lazio i sparsi fiori,
Unificò degli itali
Eloqui i bei tesori,
E tra le dense tenebre
Fulgido sole Ei fu.
A lui era la Patria
In cima de' pensieri ;
Uffici ebbe dal .popolo
E gravi ministeri ;
Ma r Odio e la Discordia
La face, ahimè 1 agitar.
542 POESIE DI MILLE AUTORI
Risse, perigli, ambascie,
Tumulti, ire, vendette.
Armi, battaglie, vittime,
Pene, furor, distrette,
Paure, fughe, esigilo
Queir anima affannar.
Al suo agitato genio
Allora il volo aprio,
Su la straziata Patria
Gemette in suono pio,
E di que' mali ai perfidi
Autori alto imprecò.
Quinci col suo Virgilio
Entrò nel tristo regno.
Vide le bolge, e ai vani
Delitti il loco degno,
E dei dannati gli orridi
Tormenti ritrattò.
Poi dal dolente Tartaro
Mosse a veder le stelle.
Girò pel monte u' l'anime
Nel fuoco si fan belle,
Finché di quel sul vertice
Fermava il lasso pie*.
Ivi dal cielo empireo
A lui Beatrice venne,
Ginta di luce angelica
Il suo fedel sostenne,
Ed air afflitto spirito
Speme, conforto die*.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 543
Con la sua guida estatico
Passò di sfera in sfera.
Giunse *ve il canto etemasi
Di lode e di preghiera
Air Uno, al Trino, al Massimo,
E in quel fulgor posò.
E laudi, e offese, e invidie
Seguirò i carmi suoi;
Il limitar dei Principi
Pur seppe quanto annoi
Un* anima che libera
I suoi pensier dettò.
Mori doglioso, povero.
Proscritto in altra terra.
Ove un umile tumulo
La polve di lui serra
Che accese Europa e Italia
De* studi al santo amor.
Alma sdegnosa, ah! placati,
E '1 torto antico obblia ;
Firenze tua dei proavi
La grave colpa espia,
E nel comune giubilo
Ti rende il degno onor.
Vola per lei fra i popoli
Più celebre il tuo nome,
Tenta ciascun di intessere
Un serto alle tue chiome
Movendo su le cetere
Inni di plauso a Te.
544 POESIE DI MILLE AUTORI
O gioventù d' Italia,
Al bello in Lui ti inspira,
Svolgi le dive Cantiche
Della dantesca lira.
Ama Sapienza e Patria
Segui Virtute e Fé.*
Il Terracina fu avvocato e professore a Bassa no.
' Quetu caniOB* coA fu tump«t« in Baimiio, nel 1865, preMO U tip. Roberti.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. $45
DCCLXXIV.
G. Moretti.
Per le feste del sesto centenario
DI Dante Alighieri.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
Non la Fiorenza dalle ree contese,
Non la matrigna in sua ragion smarrita
Quella che or tieni al pie*, madre pentita,
Fatta è regina del più bel paese;
Deh, tu della sperante obblia l'offese,
E all'invito d'Italia, ombra gradita.
Scendi alle glorie non concesse in vita;
E allegra il tuo bell'Arno, ombra conese.
Là de' più grandi, sul più aho stallo
Posa gigante; e insegna che profondo
Sapere, e patrio amor, ne aveano esigilo;
E ad ogni terra che ebbe un genio a figlio
E lo sconosce, tu rinfaccia il fallo
Prima che sorga ad emendarlo il mondo.'
C2p«ito soneito coti fu ttamp«to in Rovif^, nel 1865, presso k tip. Minelli.
Del Balio. VoL XIV. 35
546 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXV.
Gualberto De Marzo.
U Italia b Dante.
(14 maggio 1865).
E i secoli sparirò!... e insiem con essi
Vorticando n*and6 forse ali* oblio
D*un popolo d'eroi memoria e vanto?
Forse su l'arche, ove a cipressi e marmi
Non fean ricordo, non siede custode
Dell'estreme reliquie il Genio antico,
Italo Genio, che pur nuova feo
L'età che volse, e che ritemprar volle
A un più bello avvenir la speme ai forti }
Ah! non passò la gloria. Entro le stesse
Ire frementi eh' avvampar fur viste
A un'ara stessa accanto, in sul medesmo
Scoperto avello, ove del vinto e insieme
Del vincitore il fral scendea raccolto
Suonò di plauso il carme, e rigoglioso
D'ombra ospitale frondeggiò l'alloro.
Ah! non passò la gloria, e né fu muta
Giammai la speme su l'età venture
Alla terra, ove Dio dell'immortale
Suo spiro animator fé' largo dono,
E ove ogni sasso è storia, ed ogni gleba
Gli stremi avanzi d' un eroe ricopre.
Nell'urna sacra, ove riposo han Tossa
Di chi seppe destar di virtù patria
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 547
Vividi sensi e generosi in seno
Deir itala progenie, ira solenne
Arse pur sempre a vendicar l'oltraggio
Dell'oppressor temuto. Ivi il responso
De* trionfi sperati, ivi il bel canto
Che punge il core all'itala fanciulla
Ludibrio allo straniero, ivi la face
Deir etemo sapere, ove s'accende
Di novello vigor l'itala mente.
Ivi l'amor, la fede, ivi il conforto.
La pietà, la sventura, i danni e l'onta:
Lutto e speranza insiem ! E ov'era, o Italia,
Dell'impero il prestigio, ove i tuoi fasti?
Fu regio orgoglio: fervida contesa
Rossa di sangue fa l'onda sebezia,
E di Manfredi il duol semina lutti
Sopra i figli traditi, e oppresso intanto
E in se medesmo irato vagolava
Di Corradin lo spirto per l'immonda
Di sangue ara di morte: inutil vanto
Dell'età che fé' suo l'orgoglio avaro
De* despoti temuti ! Unica speme
D'un popol macerato, la vendetta;
E la vendetta pari a turbo freme
Nel cor sicano libertà di patria
Su l'oste Franca, a mille òde Panormo
Per l'aure vespertine in le sue vie
De morenti echeggiar voci di pianto.
E fu vittoria?... Sventurata patria
Di magnanimi figli, a cui la speme
Nutre l'ardor sepolto, e fa laguna
Di cittadina bile ogni contrada.
Patria infelice, cui rendea più triste
Di su' romulei colli idra vorace.
Dalle sette cervici, e in sette brani
Dilaniata ti fea scherno alle genti!
543 POESIE DI MILLE AUTORI
Funesta età, che su T immonda sabbia
Scrisse pur laude airorgoglioso, e incensi
Arse devota al fariseo novello!
Premea il destin, ma non passò la gloria.
Che pur radiante di splendor su l'urne,
Di cipressi deserte e illacrimate,
Stette retaggio di speranza ai figli.
Come in torbido mar nocchier che naufrago
Ove più freme Tonda aflferra il lido,
Vede Italia colui, cui vince affetto
Dell'infelice terra, e ramingando
Di suolo in suol Simonide novello
Della patria mostrar gli sparti avanzi
Di tanta gloria combattuta, e l'onte
Narrare, e il biasmo, e le sciagure, e i danni
A l'età che fu sua e al mondo intero.
E no M nutria quel mendicato pane
Dalle mense d'altrui, ben la speranza
De' lontani nepoti, nel cui petto
Di virtù maschia e di pietate sensi
Seppe stillar con l'armonia de' versi
Novello Orfeo, ma più possente ancora,
Non piante e sassi, ma nazioni, etati,
E insiem con esse tutto, e terra e cielo,
Eternitate e tempo investe e vince.
Or ecco, o madre Italia, in cui ti allieti
De' tuoi trionfi, e degli ancor sperati
Trofei. Dall'Alpi all' Etna un alto grido
Di gioia e di speranza oggi risuona.
Oggi» e s'innalza ancor fino alle stelle;
E vera gioia è questa, a cui t'invita
L'aura prima che bevve il tuo Profeta,
Su per questa dell'Arno alma riviera,
Ove in spiro d'amor nuova favella
Ti ritemprò sul labbro, e a un nuovo affetto
Oggi i tuoi figli stringe; ed arra è questa
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
S49
D'un più lieto avvenir, che ti vedrai
Di Provincie signora, e non bordello.
Oh! ardisci: a nuova etate ancor t'appella
Del tuo cantor la sillaba divina.
Di sei secoli suon che al cor ti scende
Ardisci, ei te *1 rammenta che fin quando
Qui stia congiunta al pastoral la spada,
Servir tu deggia allo stranier sommessa.
Nel monumento eterno, in cui confonde
Le sue vittorie il tempo, eterna dura
L'alta sentenza, e ti fia scuola all'opra.
Non più Greco, o German, né Ispano, o Gallo,
Una fede, un amor, una speranza.
Una la terra che nutrica i forti
A libertà devoti, e un sol vessillo
Di libertà, raccolga all'ombra amica
Genti e nazioni, e nel fraterno amplesso
Fratelli tutti. Se per te rifulse
Tempo già fu nell'universa terra
Di civiltate il sole, oggi per Dante
Nuova per le Nazioni aura di vita
Fia che si spanda; si che Dante e Italia
Portino grido dell'età che è nostra,
Che i popoli congiunti in un sol patto.
Gli han già fatti fratelli Italia e Dante.'
Vntonio Gualberto De Marzo, nato in Oria, in Puglia, fu un
» e coraggioso affiliato della Giovine Italia, Nel 1848 fu im-
inato, e, poi, mandato in esilio per dieci anni. Nel 1860 fu
nato professore di letteratura italiana ; ma appassionato di Dante
» la cattedra per dedicare tutto il suo tempo ad un commento
Divina Commedia, nel quale impiegò ben venti anni. Il primo
olo del primo volume venne fuori nel 1864 ^^ Firenze presso
reria Grazzini-Giannini e solo nel 1873 era completato; il se-
lestA poetit fu tump«t« U prioiA
U Grauini-GiAimini, Firciuc, 1865 ;
rodotu • p«g. 35 e segg* in : PofsU
di Gualberto Dt Mar^o, con proemio di
Edoardo De Fornasari. Firenze, Ceilini,
in-S p.
550 POESIE DI MILLE AUTORI
condo (1877), ^^ ^^2^ (1881) furono stampati dalla Galileiana. L'o-
pera è intitolata: Studi filosofici, morali, estetici, storici, politici, filolo-
gici su la Divina Commedia.
Il lavoro è commendevole per gran copia di notizie, ma non
è sempre ordinato, né porta un contributo nuovo molto notevole
nelle quistioni più dibattute.
Il De Marzo ha composto anche un sistema cosmogonico inti-
tolato: Perpetuità dell'esistente. Pubblicò pure: Elementi di psicologia e
logica ad uso delle scuole; infine stampò un romanzo storico: L'Ebreo.
Le sue poesie sono più degne di nou. Fu lodata molto una
poesia, scritta per l'onomastico di sua madre, in cui vi è ispirazione
e sincero affetto. Nel carme L'Italia, composto quando più infierivano
le persecuzioni borboniche, si agita vivacissimo il pensiero su i de*
stini della patria, che vanta il culto del bello e del bene, mentre
Tane è per essa fede, sacrifìcio e virtù. Anche nell'ode La Risurre-
zione predomina il sentimento patriottico, e insieme il pensiero del
riscatto dell'intiera umanità. Sono belli i Sonetti suoi sulla Gorizia e
commoventi i Canti popolari sulle rovine di Melfi, desolata dal ter-
remoto nel 1851.
Non vanno dimenticate la tragedia Alessandro dei Medici e al-
cune sue traduzioni da Orazio.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 55 1
DCCLXXVL
Gio. Batt. Svegliato.
Daxtes Alighierius.
(Ode alcaica).
(14 maggio 1865).
Quis iste? launis cui rigidam obtegit
Aeterna frontem, magnifica senex
In veste spectandus, supemas
Ore gerens oculisque flammas?
O Summe vatum, Te veneror, tibi
Devotus uni sacra deosculor
Vestigia, o Dantes, Hetrusco
Méonides redivive caelo.
Sancti profanus non ego quiverim
Opus laboris carpere, non ego
Morosus irascor, quod asper
Difficili sonet aure versus.
Nec usque amicas e fidibus notas
Perita ducit dextera, moUibus
Coniungit ingratas, et altum
Dat tenui e sonitu fragorem.
O quantus adstas, seu loco pallidi
Inferno luctus, sive animas refers
Quas iam supremis destinatas
Ordinibus Deus igne purgat;
552 POESIE DI MILLE AUTORI
Seu quando pennis non homini datis
Scandis negatos caelicolum vias,
Et luce mortali, potentis
Numinis intuitu bearis.
Robustiori Carmine praepotens
Tu pandis audax dia sciendae
Portenta, Tu cunaos penetras
Exagitatae animae recessus.
Ultro cadentes quis lacrymas premat
Arìminensis moesta nefarìas
Elisa cum flammas et altum
Sponte aperìt pudibunda vulnus?
Aut cum latranti se lanians fame
Dira Ugolinus triste fremit specu,
Seseque proreptat per umbras
Exanimes super ipse natos.
Non sic paterno sanguine defluens
Mentes dolendus perculit Oedipus,
Non sic stupentes territavit
Cecropidas fera coena fratrum.
Funde ergo vocem, magne Pater, tuam
Late per oras, excute languidas
Cultu peregrino nitentis
Italici Genii favillas.
Unum recentes Te sequi ament ducem
Colantque Vates, auspiciis tuis
Tollet renidentem Pòesis
Grandiloquo gravis ore frontem.
Viden profundae ut prima scientiae
Parens et altrix Euganea expoliti.
Et luce donatum recenti
Dedicat Ausoniae luventae
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 5S^
Cadeste Carmen, mentis opus tuae?
Ut inde sumpto concita spiritu
Laetatur, et rursus revolvi
Posse putat nova saecla in auro ?
Sic plenus altam spem probet exitus,
Sic detur aequum promerìtae decus,
Et palma praelustris coronet
Magnanimos operum labores/
' QpMt'odtf coti fu tumpAU in Padova nel 1865, «diziont delU Minenra, toI. V,
• 533 « ««gg-
5)4 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXVIL
Gaetano GmvizzANi.
Agli strakieri che da ogni parte d'Europa conven-
nero IN Firenze ad onorare il divino Alighieri nel
VI SECOLARE ANNIVERSARIO DALLA SUA NASCITA.
(14 maggio 1865).
Non io, non io con giovenile ardire
Seguiterò col canto
L'amoroso desire
A celebrar le lodi,
Onde tu primo vanto
Dell'italica terra e gloria al mondo.
Altri, che puote a più sublime segno
Poggiar col forte ingegno,
La piena lingua snodi,
E a te poeta e cittadino sciolga
L'italica armonia.
Sol nel pensier di te farsi tremante
Sento quest' alma, e a me stesso dimando :
Qual v'ha parola che, di te parlando.
Suoni maggiore del tuo nome, o Dante?
Pur seguitando il core.
Poiché il mio verso sonò sempre amore.
Render vo* grazie a voi.
Che dalle peregrine
Terre d' Europa ne veniste a noi,
AI sacro rito, onde la nova etade
Nell'italico suolo
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 555
Festeggia a lui, che con ardito volo
Peregrinando per ignoti mondi,
Sotto il velame delli versi strani,
Svolgeva nei profondi
Pensieri il germe d'una nova vita
A questa Italia ch'ei piangea partita.
E voi pur la piangeste in meste note,
Quando alle rotte voglie
Di tiranni stranier vedeste in forza
Queste contrade belle,
E con l'arti, con Tarmi e coi convegni
Partir tra lor le miserande spoglie:
Quando questa negletta incatenata
Terra sembrò di morti.
Ma l'ombra ancor vagava
Del divino Alighiero
Per questo cimitero,
E quando meno ella parea possente
Ei chiamò a vita questa morta gente.
E la novella gloria
Vedendo voi di questa nostra etade,
E la miranda istoria.
Meravigliando si potesse tanto,
A noi plaudiste, a noi
Che degli antichi eroi
Studiammo rinnovar le ardite e belle
Ceste con nuovo vanto,
E voi, che ancor la dura
Tirannia preme, a noi plaudiste, poi
Che la ragion futura
Nel nostro ricercaste al vostro fato;
Che ci inspirava il Dio
Che in una legge sola il mondo unio.
Oh non ancora appieno
Il desir nostro aggiunse all'ardua meta;
Oh non ancora nel suo bel sereno
5 5^ POESIE DI MILLE AUTORI
Ridono i giorni all'itala speranza;
Ancor nei ceppi avvinto
Geme il lione alato,
E di catene cinto
Il grande augel di Roma:
Ma non timor vi prenda.
Che il picciolo sì doma,
Non il forte lion della foresta,
Né l'aquila latina
Nel Vaticano un uomo sol confina.
O voi, che avversa sorte
Fé' più pietoso il core.
Se delle vostre terre un santo amore
Alimentaste in petto
Con l'opra e la parola,
Deh soccorrete alle battaglie estreme.
Non sol vi sarà gloria
L'italica vittoria,
SI ben dei desir vostri al compimento
Vi crescerà le forze e l'ardimento.
Questa guerra non è d'armi e d'armati;
Questa è la pugna del pensier, tremenda
Pugna che nacque il di che infuse Iddio
Lo spirto avvivatore
Ne la plasmata argilla;
Che dei profeti al canto
E degli oppressi al pianto
Virtù giugneva al core.
Finché di Vico all'immortale grido
Dall'uno all'altro lido
Novellamente si riscosse il mondo.
È la battaglia estrema
Del libero pensiero,
Che dal passato, con cui sembra in guerra.
Prende sua vita ad innovar la terra.
Fatta secura nel suo divo impero.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 557
Non vi prenda timor; l'avventurato
Scettro d* Italia oggi non tiene in mano
Ozioso sovrano;
SI bene un re soldato.
Non vi prenda timore; ancor respira
L' aure di vita un forte
Spregiator di tiranni e della morte
Sovra un famoso scoglio
Che non invidia lo splendor del soglio.
Quante v' han terre in duolo,
In cui la forza di stranier tiranno
Tarpa alla dolce libertade il volo.
Sperino in lui, che fisso in un profondo
Pensier, nomando va sua patria il mondo.
E quando il di si avveri
Delle battaglie vostre,
O martiri Poloni, o d* Ungheria
Miseri figli, noi
Certo sarem con voi:
Ricorderem che a pie' del monumento
Dell'Italo Cantore
Voi deponeste, o eletti bardi, un fiore
Che alimentaste con il vostro pianto;
E questo fior che ci è fra tutti santo
Noi serberem con religioso aflFetto
Nuove virtudi ad ispirarci in petto.
Quando tornate alle native terre,
Dite che in riva all'Arno
Al simulacro del divin Poeta
Tutto s'accolse l'italo paese;
Che in un pensier cento cittadi unite
V* han pregato recarne il lor saluto,
E che piangendo udirò
Dei vostri canti il nobile tributo.
Dite ai fratelli vostri
Che noi vi amiamo tanto.
558 POESIE DI MILLE AUTORI
Che qui non suona indamo
Mai degli oppressi il pianto.
L'aure son liete e care
Ove la santa libertà respira,
E l'alma si consola
Che *n su temprata lira
Può disposar di Dante all'armonia
L'italica parola.
A sostener dei popoli il diritto
Libertà infonde arcana una dolcezza.
Che intender non la può chi non la prova:
Ma di celeste ebbrezza
Solo riempie quando,
Qual fida madre al travagliato figlio.
Dir ci concede all'uom col fato in guerra,
AU'uom che è volto in disperato esiglio:
Vieni e ti quieta nella nostra terra!
O quanti qui n' addusse
La reverenza del Cantor divino,
Quando reddite alle natali prode
Nunziate ai vostri che in su queste rive
Dell'Alighieri è surto il monumento:
E che questo non sia ozioso vanto
Di gente che sol vive nel passato.
Ai vostri figli sarà ben mostrato
Per la gloria dei secoli futuri. '
Gaetano Ghìvizzani nacque in Firenze verso il 1840. Fece i suoi
primi studi in quella città, nel collegio degli Scoiopii, dove, essendo
ancora alunno di rettorica, nel 1857, scrisse un sonetto quando Pio IX
vi si recò, di una certa arditezza. Indi passò all'Università di Pisa,
dove nelle cose del diritto ebbe a maestro Francesco Carrara. Ne!
mezzo del 1861 compose una canzone iperbolica a Vittorio Emanuele,
' Questa canzone cosi si legge « pag. 7$-
81 in un libro in- 16 col titolo: Ftrsi di
Gaetano GhÌTÌzzani, Pistoia, società tip.
pistoiese Carducci e BuongioTanni e C
1867.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 559
quando per «voto della nazione e per decreto del Parlamento si
intitolò re d* Italia », che parve troppo laudativa non soltanto al Guer-
razzi che gli scrisse «le soverchie lodi sciupano chi le fa e chi le
riceve », ma anche al Tommaseo.
Fu nominato poi professore nel liceo di Macerata e nel 1867
pubblicava il suo primo volume di versi originali e di traduzioni.
I casi della vita, dopo esser passato per vari licei, lo ridussero
in povertà. Poi fu ammesso come operaio avventizio, presso gli scavi
di Roma, a lire due e mezzo al giorno. Morì, in Roma, nel 1903,
all'ospedale di S. Giacomo.
$6o POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXVIII.
Vittore Hugo.
écrit sur un exemplaire de la divika commedia.
(Riprodotto 14 maggio 1865).
A Monsieur Gaetano Ghivi^ani,
Monsìeur,
Votre demande m*honore, et j*en ai été vivement touché. Je de*
chiffre avec peine Tìtalien, et je m'en accuse. Je m*en excase aussi,
car de là vient le retard de ma réponse.
Vous désirez publier dans votre recueil mes vers sur Dante.
Ils sont dans les ConUmplaiions, Le Gonfalonier de Florence
m*a écrit ; je lui ai répondu. Il va sans dire que vous pouvez publier
ma réponse, si vous le jugez à propos.
Votre lettre eloquente porte Tempreinte des semimeots les plus
élevés. Je suis avec vous. Je suis un bon italien, ce qu*est une excel-
lente manière d'ètre un bon fran(;ais.
Recevez, monsieur, mon cordial serrement de main
Hauteville House, 6 mai 1865.
Victor Hugo.
Un soir dans le chemin je vis passer un homme
Vétu d'un grand manteau comme un consul de Rome,
Et qui me semblait noir sur la ciarle des cieux.
Cela passant s'arréta fixant sur mei sts yeux
Brillants, et si profonds, qu'ils en étaient sauvages.
Et me dit: «J'ai d'abord été, dans les vieux iges,
Une haute montagne emplissant rhorizon;
Puis, àme encore aveugle et brisant ma prison,
Je montai d'un degré dans Téchelle des ètres,
Je fus un chéne, et j'eus des autels et des prétres
Et je jetai des bruits étranges dans les airs;
Puis je fus un lion révant dans les déserts.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 56 1
Parlant à la nuit sombre avec sa voix grondante;
Maintenant, je suis homme, et je m'appelle Dante. » *
Victor Hugo, nato poeta, ebbe, per le vicende della sua vita e
di quella di suo padre, agio di sviluppare e perfezionare le ingenite
qualità di osservazione, di sentimento, di colorito, per cui divenne
non solo il più gran poeta del suo paese, ma uno di quei poeti uni-
versali che parlano, in tutti i tempi, a tutto il mondo. Vide la luce
a Besan^on, nel 1803; e, appena adolescente, segui suo padre, ge-
nerale, nelle varie campagne napoleoniche. Venne in kalìa, sog-
giornò qualche tempo in Avellino e si innamorò vivamente del no-
stro paese, pel quale serbò costante e sincero affetto fino alla morte.
Animoso, sentendosi forte come un leone, non esitò, appena
quattordicenne, di presentarsi ad un concorso di poesia, bandito dal-
l'Accademia francese. La sua poesia fu giudicata eccellente, e avrebbe
ottenuto il primo premio, se non si fosse saputa l'età dell'autore.
« Non è possibile - allora dissero i giudici - che un adolescente
abbia potuto scrivere così ; non è farina del suo sacco ! » E, in tal
modo, il primo premio fu ridotto a semplice menzione onorevole.
Ma r adolescente non se ne stette, vergò una vigorosa protesta, che
fece rumore, e provò che non si fanno versi, come non si ùl al-
l'amore, col solo calendario in mano. Dimostrate la sua forza e la
sua capacità a dispetto del calendario, vinse facilmente nei concorsi
poetici indetti dall'Accademia provenzale, e fu dichiarato maestro dei
giuochi floreali.
Molti incominciarono a guardarlo come una speranza della
patria, specialmente dopo che Chateaubriand lanciò il gran grido:
Voilà un enfant sublime, 11 gran sacerdote della scuola classica con-
sacrava air immortalità il giovane amatore delle nuove muse. Ma
la gloria scendeva sulla sua testa insieme con gli strali del dolore.
A diciannove anni la madre sua, da lui teneramente amata, se ne
moriva. Egli, in versi, che strappano le lagrime, ne onorò la me-
moria; e nel lavoro cercò l'unico sollievo possibile dopo questi
grandi dolori. Scrisse Han d'Islande^ e con esso mise la prima pietra,
della nuova scuola, della scuola romantica.
Passava come un trionfatore, come un giovine iddio tra i salotti
dorati e profumati della corte di Carlo X; il futuro fustigatore del-
l' impero e di tutte l& menzogne e le corruttele monarchiche era,
allora, legittimista. Forse, in gran parte, il suo intelletto, per grati-
' Qp^ti vcrM cositi leggono* pag. 196
in : Veni di G. GhÌTizzani» già cit. Il Ghi-
▼izzAni ristampò questi versi, e pubblicò ,
per U prima volta, altri versi di poeti stra-
nieri, nel 186$, In Firenze, in un opuscolo
dal titolo : Omaggio dtlV Europa a Danti,
ora introvabile.
Dhi Balzo. Voi. XIV. 3^
302 POESIE DI MILLE AUTORI
tudine, era stato deviato: Carlo X gli aveva assegnato duemila lire
di pensione, assicurandogli i mezzi di lavoro. Intorno a luì si erano
stretti giovani ardenti, battaglieri, p'eni di talento, tutti nomi che
dovevano brillare nel cielo di Francia, quali Alessandro Dumas, Al-
fredo De Vigny, Emi! e e Antony Deschamps, Gustave Planche e
Sainte-Beuve specialmente; poeti, cioè, artisti, critici, una vera pleiade,
che doveva innalzare un coro di laudi,. quando egli, a ventitre anni,
pubblicava le sue Odes et BalladeSy che lo posero a capo del movi-
mento letterario francese e lo fecero salutare grande poeu. I vecchi
barbassori, i critici cristallizzati nelle viete formule, tutti gli ipocriti
e i pedanti e i praticanti di lettere gli si mossero contro; ma egli
li stritolò nella prefazione al suo Cromwell, che fu il grido di guerra
e la bandiera, nel tempo stesso, della nuova scuola trionfante, che
voltava le spalle all'Accademia ed entrava nella vita. Alfredo De Musset,
Teofilo Gauthier, Alfonso Karr, si inchinavano al giovine sole, e,
col loro talento scintillante, aprirono nuovi e profondi solchi per i
quali la corrente nuova doveva innaffiare la feconda terra di Fran-
cia. Scrive Un condannato a morte e il gran romanzo storico Nostra
Signora di Pari^, indi Marion Delorme^ così saturo di lagrime, di
passione, e di protesta ; ma Carlo X, spaventato dai suoi consiglieri,
ne proibisce la rappresentazione. Allora, Victor Hugo comprende
che quella corte e queir ambiente non sono fatti per lui. Il genio
soffoca sotto r incubo dei soffitti dorati. Scrive Hernani, che segna
un trionfo straordinario, dopo una vera battaglia combattuta all'Odèon.
Il giovane e grande poeta sente tutta una nuova vita nel suo petto
gagliardo, sente tutta la nobiltà della sua missione, sente che la sua
patria lo guarda, e abbandona la corte ed entra nell* umanità. Il re
gli vuole aumentare la pensione da duemila a seimila lire per risar-
cirlo del danno prodottogli dal divieto della rappresentazione di
Marion Delorme; ma egli ricusa. La sua libertà non ha prezzo; la
Francia e il mondo gli daranno ben altra pensione e ben altre co-
rone. La Rivoluzione, che spezza il vecchio carcame legittimista, gli
dà tutta la sua libertà. E il suo cervello diventa un vulcano glorioso.
I drammi si alternarono alle liriche. Ogni rappresentazione teatrale
era un avvenimento letterario e politico, era una battaglia, era un
trionfo. La scena francese si arricchiva. Passarono vittoriosi innanzi
al fuoco della rampa: Maria Tudor, Lucrezia Borgia, Le roi s'amuse,
Angelo, Les Bur^raves, mentre la lirica sfolgorava con le Orientales,
commoveva con Le fo;;lie d'autunno, cullava l'anima in una dolce
malinconia con i Canti del crepuscolo, dava tutto il contrasto della
vita con Rag^i ed ombre, e destava il pensiero con le Voci interiori.
Tutto il popolo sperava, e cantava col poeta del quale divideva
le ansie della vigilia e le gioie dei giorni di vittoria, in lui vedendo
personificata l'arte francese. Così, nel 1841, nonostante le mene
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 563
delle cariatidi del vecchio regime e delle vecchie scuole, il poeta
entrava nell'Accademia francese, accolto da quell'affermazione co-
raggiosa e vera di Lamartine, che è rimasta storica : « Noi abbiamo
qui due accademie, la piccola e la grande ; voi avete tutta la grande
per voi ». Nel tempo stesso veniva ascritto tra i pari di Francia.
Tutti questi onori non lo resero superbo, né gli sterilirono
l'anima, che sentivasi battere all'unissono con quella di tutto un
popolo. Cosi, nella rivoluzione del 1848, fu col popolo e per il po-
polo, disinteressatamente, non spinto dall'ambizione o da insana
febbre di facile popolarità. E quando i più incominciavano a piegare
tra le insidie e le carezze dei bonapartisti, egli, nel luglio del 1851,
pronunciò alla Camera quel vigoroso, eloquente ed efficace discorso
contro le cabale reazionarie, che doveva aprirgli, poco più di un
anno dopo, le vie dell'esilio.
Per ventidue anni rimase in esilio e non piegò mai, nonostante
fosse provato dai più grandi dolori. Rimase solo; la morte gli
strappava dal fianco la moglie e i figli. Come un gran libro vivente,
come un simbolo, come un solitario gigante, votato alla causa della
libertà e della giustizia, rimase tra gli scogli di Guernesey, fra l'inno
perenne del mare, l'eterna forza, a protestare contro ogni prepo-
tenza, ad incoraggiare ogni virtù. 1 suoi Chdtiments superarono tutte
le classiche e nuove rampogne letterarie. Scritti col fuoco bollarono
a sangue le carni guaste del piccolo Napoleone e scavarono, come
lava incandescente, la voragine, che doveva inghiottire il secondo
impero. E, durante 1 ventidue anni di esilio glorioso, al romanzo
diede I Miserabili e I Lavoratori del mare; alla poesia: Le contem-
plazioni. La leggenda dei secoli. Le Canioni delle vie e dei boschi.
La caduta dell'impero gli apriva le porte della sua patria e
Parigi l'acclamava come un profeta, un apostolo, un liberatore.
Scrìsse VAnnée Terrible (1870) e al romanzo dava ancora Quatre-
^ingt-treizey con lena infaticata, con fantasia sempre viva, con colo-
rito fresco. Poi, con la Storia di un delitio, scrisse l'epitaffio sulla
tomba infame dell' impero delle prostitute e dei ruffiani.
Eletto senatore dal dipartimento della Senna nel 1876, prese
ancora viva parte a tutto il movimento del suo paese. Nelle feste
dell'Esposizione del 1878, in cui la Francia dimostrò di risorgere
dalle sue ceneri in cosi breve tempo, fu il centro si può dire di tutte
le feste, idolatrato da francesi e stranieri. Ed egli, sempre buono ed
ardente, si valse del suo nome, della sua autorità, del pubblico fa-
vore, della sua eloquenza per propugnare l'amnistia, una legge di
carità, di amore e di pace. Quando quattro anni dopo moriva, i
suoi funerali furono un'apoteosi. Il lutto della Francia fu lutto di
tutto il mondo civile.
564 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXIX.
Gaetano Ghivizzani.
Traduzione della precedente poesia di Victor Hugo.
(14 maggio 1865).
Una sera ho veduto in sulla via
Passare un uomo in gran mantello avvolto
Qual console di Roma, e mi paria
Ner' ombra in mezzo allo splendor dei cieli.
Sostò il viandante in me gli occhi fissando
SI scintillanti ed incavati come
Fosser di fiera, e dissemi: «Da pria
Eccelso monte al tempo antico fui
Ch' empieva Y orizzonte, alma poi ceca
Ancor, rompendo mia prigione, un grado
Sulla scala degli esseri m'alzai;
Fui quercia ed ebbi altari e sacerdoti
E stranamente risonar fei l'aria
D'alti rumori non uditi innante;
Poi fui lion che nei deserti posa
Rampognando la notte tenebrosa.
Or uomo io sono, ed il mio nome è Dante. '
' Questa traduzione così si legge a Per le notizie biografiche e bibliografiche
pag. 196 in: Versi dì G. Ghivizzani gii cit. del Ghivizzani, v. a pag. 55S di questo voi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 565
DCCLXXX.
Alfredo Tennyson.
Dante.
(14 maggio 1865).
Afr. Gaetano Ghivi:^ani. - Florence,
Sir,
Pray pardon me for having neglected your first letter. I suppose
that a near family loss wich happened about the tìme when this
arrived, put it out of my recollection. You only asked for « due
versi », and you see that I have taken you at your word, and send
you something like an old Greek epigram, which you are at liberty
to insert or reject, as it best pleases you.
I have the honor to be, sir
Your most obedient Servant
Tennyson.
King, who hast reign*d six hundred years, and grawn
In power and ever growest, since thine own
Fair Florence, honouring thy nativity,
Thy Florence, now the crown of Italy,
Has ask'd me for a verse in fraise of thee,
I, wearing but the garland of a day.
Cast at thy feet one flower which fades away. '
Alfredo Tennyson, chiamato il più classico dei romantici inglesi
per la misura e la castigatezza della forma, vissuto sempre solita-
riamente in una sua casa di campagna nei dintorni di Londra o nel-
r isola di Wight, deve la sua fama al suo merito, non alle conven-
' Quelli versi coti furono stampati a pag. 19710: Fìrrii di G. GhivÌ2zani, giàciu
566 POESIE DI MILLE AUTORI
ticole letterarie o politiche. Nato nel 1809 a Somerby, nella contea
di Lincoln, dove suo padre era pastore evangelico, si istruì nell' Uni-
versità di Cambridge. Nato poeta, colà, giovanissimo, ottenne uno
dei primi premi di poesia. Di natura grave, meditativa non si lasciò
inebbriare da questo primo e facile successo; e, favorito dai mezzi
di fortuna, si consacrò tutto allo studio per costruire solidamente la
sua fama. Esordì, pubblicando, insieme a suo fratello, un volume di
versi vari; ma, ben presto, si presentò al pubblico, da solo, con due
volumi di liriche, si.impate nel 1830-32, e altri tre volumi pubblicò
dal 1832 al 1842, col titolo di Po^m;, ai quali seguirono altri volumi
fino al 185 s, in cui venne fuori Maud and oiher poems. La sua vena
poetica, delicata, talvolta mistica, sempre morale, non si esauri mai.
Molte fra le sue composizioni, fra le quali: Pìaim^ Genevieve, Vi-
vianey Enide, furono tradotte in francese dal Michel (Parigi, 1866-69),
ed illustrate dal Dorè. La regina d' Inghilterra, così, lo nominava
poeta laureato nel 1875, e dieci anni dopo, lord. Fanno quasi sempre
così queste teste coronate! Quando i poveri poeti sono arrivati e
non hanno più bisogno di alcuno, si danno il gusto di accattar un
pò* di popolarità, proemiandoli; pigmei saltano sul dorso dei giganti
per sembrar grandi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 367
DCCLXXXI.
Gaetano Ghivizzani.
Traduzione della precedente poesia di A. Tennyson.
Re, che seicento anni tenesti impero
E ognor maggior ti fai
Nel potere *n che sempre crescerai,
Poiché la bella tua Fiorenza il giorno
In che nascesti onora.
La tua Fiorenza, che al suo crine intorno
Ha ricinto 1* italica corona,
Mi chiese il verso che *n tua lode suona.
Io che d* un giorno ho solo il serto, un fiore
Depongo ai piedi tuoi che langue e muore. '
' Vedi a pag. 199 in : Versi dì G. Ghi- 1 e bibliogr«6che del Ghivizzani vedi a pa>
vizzani, op. cit. Per le notizie biografiche j gina JS^ ^> questo volome.
Gaetano Ghivizzani.
Traduzione di una poesia di N. Ogareff.
(14 maggio 1865).
A monsieur Gaietan Gbivi^ani - Florence,
Gmèvc BoiMiér*. 6 m«i iSéf.
Monsieur,
Je vous remercie pour votre lettre du 2 mai. Je m'étais xnis
immédiatement à Touvrage pour fkire aussi vite que possible. je
tenais à vótre pensée et je croyais de mon devoir de faire aniver
à la fète du grand Dante une voix russe, quelque faible qu'elle sott,
pourvu qu*elle puisse dire tonte la sympadiie que nous avons pour
1* Italie et tonte la foi que nous avons dans son avenir.
Je vous envoie une petite poesie en langue russe en y joigoust
une traduction fran^aise en prose
Agròez, Monsieur, la haute considération de votre tout dèvoné
N. Ogareff.
Italia, fiore del giardin del mondo,
Delle ardite speranze e dei gloriosi
Fasti paese, lo splendor de' tuoi
Rumoreggianti mari, e il tremolante
Azzurro in cima delle tue montagne
Tornar veggo a me innanzi entro la quiete
Delle soavi rimembranze, come
Gli splendidi fantasmi della prima
Etade. Italia, io ti saluto in questo
Giorno in che tutto il popol tuo s'allegra.
In questo giorno che al poeta è sacro
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
$69
« De l'eterno dolor » gli spirti aduna
Onde cessar dai secolari affanni.
Si che la sacra libertà risuoni
Nelle tue terre, e a te libera stenda
Le mani un di dai cento rami e cento
La innumere famiglia degli slavi. '
Niccolò Ogareff, nato in un borgo della provincia di Peuza
nel 181 5, essendo stato testimone nell'adolescenza e nella prima
giovinezza della grande miseria morale e materiale dei contadini
russi e in generale di tutto il popolo del vasto impero, fu poeta
civile, ardente apostolo di libertà. A quattordici anni fu mandato dal
padre, ricco proprietario di terre, a Mosca, dove continuò i suoi studi
incominciati sotto la direzione di suo padre, e dove contrasse fra-
terna amicizia con Alessandro Herzan, suo parente, che doveva essere
uno dei più efficaci difensori del popolo russo innanzi il mondo ci-
vile. Dopo cinque anni di permanenza in Mosca, compiuti gli studi
preparatori, fu ammesso in queir Università, ma appena dopo due
anni fu richiamato in campagna da suo padre, il quale forse temè
per lui i rigori della polizia del suo paese, e lo fece ammogliare per
distoglierlo dalle avventure politiche.
Nel 1840 esordì nella letteratura collaborando agli Annali della
patria^ in cui inseri varie poesie fra cui notevoli La vecchia casa e
La sentinella del villaggio^ giudicate opera veramente poetica dalla crì-
tica e lette con grande interesse da tutti. Due anni dopo, sentì il
bisogno di respirare aria ossigenata, e prese, come suol dirsi, il volo
per r estero. Poi visse ora a Pietroburgo ora a Mosca, ma, alla fìne,
dopo dieci anni, nel 1856, fu obbligato di prender stabile dimora
all'estero, intollerante dell'ambiente greve dell'autocrazia paesana, e
studiò, scrisse, poetò ora negli ameni laghi di Svizzera, ora a Parigi,
ora in Italia.
Tutte le sue poesie furono raccolte in volumi. Tra esse riscos-
sero approvazione maggiore: / doppieri bruciano^ La casa vuota. La
Russia e i suoi nemici^ Prometeo.
' Vedi a pag. aoi in: Versi di G. Ghi-
▼inani op. dt. La poesia originale russa
non è stampata dal Ghivlizani.
Per le notizie biografiche e bibliografiche
del Ghivizzani vedi a pag. $$8 di questo
▼olume.
570 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXIIL
Maria Rattazzi.
(Marie de Solms).
Un toast a Dante.
Improvisation pour l'anniversairb de son centbnaire.
(14 maggio 1865).
Dante, salut à toi, le sublime prophète
Elu de la divinité,
Un peuple tout entier viene céiébrer ta fète
Sous le ciel bleu de la cité.
Gomme les a révés ton immortel genie
Ils se sont tous mis en chemin
Pour offrir la couronne au roi de Tharmonie,
Et chanter Tolivier en main.
Toi, dont la piume ardente a sonde la broussaille
Qui nous cachait la vérité
Entends le cris joyeux du peuple qui tressaille
Aux mots de paix et d'unite.
Six cents ans ont passe sur ton poème immense.
Le grain lentement a muri.
La meule du progrès a broyé la sémence
Et le peuple s'en est nourri.
L'oeuvre sainte n'est pas encore terminée;
L'ennemi redouble d'efforts;
Il tire contre nous une arme empoisonnée
Qui fait hésiter les plus forts.
INTORNO A DANTE ALIGHIERL 57 1
Tu les reconnaitrais. Ennemis redoutables.
Tu les as ftétris sans pitie;
lls sont toujours debout et toujours implacables,
N'ont rien appris, rien oublié.
lls auraient bien voulu dans leur baine étemelle
Avilir ton nom respecté.
Et dater de ce jour la croisade nouvelle
QuMls font contre la liberté.
O Dante, ó gibellin, ils insultent ta cendre:
Pour confondre ces insensés.
De ton fìer piédestal ne vas tu pas descendre
En criant : arrètez traitres, e* en est assez ?
Italiens! épuisons le calice d'absinthe,
Le temps arrive à pas pressés
Où nous verrons, joyeux, s'accomplir Tceuvre sainte
Et nòs ennemis abaissés.
D'une constante foi, peuple, donnons l'exeniple.
Mes frères, attendons sans peur
Que la main du Très Haut s'arme et chasse du tempie
Et le méchant et Timposteur.
Nous avons Dieu pour nous et ce pèlerinage
De tous les peuples accourus,
Ces chants et ces transports sont un sublime gage
Que nos voeux seront entendus.
Chantons, ó mes amis! Chantons Rome et Venise,
Vive Tespérance et la foi,
Vive Tavénement de l'unite conquise,
Vive Dante! vive le roi 1 '
' Vedi • pag. aoa e segg. in: Versi di Gaeuno Ghivizztni, op. dt.
572 POESIE DI MILLE AUTORI
Maria Buonaparte-Wyse, donna bella e dì molti amorì, che do-
veva riempire del suo nome e delle sue avventure Parigi, la Savoia
e Torino e Firenze, nacque, il 25 aprile del 1837, a Waterford in
Irlanda. A Parigi, di buon'ora, ebbe adoratori ferventi, dopo che a
quindici anni aveva sposato Federico di Soims. Frequentarono il suo
salotto, tra gli altri letterati ed artisti, Eugenio Sue, il Ponsard, il
Sainte-Beuve. Amata, lodata, vilipesa, ribelle in politica, di vita li-
bera, fu esiliata di Francia. Se ne andò, nel 1855, nelle montagne
della Savoia, dove compose un libro su George Sand, che pubblicò
nel 1858; Tanno dopo venivano fuori FUurs d'Italie e Les chants àt
rexiUe.
Annessa la Savoia alla Francia, prese stanza in Torino, dove,
a ventiquattro anni, nel fiore della bellezza, si venne formando in-
tomo a lei una nuova corte di spasimanti e di ammiratori. Conti-
nuava a scrivere. Cosi tra il 1860 e il 1863 stampava: Boutadcs, Ma-
demoiselle Million, La répuiation d'une femme.
Morto nel 1863 suo marito. Federico di Solms, trovò subito un
secondo sposatore in Urbano Rattazzi, il quale, acciecato dalla pas-
sione, non si peritò di darle il suo nome. La sua vita letteraria, nei
dieci anni che durò il suo secondo matrimonio, fu intensa. In vero,
furono editi, in quel torno, parecchi suoi volumi: Xice ancienne et
moderne (1864); Le mariage d'une creole (1865); Les rives de TArno
(1865); Les soirées d' Aix-les-bains (1865); ^<* Forge e poi Les débuts
de la forgeronne (1866); La Mexicaine (1866); Richeville (1867); La
piége aux mariSy in 4 voli. (1867); Si j'étais reine (1868); Vie de
Manin (1870).
Nel 1873, morto Rattazzi, ritornò a Parigi e poi passò in Ispagna,
dove, dopo un bel pezzo, non ostante contasse quasi cìnquant*anni,
s'imbattè in un terzo sposatore.
Les bonnes fortuna non l'abbandonarono mai.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 573
DCCLXXXIV.
Gaetano Ghivizzani.
Traduzione della precedente poesia
DI Maria Rattazzi.
(14 maggio 1865).
Salve, o Dante, sublime profeta
Cui le ali r Eterno impennò;
Tutto un popol concorde s'allieta
Ed al limpido cielo dell'Arno
La tua festa a onorare volò.
Come già la immortai fantasia
Te gli pinse in un giorno d'amor.
Con l'ulivo si misero in via
E, inneggiando, recarono il serto
Degli italici vati al signor.
Tu, il cui verso il velame ha squarciato
Che la luce nascose del ver.
Odi il grido da gioia inspirato
D'esto popol, ch'esulta concorde
Di sua pace e unità nel pensier.
Seicent* anni sul canto sovrano
Batter Tali, e il poema restò.
Lenta crebbe la spica; ed il grano,
Trasformato da rapida ruota.
Tutto un popol di sé nutricò.
$74 POESIE DI MILLE AUTORI
L'opra santa non anco è cessata;
I nemici le forze addoppiar
Contro noi; nel veleno temprata
Appuntarono un* arme tremenda,
Che i medesimi eroi fa tremar.
Gli ravvisa: nemici possenti
Gli fiaccasti un di senza pietà.
Ei risorgono sempre frementi,
Che fu il tempo vanissima scola
A chi solo il passato sposò.
Nel veneno che l'alma lor rode
Il tuo nome tentaro uinihar.
Il tuo nome cui ognuno dà lode,
E da oggi una nuova crociata
Contro i liberi petti formar.
Profanaron le sacre tue ossa:
Per confondergli, a che, o ghibellin,
Tu non sorgi ora fuor della fossa,
E lor gridi: Cessate, spergiuri.
Ch'egli è tempo, dal tristo cammin ?
Dell'assenzio la tazza votiamo,
0 italiani; con rapido voi
Verrà il tempo in cui lieti vediamo
L'opra santa compirsi, e i nemici
Umiliati prostrarsi nel suol.
O fratelli, porgiamo T esempio
Di secura incrollabile fé,
E fidenti aspettiam che dal tempio
1 falsati leviti discacci
Quei che rege si noma dei re.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. ^75
Nosco è il ciel: questo rito di tanti
Peregrini che mosse Tamor,
Esti fervidi voti, esti canti
Sono un'arra sublime che invano
Non fér voti gl'italici cor.
Celebriamo Venezia con Roma;
Salutiamo alla speme, alla fé.
Viva Italia che cinge alla chioma
Di sue cento città la corona.
Viva Dante e Titalico Re.'
' Vedi a pag. 203 in : Versi di Gaetano | e bibliografiche del Ghivizzaai, vedi a pa-
GhivùtTani op. cit. Per le notizie biografiche 1 gina 558 di questo volume.
57^ POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXXV.
Giovanni Arany.
Dante.
(14 maggio 1865).
Allattam vizének mélységes fellett,
Sima volt a fòlszin, de sòtét mint àrugék,
Aliz mozzanti mez a vózsalerelet,
Mint rengéskor a fòld, csak aloz hullàmlék.
Aczéltiszta tùkre visszaveste hiren
A kùlsó vilàgot - engem is: az embert;
De órvényesble nem hatott le a szem,
Melyeket csupin ó - talàn ó sem - ismert:
Csodàlatoz szellem! egy a mérhetetlen
Ègzel, a mely henne tùkrodzsk alattam!
Egy csak a fónségben és a terjedet ben
Es mirel mindenik oly megfoghatatlam ;
Az ember... a kòltó (mily bitanz ez a névi)
Hitvàny koszorujAt, reszkeirén, elejti
És, mintha Idbait szentegyhàzba tenré,
Imàdra borùl le mert az Istent sejti.
E mélyséz fòlòtt az értelem mér - ónja,
Mint kòronzii pehelyszdl fònnakad, fòUebben.
De a lélek érzi, hogy az òrvény vonya,
Sa gondoiat elzész csodàs sejtelemben.
Nem - ismert vilagnak érezi nyomàsdt,
Rettegó òròmnek ebragadja kéje,
A leviathdnnak hallja hdnykoddsdt...
Az Ur lelke teruls a viznek fòléje.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. ^'/y
Lehet-é e szellem az Istenség része?
Hiszen az Istenséy egy és oszthalathan ;
Avngy lehet-é, hogy baiando szem nézze
A szdUem vildgot, teljes òntudatban ? —
Évezred honyatlik, évezred kel lijra,
Mig egy fòldi dlom e vilàgba téved,
Hegy a hitien ember imddni tanulja
A kàd oszlopàban rejló Istenséy et! '
Giovanni (Janos) Arany, uno dei più celebri e popolari poeti
dell' Ungheria, nacque, nel marzo del 1817, a Nagy Szalonta, nel
contado di Bihar, e studiò nel collegio di Debreczin. D* indole fer-
vida, inclinato ai viaggi, alle avventure, appena ventenne, interruppe
i suoi studi, fuggì dal collegio e si ingaggiò in una compagnia dram-
matica. La fortuna non gli arrise o non gli durò la volontà di con-
tinuare in quella vita randagia e se ne ritornò in patria, e fu ben
contento di essere nominato insegnante nella scuola riformata.
La sua fama letteraria incominciò quando vinse il premio pro-
posto dalla società Kisfaludy per la migliore epopea comica. La sua
Costituzione perduta in cui descrisse gli intrighi nelle elezioni del
cosi detto Comitato, piacque come esatta e vivace riproduzione dal
vero. Più tardi vinse il secondo premio, in un altro concorso ban-
dito dalla Kisfaludy, sul tema: La conquista di Murany, Più importante
delle opere citate è la sua narrazione poetica in dodici canti dal ti-
tolo Toldi, comparsa nel 1S47, e tradotta e pubblicata anche in te-
desco dal Kertheny, a Lipsia, nel 185 1.
Durante la rivoluzione ungherese ebbe un posto nel ministero
Szemere ; ma travolto nella sconfìtta, visse poi poveramente, cercando
nella penna i mezzi di campar la vita. Così, nel 1850, scrisse Katalin^
poema comico descrittivo; poi nel 1852, gli Zingari di Nagy-Eda;
e nel 1854 la Passeggiata vespertina di Toìdi e Buda-haldla, la prima
parte di una trilogia epica. Finalmente, nel 1855, fu nominato pro-
fessore di lingua e letteratura ungherese nel ginnasio di Negy-Kò-
ròsch, e di là fu chiamato a Pest, nel 1860, per assumere la presi-
denza della società Kisfaduly, presso la quale era principiau la sua
carriera. Era arrivato, infine, e, nel 1874, compieva la trilogia epica
di Buda-haldla, e TAccademia ungherese solennemente lo premiava.
L* Arany fu poeta di facile e chiara vena, fedele nel colorito del
suo paese, felice nella rappresentazione dei caratteri.
' Qiaesu poesia cosi si legge • pagg. 208 e 210 in: Virsi di Gaeuno Gbivizzani, op. cit.
Di!. Bàno. Voi. XIV. 37
578 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXXVI.
Gaetano Giiivi;ìzani.
Traduzione della precedente poesia
DI Giovanni Arany.
(14 maggio 1865).
Sopra l'abisso di sue acque stetti;
Erano liscie in vista, e come l'ombra
Cupe: di rosa una fogliuzza a pena
Avrebber mossa; ed ondulavan quale
Lievemente la terra al terremoto.
Il loro specchio, qual l'acciaio, puro,
Appien riverberò tutto il creato, —
Né pure, l'uom; ma non penetra T occhio
Nella vorago sua, eh' a lui soltanto, —
E né pur forse a lui — saper fu dato.
O spirito divino: uno col cielo.
Che immensurabil sotto me si specchia
In esso, un sol nel vasto spazio, un solo.
Nel sublime suo aspetto, e perché l'uno
E r altro al par nostro saver trascende.
L'uomo, il poeta (che impotente nome!)
Lascia cader tremante il proprio serto,
E come entrasse al tempio ecco adorando
Si prostra, solo perchè sente Iddio.
Sopra r immenso abisso non s'attenta
Profondar l'intelletto, e come lieve
Morbida piuma a fior d'acqua si resta:
Ma dall'abisso l'anima si sente
INTORKO A DANTE ALIGHIERI.
579
Tratta, e *1 pensier vaneggia in ammirati
Fantasmi, sente la virtù d'ignoto
Mondo, e celeste voluttà lo prende
D'una tremula gioia; il moto sente
Del leviaian... lo spirto del Signore
Parve sull'acqua. Puote questo spirto
Esser parte del Nume? Indivisibile
Ed uno il Dio: o mortai occhio puote
Con la coscienza di sé stesso il mondo
Contemplar degli spirti ? - Un secol cessa, '
Ne sorge un altro, infin che peregrini
In quel lor mondo una vision terrestre,
E a venerare il credul uomo impari
In colonna di nebbia il nume ascoso. *
' L« parola Évezre4 non può trcdursi
in italicno. significando un migliaio d'anni,
coae appunto secolo vai cent'anni. Anco i
teJescbi hanno ia parola rispondente.
^ Vedi a pag. 209 e seg. in: Ftrti di
G. Ghivizzani, op. cit. Per le notizie bio-
grafiche e bibliografiche del GhÌTizzani, vedi
a pag. $j8 di questo volume.
5 So POESIE DI MILLE AUTORI
DCCLXXXVII.
Samuele Davide Luzzatto.
Leikhbhod Dante
HAMSHORER CeCOIN MEL' OTH SHESH ME* OTH
SHANAH LEULLADTO.
(14 maggio 1865).
Lashon sene hhazav gdon vaavel
Safak kolah kadosh, hhéssod vaiósher,
Bikhrod kol lashon liptbaàbhel
Hhemàh édnah khabhod shilton va' osher,
At lélohim ulmeshnrim némante:
Akhtiri na' sadik zaowméri Dinte!
Midianim ben' ahhim, kiriah phorahhath
Hippilu bhimsulath kol ra', kol shebher,
Az goràshta; va'az golah niddahhath,
Annéphesh azakkah crimah ébher.
Pikha pathahlita behhazon-mishihhath
Har'atha lirpha'im-mehhadre kebher
Jcàmta ài avla raàm tokhdhhath,
Oda'ta el, gomel kipk'uloth ghébher.
Kinbhi'c kédem 'oz kin'ah àtitha
Hendphta 'al ghéim shebket hakkóshet
Dallótha akh 'al kol ram ithrom'amta.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
581
'Al kol hhakhme zimrah 'al ken àlitha;
'Al ken kol gói shem uthhlah lakli ióshet;
Ulness ulmopheth laddoroth usiinta. *
Samuele Davide Luzzatto nacque in Trieste il 22 agosto 1800
e mori in Padova il 5 settembre 1865. Egli dovè tutto alla sua tenace
volonti^, per cui divenne un luminare della letteratura e della filosofìa
ebraica. Suo padre, semplice operaio, non gli potè fornire grandi
mezzi per appagarlo nella sua ardente sete di sapere; ma gli inspirò,
con r esempio, T amore del lavoro e la sapiente distribuzione del
tempo nelle varie occupazioni, perchè egli, sebbene operaio, si versava
nelle scienze religiose e civili.
Nonostante la malferma salute, il piccolo Luzzatto si presentò
come un fanciullo prodigio. Di otto anni traduceva Giobbe dalla
lingua originale; di dodici faceva commenti e chiose di libri sacri;
appena tredicenne, agli studi biblici e talmudici aggiunse la lettura
dei libri filosofici del Locke e del Condillac. Lottò con le infermità
e, nello stesso tempo, con la miseria, ma passò vittorioso tra tutte
le inimiche a furia di rassegnazione e di costanza. Nel lavoro ordinato
e continuo trovò il conforto e la medicina. A trent' anni era una
gloria dei suoi correligionari, ed era nominato professore di teologia,
di esegesi e storia sacra nell* istituto rabbinico di Padova, fondato
dalle comunioni ebraiche delle provincie di Lombardia e del Veneto,
proprio in quel torno. Egli fu un entusiasta del giudaismo, fìno a
credere che la società non possa aver salute senza la prevalenza delle
grandi idee del mosaismo. Ma, d' altra parte, giudicava che era ne-
cessario ricondurre il giudaismo alle sue fonti {Essenia del giudaiitno)
essendo suto alterato dalla filosofia arabica e tedesca, per renderlo
libero da ogni autorità del passato e da ogni soprapposizione del
presente. Con ogni mezzo, egli tenne a raggiungere questo scopo;
prima col purificare, perfezionare la lingua, T istrumento del pensiero;
poi col purificare lo spirito ebraico, riportandolo ai precetti della sua
vera morale. In fatto di lingua, con la sua Grammatica della lingua
ebraica, mostrò non nell'arabismo, ma neiraramismole sorgenti pure
di essa; e in fatto di morale, con le sue Legioni di teologia dogmatica
e di morale israelitica^ dimostrò che per gli Ebrei V uso della ragione
è diritto e dovere per conoscere la verità di ciò che credono. Due
* Vedi a pag. 337 (p- H) »n: Pms'u
ed tpiuf^ di Samuel Davide Luxzatto da
Trieste (edic. postuma). Padova, tip. Cre«
sdnl, 1R79. Il sonetto fu stampato prima
nel 1865 in : Omaggio dell' Europa a Danti]
poi innanzi alla traduzione della Divina Com»
media (i* cantica) del dott. Saul Formig-
gini, e nel periodico // Corriere israelitieot
1865, p. 191, Trieste.
582 POESIA DI MILLE AUTORI
sono i grandi princìpii del giudaismo, secondo lui, provvidenza e
misericordia; due le basi della sua morale, umanità e giustizia: la
pratica di questa è più gradita a Dio di tutti gli olocausti del mondo.
E questa morale sarà la morale vera di tutta 1* umanità. La religione
giudaica è tollerante; non ha dogmi né articoli di fede, afferma
sempre il Luzzatto, non volendo subordinare l' intento morale al me-
tafìnco, non avendo a base della morale la conoscenza delie verità
metafìsiche, ma quella dell'umanità e della giustìzia, tanto è vero die i
profeti non annunziarono castighi ai popoli idolatri per le loro credenze,
ma per le loro iniquità.
Fu anche dotto e libero ed ardito interprete della Bibbia, e i suoi
correligionari gli avevano affidato la traduzione in lingua italiana di
tutu la Bibbia, dopo la felice prova della traduzione del PenutAKO,
dtì Giobbe, e dell* Isaia; ma questo lavoro, che sarebbe stato un
vero monumento, fu interrotto dalla sua morte. Poetò in lingua
ebraica; te sue poesie non mostrano una grande vena poetica, ma sono
nondimeno una prova del suo eccezionale maneggio della lingua
ebraica.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 583
DCCLXXXVIIL
Davide Lolli.
Versione del precedente sonetto
DI Samuele Davide Luzzatto.
A Dante Alighieri
nella sesta commemorazione contenaria.
Santa favella, eh' odii falsitate,
Nequizie e orgoglio! lingua santa e pia,
Che, mentre ogn' altra a pompa, a vanitate,
Al piacer, al poter, all' or servla,
Fida a giustizia e a religion sol* eri;
A un giusto or plaudi: canta l'Alighieri!
Allor eh' ire fraterne la fiorente
Città gravaro d' ogni male in fondo.
Cacciato fosti, ed esule, fuggente,
Sublime alzossi tuo spirito mondo.
Cantasti: e in vision la morta gente
Evocasti dal Tartaro profondo;
Su i rei tonasti la rampogna ardente;
Mostrasti un Dio, che rende in giusto pondo.
Forte di zel, come i profeti primi
Del ver contro i potenti alzi il flagello
E, povero, oltre i grandi ti sublimi.
584 POESIE DI MILLE AUTORI
Quindi è, che sopra ogni altro vate stai
Portento quasi ai secoli e modello;
E gloria e plauso da ogni popol hai. '
Davide Lolli, rabbino a Padova, è autore di pregevoli opere di
critica e di letteratura ebraica. Scrisse la biografìa di S. Davide
Luzzatto, poco dopo la morte di lui.
' Vedi a p«g. 3)8 in: PoesU ed epitaffi di S«inttele D4vide Luzzatto, op. cit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 585
DCCLXXXIX.
G. Jaké.
Versione del precedente sonetto
DI Samuele Davide Luzzatto.
A Dante Alighieri
nella sesta commemorazione centniaria.
Sonetto
CON preliminare invocazione.
Benigna nemica di superbia e frode
Santa favella di giustizia e amore
Lascia al mondo servii tributar lode
A fugaci piaceri, a falso onore.
Tu manifesta a chi di te ben ode
Deir Alighieri pio 1* alto valore.
Guerre fraterne la città fiorente
Piombaro nell' abisso d' ogni male,
E raminga in esilio la tua mente
A vision sublime aperse Tale
Scorrest* i regni della morta gente,
Dalla fossa evocasti il rio mortale,
Il giusto, e quel ch'anzi il morir si pente,
Mostrando reso il merto all'opre uguale.
Misero, ma sovrano ai più possenti.
Altere fronti col tuo zel curvasti
Come gli amici d'Israel veggenti.
S86 POESIE DI MILLE AUTORI
Si, che fra i vati, sommo t'elevasti;
Te d'ogni cielo esaltano le genti.
Miracolo ognor nuovo ti mostrasti.'
Giuseppe Jaré nacque in Mantova nel 1840, ed è capo della co-
munità israelitica di Ferrara. Si hanno di lui molte pregevoli pub-
blicazioni, tra le quali basterà citare: La pena di morte secondo il diritto
talmudicOy La conservaiione d'Israele, •
' Vedi a pag. 339 in: Poesit ed epitajffi ài Samuele Davide Luzzatto, op. cit.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. $87
DCCXC.
A. T.
Il busto del divino Poeta
SCOLPITO DA Luigi Minismi di Venezia.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
Tacete! Ei parla! a chi dorran gli accenti
Che quel labbro sdegnoso or or sprigiona?
In qual codardo ei figge gli occhi ardenti?
Qual nobil crucio il fronte gì' incorona?
Ei parla, e amor pietoso gli ragiona
Nei commossi severi lineamenti;
Ei parla, e se la sua voce non suona
Neiràer vuoto, bene in cuor la sentii
E in freddo sasso, deh ! per qual magia
Ferve il pensiero del divin proscritto,
Che all'italo destin segnò la via?
Del bel paese il sacro plauso appello
Su te, Luigi, in questo marmo ha scritto
Un immortai poema il tuo scalpello!'
* VeJi « pag. 5; in: CD. 1011, XIX del Musto Qvico di Padova.
588 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXCI.
Giuseppe Aglio.
Pel sesto centenario di Dante.
Poemetto.
(14 maggio 1865)
Cittadini d'Italia!
Voi celebrerete fra poco il sesto centenario di Dante. Io m'af-
fido che quelle solennità non saranno mera pompa di suoni e di Ilice,
ma V esterna manifestazione di un ritemperamento interno di morali
potenze. Io vorrei che nel nome di Dante si inaugurasse un novello
più efficace indirizzo del sentimento e del pensiero nazionale; vorrei
che le terzine della Divina Commedia divenissero la Marsigliese
degl' Italiani.
A tal uopo, in questo carme che umilmente io vi dedico qual
mio povero obolo alla festa futura, ho cercato, mediante una inter-
pretazione coscienziosa, benché poetica, del genio di Dante, dare al
gran poeta italiano quella fisonomia che maggiormente lo rappresenti
come r individualità più idonea ad inaugurare il nostro politico e
sociale risorgimento.
Istintivamente V Italia venera nell' Alighieri il suo poeta nazio-
nale, e come tale, s' appresta a solennizzarne la memoria ; però che,
attraverso tanti secoli di morte sociale, ella senta emanare da quel
suo gran cuore il più possente palpito di vita italiana, e da* fremiti
stessi deir immenso suo odio, la più fervida e aspirante carità di
patria. Eppure, quante contraddizioni fra il concetto nazionale mo-
derno tutto di democrazia, d' indole economica sociale, quale lo
elaborò la odierna civiltà, quale tanti secoli di delusioni e di scia-
gure lo maturarono, se non nelle moltitudini, nella mente almeno
delle individualità più pensanti; e il concetto nazionale di Dante,
tutto monarchico e religioso, quale ispiravanglielo un'aura pregna
delle amiche memorie, la formidata onnipotenza che Ildebrando aveva
impresso alla romana teocrazia e il prestigio tuttor vivo dei nordici
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 589
imperatori che solcando come prodigiose meteore le tenebre nostre,
vi destavano mille germi confusi di reminiscenze e speranze!
In questo istante in cui le menti italiane non accetteranno più,
istintivamente soltanto come per lo addietro, TAlighieri, quale rap-
presentante del genio nazionale ; ma in ogni dettaglio più intimo della
sua vita, delle sue opere, de' suoi tempi cercheranno avidamente il
suggello della loro credenza - in questo istante in cui le antiche
illusioni d' Italia che credevansi ed erano infatti con lei spente da
secoli, vidersi risorgere con lei dalla tomba, al primo alito della vita
novella; è più che mai necessario conciliare le contraddizioni di
Dante in un'armonica unità che faccia scaturire naturalmente dallo
splendido poeta del passato italiano, il profondo iniziatore del nostro
avvenire.
Giacché il dire che il secolo di Dante aveva necessità politiche,
religiose, e sociali in radicale antagonismo con quelle del secol nostro
- che il concetto monarchico di lui era abbastanza largo per ab-
bracciare nel loro pieno, immenso sviluppo tutte le nazionalità
della terra, e abbastanza fluida l' apparente rigidità del suo cauoli-
cismo per piegarsi a tutte le evoluzioni della scienza - che final-
mente gli errori di Dante, se pure ei ne commise, caddero non sulU
essenza del suo concetto, ma sulla pratica attuazione - il dir questo
è un giustificare, è vero, ampiamente 1' amor patrio dell' Alighieri,
e costituirlo una sublime personalità istori ca, ma, non basu a fare
di lui, - senza falsarne la genuina fìsonomia - il rappresentante eterno
della nazionalità italiana, ove codeste antitesi non vengano conciliate
in una sintesi, ove a codesti elementi di grandezza non discoprasi
sovrapposto un nuovo elehiento più universale, più fiuido che ab-
bracci tutti gii altri, e la grandezza istorica di Dante riduca ad un
semplice momento, ad una sola delle molteplici faccie che riunite
costituiscono la sua vera, completa, evolutiva individualità. Altrimenti
non sarebbeci forse pericolo che i mal spenti spiriti municipali, - che
le oeo-guelfe, teocratiche illusioni, or non ha guari epidemicamente
diffuse da Balbo e da Gioberti, - che il ghibellinismo istintivamente
redivivo, appena Italia respira, in quel cieco abbandonarsi delle mol-
titudini nelle braccia de' monarchi stranieri - sintomo, non so se più
d' una vera sfiducia in loro stesse, generata dalle secolari sventure, o
d' una ignavia che pretende non potere perchè non vuol fare da sé -
non havvi, dico, pericolo che questi cancri corroditori del nostro
succo vitale, trovino di che alimentarsi, inciprignirsi nella più intima
conoscenza della individualità venerata di Dante, di questo guelfo
che pugnava a Campai dino contro fratelli italiani, e priore di Fi*
renze, invocava i fulmini di Bonifazio contro lo straniero invasore,
poi esule ghibellino, appellava ì fulmini dello straniero contro l'in- '
grata sua patria?
590 POESIE DI MaLE AUTORI
Questo elemento superiore, questa sintesi conciliatrice delie
anti«^esi parmi rinvengasi spontanea, naturale, ove attentamente si
contempli la fìsonomìa caratteristica del poeta. Io potrei fermarmi
a considerare che nelP epoca in cui visse Dante, epoca posta ai
confini di due mondi /' un contro V altro armato, facile era ad una
pupilla acuta come la sua, lo scorgere, benché ancora impercettibili
air occhio volgare, sopra i ruderi dell* antichità e fra mezzo alle scre-
polature del cadente edifizio religioso e sociale del medio evo, i
germi del futuro Rinascimento; ma io credo che nella natura istessa
del grande poeta trovisi più radicalmente il secreto della sua storica
immensità, e questo secreto parmi sia appunto in quella peculiarità
che lo fa specialmente ammirato nel mondo, ed è V essenza carat-
teristica dell* esser suo, la sua qualità di poeta.
Il poeta, nel senso assoluto della parola, è una idealità che non
esiste. Ove esistesse, la sua vita sarebbe una serie di prodigi; il
mondo diverrebbe fluido dinanzi a lui; ogni sua idea si tradurrebbe
in sensibile realtà; egli dominerebbe la natura; sarebbe creatore come
Dio. V hanno però pochi vati che se sono ancora enormemente di-
scosti da questo ideale, sono altrettanto superiori alla schiera degli
ordinari poeti.
Costoro se non abbracciano il mondo in una stretta onnipos-
sente, ne abbracciano però una faccia, un elemento panicolare in
modo da striturarlo in tutti i suoi atomi infinitesimali. Nature arca-
namente intrecciate di intuizione profonda e di delicatissima impres-
sionabilità, essi possiedono la facoltà di riflettere come in uno spec-
chio fedele, le minime fluttuazioni dell* anima del loro popolo, in
quanto essa ha di più profondo, di più inaflerrabile, di più virtual-
mente latente, ed incarnarsi, per così dire, in essa, riassumendo in
una breve vita individuale, quella nazionale immortalità destinata a
svolgersi lentamente ncll* indeterminata serie dei secoli.
Come gli specchi di Archimede, codesti esseri raccolgono in sé
tutti i raggi ampiamente difl'usi neir orizzonte, persin quelli, ancor
dormenti in seno al disco luminoso, e passandoli attraverso il cro-
giuolo del loro cervello, forti, gli attenuano; sottili, li magnificano;
freddi, li riscaldano, riuniti, l'infrangono; infranti, concentrane ; omo-
genei, li spezzano nei mille colori della luce. Essi sono poeti perché
la loro natura è sì essenzialmente armonica che ogni loro minima
idea assume, come veste naturale, la forma del ritmo; perchè sono
quasi una emanazione diretta di quelle arcane essenze, che sono la
fonte eterna della poesia. Epperò essi sono ali* altezza del loro canto,
«anno tradurre in azione i loro carmi, pugnare le battaglie che can-
tano, eguagliare gli eroi che incoronano, squarciare i misteri che
interrogano, filare nella viu reale gli splendidi ideali dei loro sogni.
Q.uindi il poeta che veramente merita questo nome è di natura
INTORNO A DAKTE ALIGHIERI. 591
essenzialmente, necessariamente contraddittoria. Senonchè, le sue
contraddizioni sono apparenti soltanto e non reali; non sono i con-
trasti, le asprezze di un insieme mal assestato, ma i momenti suc-
cessivi d'una lenta idea che si svolge, e che paiono discordi solo
perchè costretti a rivelarsi simultaneamente; sono le diverse faccie
di un poliedro armonico la cui unità risulta soltanto dal complesso
simmetrico delle parti ; sono i cento elementi discordi posti al servizio
di una legge suprema.
£ Dante, come tutti i veri poeti, è contraddittorio, perchè altri-
menti non sarebbe il grande poeta eh* egli è, non sarebbe 1* incar-
nazione della sua patria né la patria potrebbe in lui venerare
sé stessa come I* umanità venera il proprio ideale personifìcato in
Dio. Come il firmamento, malgrado i suoi contrasti di tenebre e di
luce, di tempesta e di calma, di severe armonie e di formidati mi-
steri, è armonico ed uno, né senza queste contraddizioni sarebbe
unto infinito: cosi T Alighieri è sublime appunto per queste anti-
nomie che ne rivelano la immensa comprcnsività. Dante non avrebbe
potuto simboleggiare V Italia se non V avesse abbracciata, incarnata
in tutti i molteplici elementi della sua storica evoluzione. Non
avrebbe potuto rifletterne le grandezze se non ne avesse riflesse le
miserie, né elevarsi alle idealità del suo genio cosmopolita se non
avesse partecipato alle sue illusioni nazionali Senza i suoi odii non
avrebbe divisi i suoi amori ; senza il fremito riverente che gii ispirava
la possente magnificenza del cattolicismo, non avrebbe mai istituito
nei simboli, la grande religione delT Umanità. Ecco perchè Dante
fu genio cotanto enciclopedico, e quasi monumento vivente della
scienza e della vita ai suoi tempi. Ecco perchè fu al tempo stesso
filosofo e teologo, uomo di Stato e di spada, magistrato e poeta,
guelfo e ghibellino, pagano e cristiano, riverente ai dogmi e rifor-
matore, si ideale nelle sue contemplazioni e si solidamente pratico
nella vita reale, monarchico talora sino air assolutismo, e democra-
tico tal altra sino a prevenire le più ardite teorie socialiste dei tempi
nostri, quali l'abolizione dell'eredità, dei titoli e dei beni, in una
parola^ ecco perchè ebbe una delle sue faccie volta al passato e alla
morte, l'altra alla viu e all'avvenire.
Misteriosa compagine di tenebre e di luce, colosso perduto nel-
Tombra, di cui, solo a intervalli, trapela qualche lineamento distinto,
Dante somiglia a quei simboli delle antiche leggende che prestansi
a tutte le interpretazioni, s'adattano a tutte le evoluzioni dello spirito
e della civiltà. Somiglia a quel Prometeo, incarnazione dell'Umanità
progressiva, in cui i poeti di tutte le età poterono, senza torcere la
sua poetica fisonomia, né scostarsi dal vero, raffigurare tutte le fasi
della storia, tutte le intuizioni dell'avvenire. Somiglia a quegli Dei
della vetusta India, che ad ogni nuovo bisogno dei popoli, si rive-
592 POESIE DI MILLE AUTORI
Uno sotto una nuova incarnazione. Epperò tutte le fìlamenta orga-
niche della essenza italiana, tutti ì germi della sua vita passata e
avvenire, rìvengonsi nella figura di Dante, ma vi si rivengono confusi,
avviluppati, con poca predominanza degli uni sugli altri, virtualmente,
insomma, come l'albero è contenuto nel suo germe, come V Umanità
era contenuta in Adamo. Per cui facilmente si spiega come Dame
sia stato sì diversamente interpretato a seconda dei tempi e dei luoghi,
delle individualità che lo giudicavano, della diversa rifrazione di luce
sotto cui si contemplava la sua fisonomia. Ecco perchè quella sua
severa figura che sopravanza di tanto i suoi contemporanei, si rim-
picciolisce talvolta a quella d*un volgare scolastico o d'un iracondo
fazioso politico; perchè quel suo Inferno in cui si riassumono tutti
i terrori e tutte le potenze selvaggie del medio evo, non ti appare
talvolta che un ringhioso libello diffamatorio, e nulla più d'un indi-
gesto ammasso di teologia quel suo Paradiso in cui si svolge la
grandiosa, apoteotica palingenesi dell'Umanità. Ecco perchè al pari di
tante altre individualità giudicate a frastagli in luogo d'esserlo in
blocco, Dante potè essere sconosciuto, frainteso, ed anche odierna-
mente subire gli oltraggi di Lamartine come già Shakespeare subiva
quelli di Voltaire.
Quantunque non mi sarebbe diffìcile appoggiare questa apprez-
zazione dell'Alighieri a prove desunte dalle sue opere e altrove, tut-
tavia io non le presento che come una sincera ipotesi che lascio ad
altri più valenti di me svolgere o confutare, bastandomi avere ac-
cennato alla suprema necessità di imprimere alla figura del nostro
poeta quella unità che faccia armonizzare il suo concetto nazionale
con quello dei tempi nostri, e lo rappresenti come l'oracolo perenne
che ad ogni evoluzione della vita italiana, sorgendo dal suo sepolcro
e mostrando uno de' suoi aspetti prima nascosto nell'ombre, addita
le vie dell'avvenire, non solo sotto il punto di vista politico-sodale
(su cui, attesi i palpitanti bisogni dei tempi nostri, ho particolarmente
insistito, più forse che nol«comportassero le leggi dell' arti, nel mio
poemetto), ma in tutte le sue molteplici, inaspettate manifestazioni.
Per assidere assolutamente l'Alighieri su quell'altare ove l'ha
collocato la venerazione popolare, senza tema che il turbine dissol-
vitore della critica venga, un momento o l'altro, a strappamelo, e
rimanga eterna, inconcussa da ogni tempesta la fede che lo solennizza
oggl^i» è necessario, ripeto, considerare sopratutto in lui quel carat-
tere che sparse ampiamente la sua fama nel mondo, voglio dire il
suo carattere di poeta ; giacché è solo quale poeta, cioè quale anima
eminentemente ricettiva, rappresentativa, come direbbe l'americano
Emerson, ch'egli potè e potrà riflettere eternamente, in tutti i suoi
momenti, la vita Italiana, come il mare ritiette eternamente, in tutti
i suoi aspetti, la faccia del cielo. L'uomo politico in Dante si subor-
INTORNO A DANTE AUCUIERl. 593
dina, a mio credere, al poeta. La sua divinazione, la sua carità Patria,
sono talmente raggi della sua poesia eh* io non esito a credere che,
se egli non fosse stato poeta, non si sarebbe elevato al disopra di
quell'angusta politica di municipalismo e di fazioni che dominava
a' suoi tempi, anche Telemento politico. Dante diverrà non più 1* uomo
individuale del xiii secolo, ma una essenza elementare sciolta da ogni
limite di spazio e di tempo, eternamente diffusa intorno a noi come
un*ombra benefica, un genio custode della nostra nazione. Allora egli
ci istruirà non solo positivamente, colle sue divinazioni sublimi, ma
negativamente ancora, colle deplorabili illusioni Talché Italia spec-
chiandosi nel suo poeta e scorgendo Tamaro scherno che fece la
storia dei suoi sogni politici di allora ; e comprendendo al fine che quei
sogni non furono se non T effusione del genio italiano, che in lui,
come un filtro, istillavasi; ne trarrà forse più efficace rimedio che
noi sia stato la tremenda, secolare, ma fìnor vana esperienza su sé
medesima.
Così quando fra poco evocheremo Tombra di Dante per ono-
rarla, e le chiederemo i responsi delTavvenire, essa rigettando da sé
le logore vestimenu del passato in cui, vivente, s'avvolse, ci rivelerà
i novelli orizzonti che l'età presente dischiude. E fra un secolo, poi
di secolo in secolo, quando verremo altre volte a interrogare reli-
giosamente queirombra, ella illuminando un nuovo aspetto della sua
arcana figura, magnificandone un lineamento, un tenue punto che
finora o ci rimase impercettibile o troppo oscuro a comprendersi, ci
svelerà allo sguardo nuovi campi a percorrere, nuove lotte a soste-
nere, nuovi ideali a raggiungersi. Prostriamoci innanzi al carro trion-
fale di Dante che avanza. Dante è uno spirito, e a uno spirito lice
prostrarsi più che innanzi alle coronate maestà della terra. Come
uomo che in sogno contempla sé stesso come doppia persona, cosi,
o Italia, nel giorno solenne consacrato al tuo poeta, contempla in
Dante la tua propria immagine, dalla tua stessa coscienza evocata.
Poeti! e voi Poeti! e voi sopratutto che sdegnosi del carme acceso
fra le elettriche nubi degli arcani veri come la parola di Mosé fra
i lampi e i tuoni del Sinai, non cercate alla Musa che i seducenti
fantasmi e le forme amorose! andate a cercargli i novelli ideali della
poesia. Ed egli additandovi quelle eterne sue pagine ora grondanti
le stille dei sepolcri, ora irraggiate deireffluvio benedetto dei cieli,
ma sì auguste sempre che le diresti strappate colla violenza di Gia-
cobbe in lotta colPangelo, al volume dei divini misteri; egli v'inse-
gnerà che non nelle vie battute degli effetti e della vita, ma nelle
più occulte, nelle più eccelse sfere dell'Ideale inseguir dovrete, se
desiosi di raggiungerla, la Musa dell'avvenire. Secoli prima di sbat-
tere sulle tempia d'Amleto e d'alimentare i terribili incendi nel cuore
di Fausto e di Manfredo, l'ala dell'angelo degli eterni problemi avea
DBt Balio. VoL XIV. 38
594
POESIE DI MILLE AUTORI
tocca la Ironie di Dante, e voi respingeste come straniera, come
stramba questa poesia del Pensiero che gli stranieri avevano rapita
al sacro volume del vostro poeta, e che voi, per secoli, avete, o in-
consciamente venerata o ciecamente incompresa. ' Scienziati, cerca-
tegli la verità. Egli che visse e fra Tombre e fra gli uomini, assai
secreti vi svelerà sulla vita e la morte. Quel suo rigido dogmatismo
cattolico diverrà s\ fluido da penetrare nei meati più occulti della
sapienza futura, e quelle sue inflessibili sfere di Tolomeo s'allarghe-
ranno, s'allargheranno infinitamente sino a raccogliere nel loro grembo
i mondi infiniti di Bruno e di Galileo. Donne, splendidi astri delta
terrai Andate a rivelargli i palpitanti misteri del vostro cuore! Egli
che comprese l'amore nelle sue più estreme espressioni, e simbo-
leggiando qui pure la natura italiana, ora lottò sotto gli stimoli più
infuocati della passione terrena, ora, nuovo Orfeo cristiano, scen-
deva a ricercare sotterra, traverso i regni della morte, la sua donna
perduta, e con lei ricongiungevasi nelle mistiche voluttà del para-
diso. V'insegnerà come l'amore sia il vincolo arcano che rannoda
la terra al cielo, il rivelatore celeste che, più assai della scienza, ci
solleva a favellare, faccia a faccia, con Dio. Soldati! portategli le
vostre spade a benedire. Egli le incanterà coi magici carmi che in-
catenano la vittoria, e rendendole invitte contro gli oppressori stra-
nieri, ne spezzano le punte se volte scelleratamente contro petti
italiani. Uomini dì Stato! Cercategli il secreto della vittoria. Egli vi
dirà che esso non trovasi nelle vie tortuose che lacerano il senso
morale, ma nella dignità che solleva dal fango delle menzogne, in
quell'amoroso affratellamento delle classi che colle umili unità del
popolo intreccia il formidato fascio romano. Moltitudini d'Italia!
cercategli il secreto della indipendenza e della libcnà. Ed egli mo-
strandovi il suo cuore piagato da Imperatori e Pontefici in cui. s'illuse
e che lo tradirono, v'apprenderà ad esecrare per sempre e Pontefici
e Imperatori.
Quando, in riva al Gange, scorre sui prostrati credenti il sacro
carro di laggernat, sotto le sue ruote havvi un'ecatombe di membra
* Avvertasi che con questa teoria del-
1* Ideale, io non intendo escludere quella
umile eppur sublime poesia che sgorga dal
popolo e dai drammi volgari della vita;
poiché credo che la poesia si ritemprerà
appunto allora solo che uscendo dalle vec*
chie norme convenzionali che cercano il
■ublime nel remoto e nell'artificiale, anzi-
ché nel naturale e nel vicino, si porri su
questa via novella nella quale, e in Italia
e fuori, gii splendidi saggi si sono pro-
dotti. Io intendo dire soltanto: i** chela
poesia del pen>iero dovrebbe essere colti-
vata al pari di quella degli effetti; a* che
anche nei drammi del cuore che studìansi a
preferenza di quelli di cenrello, la poesia
dovrebbe attaccarsi piuttosto al processo
intimo, occulto che genera la passione e il
pensiero, piuttosto alle grandi leggi dei me-
desimi, anziché alle esterne fenomenaliti con
cui questi psichici processi rivelanti e alle
loro più comuni manlfiestazioni nella vita.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
595
disperse e di teste troncate. Quando invece trascorrerà fra noi il
carro trionfale di Dante, le membra infrante d* Italia si raccolgano
una volta ed abbiano un capo. E se dev'esservi un'ecatombe, sia
quella delle antiche illusioni che sono i nostri più mortali nen^ici.
In una di quell'ore avide in cui»
Dormente no, ma abbandonato al flusso
Della grand* Alma Universal, lo spirto,
Coi 61i delle immagini indistinte
Del ramingo pensier, le più divine
Trame che ordisca Y ideal s* intreccia,
Visione io m'ebbi che non so se fosse
Estasi o sogno:
L
La notturna veglia
Era del di che Italia tutta al sommo
Vate sacrò che l'amò tanto: ed io
AU'Alighier devoto e non al tempio.
In Santa Croce ' m'aggirava, in questa
Vetusta tirannia sacerdotale
Consolidata in marmo, ove le cupe
Tenebre del cattolico terrore,
Dalle tombe di Dante e degli eroi
Deir Italo pensier son rischiarate,
Nel sacro asìl, piangendo, le ripose
La devota d' Italia alma pietosa ;
'^migliore imelligeou di questo carme,
^*«: «ae «TTcrtire qpei lettori che per «Tven-
^^ noi sapessero, cene nella chiesa di
'*^% « Croce in Firense posino i monumenti
J^^lcralidi Dante, di MacUaTelli, Galileo,
''* ^^claagelo, Alfieri e altri meno insigni.
^ VM togli Galileo che appartiene più alla
^^^isa che alla polidca, più al ciclo che
^^^ terra, gU uobiIbì qui nominati incar^
^^*&« più o neno nella loro tìu politica
'^^ artistica 11 concetto nazionale di Dante.
Sento che un monumento sia gii destinato
in Santa Croce a Cavour, il quale, rian-
nodando, dopo ben tre secoli di morte ci-
vile, la catena spezzata dei nostri uomini
di Stato, iniziò felicemente U realizzaxicne
dell' unità d' Italia colle tradizioni di Ma-
chiavelli. Né dubito si dimenticherà di de-
stinarne a suo tempo un secondo a Gari-
baldi, quest'altro insigne che sforzossi e tut«
tavia si sforza realizzare 11 grande concetto
di Dante coiranima alla Bruto d'Alfieri.
596 POESIE DI MILLE AUTORI
Ma l'accigliata cattedral le guata
Minacciosa e ne freme, e del passato
Colla più densa oscurità ravvolge
Quei bianchi avelli che la luce indora
Deireterno avvenire. Ond'ei sembianza
Mi fean d'alpestri guglie cristalline
Che il negro vel dei nugoli squarciando.
Vanno a bagnarsi nell'eterna aurora.
Su quel misto di tenebre e di luce,
E sulle tombe e sugli aitar regnava
Alto silenzio — non di cose morte.
Ma d'operose occulte forze; e solo
Al mio guardo apparìa che sugli altari
Strisciasse il verme delle tombe e dalle
Tombe emanasse degli aitar la fiamma.
Era un colloquio mistico, o piuttosto
Una silente, inesorabil lotta
Fra la vita e la morte, in cui mutato
Nella mischia, a vicenda, il mutuo atpetto
Dei lottanti sembrava. Una sospesa
Lampada dalle pigre oscillazioni,
Che il tempo no, ma eternità parca
Commisurar coli' impassibil moto;
Somigliava alla face che s'accende.
Beffardo emblema, a simular la vita
Nelle celle de' morti. Io quel solenne
Eloquente silenzio interrogava
Dagli arcani responsi, allorché un'Ombra, —
L'Ombra di Dante — fra quei marmi apparve
Come un tempo, fra i Delfici delubri.
Il fantasma del Dio.
Chi mai dai regni
Della squallida morte iva evocando
Quello spirto sdegnoso, e perchè in questo
Ricinto d'are e di delubri, Ei posa
Più che su i colli della sua Firenze,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 597
Compiacente facea ? D* Italia il core
Ch'or col suo core in simpana battea,
Traevalo forse fra i viventi, come
Egli vivente amò vagar sotterra,
E l'odio fra le bolgie e il benedetto
Fiato di Beatrice al ciel lo spinse.
Amava or forse ch'era estinto, ancora
Riveder questa terra ov'egli un giorno.
Amò tanto, odiò tanto e tanto pianse?
Ignoto spirto discendea fra noi
Dalle ignote de' spiriti regioni,
O una larva vital che qual dispenta
Melode l'eco dall'estinta polve
A strappar non riesce anche la morte,
Spingealo a rovesciar del suo sepolcro
In Ravenna la pietra e miglior tomba
A cercar qui nella natia sua terra.
Entro quest'urna che per lui scolpita.
Attenderlo pareva? All'Arno in riva,
Invan d' Italia sua chiesto ai viventi
Che per lui forse non avean favella.
Venne Egli quivi a interrogar per cara.
Misteriosa affinità le tombe
Di que' spirti magnanimi che in Lui
Bevver la fé, la carità gentile
Del natio loco, l'operoso amore
E la mente divina? E in ver responsi
Al suo spino dar sol potean que' spirti
Vitali forse anche nel sonno estremo.
Però che solo gli aspiranti aflFetti
Dispensieri agli umani oltre la tomba
Sien d'incognita vita.
Egli ristette
E parve in prima interrogar gli altari.
Le mute statue, le navate oscure
Ed i mistici ogivi. E ben potea
59^ POESIE DI MILLE AUTORI
Questa marmorea podestà che il vate,'
Con riverenza pia, vide il superbo
Capo levar la prima volta al cielo
Negli spenti suoi di; ben potea questa
Che signora si vanta onnipossente
Sulla vita e la mone e ad ogni angoscia
Un balsamo promette, a quel dolente
Pietosi accenti mormorar; ma il tempio
Muto, arcigno rimase e sovra il capo
Del poeta lanciar parve tuttora.
Più che mai fieri, il vindice anatema
Di Bonifazio e Y ira. E solo il Cristo
All'auree croci degli aitar confitto,
Dolci sguardi parca volger d'amore
E susurrar all'anima cristiana
Dell'Alighieri : « Io martire qui sono
Più che vivente, or sento; alla mia fronte.
Più che il serto di spine è dolorosa
Quest'aureola di Nume, e più dell'aspra.
Infame croce che il Giudeo m'impose^
Questo di volte, di delubri ed archi
Marmoreo incubo mi contrista e schiaccia, »
All'urne allora l'Alighier si volse
E favellò : « Chi mi sa dir da quanto
Volger lento d'età cadon le mie
Lagrime di poeta entro gli abissi
Della squallida morte, e chi fra i vivi
Or mi sospinge? È ver ch'anche nel grave
Letargo dell' avd, pallide, incejte,
Correan le larve della vita estinta
E sul freddo mio cenere strisciando
Gli rapivan l'oblio del sonno estremo.
Ma invan la vita io desiava; invano
Questa mia patria ch'adorai cotanto
* S«nu Croit fu fondnu nel 1294, quando DAnte aveva circa trent'annt.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 599
Da sentirne tuttora entro Favello
Fremerne il nome e la memoria e gli tchi
Dolorosi e pur cari, a me di morte
Le catene scotea. Ma onnipossente
Or dalla tomba evocazion mi chiama
Ed è la patria che mi chiamai O spirti
Che l'amaste con me, che mi credeste
Deh ! mi parlate dell' Italia mia,
Del mio suolo natio I »
D' Italia il nome.
Come un baleno illuminò gli avelli;
Come scintilla elettrica, ne scosse
Le più cupe làtèbre e l'ossa in polve.
Quasi per forza magica d' incanto.
Ricomponeva alla vital compage.
Palpito per quei cor finch'cbber vita,
Parea che Italia ridonar potesse
Col suo nome soltanto, a quegli estinti,
Nuovo un cor per amarla. Oscuro un moto
Udissi in fondo agli agitati avelli.
Un mescersi confuso, un concitato
Respingersi, incontrarsi, un fremer come
D'atomi che ricercano sotterra
Delle perdute affinità il secreto.
Poi, senza scossa ne' sepolcri e quasi
Dai lor pori di marmo irradiato,
Degli estinti apparir vidi lo spettro
Al mio attonito sguardo. Illusione
De' miei sensi non era. Era uno strano
Intrecciamento di tenèbre e luce,
Di fluidi ignoti e misteriose essenze;
Una forma visibile intessuta
Da invisibili fila; una compage
Dagli antichi elementi ingenerata
Ma in più tenue misture a non so quale
Larva commista di vital potenza
600 POESIE DI MILLE AUTORI
Che né vita né morte era, ma intenso
Conato di simpatiche attraenze
Per riscattar dall' implacabil Parca,
Una trama spezzata.
II.
A dar responsi
Machiavello fu primo. Egli guizzando,
Pari ad augello di contorto volo,
Dal maestoso avello, errava incerto
Or alto, or basso, or della luce in cerca,
Or nel fitto dell'ombre; ed a vicenda
Fra le tombe e gli aitar. Però che sciolte
Del nostro frale dal torpor quell'alme.
Come l'aria irradiavansi e la luce
Di che ordite eran forse. E istinto antico
Di quell'alma era ancor l' irrequieto
Agitarsi qua e là; che nella vita.
Sempre errò incerta dalla reggia al foro,
Talor nell'alte regi'on del bene,
Com'angelo rapita, or, qual demonio.
Profondata nell'odio, e solo immota.
Come rupe al furor della tempesta,
Quando i fati d' Italia avea dinanzi
Come or l'ombra di Dante, innanzi a cui
Arrestossi repente. E in ver lo stesso
Eran Dante e l' Italia.
« E di tua patria,
Padre, » ei disse, « udir vuoi ? Te fortunato
Che la vedesti almen vivente e tratta,
Per troppa vita, alla final ruinal
Quando io nacqui, un' inferma era in cui tutto
Fuorché l'odio languia. Le proprie membra
Impossente a ferir colla sua spada
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6oi
Irrugginita, ai fratricidi eccidi
Appellava stranier sopra straniero,
E gli stranier, famelici avvoltoi.
Al banchetto accorrean. «Pace fratelli 1»
0 padre Dante ! anch' io gridai, sperando
Le ferite sanar che l'odio apriva
Col balsamo d'amor. Ma quando io vidi
Sovr'empio rogo penzolar le membra
Del beato leronimo, e la turba
Scagliarne in Amo la riarsa polve
Con demente furore, io disperai
Degli uomini e del cielo, e al pie' forcuto
Di Satana m'avvinsi. Era pur bello
Il mio Satana Borgia I Ei, come Dio,
Alla crudel necessità fatale
D'una incompresa Idea, sin l'universo
Sacrificato avrebbe. Era veleno
La sua parola; egli uccidea col guardo;
1 suoi baci persin, quand'egli amava
(Se amor pur seppe quel ferino core).
Micidiali ferian più della punta
Del suo pugnale. Imperiale il nome.
Sacra dal prisma di San Pier la spada.
Un sol pensiero nel cerèbro, un solo
Amor nel core, ma fatai, ma fiero,
Capace d' ingoiar l' immensurato
Universo di Dio nella sua gola.
Quel mio Satana avea. Dessa l' Italia
Era incarnata in un sol uom con tutte
Le sue potenze, i suoi delitti, i suoi
Odii ed amor. Sol Ei potea send' Uno
Vibrar nel cor dello straniero il ferro
Ch'ella nel proprio cor dilaniato.
Delirante figgeva. Ed io l'amai
Come il Dio degli Schiavi, il Dio d'un mondo
Che più Dio non aveva. Errai! Fedele
602 POESIE DI MILLE AUTORI
Incarnazione della patria mia.
Il mio Satana Borgia, al par di lei
Uccideva sé stesso. I suoi delitti,
Quai serpenti branditi a mo' d' un' arma,
Gli si torsero contro e avvelenato
Giacque dal suo velen; non quel che il fiero
Padre gli spense nel fatai convito
E a lui stesso infrangea la prepotente
Energia del voler, ma il più letale.
Veleno del suo cor. » Tacque e in sdegnoso
Silenzio ei si ravvolse come un uomo
Cui Dio dapprima, poi Satan falliva,
Come un Dio che miglior d' ambi si sente.
Ma cui negaro onnipotenza i fati.
Altr* ombra allor dall' istoriato avello
Sorse e all' aerea cupola salendo
Qual'aquila regal che inconscia vola
Coir istinto fedele a' rai del sole.
Quivi fermossi a contemplar traverso
Le cristalline sbarre, e terra e cielo.
Con avida pupilla.
« Oh ! ridiscendi.
Spirto aspirante, gli gridò Alighieri,
E d' Italia favellami 1 »
a D'Italia?
Ella è morta, noi sai? Non ne vedesti
Il simulacro eh' io le sculsi in marmo
Nella bella Firenze? È là che, come
Languente face, diede uno guizzo estremo
Che all'amante mio cor parve le vita;
Ond' io di spaldi e di marmoree rocche *
Un usbergo le cinsi al cor che i dardi
Spuntar potesse all'implacabil Parca
* Quando Firenze er« assediata dalle armate di Carlo V, Michelangelo diresse i
lavori di fonificozione della città
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6oj
Al SUO letto ringhiante. Invan; sul ciglio
Alla morente si curvò una croce
Che componean fra loro incrocicchiati
D'Arminio il brando e il pastoral di Piero
Con istrano connubio; q mormorando
Non so quali incantesimi di morte.
Da Roma il Papa V agghiacciò. La posi
Allor piangendo nella tomba e immenso
Le alzai, perenne un monumento in Roma
Ove tutta la terra eternamente
A piangerla verrà. Sovra la vetta
Io mi posai della superba mole.
Come l'angiol funereo che l'alma
Porta a Dio degl' estinti, e la grand' ora
Invocando per lei dell'aspettata
Risurrezione, ad aspettar la posi
In quei campi cerulei dell'arte
Ove eterna è la luce, ove mai l'ira
Giunger non può delle tempeste umane.
Ah! Lungamente, collo sguardo al cielo,
Colla fede nel cor, col pianto agli occhi
10 queir ora aspettai. Ma, o sia che ai morti
Popoli sia velen quell'armonia
Di note e di color che in rapimenti
Estatici addormenta; o che tornarle
Dalla lotta terrena e non da Dio
Debba 1' aura vitale ; o che in eterno
Fosse d'Italia cancellato il nome
Nel libro della vita, io là morii.
Né di Lei più dir so. » —
a — Ma il di che al Cielo,
Michelangiol, riedevi, io da quel Cielo
Esulava quaggiù, meco portando
11 tuo spirto divin, quasi che l'arte
Consegnasse morendo alla scienza
Che un'incognita legge in me incarnava,
6o4
POESIE DI MILLE AUTORI
La lampada di vita. » ' — Un terzo spirto.
Favellando cosi, dal monumento
Irrompeva veloce, e come l'altro.
Air alto della cupola scoccava
Come rapido stral. Sol che diverso
Dal primo che parea d' intorno ali* orlo
Di quella volta cristallina, come
In elemento naturai posarsi;
Questi con ira la scuotea tentando
Aprirsi un varco nell* azzurro, quasi
Suo beato soggiorno elementare
Fosser le aperte immensità del Cielo.
« Ed or pure contendermi vorresti,
O maledetta — egli sclamò — codesti
Campi deir infinito ? Invano; — » e infranta
La cristallina sbarra, iva quel forte
Slanciandosi nell'alto; e più salla
Più e più gigante diventava, e un astro
Se nel tempio parea, fatto era un sole
Là in quei campi dei soli Ahil della Parca
U inesorabil filo in giù lo trasse
Dalle altezze conquise, e Galileo
Nel cattolico tempio, un' altra volta,
Prigioniero tornò. Della diletta
Patria a lui pure l' Alighier richiese
E poiché viva la sentia, qual mano
Dall' avel la destò.
a — Poiché destarla, »
L' alto rispose scrutator dei mondi,
« Dal sonno ignavo non poter le strida
Del pensier crocifisso e prenci e papi
E monaci e stranier che, quai demoni.
Le fean sul marmo sepolcral, la ridda;
' La luscita di Galileo, nel giorao stesso
della morte di Michelangelo, è fatto storico.
Dobbiamo vedervi semplicemente una for-
tuita coincidenza o sospettarvi, con V. Hugo,
qualche arcana legge presiedente alla ge-
nerazione delle anime grandi?
INTORNO A DAKTB ALIGHIERI. 605
Poiché agli astri del ciel Y ombre preferse
Del cattolico avello, e più che al sole,
Più che alla diva fiaccola del vero
Che, per destarla, io le scotea neiruma.
Ella amò riscaldarsi ai maledetti
Roghi sacerdotali; e poiché quale
Divin dono baciò le sue catene
E maledisse chi 1' amava, e avvolta
Nel suo mantel funereo qual fosse
II suo manto regal, lividi ceri
Brandi in loco di spade e patrie insegne.
Chi destarla poteva ? Ai cieli invano
Io rapiva per lei la redentrice
Scintilla della vita. Ahimé! se ancora
All'aspirante mio spirto non lice
La morta patria tramutar con qualche
Viva stella del cielo, al mio sepolcro
Ritornatemi ancora; esso é più caldo
Del mio suolo natio; là almen non scende
Manigoldo chiercuto a torturarmi
S' io favello coi cieli » — E al suo sepolcro
Ritornato saria; ma d' un amplesso
Michelangelo il cinse, e T oscillante
Lampa alle care immagini dei suoi
Giorni sacri a Sofia lo ricondusse.
Un' ultim' ombra alfìn da quei superbi
Mausolei spiccossi; e questa ai moti
Irrequieti, al disdegnoso aspetto,
All'ira intensa che struggeala fusa
In un intenso amor, suora fra tutte
AU'Alighier parca. Come rinchiuso
Folgore che guizzando in mille guise,
A un punto istesso, ovunque tocca, tutto
Con forza irresistibile percuote.
Squarcia, sperde, annienta e mille vite
In quella vita d' un istante inserra;
6o6 POESIE DI MILLE AUTORI
Con cieca ira cosi quel fiero spirto,
D' un sol tratto scorrendo ogni più occulto
Penetrale del tempio, e statue ed are
E tombe, e arredi e monumenti e tutto
Rovesciava, struggea; si che non valse
Nemmen del Cristo Y amoroso sguardo
Da mille croci supplice a sottrarlo
Da queir ingorda frenesia di strage
Che anche in morte infuriava. Era Io spino
Di quel fiero Astigian che poiché vide
Patria e virtude e libertade e vita
Nel suol nativo estinte; e in comun fango
Avvolti oppressi ed oppressori, e infame
Di ladri ipocrisia fu quella voce
Che giù dall'Alpi: Libertà! gridava
Ai sonnolenti; dall' avel di Bruto
Dissepolto il pugnai tirannicida,
Nel sangue lo bagnò d'ogni vetusto
Despota, e sopra la funerea pietra
Che la patria chiudeva, 1' eterna incise
Tragedia che pugnossi e fia pugnata
Fra le serve nazioni ed i tiranni.
Fra il pensiero e V aitar. Ma poiché il sasso
Freddo rimase, e della patria spenta
Invan sul freddo cenere strisciaro
Quelle cifre di fuoco, andò ramingo
Colla magnanima ira, e come Bruto
A Filippi dubbiò. Che in tutte cose
Ei vide il verme che la patria estinta
Corrodeva sotterra, e in ceppi e in trono,
a Od umili o superbi, infami sempre »
Uomini e genti — una menzogna eterna
Il eie!, la terra, la virtù, la vita.
La libertà che lotta, il Dio che assiste
Il voler che trionfa — e tutti e tutto,
Calpestando, insultò.
INTORNO A DANTE ALIGHILRI. 607
Poi eh* ebbe alfine
O per stanchezza esausto o per disdegno
Quel redivivo suo fulmine d'ira
Il memore fantasma, al sen di Dante
Lagrimando lanciossi e si lo strinse
Che fondersi in amor tutto parea
Queir anima sdegnosa.
« Oh ! giù dall'Alpi,
Padre, » gli disse, « non sperar più scenda
Il vindice d'Italia! e né col brando
D' uom che ha sete d' imper spera giammai
Temprar lo scettro che da Roma al mondo,
Novellamente colla gloria imperi
E l'eterna giustizia. Io l'ho veduto
Il fulmine di guerra. Egli col ciglio
La Vittoria appellava, e la Vittoria
Si prostrava a' suoi pie'. Popoli e troni
Qual polve si sperdean sotto le zampe,
Le scalpitanti zampe arroventate
Del suo corsiero. Come un giorno al cenno
Del creator si soUevaron l'Alpi
Dal lor letto di fuoco, ed or quell'Alpi
Sotto il pondo curvavansi ubbidienti
De' suoi cannoni, delle sue legioni,
E com' orse domate, al suo passaggio
Inneggiavan prostrate. Inno gigante
Di granito e valanghe, inno che i mille
Torrenti alpini tramandaro ai flutti
Attoniti del mar; che cento picchi
Echeggiarono in coro, e fino all' Etna,
Come convulsa sotterranea scossa.
Folgorando vibrò. — Non agghiacciate,
Pallidi re, nelle merlate torri,
Né voi sacri oppressor sotto le vostre
Cattedrali tremanti ! Al par d' un serpe
Che s' asconde tra i fior, l' auree speranze
6o8 POESIE DI MILLE AUTORI
Calpestate, o nazioni! in mar di pianto
Soffocate il sorriso, e qual leggiadra
Donna in turpe cadavere cangiata
Dal bacio velenoso della Peste,
Il cantico dei liberi strozzato
Sia in livido blasfemai II Genio invitto
Non è d' Italia e Libertà che avanza
Sovra il carro di fuoco. E' ben d' Italia
Stuprò dapprima, indi immolò la madre,
Poi eh* ei pure serrato il glorioso
Fronte anela sentir da un maledetto
Diadema di re. »
III.
Pallide e mute
Guatarsi V ombre a quegli accenti e in cerca
Ivan col guardo d' un novello spirto
Che nunziasse men funebri destini
Alla patria toccati. Invan. Niun morto
Più rispondeva all' evocanti note
Dell' Alighier; più murmure foriero
D'apparizioni non s' udia neirurne;
Tutto estinto parca. Ma d' improvviso
Ecco che fra Y eccelse ombre un' immago
Reverente appari. Non dalle tombe
Né dai mistici aitar, né dai più ignoti,
Reconditi recessi uscia del tempo
Quella inattesa immagine, ma detta
Tu piuttosto l'avresti una leggiadra
Incarnazion vermiglia della luce
Che incominciava a palpitar traverso
Le gotiche vetriere ; oppur d' Italia,
Di Libertà l'Idea detta l'avresti
Con si possente intensità concetta
Da quegli eccelsi spiriti che, come
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 609
Di Pigmalione il marmo, or si mutava
In un ente che vive. Avea gemmato,
Dono d'Italia, alla cintura un brando,
Rossa la veste, la persona stanca
E fusa di leon colla fierezza,
L'aura gentil del Nazareno in volto.
« Chi sei ? » l'ombre gridargli. Ed egli : « Io sono
La coscienza d'Italia, ancor che Italia
La calpesti o l'oblii; però presente,
Qual benefico spirto, o furia ultrice
Son qui e ovunque per gl'Itali destini
S'opra, si parla o si sospira !» E il labbro,
D' Italia i fati a raccontar seguendo.
Poi dischiuse cosi:
« Della corona
Il veleno corrose anima e vita
All'uom fatale; e i despoti suoi servi.
Sulle macerie della sua potenza,
Si divisér coU'ugne insanguinate
La sua mandra di popoli. Sul capo
D' Italia ancora scintillar le lancie
Del Teutono feroce ed i pugnali
De' scettrati suoi sgherri. Entro l'antico
Suo cattolico avello incatenata.
Dormi ignobil letargo, e in Vaticano
Il Pontefice suo le recitava,
Con monotona voce, il di e la notte.
Le preghiere dei morti. Intorno al vasto
Tumulo si stendean, laide, schifose
Sentinelle, le forche, a cui sdegnava
La viva alma serrar dentro il sepolcro
Della patria defunta, altro sepolcro
Fra le nebbie morave era serbato
Ove fra i ceppi imputridian le membra
Come quivi gli spirti. Oh! quel gran corpo
Da estranei dovi incatenato all'Alpe,
DiL Balio. Voi. XIV. 30
6X0 POESIE DI MILLE AUTORI
Galleggiante sul mar come un'esangue
Vittima in Canal Orfano gettau
Dal veneto Senato, a cui l'eterno
Cor lacerava l'avvoltoio ingordo
Del Vaticano — oflPerto avriati immago
Dell'antico Titan che il ciel sfidava,
Se un'anima vivente in quelle membra
Fatta avesse dimora. Ah ! ben più al Cristo,
Ostia del sacrificio e dell'amore,
Che fuggia dalla lotta e alle percosse
Rispondea col perdon, rassomigliava
Quella salma bellissima che fatto
Avea di Cristo ai sacerdoti ingordi
Di sé stessa olocausto.
Alla gran tomba
Veniano a gara e genti e re da quante
Terre illumina il sol, che tutti in core
Dalla speranza e dal terrore commossi,
Attendeansi veder fuor da quell'urna
Del crocifisso, uscir trasfigurato
Il glorioso Iddio della vittoria.
Veniano i bardi lagrimosi, e, tranne
Pochi, in vece di scior sulle frementi
Cetere un inno di Tirteo che a vita
Ridestasse la morta, ivan gemendo
Nenie ispirate ai soporosi incensi
Del santuario. Di Sofia gli alunni
Veniano anch'essi e richiedean l'arcano
Della vita alla Dea, ma l'incantata
Formola che gli estinti evoca a vita
La Dea non dava, e ai fidi suoi piuttosto
Insegnava a morir. Venian gl'illusi
Che il secreto vital cercano ai vermi
Putridi della tomba; e a lor beffarda
Morte ghignava. Misteriosi gruppi
Di Pellegrini dagli strani emblemi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6ll
Dai simbolici riti e dai notturni
Assembramenti in seno alle ruine
Veniano ed in Gesù, Dio degli oppressi.
La trafitta nazion simboleggiando,
In processione lugubre e solenne
Ne portavan la salma insanguinata
Di capanna in capanna, in ogni punto
Della terra infelice, onde alla vita
La rendesse il furor della pi etate
Degli oppressi credenti. Ogni mattina
Salian sull'Alpi i pallidi proscritti,
E la pianura funeral scrutando
Per quanto ampia si stende, acuto il guardo.
Acuto intomo protendean l'orecchio
Ad ogni soffio, a ogni sospir ; che ognora
Speravano veder Tossa dall'urna
Ricomposte balzare e fiera e in armi
La risorta pugnar. Ma vano ahi! sempre
Ogni murmure o tuono! Altro non era
Che un muggito di bufalo per l'ampia
Romana solitudine, una pietra
Dai ruderi cadente, un melodioso
Bacio dell'onde su l'adrìache spiagge.
Un sotterraneo fremito dell'Etna
O del Vesevo, i soli esseri vivi
Sulla terra dei morti, un moribondo
Rantolo dalle carcerì o un notturno
Combattimento di rapaci augelli
Contendentisi intorno ad una forca
L'ossa d'un patriota.
Un di quegli ansii
Esuli con furtiva orma sovente
Discendeva dai monti. Avea sul pallido
Volto il mistero, d' un' eccelsa speme
La scintilla negli occhi, in cor la Fede,
Nella mente un' Idea. Strisciando ovunque
6l2 POESIE DI MILLE AUTORI
Ai tiranni invisibile, ma sempre
Agli oppressi presente, ei lor portava
Pugnali occulti, arcane cifre, e poi
Come spettro sparia. Ma quasi ei fosse
La sotterranea miccia serpeggiante
Che porta a mina la scintilla, appena
Trascorso egli era, tale un nembo e tale
Di vitali potenze una tempesta
A tergo gl'irrompea, qual se sotterra
or ignei geni d'Ausonia ai neghittosi
La vita irradiassero attraverso
Le metalliche vene ed i ruggenti
Crateri dei vulcan. Ma poi che ancora
Trionfava la morte, e la fugace
Fiamma dell'ira si spegnea nel freddo
Alito del sepolcro, e fuor dai sacri
Recinti, colle immonde ali d'upupa,
Uscian l'Ignavia e la Paura, antiche
Dee degli schiavi, e al cantico guerriero
Dei pochi rispondean delle dementi
Moltitudini i brividi, e più stretto
De' carnefici il laccio e più profonde
L'ugne degli oppressori, il misterioso
Esule riprendea tacitamente
L'aspre vie dell'esilio a meditarvi
Nel silenzio e la fede; e poi che aveva
Là maturata una novella idea,
Nuovi d'odio tesori accumulati
Nell'indomito cor col Fato in lotta.
Con nuove trame e nuove lotte e nuove
Vicende di speranze e di sventure,
Ridiscendea dall'Alpi.
E tutti a gara,
E popoli e scettrati e pellegrini
E bardi e sofi ed esuli ed occulti
Agitator della facella ascosa,
INTORNO A DANTE ALIGHIERI.
Correano al gran sepolcro a interrogarlo;
Ma i teutoni custodi, a differenza
Dei custodi Giudei, non atterriti
a É risorto ! » gemean, ma con osceno
Ringhiavano un sogghigno : a Ite ! la tomba
Si divora la preda. » — E i coronati
Manigoldi del teutono tiranno,
Un nugolo d'osceni, orridi vermi
SulFavello striscianti, i rinnegati.
Le spie dai moti di serpenti, i vili
Che al gelido sofisma od a Mammona
Venderon l'alma incancrenita, i cuori
Dalle scettiche lebbre assiderati,
I beflPardi stranier, gli sgherri atroci,
Le immonde Frini, le chiercute arpie
E il lor Caifa che siede al Vaticano,
Ripetevano in coro: «Ite! la tomba
La sua preda divora ! » —
Eppur la tomba
Divorarla non deve! E tale un giorno
D'infranti scettri e d'atterrati troni
Fragor diflPuse Libertà, che anch'essa
Destossi Italia dalla morte e un volo
Dispiccò pel sereno aer a lei noto
Della magica Dea. Die' allora un grido
D'agonia la nordica grifagna
Che lacerar le pigre ali sentissi
Dal sbuccato Lombardo angue e dall'ugna
Del Veneto Leone. Il soporoso
Miasma della maremma ad un divino
Raggio di sole dileguossi, e mentre.
Per gli Appennini, la Romulea lupa
Generatrice degli eroi, l' ingorda
Divorava bastarda, orrida belva
Che usurpava da secoli il suo nome.
Pasciuta al desco di vampir mitrati
6i4
POESIE DI MILLE AUTORI
Col core della patria» un generoso
Corsier cui misto all'arabo trascorre
D'eroiche razze nelle vene il sangue.
Calpestava, correndo, i gigli immondi
D'uno stemma regal.
Ma grave ah! troppo
Sentia tutt'or la letargia fatale
Delle interne catene, e nel sepolcro
Atterrata reddiva. Eppur fu d'uopo
Che l'occulto pugnai dell'assassino,
Che ipocrita un velen dato nel nome
Di libertà, dei re s'unisse all'armi
Per atterrarla; e d'uopo è ancor che resti
A soffocarle i palpiti del core
Nell'eterna città, la menzognera.
Liberticida libenà di Francia.
Gente vana e sleal che pur cianciando.
Con boria vii, di Libertade al mondo,
Vende la Libertà per una fronda
Infangata d'alloro, e come il cane
Morde alla cieca ove il padron l'impera.
Si profonde tuttor, sul servo collo
Ha l'orme che per secoli v'ha il piede
Di regi e regie prostitute impresse,
Che nemmanco potea di Robespiero
La mannaia spezzarle, e or pur beata
Non è se su quell'orme insanguinate
Lo spron non sente che un padron v'immerge. » *
L'eroe d' Italia fé' silenzio e stette
Cora'uom che nulla ornai più spera, o— È morta
Dunque per sempre?» mormorò fremente
* È giustixia soggiungere che te parrni
U Fr«nci« attuale meriti U poca sirnpatia
qui espressa, è da lei nulla meno che ema>
nano le più simpatiche ed ideali individua*
UtA dell'epoca nostra, sia nella sfera del
carattere che in quella del pensiero. Baste-
rebbero un V. Hugo, nn Qninet, on Mi*
chelet, un G. Sand, « tanti altri di cui
sarebbe qui tioppo lungo l'esporre i nomi,
per riconciliare qualsiasi animo più giuata-
mente esacerbato verso U Francia « reno
r umanità.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 615
L'ombra deirAlighieri e con lui tutte
Mormorar Tombre che le fean corona.
«No, vive,» Taltro replicò, ama vive
D'una vita non sua. Dal nuovo abisso
Non del suo cor la suscitò un indomo
Palpito eterno, ma de' suoi tiranni
L'immortale, alternata, avida lotta
Per rapirsi la preda. Ella pel cielo
Sa volar come l'aquila; versare
Coll'eroica virtù del pellicano
Per Libertà sa il sangue; eppur strisciarsi
Ama nel fango a pie' d'estrani troni,
Mendicando, fra l'onta e fra l'oflPese,
Libertà dai nemici. Eppur quel guardo
Che contemplar può fieramente il sole;
Da un malefico incanto è trascinato
A vaneggiar fra l'ombre ove giganti
Si finge ì vermi che schiacciar potria
Con un moto nel nulla. Un solo istante
Che colla tromba de' miei mille eroi
10 la scossi alla vita, ella di tenebre
Sperdeva un mondo e il rifacea di luce,
Colle prische virtù si rimpolpava
11 suo fracido scheltro e di vittoria
In vittoria correa. Ma, come un giorno,
Da lontane region mosser due serpi
Laocoonte a strozzar sacrificante
All' altare del Dio, tal presso a Roma,
Il maligno vapor della maremma
Ed il celtico fiato, in su per 1* erte
D' Apennino strisciando, ai prodi miei
Che oiFrian lor sangue dell' Italia all' ara,
Assiderar le membra. — O padre Dante!
Tu vedesti in inferno i sciagurati
Colle membra spingar che capovolte
Sporgono fuor dalla ghiacciata buca
6l6 POESIE DI MILLE AUTORI
Ove il capo hanno immerso. È la tua patria
Somigliante a costoro. In giù col capo
Nel cattolico avello ancor sepolta,
Fuor n* agita le membra, e invan vorrebbe
Drizzarle ali* avvenir, che giù V attira
La malia del passato. O Sacro Vate!
Tu sperasti in Arrigo e ti sedusse
a La riverenza delle somme chiavi. »
Ma il gentil sogno del tuo vergin core
Eredaro i nepoti e T han cangiato
In demenza senil. La piaga antica
Risanar puoi tu solo, e tu che un giorno
Questi spettri evocasti, e tu li sperdi. »
IV.
Rispondere volea T imperiale
Ombra dell' Alighier, quando improvviso
Un suon commisto d' ignei bronzi e sacri,
All'immondo connubio esercitati
Da secoli d' infamia, e da mill' echi
Ripercossi all' intorno in ampio giro.
Il silenzio squarciò. Qual per incanto.
Spalancarsi le porte e un mar di luce.
Un mar di suoni, un' irruente, immensa
Moltitudin diversa, inebbriata,
Acciecò, invase, assordò il tempio e parve
Scrollarlo col fragor della mina.
Affogarne il mister nell' abbagliante
Luce del Vero. Era l'Italia, questa
Figlia deirAlighier che al suo poeta,
Nel di solenne, a chiedere venia
Del futuro i responsi, ad onorarne.
Con figliai riverenza, il monumento
Di cantici e di fiori. A somiglianza
Di torturato cui 1' aculeo spreme
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 617
Detti col vero o col desire in lotta,
Mescea il gotico tempio alla civile
Esultanza la voce; e allor che tutto
Di ghirlande lo cinse e di bandiere
Il popolo festoso, un laido scheltro
Parea d'estinto cui la turba arrechi
Postumi onori. Come i flutti immensi
Che allo sguardo primier perdonsi assorti
Nella gran maestà deirOceàno,
Si distinguono poscia e ognuno al guardo
La sua presenta singolare immago;
Quella folla cosi che ti parea
Dentro un' unica impronta unificata,
Ad una, ad una, trasparir lasciava
Tutte d'Ausonia le città, le stirpi,
I profumi, i color, gli estri, le mille
Palpitanti armonie.
Saldo, compatto
Come ritta di pini ispida selva
Su pendio ruinoso, il popol forte
Io contemplava che dell'Alpi al piede.
Tutta dell'Alpi la potenza e i rozzi
Ma immortali, granitici elementi
Di pertinacia e di valor racchiude.
Italica Macedone che muta.
Per secoli d'oblio, nelle sue dita
Girando il fuso delle pie leggende
Attese r ora di filarvi in oro
Cr Itali fati. Cacciator sagace
Che nelle ingloriose ore del verno.
Pulì il moschetto ed affilò il coltello
Per le caccie venture. Eroica razza
Che, finché invitti i predator stranieri
Dalle vette scendean, come il camoscio
Di rupe in rupe, sugi' ingordi abissi
Schermissi al piombo micidial, dell'Alpi
6l8 PO£SI£ DI MILLE AUTORI
Serbandosi sovran; ma poi che pari
All'Alpina valanga, a stilla a stilla,
Ebbe il fulmin dell' ira accumulato
Nel granitico core, orsa divenne
E corse irata a lacerar la preda.
Sentinella devota, ei si raccolse
Ai pie' dell' alto mausoleo del vate
Come ai pie* del Cenisio, e chieder parve
La sua nuova consegna a quella tomba
Di possente virtude.
A lui congiunta
Venia dei Doria la città, reclusa
Con si pensosa maestà sull'onde
Che un notturno parea del suo Colombo
Colloquio coir Oceano, una seconda
Divinazion del genio onde scoprirsi
L'ignota sfera a cui drizzare i vanni
Debban nell* avvenir gì' Itali fati.
Buio di Dante era l'avello; eppure
Avidamente ella figgeavi il guardo
Come in fulgido sol, però che solo.
Forse, nell' avvenire egli sospinse
Il profetico sguardo.
Avidamente
A queir ave! si ravvolgea V Insubre
Come a sacro palladio, e colle sue
Braccia amorose gli facea ghirlande
Di magici profumi. Infaticato,
Come la biscia della sua bandiera.
Serpeggiando ei correa qual luminosa
Striscia di fuoco fra la turba ed ora
In vincoli stringevala d'amore
Coir elettriche spire, or la pungea
Con tale un morso che velcn non era
Ma stimolo vital. Poi che, fin quando
La dura del servaggio orrida notte
INTORNO A DANTE ALIGHIERI- 619
La patria assiderava, egli sotterra,
Cogl' ignei succhi dei saturnio suolo
Nudri il sangue agghiacciato, ed or sbucando,
A diffonder venia quella scintilla
Che avea rapita alla materna terra.
Lacere, insanguinate, in scarse fila,
V* eran Roma e Venezia, ambe nel lutto
Sole, qual sole nella gloria un giorno,
Ahimè ! forse d' un memore in virtudc
Vindice fato che placar dovranno
Con nuove lotte di civil virtude
E nuovi pei deserti del futuro
Pellegrinaggi, alle nazioni oppresse
Le catene spezzando onde fur fabbrc
Alle libere un di.
Come d'intorno
Al talamo d' un fior stendonsi i cento
Petali a fargli la gentil corolla.
Cosi d' intorno alla città dei fiori
Leggiadramente si stendean le forti
Sue sorelle d' un giorno. E come il fiore
D'eterne metamorfosi intrecciando
Va la splendida vita, e tal Fiorenza
I suoi protei sembianti avvicendando
Di vestal, di guertiero e di mercante.
Di profonda e gentile, una novella
Trasformazion chiedea che la sacrasse
Sacerdotessa alla novella fede
Dell' avvenire.
E r avvenir scolpirsi
Più che mai mi pareva in quella calda
Razza Partenopea che alimentata
Dai vulcani natii, benché sopita,
Serba la fiamma degli spirti antichi
Come foco di Vesta, e nelle sue
Miriadi sudanti e seminude
620 POESIE DI MILLE AUTORI
Che non han pane, che non han dimora»
Ma un' alma, un cor che s' apriranno un giorno
A scienza e virtù> sembra additarti,
Occulto re dell* avvenir, le plebi.
Nella sicula spiaggia si scolpia
Nido di sofi e di guerrier, che volta
Colle tre faccie all' universo intero,
A un amplesso immortai sembra chiamarlo,
A una sola bandiera, a un solo Iddio.
Quante forze e virtudi ahi! soffocate
Dal pensier servo incatenato ai piedi
Degli altaxi e dei troni !
Inebbrìato,
Su ir Alighieri appena e sulle fide
Ombre compagne si fissò lo sguardo
Della gran moltitudine, che dessa
Ai pie' lor cadde; ed evocato al certo
Da lei, nel fausto di, col forte amore,'
Fu del poeta Y amoroso spirto,
Però che ninno attonimento e ninno
Terror la strana apparizion le infuse.
Oh! udite il canto che dal cor le sgorga:
Ti ricordi, Alighier, quando d' intorno
Ti scorrevan coli* incendiarie faci,
E dagli amplessi rei, quasi a tuo scorno.
Fraterno sangue trascorrea coi baci?
Quando su belve a sensi uman ribelli
Il tuo grido piovea : « Pace fratelli ? »
D' oltr* Alpi allor dall' infeconde arene
Tu evocasti il mortifero straniero,
Sia che d' in mezzo ai lupi ed alle iene,
T' apparisse bontà nello sparviero,
Sia t' affidasse, nel comun servaggio,
Dell* amor che redime aprirci il raggio.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 621
E venne, o Dante, il micidial flagello,
Ci calpestò, e* infranse e ci derise ;
Del nostro Paradiso un di si bello
Far volle un cimiter d'anime uccise ;
Ma non s* uccide d* una gente il core
E nella tomba io ritrovai V amore.
L' amore io ritrovai che è vita e diede
La vita ancora alle mie sparse membra.
Ei mi vesti V usbergo d' una fede
Ch' ogni mia forza in un volere assembra ;
Egli dall'Alpi, maledetta via,
Incoronato un Salvator m' invia.
Redenta a te dall'Alpi all' Oceano
Volea mostrarmi e nella mia gran sede.
Colla mia spada gloriosa in mano,
Co' miei nemici fulminati al piede;
Ma ancora il mio Messia cinto alla chioma
Non m' ha le gemme di Venezia e Roma.
In Roma ei siede a favellar col tristo
Che già divelto al Ben da un malefìcio.
La divina deturpa alma del Cristo
E compie di mia vita il sagrìficio;
E il Messia benedetto, è già molt'anni
Che invan Io esorta contro gì' empi inganni.
Ma infine il cieco veglio a quella voce
Che spezza 1' armi ed incatena i cuori.
Rotto r incanto che il rendea feroce.
Pia che meco ritorni ai prischi amori,
E brandito 1' acciar del maggior Piero,
Dal mio seno disperda ogni straniero.
622 POESIE DI MILLE AUTORI
In questo di evocandoti, o poeta,
Almen per te vo^ea vestirmi a festa;
Qual vergine d' Imene ali* aurea meu,
Di vaghi fiorì incoronar la testa;
Scintillarti di gemme, e una corona
Farmi d* ogni beltà che Dio mi dona.
E per farmi di gemme un diadema
Strisciai carponi per le alpestri mine;
Salii dell'Alpi su ogni vetta estrema
A cercar fiori da fregiarne il crine;
Mi specchiai ne' miei mari, ode più puro
Negli occhi averne il benedetto azzuro.
E il mio del, le mie stelle io contemplai
Per involarne le armonie serene;
Scesi ne* miei vulcani e vi cercai
Un po' di fuoco da scaldar le vene;
Che, a dir vero, si gelide le sento,
Benché nata da ier, che n' ho spavento.
Ma dai picchi dell'Alpi e da ogni ruina
Le ascose gemme e i scintillanti fiori
Dicean : « Sol quando tu sarai regina.
Tuoi saranno dei monti i bei tesori. »
E il mar mi disse : « Il più beato azzuro
È la coscienza di sentirsi puro. »
E il cielo e gli astri, cogli eterei rai,
a Armati, » mi gridar, o d' alta virtude ;
Poi guardati nel core, e allor vedrai
Che desso è il più bel elei che il mondo chiude.
Ed i vulcani : « S* hai nell'alma il tarlo.
Fiamme ha solo il pensier per abbruciarlo. »
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 623
Àlmen volli prostrarmi in ogni tempio,
A pulirmi il cattolico mantello
Che pei secoli molti e il vario scempio»
Non mi pareva, come un di, si bello;
Ma ogni tempio gridò: « Lungi la Frine
Che porta fior di Libertà sul crine. »
Scesi dei spenti dì nel sepolcreto,
Pellegrina vagai per la mia storia,
A rintracciarvi un rudero, un secreto
Estro dimenticato, una memoria
Da ofii'irti almen, mio bardo, acciò tu possa
Sovvenirti di me, dentro la fossa.
E ben trovai sotterra, in Campidoglio,
Molte spade e loriche ed elmi infranti.
Ruderi d'un antico, immenso soglio.
Ossa che risplendean come diamanti;
Ma invan raccome mi provai; le magne
D'eroi reliquie mi parean montagne.
M'immersi nelle Venete lagune.
Un avanzo a cercar del Bucintoro,
Ma in mezzo alle intricate alighe brune.
Ritrovato soltanto ho un anel d' oro.
Ed è quel che donò, nelle barboge
Sue nozze, al mar, T ultima volta, il Doge.
Dei vetusti carrocci un chiodo invano.
La spada di Ferruccio invan cercai;
Di Colombo uo pensier nell' Oceano,
Un sospiro d'Arnaldo io noi trovai;
Le mie sole reliquie, i miei tesori
Eran ossa di Papi e Imperatori.
624 POESIE DI MILLE AUTORI
Il più bel dono ch'io t'offrir volea
Era il tuo stesso gran pensiero arcano.
Ma de' miei dì per la caligin rea,
Fra i troni e Tare l'ho cercato invano.
Veggo che ancora tu il signor ne sei
E sei tu solo che svelar mei dei.
Esso l'ora affrettar può di mie sorti,
Quel gran secreto, e tu svelar noi sdegna.
Cadran tuoi detti ammalianti e forti
Sul mio liberator ch'oltr'Alpe regna;
Mi renderan, converso alla mia fede.
Di Roma il veglio e l' immortai sua sede.
Fu l'ira in prima che avvampò nel petto
Del nervoso poeta. In sulla turba
Genuflessa al suo piede a lungo ei tacque,
E con un giro dell' aquileo sguardo.
Divinò tutte e tutte in cor racchiuse
Le sorti, i fati, le vittorie, i lutti
Della terra infelice, al par di Giove
Che col muover del ciglio in sé accogliea
Le vibranti armonie dell'universo.
I fior di forza, di virtù, di fede
Ch'essa rinchiude, misti al verme ei vide
Delle vetuste illusi'on che il succo
Vital ne isterilisce, e sino a noi
II Guelfo-Ghibellino intossicante
Morbo, ai nordici imper caro ed al tempio.
Siccome sacra eredità conserva.
Il serpe ei vide che tra i fior celato
Di mentite virtù, striscia e col suo
Velen si agghiaccia delle genti il core.
Che sin quelle che a vindici custodi
Dio del Dritto creò, spavaldi e lieti
Sgherri si fanno agli oppressori. E vide
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. ÌS3$
Intorno al disco della pura Idea,
Vorticoso ruotar quel maliardo
Fascino che dal sen di Libertade
Via trascina gli eroi, come dal cielo
Satana un giorno trascinò i beati,
E la lor pura aureola nel rovente
Cerchio tramuta di sanguigni chiovi
Che i tiranni incorona. Il mondo ei vide
Nel ruotare di secoli agitarsi
Come mare in tempesta, ed a vicenda.
Popoli e re, liberi brandi e scettri.
Troni e fori, diademi aurei e gloriosi.
Seni d'alloro irne adorati, infranti.
Cader in polve, e dalla polve al cielo
Ricomposti balzar; ma delle genti.
Sotto ogni cielo, in ogni età, le lotte
Sempre infeconde, perchè Todio sempre.
Giammai T amore n'accendea le faci,
E trionfanti ognor perchè concordi
Nell'odio delle genti, e di sé stesse
Nell'amor le corone. E forse ancora.
Una eterna, una rea maledizione
Vide emanar dalle stellate sfere
E accasciarsi sul mondo, insaziato.
Immortale vampir, che l'uom condanna
Di se stesso a carnefice, ad eterno
Ludibrio del destino; onde de' giusti
Vani gli aspir, di Satana il beffardo.
Scettico ghigno incombattuto, e atroce
Scherno per tutti, o scellerati o santi.
Questa che a colpa od a virtù li sprona,
D' un fuggitivo Ben larva mendace.
Quel gran silenzio che stupor non era
D'oppresse attività, ma ben l'intenso
Equilibrarsi nella sua gran mente,
Dell' odio coir amor, delle rideste,
Dbl Balio. Voi. XIV. 40
626 POESIE DI MILLE AUTORI
Infuocate correnti della vita
Coi pigri flutti della morte, e il muto
Oscillare d'un cor che in sé raccoglie
Tutto il core d'un popolo, e il tremendo
Uno irruente ne sostien coli' alta
Onnipotenza d*un Titano antico,
L'Italo Vate alfin spezzò. Le sue
Parole trascorrean sulla prostrata
Folla come l'elettriche scintille
Che le torpide fibre illanguidite
Risvegliano alla vita. Amor coli' ira
Vi s*intessean commisti al par d'un cielo
Ove talora dal sereno azzurro
Mugge il tuono, e talor d'in mezzo ai tuoni
La bell'iride appare. Era una stella
0 di sole o di folgore la luce
Che il suo labbro schiudea, ma sempre luce
D'intensissima essenza. Egli dicea:
V.
a Italia 1 o terra che mi chiami padre
Ma che madre mi sei! tu che coi filtri
Del sol, delle tepenti aure, dei flutti
Scintillanti d'azzurro e delle eterne
Tue vocali ruine, in me le colpe.
Gli error, le vane, appassionate larve,
E le indomite forze e le snervanti,
Mistiche voluttà, di che sei pregna,
Maliarda infondevi; onde un vivente
Simbolo, una vibrante eco io divenni
Del tuo pensiero, del tuo cor, di tutto
Il tuo turbin di vita, e nei passati
E nei giorni avvenire, odimi! Io canto
1 fatali miei di; canto un mistero
Che del passato le malie tramaro
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 627
Sovra r anime nostre. A me la tomba.
Più forte incanto, il lacerava, e forse
La vita istessa, ove men tosto estinta.
Lacerato Tavria; ma a le tue membra,
Avvelenato manto ancor s' avvinghia
Né strapparlo tu il sai.
Era dal sangue
Rasciugata la terra, e le riarse
Sotto Tugne dei barbari corsieri.
Zolle dei campi, cento volte e cento
S'eran sparse di fior. Sulle ruine
Della dispersa Maestà Romana
Che il ferro e il foco inceneria, le nuove
Sorgean dimore delle genti e i nuovi
Genii e i palpiti nuovi. Un indistinto
Fremito d'ali, qual d'Iddii pel cieco
Aer dispersi, ma viventi ancora
Nelle memori preci, affaticava
Di speranze e desir le mal sopite
Anime conscie delle glorie antiche.
Era un sogno la vita; il ciel fremea
Note arcane alla terra; in fra gli spettri
Battea il core dell' uom più che fra i vivi,
E sull'acre dolor delle sanguigne
Reminiscenze, un funebre singhiozzo.
Quale d'estinto che la vita implora,
Di sotterra esalavasi, dall'alto
Vagolando, cadea. Lagrime strane
Stillavan da invisibili pupille
Sull'eterne ruine; e le foreste
Romane aste parean dalla gloriosa
Conscia polve sospinte; ancor dal cielo
Vedea l'accesa fantasia delira
Piover mistici ancili, e il cielo istesso
Il grand' arco parea steso sul capo
Dell'aspettato redentor di Roma.
628 POESIE DI MILLE AUTORI
In fantastica luce, uscian dal fondo
De' scoperchiati avelli ombre superbe
D'eroi, d'austeri senator togati,
Di legion cui le fide aquile il varco
Del deseno schiudean, di taciturni
Legislatori cui splendea sul volto
Del pensiero la fiamma e di scettrati
Cesari che corteo d'incatenati
Monarchi si traen dietro le pieghe
Dell'imperiai paludamento. Roma
Sorgea sull'alto delle sue ruine,
Dai fiammeggianti vortici sorgea
Degli ardenti suoi colli, e il cor rapito
Nell'ebbra illusion delle memorie,
Abbracciava i fantasimi, adorava
La ridiviva maestà latina
Su quel trono di fuoco. Un veglio, è vero.
Di bende cinto e misteriosi emblemi,
Talor su quelle sacre ombre, sdegnato,
Stendea le braccia, e nell' avel quell'ombre
Ritornavano allor; ma nelle ardenti
Visioni dei consci, itali spirti
Aleggiavan pur sempre; e si tremenda
Talor dei morti la falange uscia
Dagli igni. orni abissi di sotterra
Che anche il Veglio vivente a' pie' dei morti
Prosternato adorava.
Ah! dunque Roma
Ancor morta non è. Non lo vedete.
Di là dall'Alpi sfolgorar fra l'armi
Il Cesare immortale ? É ver. Romano
Non ha il sembiante e non il nome; a lui
Più dcir astro fulgente della gloria
È caro il tizzo delle ree rapine,
E ognor che qui dalle cineree nebbie.
Come folgor discese, all'amorose
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 639
Genti le zolle isterilì. Ma come
Roma ì numi custodi un di evocava
Dai conquisi delubri, e onnipossente
Di lor potenza divenia; divelse
Coi tremendi scongiuri e gl'incantati
Carmi cosi dall'are nostre il truce
Profanator della Romulea terra,
Di Roma il Genio, e sacro reso, invitto
Da quel Genio sovrano, or seco il trae
A suoi barbari lidi, — Oh! l'appellate,
U appellate qui ancor. Che il Dio custode
Senta ancor l'aura susurrargli intorno
Dell'eterna cittade; il prepotente
Scongiuro ascolti de* suoi figli; e ancora
Agli squallidi lari abbandonati.
Il Dio di Roma tornerà. Disciolte
Dal fascino che il voi ne incatenava,
Cadran l'ultrici folgori sul capo
Scoronato del barbaro, e regina
Ritornerà dell' universo, Roma.
Ah! ch'io deliro ancor come nei giorni
Della spenta mia vita. Il maliardo
Soffio che spira dalle tue memorie,
O mia terra, sull'alma ancor mi scende
Coir antiche malie. Ben io digiuno
Dell'amara esperienza, eroici spirti
E d'aquila pupilla, che la vera
Gloria discerne e come a ciel v' anela,
Delirando, aspettar nello straniero
Predatore potea. Ma tu cui dato
Fu il delirio schiacciar con maledetti
Secoli di sciagura, or come svelto
Dalla mente non l'hai? Venne, il dicesti
Pur or tu stessa, il micidial straniero;
Dalla gloria fuggir sempre 1' hai visto
Come gufo dal sole, e in sua viltade
630 POESIE DI MILLE AUTORI
Avvoltolarsi come « porco in brago ; »
Ti calpestò, t* infranse, ti derise.
T'inchiodò nella bara, e a lui tuttora,
Sciagurata, t' affidi ? e ognor che fiacchi
D'Arminio ai figli la cervice il brando
Assetato di Brenno, o Brenno elevi,
Sonnambula imbecille, e palme e core
E la credula prece? E perchè sempre.
Il tuo poeta, o cieca, interrogavi
Sol là dove ci strisciar sentia sugli estri
Dei di che furo le malie, giammai
Ne' carmi ove le occulte ei ti cantava
Note dell* avvenire?
Il tuo vivente
Simbolo io m'era, e come Giano, il Dio
Che tu un giorno adoravi, io due sembianze.
Per incarnarti nell'arcana essenza
Dei di che fiiro e che saranno, avea.
Però che mentre io t'impetria ne' carmi
La mia barbara etade, alle future
Colla mistica nave io veleggiava
Del vaticinio e dell'amor. Ben io
Teco strisciando per le tue ruine.
Evocava gli eroi, le imperiali
Glorie di Roma; io m'assideva in groppa
Ai nordici corsier, ma al tempo istesso.
Da le lor scalpitanti ugne fuggia
Sovra gli eremi chiostri a meditarvi
Le future vendette. Io coli' aurate
File del Nazaren teco intrecciava
I tuoi gotici templi, e nelle loro
Mistiche rose che schiudeansi in alto
Come r occhio di Dio, sopra le turbe.
S'irradiava l'alma mia; ma l'ale
Sciogliea pur anco dal marmoreo pondo
E adorava l' Idea nel mio pensiero.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6)1
Senza mistici veli. E ben correa
Teco alle giostre ed a* tornei d* amore
Colle gaie ballate, e su per V erte
Roccie salendo al feììdal castello,
Gettava il fiore insanguinato al piede
Della dama gentil ; ma quel grondante
Fiore, emblema d'amor che oppresso, ignoto,
SoflFre, lotta, sospira, aspira e tace.
La gentil simpatia le susurrava
Delle misere plebi e la celeste
Fraternità delle sventure umane.
Nel cranio, è vero, al successor di Piero
Talor m'ascosi, e vaneggiando anch'io
Sognai la formidata onnipotenza
Dell'alte chiavi; ma nel mio cerèbro
Pure ardeva un' Idea che del pensiero
L'onnipotenza vagheggiava e fece
Ben due secoli pria, nella mia voce
Tuonar Wiclefo e fulminar Lutero.
Io coi sofi parlai l' incoronato
Idioma d' un di ; ma poi che il germe
Ne avea poUuto lo straniero, e turpe
Suggello alla tirannide era fatto
L' idioma dei liberi, alle plebi
Le labbra emancipai dalla servile
Catena e lor le sacre note appresi
Onde alle genti parlerà, scettrata.
La libertà fumra. E primo io V ora
Vaticinando che in amor congiunga
Uomini e genti, io Numi intanto e Idee
Affratellava nel mio canto, e all'alma
Quegli azzurri infiniti dischiudea
Di scienza e beltà, donde si larga
Al pensiero ed al core onda poi scese.
La toga io cinsi e la lorica; odiai.
Ma amor strozzato era quell'odio, e sole
632 POESIE DI MILLE AUTORI
Potea neirodio ritemprar T amore.
Alla contemplativa estasi i fieri
Tumulti della vita, all'aurea mazza
Del potere il bordon di pellegrino
O di mago la verga avvicendando»
Il cielo io col pensier, colle violenti
Passion del core investigai la terra,
Infin che in ogni fibra del tuo core,
SI, o patria, io palpitai, che persin quando
Tu col sangue in fraterni odi versato,
Contaminavi i tuoi beati Elisi,
Io teco. Guelfo e Ghibellini, pugnai...
Vissi in reggie, e in tuguri; a tutte attinsi
Le tue pene, i tuoi gaudi, e poiché ninna
Passion più m*ebbi .del tuo cor straniera.
Vivo scesi sotterra a rischiarani
La via dei mondi che calcar dovrai
Negli arcani viaggi. Emblema anch'essi,
Forse, di questa arcana vita, in cui
Ancor m'è ignoto se l'inferno or soflFri,
O in quei dolenti circoli t' aggiri
Ove la colpa col dolor s* espia,
E lo spirto che errò, del Paradiso
Per le glorie, s'epura.
Il guardo» o Italia,
Alza dunque e t' affida. Il benedetto
Redentore che aneli, oh! non più in seno
Alle straniere genti, e non più il cerca
Fra le buie navate o nelle vane
Regioni degli spettri. Il genio umano
È l'eterno Pontefice, il futuro
Monarca delle genti è l'infinita
Turba che pugna le non sue battaglie.
Che colla sua vivente anima, in ruota
Di morta, serva macchina cangiata.
Travaglia e i ben dell'esistenza crea
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 633
Per gli altri sempre, per sé mai. Meschina!
Come il fior s'alimenta di rugiade.
Ella visse di lagrime. Pei solchi
Assiderati della sua miseria,
Invan, vivente, io la cercai; che tanto
Fra i fantasmi smarrito io non mi fora,
Se trovata l'avessi Or la discerno!
D'anella ancor di servitude ha cinte
Le man callose; nel pensier, nell'alma
Ha le piaghe tuttor che le squarciava
La secolar condanna, e maledetta,
Ruinando va ancor di pena in pena,
Di martiro in martir, di bolgia in bolgia.
Per la vita ferrigna, amore invano
Invocando e pietà, mentre le splende
Sul fronte il crisma dell'impero! O ciechi,
Fratricidi fratelli! E voi col fiele
Dello scorno crudel, coi duri stenti
Che beati vi fanno, e col beflFardo,
Superbo dono che le membra asterge
Ma percuote lo spino, avvelenate
Il re dell' avvenire, Ei, come il Cristo,
Nelle ignobili stalle abbrividisce,
Mentre invan voi sudate a ricercarlo
Nelle reggie dei re. Sciagura a voi.
Se quell'astro d' amor non vi risplende
Che ai magi d' Oriente un di fu guida !
Però che il bue che sanguina, che suda,
Potria in toro cangiarsi; e come il sangue
Che, compresso talor, si fa veleno.
La rassegnata sua bontà, sovente,
Furor diventa ed è flagel che uccide,
Come il verme calpesto, al par del verme.
Morder si può, rodervi ai pie' la terra
Che v'è tomba da secoli ed il capo
Ieri ancor vi copria. Dal grave sonno
6}4 POESIE DI MILLE AUTORI
Di pena, in cui quel suo che gli rapite
Paradiso terren, nelle visioni
D' un più beato Paradiso oblia.
Ridestarsi potrebbe, e un' altra volta.
Sulle vostre ruine, oppresso, è vero,
Deluso ancor, ma vendicato almeno,
Una vermiglia o giallo-nera insegna
Ululando, piantar. Tuo braccio, è desso
Questo misero popolo che geme,
Tuo respiro, tuo cor, tua sovrumana
Onnipotenza; ti calpesti il core
Se lui calpesti: un morìente sei
Che attosca il nappo che salvar lo deve.
Amalo, Italia, e fida in lui. Da estrani
Coronati che speri? In mezzo a loro,
Fracida canna esser vorrai tu sempre
Ch* a ogni soffio vacilla, o come 1* upa
Che dai rami mortiferi diffonde
Il velen che succhiò dalle radici,
Avvicendar vorrai dell'impotenza
Tu la viltà colla viltà del forte
Che rende Tonte che subiva? Oh! torna.
Toma pure nel nulla onde sei sorta.
Se questa d' onte e inequità vicenda
È la legge dei fati. A te il granito
Dell' eroica virtù sia fondamento,
Non la schifosa incrostazion del fango
Impietrito da secoli d'ignavia,
E di turpi viltadi. A te quest' empia
Era di colpe che fruttar servaggio
E di servaggio che eternò le colpe
Con circolo infernale, è a te serbato
Precipitar nel nulla, e la nuov'èra
Nunziar d' amore, non V amor proscritto
Che lotta e soffre e sacrificio ha nome.
Ma l'amor forza trionfante, invitta
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 6)$
Che Sì noma Giustizia. Amor sia, Italia,
Il tuo grido di guerra! Invitto grido.
In miriadi d'arcangeli custodi
Del tuo trono di luce, ci ti tramuta
Le bieche moltitudini. D'amore
Esse han sete da secoli, e tu d'odio
Le dannasti a nudrirsi. Eppur, se loro
Tu le braccia distendi, il cor dischiudi,
Come Venere un di dai flutti irati.
Vedrai dall'odio scaturir l'amore;
E quei cor, quelle braccia e quelle labbra
Schiuse per maledir, benediranno.
VI.
Piangevan tutti. Era un di quegli istanti
D'onnipossente passì'on si pregni
Che bastano a scaldar tuna la fredda
Nudità dell'istoria e della vita,
Tutto il passato e l' avvenir, qual raggio
D'aprii che il morto orbe ridesta, o lampo
Di pregna, immensa nuvola che tutto
Il negro spazio in un balen colora.
Alighier lo comprese, e coli' intenso
Voler, quasi librandosi sovr' ali
Invisibili in alto, onde più lungi
Il suo grido giungesse — « O tu infinita
Turba degli infelici, alzati, » ei disse,
a Ti chiamano i fratelli ! Accorri, accorri
All' amplesso d' amor. »
Le sue parole.
Come luce di sole, in un istante
Irradiarsi d'intorno; e allor da quanti
Più remoti recessi in sé racchiude
L'Itala terra; da ogni estrania zona
Ove dispersa e nel dolor gemea
6}6 POESIE DI MILLE AUTORI
Itala plebe; dai tuguri immondi,
Dai solchi, dalle vie, dalle sonanti
Fucine, dagli eserciti, dai templi,
Dai nivei monti, dai navigli erranti
Sull'immenso Ocean, sin dalle cupe
Viscere della terra ove l'esangui
Fronti che morte già segnò, stillando
Stanno l'acre sudor dell'etisia
Sugli ascosi tesor -r l' immensurata
Moltitudin soffrente, a quell'amplesso,
Quasi ponata dell'amor sull'ali.
Subitanea volò. Laceri i panni.
Nude le piante, lo squallor sul volto,
Nelle membra il terror, la morte in seno
Quegl* infelici aveano, e dalle esterne
Piaghe l'occhio vedea stendersi ascoso
Un serpe che nel core e nel cerèbro^
Le mortifere spire insinuando,
Piaghe di colpe vi squarciava e densa
Caligin di pensiero. Eppur sparia
Dalle membra ogni piaga e dallo spino
Fra gli amorosi amplessi, e come fango
Che della luce nel fulgor s'abbella,
S' irraggiavan quei squallidi sembianti
D'improvvisa beltà nella suprema,
Casta luce d'amor.
« Giurate amarvi »
Dante e l'ombre gridaro. E soggiogati
Da arcana forza che ad amar spingea,
I divisi fratelli, insiem mescendo
Lagrime e baci, le infinite destre
Avvincolando in un eroico nodo.
Solennemente replicar: «Giuriamo!»
Esultar l'ombre. Machiavel squarciava
Le dense pieghe del funereo manto
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 637
E all'attonita turba, in laido gruppo
Come di serpi insiem avvoltolate
In schifosi connubii, iva additando
I rei pensieri ascosi onde fur sempre
Le tifare conserte e le corone.
Galileo, Michelangelo, il vivente
Italo eroe, confusi in una fiamma
Di sublime splendor, sorgean giganti
Come strane meteore, e del futuro
Additando il sentiero alla risorta
Itala libertà, parean l'arcana
Ignea colonna eh' a Israel fu guida
Per le vie del deserto; e l'Astigiano,
Col tragico pugnai si fieramente
Del cattolico tempio in sulle mura
La gran parola: aLibertade» incise,
Ch' esse in polve crollar come percosse
Dal fulmine del cielo. In ampio giro,
Tremaro in alto le turrite rocche;
Tremar sotterra i feretri gemmati
Dei Cesari e dei Papi, e i due fantasmi
Di queste oscene Deità d' un tempo,
Fur visti svolazzar, striduli e ciechi,
Sull'alte torri e i desolati altari.
Come Minerva dal cervel di Giove,
Dal cor di Dante allor balzò l' Italia,
Ed in armi balzò. Sovra il suo capo
Scorrea cantando d'Alighier lo spirto,
Come un di sugli Apostoli l'arcana
Lingua di fuoco. Le terzine eroiche
Echeggiavano intorno ai combattenti.
Come squilli di tromba; sventolavano
Sul loro capo quai spiegate insegne;
Come spade che uscir dalla guaina
Scintillavano al guardo, e come palle
638 POESIE DI MILLE AUTORI
Di carabine magiche, i nemici
Distendevano al suolo. E soli ammassi
D'anime serve e trafficata carne
Non erano i nemici. Eran superbe
Reggio ^à altari, cattedrali e rocche.
Pregiudizi! ed error, colpe e sciagure
E quanti altri viperei flagelli.
L'immonda del Passato urna chiudea.
a Anatema ! » ululavano, crollando,
Le cattedrali, ed all'eccelse rocche
Levando il desolato occhio, parea
Implorassero vanni onde levarsi
Sugl'inaccessi culmini; ma quando
Dagli inaccessi culmini, a lor volta
Cadeau, stridendo, le marmoree rocche,
E in giù, le spalancate catacombe
Chiamavano i crollanti archi e i delubri
Ad affogar nel sempiterno nulla,
« Pietà, Italia ! » stridean. « Chi» se n' uccidi,
I suoi trionfi canterà? Qual voce
T' implorerà dal cielo, eternamente.
La corona sul capo, e chi del Cristo
Che t' ha redenta canterà gli Osanna ?
Ma anch' Ei redento il Redentor, s' alzava
Dalle macerie luminoso, e il serto
Lacerando sul crin che la demente
O tenebrosa idolatria gli cinse,
Uom scendeva fra gli uomini. L' umano
Suo cor dair ombra sepolcral disciolto
Del cattolico tempio, il vero, il sacro.
Tempio della virtude e del pensiero.
Sulle bieche ruine edificava
Dentro il core dell' uomo, e 1' uomo alfine.
Veracemente, non più invan redento.
Da quel tempio sorgea di lui sol degno.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 639
La prima volta, ad esultar nel vero.
Era infranto il mister che il Tempio a danno
Della tradita umanità celava
Da lunga etade, e discoprìasi alfine
Attraverso il suo vel lacero errante
Più che il Dio che discende e ali* uom s' incarna,
L'uomo che ascende e si tramuta in Dio.
Spenti gli urli, i sospir, gli echi, le strida
Delle oscure mine, il mare e TAlpi,
Tutte d'Italia le armonie sovrane
Inneggiavano in coro alla risorta
Regina delle genti.
E il mar dicea,
L'azzurro mare, che la cinge intorno:
a Terra dall' ignee forze ! E un di stendevi
Sul mio mantello di cerulei flutti,
Ben più immensa di selve e di giardini
E irti dorsi di monti incantatrice.
Lussureggiante scena. Un di commosso
Da sotterrani spasmi io mi levai
Col flagel de' miei flutti, e di tue verdi.
Splendide membra divorai gran parte
Nell'ingorda mia gola. Ah! da quel giorno
Forse l'avido istinto io t'ispirai
Delle ruine, e t'aggiogò implacata
La voluttà di lacerar te stessa.
Ma or, che il fato tu hai vinto e benedetto
Neil' amore rinasci; or che feconda.
La nuova ti riarde onda di vita
E ti palpita il cor come nei giorni
Delle sacre memorie ; anch' io dal fondo
De* miei cerulei abissi, un* altra volta
Solleverò le tue membra disperse;
Di magiche, serene isole e zone
Ti vo un serto intrecciar che di tue nozze
Òi|0 POESIE DI MILLE AUTORI
Coir avvenir fia il dono, e dell* azzurra
Mia solitaria immensità non voglio
Che una lingua serbar di mormoranti
Onde amorose per baciarti, o bella
Risuscitata nell'amore, e un inno
Di tua gloria al fulgor scioglier perenne. »
Ed i suoi monti, dai Vulcani all'Alpi,
I suoi monti dicean: « Dal soffio accesi
Degli ignei tuoi spirti di sotterra
Noi, come vampe, rischiarammo il buio
De' primieri tuoi di, quando sorgevi.
Venere ammaliatrice delle genti.
Dalle spume del mar, quando il Saturnio
Divin seme fecondo, entro il tuo seno
Colle felci primiere ingenerava
I primi umani, e le tribù raminghe
Che dall' erte giogaie o dalle svelte
Triremi a te scendeano, in quelle vampe
Arcanamente sul tuo dorso accese,
Adoravano il Nume. Ahil ci si spense,
Per le infuocate, sotterranee vene,
L' igneo sangue vitale, e in nevi, e in ghiacci
Le vampe nostre si mutar. Pur sovra
Queste morte, ghiacciate ereme altezze.
Ascendi, o Italia! Oltre le mie foreste,
I miei torrenti e le virginee nevi
Nelle nebbie perdute; oltre le occulte.
Invisibili, arcane Alpi sorgenti
Sull'estreme mie vette; oltre l'azzurro
Scintillante del cielo, oltre i pianeti,
Oltre il sole, oltre gli astri e le remote.
Nebulose fantastiche che vedi
Pascolare lassù come bianche
Giovenche in seno a' miei cerulei prati.
Vive r Eterna Idea che immacolata
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 64 1
Per te vive nel del come la neve
Sovra i vertici nostri. Ella t'arride,
E se dell'Alpi tu non temi il gelo,
Se i perìgli ed i mostri, ond' ella è cinu,
Paventare non sai, la benedetta
Al tuo sen scenderà. Vieni, i miei picchi
Nel lor manto di nebbia avviluppati.
Colla magica voce de' torrenti,
Coir attrazion delle superbe cime,
T'attireranno in alto. Ove ti colga
Pel faticoso tramite il languore.
Io ti disseterò dell' Eridàno
Nelle vive sorgenti. Io colle mie
Di pin foreste e di gementi abeti,
T' astergerò la fronte, e i miei romiti
Del San Bernardo alle tue membra esauste
Riverseran la vita. Ohi ascendi 1 ascendi I »
Ed Italia ascendea. Pel faticoso
Calle i turbi prostravanla ed il gelo;
Pungeanla i rovi, la mordean le serpi,
L'insidiavan gli abissi. Ella lo sguardo
Alla sublime Idea sempre avea fiso.
Di coraggio, di forze e di speranze.
Ed Italia ascendea. Presso alle meta.
Mille draghi su lei dalle infuocate.
Orride gole vomitavan bave
Di dubbio, fiamme di terror; ma Italia
I sacri carmi che Alighier le apprese
Contro i mostri avventò che ammutolirò
Come Cerbero all' Orco, allor che il Vate
Ne empi di polve « le bramose canne. »
Ed Italia ascendea. Giunta alla vetta.
Ansio aveva il respir, sciolte le chiome,
Trasudata la fronte e quasi estinta
La speranza nel cor. Ma a confortarla,
Dbl Balio. Voi. XIV. 4I
642 POESIE DI MILLE AUTORI
Dair eterne del core e del pensiero
Regioni ove dei popoli l'.avea
La menzognera civiltà fugata,
A16n la sospirata, inebbriante
Idea discese. Ecceka idea che ovunque
Vide il raggio brillar delle nazioni,
Sempre comparve, il benedetto offrendo
Fiore deir avvenir, — ma sempre invano.
Curva sugli aurei scrigni, AngUa la vide.
Ma più del bianco suo fulgor le piacque
Dell' oro il fulvo scintillar. Sui licÙ
Dove ispirata un di pugnò Giovanna
Per la patria violata, ella fu vista
E culto n'ebbe si feroce in prima
Che quasi dentro un pelago di sangue
Amico e ostil perla; ma poi cogli occhi
Dai vapor dell'orrenda orgia offuscati.
L'intemerata Dea scesa dai cieli
Quelle genti scambiar per qualche immonda
Vivandiera dei campi; e oscenamente.
Di cinici, briachi, inverecondi
Baci la deturpando, insiem coli' empia
Tirannide e la vii Superstizione,
La trascinare a gavazzar nel fango.
Ma quei ciechi il cadavere di Francia
Eran; di Francia il sacro cor gemea
Neil' esigilo, nei ceppi e nei sepolcri.
Nel reo scempio fuggiasca, al Reno in riva
Volò la derelitta, ove rapita
La bionda figlia di Luter sognava,
E sperò le virginee carezze
Dalla cultrice dell'Idea. Ma come
La castellana feiidal che l'alma
All'amatore, ed al brutal marito
Le membra concedea, ben su nel cielo.
La feùdal sonnambula all'Idea
INTORKO A DANT]? ALIQHIERL 643
Mistico culto offiri» purché calcarle
Col pie' potesse di brutal soldato
Le bianche membra e l'aureo crine in ti^ra.
Coir estatica e mesta alma l'aspira
La vergin slava; ma dispersa ornai
Dal Moscovita sull'immensa terra
Come il popol di Dio, chi sa se mai
Ricongiunger potrà le scarse membra
Per risorgere ancorai A te pur tese,
O mia patria, la Diva, e l'ali stanche
Più volte ti posò sopra l'avello
Benedicendo, ma respinta ognora,
Maledicendo, dall'avel tu l' bai.
In nome del tuo Papa e de' stranieri
Che sepolta t' avean. Ma alfin la stringi
Sul core la divina esule e spargi
Il suo raggio immortai sopra le genti!
E le genti che irrisa avean la Dea
Finché supplice, errante, invide adesso
Ne miravan la pura aura dal senp
Irradiar d'Italia. E dalle fosche
Regioni del dolor dove Egoismo
E Vanitade le tenean languenti.
Anelando salian lungo le terga
Dei fantastici monti a riscaldarsi
In quell'aura divina. E tutte allora
Italia le accogliea dentro il suo seno
Palpitante d'amor come sorelle
Che le tenèbre incatenar nel mezzo
Del cammin della vita. Ella coi caldi
Effluvi del suo core armonizzava
Di quelle genti i palpiti, le mille
Discordanti armonie, finché vibrando
Come le corde d'una sola cetra.
Le lor mistiche note al firmamento
044 POESIE DI MILLE AUTORI
Quali effluvi! salian di mille fiori
In un serto confusi. E come un serto
Di fior raccoglie in armonia gentile
Tutta la gamma dei profumi; come
Cetra che tocca da maestra mano.
Dai murmuri più cupi ai più argentini
Suoni trascende; e cosi misto udiva
Sulle corde vibrar delle nazioni
Nel cor d'Italia armonizzate, un canto
Che dai suon più profondi della vita,
Dell'Ideai saliva alle più acute.
Ineffabili note.
II gran tumulto
Francia cantava della vita, e quando
I mill'echi del senso e del pensiero
Che sulle labbra le fremeano a gara,
La suprema parean chiedere al cielo
Nota conciliatrice, Albion sorgea
E sulla ferrea corda de* suoi nervi
Schiusi alla terra e al ciel, le rivelate
Note scioglieva onde contesto è l'inno
Che del creato V Unità rivela.
Del passato i profondi echi morenti
Nell'avvenir, con rassegnati accenti
Cantava Iberia; le profonde e forti
Virtù del sacrificio e dell'amore
Che la vittoria coronò, le sparse
Tribù slave congiunte, e del pensiero
Gli aquilei voli scopritor dei mondi
La rapita Allemagna. Degli arcani
Mondi inncggiavan l'armonie le terre
Fra le nebbie perdute, e la novella
Eliade nuovi di beltà tesori
Intrecciava nei cantici che il sole
Le ispirò co' suoi baci. E poi che tutti
Della Beltà visibile svelati
INTORNO A PANTE ALIGHIERI. 64$
Avea gli aurei tesor, la sua spingendo
Platonica pupilla audacemente
Nel gran mar dell'Idea; nuda, spogliata
Da' suoi veli più sacri a noi svelava
L'invisibil Beltade. I misteriosi
Vaticinii cantava in cento idiomi
Di Colombo la terra a&atellata
Di Cham coi figli, ed inneggiava anch'essa,
Dell* Egoismo la cultrice al santo
Vittorioso, onnipossente Amore,
Le oscure metamorfosi onde sale
Dal bruto all' uom Natura, aprian con inni
Di selvaggia beltà d'Africa i lidi
Inesplorati. E colle sue giganti
Della vita armonie, coli' infinite
Sue città della morte, e morte e vita
Cantava a un tempo T Oriente, entrambe
In un profondo, estatico, infinito
Inno affogando che cantava Iddio.
Inneggiate, o redente! 11 vostro canto
Forse è il ritmo recondito che muove.
Fra Spazio e Tempo, eternamente, i mondi.
L'ombre di Santa Croce ora da ignoti
Punti, d' Italia al sen volaro, e tutte
D'Alighier nella sacra ombra che effuse
Le avea, svanirò; ed Alighier nell'ombra
Dileguò, nell'Italia, e Italia anch'essa,
Nel mar della redenta Umanitade
Assorbita svania. Sfera beata,
Scorrea la terra pei sereni campi
Dell'infinito» Marinara antica.
Le vele Italia dirigea dell' orbe
Per gli eterei deserti, e coli' Etrusco
Occhio già avvezzo a interrogar le stelle,
646 poesìe di MlttE AUTORI
Ai fraterni del delo orbi ansiosi
Spingeale Roma. Sovra gli aurei card
Sorgeaa le stelle a contemplar la vaga
Veleggiatrìce e trasalianìe intorno
I firmamenti ititiamotati. Un puro
Calor si diffondea dalla sua luce
Sui lontani, ghiacciati orbi. La vita
Palpitava per lei dentro la morta
Vanità degli abissi, e colle mille
Armonie, coi torrenti della luce,
Coi misteriosi fluidi circolanti
Nel gran mar dell' Essenza, i mondi e tutti
Del Cielo i Genii le scioglieano Osanna.
Sparve la strailsl vision. Fu dessa
Sol della speme una mendace larva,
O un'Ombra che il Futur, come in ispecchio.
Gettava alla vibrante anima mia ?
Non dirlo io posso; ma ben tu il dii'ai,
CoU'opre o fiacche o valorose, lulia! '
Giuseppe Aglio nacque in Cremona nell'anno 1827. Come tanti
si laureò in utroque; ma, poi, si consacrò del tutto alla poesia. Si
hanno di lui tre drammi lirici non spregevoli : OrfeOi Giordano
BrurtOy Roma. Tradusse non poche poesie straniere, ma in tal
genere di fatica, la sua traduzione completa dello Shelley, comparsa
nel 1858, merita una speciale menzione Spesso fu oratore ufficiale
pel municipio di Cremona, e si ricordano i suoi discorsi ih morte
di Vittorio Emanuele II e di Aleardo Aleardi.
' Questo poemetto cosi si legge in un ! Poemetto di Gias^peAg^io. llflano, preMO
opttscolo di 49 pagine Coltre U prefaxione), I U libreria di Lorenzo ^oniogno, Corto
dal titolo : Ptl ststo etnltmario di Damtt, \ Vitt. Em., 186$.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 647
DCCXCII.
Luigi Sommi-Picenardi.
Nel sesto centenario di Dante.
Canto.
(14 maggio i86j).
Quando dai flutti il matutin splendore
Si leva e il balzo d'oriente imbianca
E langue in ciel, sparsa di bel pallore.
Venere, come giovinetta stanca;
Arcano senso d'infinito amore
Sorgere par da quella luce bianca,
E aleggiar sul creato e all'alto polo
Nella notte spiegar d'un inno il volo.
Cosi radiante d' immortai beltade
Che non s'offusca per terreno oltraggio.
Scorge talor l'afflitta umanitade
Un novel Prometèo sul suo viaggio:
Per lui la notte di selvaggia etade
D'insueto s'avviva etereo raggio,
Che della luce dell'eterna idea
Tutte veste le cose e in lei si bea.
E te, sommo Alighier, Genio severo,
Cui parteggiar ingiustamente fello
E mala signoria fecer straniero
Al bell'ovile ove dormisti agnello.
648 POESI£ DI MILLE AUTORI
Stretta in un patto Italia e in un pensiero
Te ai tardi onori evoca or dall'avello;
E tu del tuo batesmo vien sul fonte,
Vieni, o Divino, a coronar la fronte.
Sciolte le destre da servii catena,
E prone al marmo tuo l'itale genti,
Chiaman lo Spirto che per ogni vena
Trasse un giorno a tremare i violenti;
E tu discendi: e la cruenta arena,
Da cui sorgemmo liberi e redenti,
Spargi del sacro allor di paradiso
U' de' martiri nostri eterno è il riso.
Mesto venivi un di dove al Tirreno
iMagra disposa. L'ora, in che il desio
Riede alla patria e intenerisce il seno
La ricordanza dell' uhimo addio,
Volgcasi: e a te il lucente astro sereno
Che conforta ad amar, del suol natio
Favellava e di Lei che in ciel rapita
D'elisio raggio ti vestia la vita.
Poco quindi lontan le sacre mura
D'un chiostro, dalle prime ombre coverte,
S'ergeano: asil dischiuso alla sventura
De l'alme fatte vedove e deserte:
Qui traevi; e movendo all'aria scura
Pe' claustri solitari Torme incerte,
Muto miravi le colonne e gli archi
E Tederà vetusta onde eran carchi.
Ma mentre a riposar il corpo lasso
Venivi alTombra delTostello santo.
Surto al rumor delTerrabondo passo,
Veglio t'apparve in monacale ammanto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 649
Che fiso l'occhio indagatore e basso
Nel tuo bagnato d'angoscioso pianto,
O Viator del rio mondo fallace
Che chiedi? disse; e tu dolente: Pace!
Pace indarno chiedevi in sul cammino
Mortai, divo cantor dell'universo:
Alla prece, al sospir del pellegrino
Non fea risposta il popolo perverso.
Se non eran duo forti, e più il destino.
Anco il cenere tuo saria disperso.
Che de' forti nascosti entro la fossa
Minacciose talor fremono Tossa.
Indarno contra '1 fato avverso e crudo
In Lunigiana stette il buon Morello;
Indarno ti coverse il grande scudo
« Che in su la Scala porta il santo uccello; »
Non fea tregua fortuna all'aspro ludo
Pur di Tolmin nell'ospital castello,
Né allor che, sciolto d'ogni speme vana,
L'orrida t'accogliea Fonte Avellana.
Tal errante per l'itale contrade
Sen già mendico e nell'aspetto fiero,
E il cozzo ognor di fratricide spade
Ahil tingeva di sangue il suo sentiero:
Ma alfin riposo in sen dell'amistade
Dai dolorosi error trovò l'austero;
Cosi quando sereno il di declina,
Scende il sol nella placida marina.
Ma pria che sciolta dal corporeo velo
L'alma spiegasse il voi per l'infinito.
Del pianto estremo ei bagnò il petto anelo.
Che al pensier gli tornava il tosco lito;
630 fOBSIB DI MILLI AUTORI
E il SUO bel San Giovanni, ove dal Cielo
Ricovrar pregò Tanimo smarrito.
Rivide, e lei che gli fé' il cor deliro,
Fiorenza ingrata, etemo suo sospiro.
Ed or, dimmi, che valse e mente e core
Sacrar, e vita al pravo iulo suolo;
E fatto più che aman pel grande amore
Cora' aquila su tutti ergere il volo?
Che valse degli ardenti anni nel fiore
Da prò' pugnar primo nel primo stuolo,
E riverso nel fango il ghibellino
Vessillo, trionfar in Campaldino?
Che ti giovò dal creator pensiero
Grande e soave trar novo idioma.
Grande cosi che quasi vanne altero
Al par di quei ch'udirò Atene e Roma?
Ben ti dovea per l'alto magistero
De la fronda penea cinger la chioma
La serva Italia, ahi! di dolore ostello,
« Non donna di provincie ma bordello, »
Né surse Italia, né si scosse al suono
Ch'a lei venia dall' immortai suo verso:
Egli intanto fremea siccome tuono,
De' perduti migrando all'aér perso;
Poi d'amor desioso e di perdono
Salia là dove il ciel si fea più terso;
E si beava alfin nel santo aspetto
Del vero in che s'acqueta ogni intelletto.
Tale allor che sua musa arbitra e dea,
« Sotto '1 velame degli versi strani, »
Tra le genti a giudicio s'assidea
Premi e pene partendo infra gli umani.
INTORKO A DANTE ALIGHIERI. 65 1
Sperò al fulgor della superna idea
Rinnovellarsi i miseri profani,
E concordi suU^una e l'altra strada
Il pastora! precederli e la spada.
Sperò dal suono del divin linguaggio»
Cui d'ispirati numeri testia»
Cader fiaccato il favellar selvaggio
Che l'itale fra Ìor genti partia;
Simbolo d'unità, cotnun retaggio.
Stringe un popol l'idioma: ei lo sentìa;
E quell'arpa che freme e che sospira
La celeste emulava orfica lira.
Però che guelfa rabbia o ghibellina
Suscitar non potea nel maschio petto
Di lui, si caldo di virtù latina,
La struggìtrice fiaccola d'Alettó:
Cantor di Rettitudin che divina-
mente gli ragionava all'intelletto,
Giudicator dell'uno e l'altro regno,
Facea vendetta al sacrosanto segno.
Che se aflPetto, ragion, genio o sventura
La fiamma ghibellina in cor gli accese.
La forma ond'ei vestilla era si pura
Ch'ogni concetto uman vinse e trascese;
Per lei de' duo poter giusta misura
Fea$i al governo, e si tacean le offese;
Per lei gli animi unia, vinto l'errore,
(( Luce intellettùal piena d'amore. »
Ma come pellegrin che l'arsa arena
Calcando incerto ed assetato e stanco
Vede lungi di palme e d'acque amena
Una plaga, e posarvi anela il fianco,
652 POESIE DI MILLE AUTORI
E ratto muove e riogannevol scena
Ahil s'allontana e non la giunge unquanco,
SI che, cadendo in sulla sabbia ardente.
Impreca al giorno che fuggir si sente;
Tal quel sogno di ciel vanir veggendo
Che dell'esilio gli infiorò la via,
E più feroce nel certame orrendo
Stringer dovunque i ceppi Tirannia,
Solo, sublime ardir, surse, e tremendo,
Qual Chèrubo che il Nume irato invia.
Sdegnosamente 1* italo perverso
Suol flagellò coir implacabil verso.
E in te, Firenze, più fisse l'acuto
Dardo dell'ira a rintuzzar l'oltraggio.
Quando con fiero, spreggiator rifiuto
II codardo respinse imposto omaggio:
Ma tu pensavi omai giacersi muto
Per l'esilio trilustre il suo coraggio.
Che d' infra i colpi di nemica sorte,
Anteo novello, risorgea più forte.
Amor, gloria, disdegno e del natio
Terren la santa caritade in petto
Destar quel foco onde cotanto in Dio
Non sublimossi mai altro intelletto:
Ma le furie a placar del fato rio
Non valse il nome altero, e il verso eletto.
Oh! fin la speme ti fallia la meta
Quando sclamasti: Tornerò poeta!
Pur de' colli natii l'aura beata
Vèr lui talor parea batter le piume,
E, sospirando intorno innamorata,
Le lacrime asciugar sul suo volume;
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 653
Allor d'accanto alla fanciulla amata
Credeasi e in riva del materno 6ume,
Quando tra l'ombre di tranquilla sera
Un pensiero li univa, una preghiera.
In lei raccolto e intensamente fiso
Lo spirto nell'ardor di un primo affetto,
Quando, qual giglio in suU'albor reciso,
La vita inaridi nel casto petto,
Scender la vide dal sereno Eliso
Trasfigurata nel terrestre aspetto,
E il largo a lui tergendo amaro pianto
Pace spirargli e sacra aura di canto.
Da lei trasse gli auspici al gran viaggio;
Ch'ella Virgilio a sua difesa sprona;
Per lei Casella suo, cui scalda il raggio
Del perdono di Dio, si dolce suona;
E, trapassati i regni del servaggio,
Per essa ei cinge 1* immortai corona
Là nel fulgor della siderea via
Dove l'inebria eterna Teodia,
O Beatrice dolce guida e cara!...
Dicea varcando i tremuli zaffiri.
Mentre aleggiargli intomo sentia a gara
Celesti piume e fervidi sospiri;
Ma tanto in lei la luce si fé' chiara,
Tanto de* lumi suoi rifulse Tiri,
Che, al balen non reggendo di quel riso.
Sul sen chinò quasi smarrito il viso.
Sublime amor! in lui comprese e strinse
E mente e core e vita e terra e cielo;
Da lui coraggio e speme e possa attinse
A perdurar nel ben concetto zelo;
654 PO£SlE DI liaiE AUTORI
Face il cui raggio awivator più '1 vinse
Quando su lei scese di morte il velo;
Che allor fé' simbol di virtù ramata»
E in quel dissetò l'alma innamorata.
Sublime amori per lui vinta la creu
Mortai» senti trasumanar se stesso
SI che seguendo k sua guida lieta
Al supremo posò soglio inaccesso.
E nella luce là che di sé asseta
Di sé saziando in misterioso amplesso,
« Sustanzia ed accidente e lor costume >
Vide e conobbe e si quetò nel Nume.
Ed or che possa all'alu fantasia
Più non ti manca» o gran padre Alighieri»
E che nel divo amor dell'alma pia
Concordi fai volere e desideri;
Or tu spira potente alla natia
Italia tua magnanimi pensieri»
SI che reina alfin sul Campidoglio
Alzi il labaro invitto e ascenda il soglio.
Su quel labaro splende il Santo Segno
Che Costantin fé* al vincer si veloce;
Mostrossi appena e, come lampo» il regno
Si dileguò dell'oppressor feroce.
Cosi di patrio amore emblema e pegno
Divenne al mondo la Sabauda Croce,
E questa il Forte generò che al crine
Della gran donna mutò in fior le spine.
SI: quel Veltro che a te raggio divino
Disvelando, ad Ausonia nunziasti»
Che suscitarsi dal terren latino,
Non fra straniere genti» profetasti;
INTORNO A OAHTB AUGHIERI. 6$$
Quel Veltro onor del sangue di Quirino
Che nella mente tua grande adorasti
Venne; e i fulminei rai iuta levati,
Stette; e in lui si fiaccò Tira de* fati.
Molto soffiammo, il sai: come Israello
Là sovra i fiumi di Babel piangea.
Senza certezza H pane e d'avello,
Solima dolce, perla di Giudea;
E, appese Tlrpe allo straniero ostello.
De le vergini il canto si tacea,
Che l'inno avea ceduto alla preghiera,
La quale lenta moria per la riviera.
Tal noi lo strazio della sacra terra
Piangendo, onde a te pur venne lo spiro.
Il suolo infioravam che in sé rinserra
L* ossa de' forti che per lei perirò ;
Ma surtì un giorno a gloriosa guerra
Quelle grand' ombre a pugnar nosco uscirò,
E del servaggio antico il giogo infranto,
Alto suonò della vittoria il canto.
Per tutti non inaura i padiglioni
Del nostro ciel di libertade il sole;
Ancora i rai fulgenti al suol tien proni
Il Cherubin de l'Adriana Mole;
Balda all'aure ancor spiega i suoi pennoni
Su l'adriaca marina estrania prole...
Oh! torni ad echeggiar l'inno guerriero
E dell'ultimo allor s'orni il cimiero.
Tempo verrà che tutta eterea e bella.
Colei che in pria da divin sangue usciva.
Come a nocchiero in mar raggio di stella
Pia letizia alle genti e fiamma viva;
656 POESIE DI MILLE AUTORI
Qual per notturno gel si rìnnovella
Un fior che diurna vampa inaridiva.
Tal sarà quando dal connubio tristo
Pura all'amplesso tornerà di Cristo.
E levata la man su la redenta
Umanitade a benedir: Cammina,
Dirà; e sull'orme che giustizia imprenta
Per me verrai diletta pellegrina:
Scettico riso indarno s'argomenta
Struggere in me l'immagine divina.
Io son la luce che giammai non falla
Al desio dell'angelica farfalla.
Per quella luce fia cessato il pianto
Che fa versar Tirannide agli umani;
Regi e popoli già sul cammin santo
Muovon agli splendori antelucani:
Oh! sorga il sol, e del trionfo il canto
Desti gli echi dei liti più lontani
E di razza e color doma la guerra,
Iri di pace alfin splenda alla terra.
E tu, ch'eterna giovinezza infiora.
Tu che, i secoli vinti, ancor fiammeggi,
Che '1 meriggio del di, del qual l'aurora
Veggiam, nunziasti e a lui dettavi leggi.
Esulta, esulta; e l'alto spirto ancora
Per lo gran mar dell' essere veleggi,
Si che noi scorga, infallibil nocchiero,
Al Bello eterno ed all' etemo Vero.
Ancora Ignavia qui molt'alme tiene
O stupide o codarde in sua balia;
Ancora Italia tua di ree catene
Tentan gravar Discordia e Ipocrisia;
INTORKO A DANTH ALIGHIERI. 657
Stolte fatiche! già secura viene
Essa agli allor della romulea via;
Così sovra le nubi eterno splende
L'astro del di cui niun vapore offende.
E si come secondo raggio suole
Uscir del primo, verrà un giorno, il sento,
Che dal tuo spiro accenderassi un sole,
Lu:e all'universal risorgimento;
E ai venturi profetiche parole
Nell'armonia dell'altissimo concetto
Dirà... Ma troppo desiar mi vinse.
Né forse ancora in lui donna s'incinse.
Nel lucido mattin che a noi biancheggia
Colei che al bel paese ove il sì suona
È vanto e onor, del lauro onde verdeggia
La tua terra, oggi intesse una corona,
E a te cui nel volar nessun pareggia.
Siccome ardente carità la sprona,
A te primo, o Divin, tra' figli suoi
Sacra il serto de' vati e degli eroi.
Oh! se colà dove all'eterna lira
Disposa il caldo serafino il canto,
S'ergon d'un' arpa, che quaggiù sospira.
Le note e degli uman la gioia e il pianto,
Poi che amore nell'anima mi spira,
Poi che m'infiamma il tuo sorriso santo,
Questo s'innalzi per l'aure beate
Libero carme a te, libero Vate. '
Luigi Sommi-Picenardi, marchese di Cavallone, nacque in Cre-
mona il 1834. Si laureò in logge e fu ufficiale nell'esercito sardo.
È il rappresentante del ramo primogenito dcirantichissima famiglia
Sommi-Picenardi di Cremona, di cui le orìgini rimontano al se-
colo xiii. È patrìzio colto e benefico, e vive a Milano.
* Questo canto cosi fìi lumpato in opuscolo, « Cremona, 1865.
Del Biaio. VoL XIV. 42
658 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXCIII.
G . T () p r> A N I .
Sonetti.
(14 raagg'O 1865).
I.
Firen:^e a Ravenna,
Or che superb.i d'Alpi a Mongibello
Italia alfin di se fatta è reina,
Noi, suore, unite nel materno ostello,
Non più deturpa ^'elosia ferina.
Dammi, dunque, d*;imor p-^gno il più bello
Degli csarchi immorrai città eroina!
Del mio Dante la cenere divina
Generosa mi porgi! apri T avello!
Se il priego accogli che Firenze esprime,
Come l'osti famosa in scienze e in armi.
Di maggior gloria or toccherai la cima.
San\ la tua virtù scolpita in marmi,
K daran plausi ali* opra tua sublime
Il grido universa!, le storie, e i carmi.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 659
IL
// monumento a Dante in Firen:(e
e i Serego-Alighieri cittadini di Firenze.
La figlia d'Arno, la gentil Fiorenza,
Ov'ebbe culla il celebre Alighiero,
Fa del gran Vate T immortai potenza
Più sublime echeggiar per T orbe intero.
Né sol carmi; ma patria indipendenza
Fa di quel Genio sovruman pensiero :
S* Ei pur desiava in cor con fiera ardenza
Italia sgombra da fatai straniero.
Ma, più famosi, nel vicinò istante.
Farà la città insigne i fasti alteri
Il marmo ergendo in cui scolpito è Dante.
Del divino cantor intanto onora
La illustre discendenza, e gli Alighieri
D'Adige acclama cittadin di Flora. '
* (Questi ftonciti furono composti nel e poi. coti ttampati in Ferrara nel i8é$
1864 e inviati alU Commissione fiorentina in opuscolo intitolato: Lo sf^ettro di Dante.
66o POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXCIV.
A . Rossi.
A Dante.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
Vanne cantor dell'ombre, vanne altero,
Ognor d'Italia i fati e del volume,
A cui fidasti l'alto tuo pensiero,
Volar compagni sulle stesse piume.
Al viver cittadin splendiente e fiero,
Poi che molle segui servii costume,
Mal grato risuonò quel carme austero,
E di tua gloria parve fioco il lume.
Ma nuovo giorno albeggia: libertade
Dal lungo sonno si ridesta e tenta
I vanni aprir per l'itale contrade.
Qual vate allor si chiede ? Allora in quali
Carte l'alma si pasce, e si contenta?
Furono i versi tuoi e sprone e strali. '
' Questo sonetto cosi tu stanipaio nell' opuscolo : Pel centenario di Danle, sonetti,
Perugia, 1865.
IMTORNO A DANTE ALIGHIERI. 66l
DCCXCV.
Giuseppe Cocchi.
Sonetti.
(14 maggio 1865).
I.
Italia e Dante.
Oppressa Italia da servaggio indegno,
Che più le crebbe la virtù del core,
Volle alfin la vendetta, e in suo furore
Il cantor generò del trino regno.
S' accese al raggio di quel divo ingegno
Odio ai tiranni, a libertate amore:
Ebbe stimolo II core al prisco onore,
ESbe volo il pensiero all'arduo segno.
Or tu sei non ingrata, ausonia gente.
Se volgendo a concordia opra e consiglio,
Del gran volume fai tesoro in mente.
Né puoi temer di congiurate squadre
S'ami la madre che creò tal figlio,
Se onori il figlio che francò tal madre.
602 POESIE DI MILLE AUTOR!
IL
Firen:(fi e Roma.
O Fiorenza, che chiami il mondo a festa
Per lui che sciolse il cantico divino,
E nel giardin dell'italo giardino
Fra l'incenso de' fiori ergi la testa;
Il diadema sulla fronte onesta
Pur or ti pose non so qual destino;
E ben ti sta la perla ed il rubino
Sulla corona eh' è di lauri intesta.
Del re del canto è quel presago alloro,
È d'Italia quel serto; e pur di quello
Più vai superba che di gemme ed oro.
Ma quel serto fatai sulla tua chioma
Presso quel lauro, già si fa più bello,
E gii lo rendi con un riso a Roma.
III.
DanU e Beatrice.
O del massimo vate anima bella,
Che in un mare di luce inneggi al santo
In quella pura armonica favella
Che tu nobilitasti a nostro vanto;
Pel tuo volume, pel tuo Dio, per quella
Donna soave che ti ride accanto,
Lascia, ti prego, 1' amorosa stella,
E vien nel loco del tuo primo pianto.
INTORNO A DANTE ALIGHIERI. 663
Già s'aduna colà grave Consesso
D' Italia eletto a moderar le sorti,
E tu, spirto gentil, scendi sovr'esso.
Scendi a immagin di fiamma e in dure prove
Suscita sensi generosi e forti ;
Poscia torna a Colui che tutto muove. '
' Questi versi cosi si leggono nell' opuscolo: Prì tmUnario di DùnU, sonetti, Pe-
rugia, 186$, già cit.
604 POESIE DI MILLE AUTORI
DCCXCVI.
A. O.
Dante.
Sonetto.
(14 maggio 1865).
Dair alto loco, ove il desio s' acqueta
Nello splendore del superno viso,
Volge all'Italia T italo Poeta
Benigno un guardo e gli sorride un riso.
Si letizia in veder, poi che noi vieta
Barbara forza di potere inviso,
Giungere la gran Donna all'ardua meta,
E su Fiorenza il cupid' occhio ha fiso.
Su Fiorenza gentil, che scelto fiore
d' itali ingegni nel suo seno aduna
Per fare ammenda dell'antico err.«re.
O Italia, non temer più rea fortuna,
Esclama il Vate, or che ti stringe amore,
Iddio scrive di te: Libera ed Una.*
' Questo sonetto cosi si legge nell'opuscolo : Pfl centenario di Dante, sonetti,
Perugia, 1865, gìA cit.
FINE DEL XIV VOLUME.
INDICE DEL VOL. XIV
DCCIII.
DCCIV.
DCCV.
DCCVI.
DCCVII.
DCCVIII.
DCCIX.
DCCX.
DCCXl.
DCCXII.
Dccxni.
DCCXIV.
DCCXV.
DCCXVl.
DCCXVII.
DCCXVIII.
DCCXIX.
F. Berardinelli. Italia. Canti pel sesto centenario
di Dante Pag. $
Francesco de Beaumont. Ode 29
Pier Vincenzo Pasquini. Poesie Dantesche:
I. La visione della « Vita Nuova »... 36
II. A Gemma Donati 58
Francesco Dall' On^^aro. Stornello su Dante . . 68
Luigi Mengozzi. Dante. Canto 70
S Serragli. A Dante Alighieri pel .suo sesto cen-
tenario. Canti genetliaci :
I. A Dante sovrano poeta .... -77
II. .-V Dante gran cittadino ....*. 86
III. A Dante sommo politico 99
IV. A Dante precursore dell* Italico rinno-
vamento 1 1 >
Antonio Angeloni-Barbiani. Poesie Dantesche:
I Dante 154
IL Dante Alighieri 146
Pietro Raffaelli. Dante Alighieri 147
Emilio Ferrari. Dante nel monastero del Corvo 149
Euj^enia Pavia-Gentiluomo nei Fortis. Dante Ali-
ghieri 155
Mario Rapisardi. Dante Alighieri 160
Erminia Fui nei Fu'jìnato. Gemma Donati . . 166
Giuseppe Regaldi. Beatrice 170
Un Veneto. Dante 174
Amedeo Digerini Xuti. L*amor di patria . . . 180
Giuseppe Gando. Ob Dantis Alligherii solemnia.
Carmen seculare 181
Francesco Bagatta. B'ce .-Mighieri. Tragedia li-
rica in quattro atti 184
666
DCCXX Anonimo. Poesie intorno a Dante:
Due nomi Pag 214
Firenze e Roma 21$
Venezia 216
Ravenna 217
Torino 217
Milano 2:8
Napoli 218
Palermo 219
P. P. Marangoni Ad un lodatore di Dante . 220
Faustino Bonaventura. Inno a Dante. . . . 223
Enrico Poerio Capitano. Dante nell'età nostra.
Terza rima 233
Domenico Cadetti. Sonetti danteschi . . . 238
Nereo Merighi. Peli' erezione del monumenro
a Dante. Sonetto .* .241
F. S. A Dante Alighieri Sonetti 242
Ramazzini P. Vincenzo. La Trilogia di Dante.
Sonetti :
I. Inferno 244
II. Purgatorio 244
III. Paradiso 245
Fra Giovanni da Verona :
I. Ritratto di Dante 246
II. La scuola di Dante 246
III. Il cuore di Dante 247
IV. Dante e T Italia 247
V. Amor di religione e di patria in Dante 24S
DCCXXIX. G. L. Patuzzi. L'arte e Dante:
L'arte (prima di Dante) 249
I. Nicola Pisano (scultura) 250
IL Gioito (pittura) 250
III. Casella (musica). . . .... 251
IV. Gaia scienza (riforma) 252
V. Monaci (codici) 252
VI. Beatrice (amore) 253
L'arte (dopo Dante) 254
DCCXXX N Vecchietti Dante 255
DCCXXXI C. Puppa. A Dante Alighieri 256
DCCXXXII. Antonietta Dal-Cavolo Mestre. Ad Erminia
Fuà Fusinato 260
DCCXXXIIl. Carlo Faccioli. La morte di Dante Alighieri.
Carme 265
DCCXXXIV. Tullio Mestre Per Dante. Carme 275
DCCXXL
DCCXXIL
DCCXXIII.
DCCXXIV.
DCCXXV.
DCCXXVI.
DCCXXVII.
DCCXXVIIL
INDICE. 667
DCCXXXV. Luigi S-'gala. Dante in Verona. Epistola . Pag. 281
DCCXXXVI. Bartolomeo BiaJego. Il culto di Dante. Espres-
sione deir odierna civiltà 286
DCCXXXVIl P. Antonibon. Ad Ugo Zannoni che scolpiva
la statua di Dante 290
DCCXXXVIIl. Vittorio Merigh*. Emilio dei Mazzanti e Vir-
gin a dei Muselli. Dante. Ballata .... 298
DCCXXXIX. Girolamo Lotto. Ode a Dante 329
DCCXL. A. D. Fagiuol'. Genio e Libertà. Polinietro . 536
DCCXLL Lauro Bernardi. Dante che parla a Roma . . 544
DCCXLII. G Ganz. La statua di Dante a Verona dello
scultore Ugo Zannoni 350
DCCXLKL HafTaello Fornaciarì. La Musa cristiana e Dante.
Ode 552
DCCXLIV G. Silingardi Dante nel suo sesto centenario . 357
DCCXLV G acomo Zanella. A Dante Alighieri ... 362
DCCXL VI Raffaele Granata. Giuseppe Garibaldi alla tomba
di Dante Alighieri. Ottave ...... 366
DCCXLVII. Willelm Braghiroili. Mantova a Dante il 14
maggio 1865. Sonetto 371
DCCXLVIII. Antonio Codogni. A Dante. Sonetto. ... 373
DCCXLIX Angelo Poma. A Mantova 374
DCCL. Teodosio Puerari. Religione e Dante . . . 376
DCCLL Alfonso Capra. Dante e V Italia 393
DCCLII Giuseppe Sapio Dantis Italiaeque laudes. Elegia 405
DCCLllI Pietro Nocito. La Pace. Meditazione di Dante
al monastero del Corvo 407
DCCLIV. Salvatore Salomone Marino L'esilio di Dante.
Canto 412
DCCLV. Paolo Sapio. A Dante Alighieri. Carme . . 418
DCCLVI. Luigi Lucchini. Dante poeta dell' Umanità . . 420
DCCLVII. Niccolò Camarda. 'E7tlYpa|i|ia 423
DCCL VIII. Riccardo Mitchell. Traduzione del precedente
epigramma di Niccolò Camarda 42$
DCCLIX. Andrea Crcscimanno. Augurio di Dante. Sonetto 427
DCCLX. Basilio Anale. Beatrice. Sonetto 428
DCCLXI. Mario Villarcale. L*arie Dantesca 429
DCCLXII. Gìovan Battista Siragusa. Legge educatrice . . 434
DCCLXIII. Ignazio Palermo. Il Poemn 436
DCCLXIV. Salvatore Cocchiara. Risposta di Dante. . . 439
DCCLXV. Carmelo Pardi. Pel centenario di Dante. Ode 441
DCCLXVI. G. Casella. Canto a Dante Alighieri .... 447
DCCLXVn. Paolo Garelli. Vita di Dante Alighieri.- Terze
ri ne dedicate a Francesco Petrarca . . . 456
668 INDICE.
DCCLXVIII, Paolo Pezone. Dante Alighieri, che, imma-
ginando la Divina Commedia, predice
mirabilmente V influsso del Rifugio di
Maria SS. nel compimento degli umani
destini Pag. 489
DCCLXIX. Cesare Masini. Per la festa italiana del cen-
tenario di Dante Alighieri 500
DCCLXX. Stephen Liégeard. A l'ombre de Dante. Canto 185
DCCLXXI. Luigi Silva. Traduzione libera del precedente
canto del Liégeard 526
DCCLXXII. Angelo Gualandi Voti e speranze in occa-
sione del sesto centenario dantesco in Ra-
venna. Sonetti 558
DCCLXXIII. G. Battista Terracina. Il sesto centenario
di Dante Alighieri. Canzone 541
DCCLXXIV. G. Moretti. Per le feste del sesto centenario
di Dante Alighieri. Sonetto 545
DCCLXXV. Gualberto De Marzo. L' Itaba e Dante . . 546
DCCLXXVl. Gio. Batt. Svegliato. Dantes Alighierius. (Ode
alcaica) 551
DCCLXXVn. Gaetano Ghivizzani. Agli stranieri che da
ogni parte d* Europa convennero in Firenze
ad onorare il divino Alighieri nel sesto se-
colare anniversario dalla sua nascita . . 554
DCCLXXVIIL Vittore Hugo ftcrit sur un exemplairc de la
Divina Commedia. 560
DCCLXXIX. Gaetano Ghivizzani. Traduzione della pre-
cedente poesia di Victor Hugo .... 564
DCCLXXX. Alfredo Tennyson. Dante 565
DCCLXXXI. Gaetano Ghivizzani Traduzione della prece-
dente poesia di A. Tennyson 567
DCCLXXXII. Gaetano Ghivizzani. Traduzione di una poesia
di N. Ogareff $6%
DCCLXXXIII. Maria Rattazzi (Marie de Solms) Un toast
à Dante. Improvisation pour Tanniversaire
de son centenaire 570
DCCLXXXI V. Gaetano Ghivizzani. Traduzione della pre-
cedente poesia di Maria Rattazzi . . . 573
DCCLXXXV. Giovanni Arany. Dante $76
DCCLXXXVI. Gaetano Ghivizzani. Traduzione della pre-
cedente poesia di Giovanni Arany . . . 578
DCCLXXXVII. Samuele Davide Luzzatto. Leikhbhod Dante
. hamshorer Cccoin mei* oth shesh me' oth
shanah leulladto . . 580
INDICE. 669
DCCLXXXVIII. Davide Lolli. Versione del precedente sonetto
di Samuele Davide Luzzatto . . . Pag. 583
DCCLXXXIX. G. Jaré Versione del precedente sonetto di
Samuele Davide Luzzatto 585
DCCXC. A. T. II busto del divino Poeta scolpito da
Luigi Minismi di Venezia. Sonetto . . . 587
DCCXCL Giuseppe Asjlio. Pel sesto centenario di Dante
Poemetto 588
DCCXCIL Luigi Sommi-Picenardi Nel sesto cenienario
di Dante. Canto 647
DCCXCIIL G. Toppaai. Sonetti 658
DCCXCIV. A Rossi. A Dante. Sonetto 660
DCCXCV. Giuseppe Cocchi. Sonetti 661
DCCXCVL A. O. Dame. Sonetto 664
Esemplare
N. 23o
AVVERTENZA
Col volume XV, che conterrà le ultime poesie stam-
pate in occasione del sesto centenario, il Supplemento
e gl'Indici (alfabetico ed analitico) e che sarà pubbli-
cato non oltre il mese di maggio del corrente anno,
sarà posto termine a questa Raccolta.
DATE DUE
' STANFORD UNIVERSITY
STANFORD^ CAUFORNIA *.